N. 776 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 settembre 1997
N. 776 Ordinanza emessa il 19 settembre 1997 dal tribunale per i minorenni di Bologna nel procedimento penale a carico di C. L. Processo penale - Dibattimento - Esame di persona imputata in procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere - Lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni rese da dette persone nel corso delle indagini preliminari - Preclusione per il giudice salvo che la parte non vi consenta - Dedotta sostanziale riformulazione da parte del legislatore di norma gia' dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 254/1992 - Irragionevolezza posta la prevista utilizzabilita' di tali precedenti dichiarazioni nella diversa ipotesi in cui non sia possibile ottenere la presenza del dichiarante - Disparita' tra le parti processuali - Incidenza sulla formazione del convincimento del giudice. Processo penale - Verbali di prove di altro procedimento - Dichiarazioni rese da persone imputate in procedimento connesso - Utilizzabilita' soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione o in difetto soltanto nei confronti dell'imputato che vi consenta - Illogica differenziazione rispetto al regime delle dichiarazioni testimoniali - Illogicita' intrinseca della norma impugnata posta la preclusione per il giudice di esaminare comparativamente le dichiarazioni rese in tempi successivi - Incidenza sulla formazione del convincimento del giudice - Lesione del diritto di difesa. Processo penale - Esame di persone imputate in procedimento connesso - Modifiche normative - Norma transitoria - Lamentata immediata applicabilita' della nuova disciplina ai procedimenti in corso - Disparita' di trattamento tra procedimenti in corso e quelli non in corso. (C.P.P. 1988, artt. 238, commi 2, 2-bis e 4; e 513, comma 2, modificati dalla legge 7 agosto 1997; legge 7 agosto 1997, n. 267, art. 6). (Cost., artt. 3, 24, 11 (recte: art. 111), e 112).(GU n.46 del 12-11-1997 )
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale nei confronti di C. L., nato a L'Aquila il 29 settembre 1962, imputato: 1) del delitto p. e p. dall'art. 306 c.p. perche' in concorso con le persone indicate nell'ordinanza del giudice istruttore di Bologna n. 344/1980 in data 14 giugno 1986 (ed in particolare in concorso con "Signorelli Paolo, Fachini Massimiliano, Rinani Roberto, Fioravanti Valerio, Mambro Francesca, Picciafuoco Sergio, Cavallini Gilberto, Jannilli Marcello, Giuliani Egidio, Raho Roberto") costituiva, promuoveva, organizzava e comunque vi partecipava in Roma, Milano, Bologna, nel Veneto e in altre zone del territorio nazionale, una banda armata diretta alla realizzazione di una serie di attentati dinamitardi indiscriminati (libreria Feltrinelli di Padova del 25 luglio 1980; palazzo Marino in Milano del 29 luglio 1980) di competenza di altre autorita' giudiziarie, e contro la stazione di Bologna del 2 agosto 1980; nonche' attentati contro persone (on. Tina Anselmi, in Castelfranco Veneto l'8 marzo 1980; progetto di uccisione di un magistrato di sede giudiziaria veneta fra la fine del 1979 e l'agosto-settembre 1980; assassinio del dott. Mario Amato del 23 giugno 1980), da non rivendicare, ovvero da rivendicare con sigle fuorvianti di "sinistra"; organizzazione armata ritagliata all'interno di altre formazioni eversive neofasciste che agivano sotto sigle diverse (movimento rivoluzionario popolare - M.R.P.; Nuclei armati rivoluzionari - N.A.R.; Terza posizione - T.P.; Costruiamo l'azione; Comunita' Organiche di Popolo - C.O.P., ed altre), con legami ed obiettivi in parte ignoti agli stessi appartenenti alle medesime sigle sopra indicate, banda destinata a realizzare con l'uso di armi ed esplosivi delitti contro la personalita' dello Stato e il suo ordinamento democratico. Con inizio in Roma in epoca imprecisata del 1978 e cessata in Bologna alla fine dell'agosto 1980; 2) del delitto di cui agli artt. 110, 285, 422 c.p., 2, 4, 6 legge 2 ottobre 1967, n. 895 (modif. con legge 14 ottobre 1974, n. 497) e 21 e 29 legge 18 aprile 1975, n. 110; perche' in concorso con le stesse persone e con persone da identificare, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commetteva un fatto diretto a portare la strage nel territorio nazionale, concertando, promuovendo, deliberando, organizzando ed eseguendo materialmente il porto e la collocazione di un ordigno esplosivo nella sala d'attesa della stazione ferroviaria di Bologna, con il preventivato voluto fine di uccidere (tenuto conto della potenzialita' dell'ordigno e dell'era dello scoppio - 10,25 del primo sabato di agosto nel piu' importante scalo ferroviario nazionale) un numero elevatissimo di persone, oltre che di ferirne molte altre, cagionando in effetti la morte di 85 persone. Condotta iniziata in localita' imprecisata e cessata in Bologna il 2 agosto 1980; 3) del delitto p. e p. dagli art. 81 cpv., 110, 575, 577 n. 3 c.p., art. 1 d.-l. 15 dicembre 1979, n. 625, perche' in concorso con le stesse persone e con persone da identificare, con le condotte sopra descritte cagionava la morte o istantanea o derivante dalle gravissime lesioni, delle seguenti persone: Agostini Natalia, Aslas Vito, Alganon Mauro, Abati Maria Idria, Barbari Rosina, Basso Nazareno, Borgianti Euridia, Bertasi Catia, Betti Francesco, Bianchi Paolina, Bivona Verdiana, Bonora Argeo, Bosio Anna Maria, Douduban Breton Irene, Bugamelli Viviana, Burri Sonia, Caprioli Davide, Carli Velia, Casadei Flavia, Castellaro Mirco, Ceci Antonella, Gomez Martinez Francisco, Dall'Olio Franca, De Marchi Roberto, Diomede Fresa Francesco, Diomede Fresa Vito, Di Paola Antonino, Di Vittorio Mauro, Draumard Brigitte, Ebner Berta, Ferretti Lina, Fornasari Mirella, Fresu Angela, Frigero Eurica, Gaioli Roberto, Galassi Pietro, Gallon Manuela, Geraci Eleonora, Gozzi Carla, Kolpinski Andrew Jon, Langonelli Vincenzo, Lascala Francesco Antonio, Laurenti Pierfrancesco, Lauro Salvatore, Lugli Umberto, Mader Eckart, Mader Kaj, Manca Elisabetta, Marangon Mariangela, Merceddu Rossella, Marino Angelina, Marino Domenica, Marino Leoluca, Marzagalli Amorbeno, Mauri Carlo, Mauri Luca, Messineo Patrizia, Mitchell Catherine Helen, Molina Loredana, Montanari Antonio, Natali Milla, Olla Livia, Patruno Giuseppe, Procelli Roberto, Remollino Pio Carmine, Roda Gaetano, Rors Margette, Ruozzi Romeo, Sala Vincenzino, Salvagnini Anna Maria, Secci Sergio, Sekiguchi Iwao, Seminara Salvatore, Serravalle Silvano, Sica Mario, Tarsi Angelica, Troiese Marina, Vaccaro Vittorio, Venturi Fausto, Verde Rita, Zappala' Onofrio, Zecchi Paolo, Pettoni Vincenzo, Fresu Maria e Priora Angela; 4) del delitto p. e p. dagli artt. 110 c.p., 4 legge 2 ottobre 1967, n. 895 mod. dall'art. 12 legge 14 ottobre 1974, n. 497, con l'aggravante dell'art. 1 d.-l. 15 dicembre 1979, n. 625 per avere, in concorso con le stesse persone e con persone da identificare, collocato, nella sala di attesa di seconda classe della stazione centrale di Bologna delle FF.SS. un ordigno esplosivo, al fine di commettere il delitto sub.2). In Bologna il 2 agosto 1980; 5) del delitto p. e p. dagli artt. 110 c.p., 81 cpv., 582, 583 c.p. art. 1 d.-l. 15 dicembre 1979, n. 625 perche' in concorso con le stesse persone e con persone da identificare, con la condotta di cui sopra, cagionava ad oltre 150 persone lesioni personali multiple, tra le quali alcune di durata superiore ai 40 giorni, aggravate dalla sussistenza di postumi permanenti ed esposizioni o pericolo di vita. In Bologna, 2 agosto 1980; 6) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 635, in relazione all'art. 625 n. 7, 61 n. 7 c.p., perche' in concorso con le stesse persone e con persone da identificare, con la condotta di cui sopra, cagionava la distruzione di una importante porzione degli impianti ferroviari di Bologna e la parziale distruzione di materiale rotabile, con gravissimo danno patrimoniale delle Ferrovie dello Stato, nonche' arredi e beni privati. In Bologna, 2 agosto 1980; 7) del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv., 110, 420 p.p. e cpv. c.p. (come modificato con art. 1 d.-l. 21 marzo 1978, n. 59) perche' in concorso con le stesse persone e con le persone da identificare, collocava l'ordigno allo scopo di danneggiare gli impianti ferroviari di Bologna determinandone il grave danneggiamento e la distruzione della sala d'attesa. In Bologna, 2 agosto 1980. Con la recidiva specifica reiterata recente per tutte le imputazioni. In data 18 aprile 1997, all'udienza di apertura del presente dibattimento, questo tribunale sulle richieste istruttorie formulate dal p.m. ai sensi dell'art. 468 c.p.p., sentiti i difensori dell'imputato, disponeva tra l'altro, ex art. 238 c.p.p., l'acquisizione dei verbali delle dichiarazioni dibattimentali rese dagli imputati nel procedimento contro gli adulti in relazione alle medesime imputazioni di banda armata e strage occorsa in Bologna il 2 agosto 1980. Veniva altresi' disposta con la medesima ordinanza l'acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese da quegli stessi imputati nelle precedenti fasi istruttorie innanzi al p.m. o al g.i.: cio' agli stretti fini dell'intellegibilita' dei verbali delle dichiarazioni dibattimentali, se ed in quanto espressamente richiamanti i verbali istruttori. Nel prosieguo del presente dibattimento si procedeva all'esame di persone citate ai sensi dell' art. 210 c.p.p.: tra queste si avvalevano della facolta' di non rispondere Furiozzi Raffaella e Picciafuoco Sergio, rispettivamente in data 23 maggio 1997 e 15 luglio 1997. All'udienza del 16 settembre 1997 Fioravanti Cristiano - esaminato ai sensi dell'art. 210 c.p.p. - si avvaleva parzialmente della facolta' di non rispondere su specifici punti relativi all'omicidio di Mangiameli Francesco. Della stessa facolta' si avvalevano in relazione a tutte le dichiarazioni in precedenza rese, Mambro Francesca e Fioravanti Valerio nella successiva udienza del 17 settembre. Il p.m. chiedeva darsi lettura di quanto in precedenza dichiarato da Fioravanti Cristiano su quegli specifici punti riguardanti l'omicidio Mangiameli. La difesa si opponeva invocando il disposto dell'art. 513, comma secondo, c.p.p., come novellato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267. Acconsentiva invece alla lettura delle precedenti dichiarazioni - ma solo a quelle rese in sede dibattimentale - di Fioravanti Valerio e Mambro Francesca. Il p.m. non prestava consenso ad acquisizioni soltanto parziali di pregresse dichiarazioni e formalizzava anche attraverso istanza scritta specifici rilievi di incostituzionalita' delle norme di cui agli artt. 513, commi 1 e 2, 514, comma 1, 238 commi 2-bis e 4 c.p.p. cosi' come novellate con legge 7 agosto 1997, n. 267 e di cui all'art. 6 stessa legge, siccome in contrasto con gli artt. 3, 24 commi primo e secondo, 111 e 112 Costituzione. L'Avvocatura dello Stato aderiva all'istanza del p.m. I difensori chiedevano respingersi i rilievi di costituzionalita' come espressi dal p.m. Tanto premesso, il tribunale O s s e r v a Le sollevate questioni di legittimita' costituzionale sono rilevanti ai fini della definizione del presente giudizio, ne' appaiono manifestamente infondate. E' palese la rilevanza ove si considerino le peculiarita' del presente procedimento, necessariamente separato, per ragioni di competenza funzionale, da quello celebrato nei confronti degli imputati maggiorenni dove immane e' stata l'attivita' istruttoria svolta in sede processuale, la cui conoscenza, lungi dal condizionare, non puo' che fortemente contribuire ad una ponderata e logica decisione supportata da congrua motivazione. E' inoltre da tenere in grande considerazione il connotato incontestabilmente indiziario del presente procedimento, alla stregua del resto di altri procedimenti che riguardino fatti eversivi. Da qui l'intuitiva rilevanza dell'acquisizione, ai fini dell'utilizzabilita', di ogni dichiarazione resa dalle persone esaminate o da esaminarsi ai sensi dell'art. 210 c.p.p., sia nella fase delle indagini che in altri dibattimenti. Discende allora in tutta evidenza la rilevanza della questione ai fini del decidere nel presente procedimento sia sotto il profilo di cui all'art. 513 c.p.p. nuova formulazione, che sotto il profilo di cui all'art. 238 c.p.p. cosi' come modificato. Per migliore comprensione e per necessita' di esposizione logica e' necessario riferirsi, nella disamina, ai principi cardine dell' ordinamento in tema di prove e di diritto di difesa (garanzia del contraddittorio) nonche' all'assetto normativo cosi' come risultava, sul punto, prima della novella. Quanto ai principi cardine, e' immediato il riferimento alle argomentazioni svolte dalla stessa Corte con sentenza del 3 giugno 1992 n. 254 ove in primo luogo viene implicitamente determinato l'ambito di applicazione dell'art. 513 c.p.p. allora vigente. Invero, una prima lettura dell'articolo in questione - identico sul punto nella nuova formulazione - farebbe intendere che il dettato rimanga circoscritto ad atti assunti nella fase delle indagini preliminari del medesimo procedimento. La Corte adita gia' allora - senza nulla rilevare in proposito - esaminava la situazione venutasi a creare nella fase del dibattimento di un procedimento contro imputati maggiorenni a seguito dell'avvalersi della facolta' di non rispondere da parte di persona esaminata ai sensi dell'art. 210 c.p.p. avanti al p.m. minorile e quindi necessariamente in altro procedimento. In ogni caso, anche se l'ambito di applicazione venisse ristretto secondo un'interpretazione letterale della norma, rimarrebbe non regolata - e cio' sarebbe inaccettabile e comunque richiederebbe un rimedio per violazione dell'art. 3 della Costituzione - la situazione di chi, esaminato ai sensi dell'art. 210 c.p.p. in dibattimento, si avvalga della facolta' di non rispondere riguardo a quanto avesse in precedenza dichiarato durante le indagini preliminari di altro procedimento connesso. In secondo luogo, la Corte, sottolineata la scelta del legislatore del codice di rito del 1988 di favorire la separatezza dei processi, afferma categoricamente che tale scelta di opportunita' non puo', "senza violare il principio di ragionevolezza, avere influenza alcuna sul regime probatorio degli atti processuali, con conseguenze a volte determinanti ai fini della decisione". Ovviamente il principio ha valore in se' e si applica anche al caso di separazione necessaria tra procedimenti - come quello che ci occupa - per motivi di competenza funzionale. Gia' in quell'occasione la Corte si era pronunciata per l'illegittimita' costituzionale dell'allora vigente art. 513 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva la possibilita' di dare lettura - e quindi di utilizzare ai fini della decisione - delle dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art. 210 c.p.p., fuori dal dibattimento, qualora queste si avvalessero della facolta' di non rispondere: disparita' illogica ed ingiustificata rispetto all'ipotesi prevista nel primo comma (possibilita' di leggere ed utilizzare i verbali dell'imputato contumace, assente o che, appunto, si rifiutava di rispondere). E' principio fondamentale del sistema quello della conservazione dell'atto, principio che non contraddice e che comunque deve prevalere sull'estremizzazione del principio del contraddittorio; cosi' che, in caso di impossibilita' sopravvenuta di ripetizione di un mezzo di prova, non v'e' dubbio che l'atto assunto vada "conservato". Ora, cosi' come e' irripetibile l'interrogatorio dell'imputato che si rifiuta di rispondere in dibattimento (per rimanere all'interno dell'ipotesi analoga a quella esaminata), altrettanto e' irripetibile la dichiarazione di chi, sentito ai sensi dell'art. 210 c.p.p., si avvalga della facolta' di non rispondere. Conseguentemente - sulla scorta di tali principi - veniva salvaguardata dalla Corte l'esigenza che non si disperdesse, ai fini della decisione, quanto acquisito prima del dibattimento ove fosse irripetibile in quella sede. L'odierno legislatore non ha tenuto alcun conto dei cardini cosi' chiaramente posti dalla Corte adita - insormontabili nell'ambito della medesima questione - ed ha solo apparentemente modificato l'art. 513 c.p.p. rispetto alla precedente stesura poiche' di fatto ha riproposto la vecchia formulazione gia' dichiarata illegittima. L'unica differenza e' data dalla possibilita' di utilizzazione sull'accordo delle parti, ma si tratta di ipotesi marginale, scarsamente incisiva da un punto di vista innovativo. Il legislatore con la novella 7 agosto 1997 ha infatti ancorato l'utilizzabilita', nei confronti di altri, delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare dall'imputato che non si presenta in dibattimento o si rifiuta di sottoporsi all'esame, al consenso di detti "altri" (sul punto, data l'irrilevanza in concreto, si ritiene di non dover sollevare specifica questione, comunque di possibile, autonomo esame). Sempre l'odierno legislatore ha altresi' ancorato l'utilizzabilita' delle dichiarazioni rese nell'ambito sopra detto dalle persone esaminate ai sensi dell'art. 210 c.p.p. e che si avvalgano della facolta' di non rispondere, all'accordo delle parti (art. 513, comma 2, novellato) come sopra gia' evidenziato. Intrinsecamente illogico ed irragionevole appare cosi' il comma 2 dell'art. 513 c.p.p. nuova formulazione, nella parte in cui da un lato consente l'utilizzabilita' delle dichiarazioni qualora non sia possibile ottenere la richiesta presenza in dibattimento delle persone di cui all'art. 210 c.p.p. gia' citato, dall'altro a'ncora all'accordo delle parti l'utilizzabilita' nel caso in cui le medesime persone si avvalgano, appunto, della facolta' di non rispondere. Intrinseca illogicita', si ribadisce, dato che il futuro atteggiamento processuale dei dichiaranti, in dibattimento (strettamente correlato a convenienze difensive) non puo' che essere imprevedibile nel momento in cui le dichiarazioni vengono rese, nella considerazione che un mutamento di atteggiamento processuale va a determinare un'oggettiva irripetibilita' degli atti per impossibilita' sopravvenuta. Evidenziata l'intrinseca illogicita', e' poi necessario sottolineare la sperequazione che si determina tra le parti processuali, che va ad incidere pesantemente sulla conoscenza del giudicante, cui viene impedita una valutazione complessiva del materiale probatorio, fatto conoscere ad libitum ora dell'una ora dell'altra parte (in violazione degli artt. 111 e 112 della Costituzione). Assolutamente condivisibile - ed e' argomento che viene qui in pieno sussunto - e' il ragionamento sottostante alla decisione gia' dalla adita Corte adottata, anche per quanto riguarda l'irragionevolezza della norma impugnata sotto il profilo dell'ingiustificato, diverso valore che veniva conferito ad incombenti che comunque sono fatti rientrare nell'alveo delle prove (art. 192, comma 3 e 4 c.p.p.). L'esame delle persone indicate nell'art. 210 c.p.p. incontrovertibilmente costituisce per sua natura mezzo di prova sia pure soggetto a particolari criteri di valutazione e verifiche. Rilevante, ancora, e' la questione relativa all'art. 238 c.p.p. nuova formulazione ove nel disciplinare la materia relativa ai verbali di prove assunte in altri procedimenti, pur affermando il legislatore in esordio, categoricamente, il principio dell'ammissibilita' purche' si tratti di prove assunte nell'incidente probatorio o in altro dibattimento, introduce un'illogica differenziazione - quanto ad utilizzabilita' - tra dichiarazioni testimoniali e dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art. 210 c.p.p., utilizzabili solo se all'incombente fosse presente il difensore dell'odierno imputato. Ora, stante il valore probatorio delle dichiarazioni rese dai coimputati in procedimento connesso, del tutto irragionevole appare la differenziazione da un punto di vista valutativo e di utilizzabilita' poiche' non si comprende la ragione per cui possano essere acquisiti tout court gli altri mezzi di prova (es. testimonianze in altri procedimenti) e non le dichiarazioni ex 210 c.p.p. Il legislatore con l'art. 238 c.p.p. nell'originaria formulazione aveva introdotto il principio della piena utilizzabilita' delle prove raccolte in altro procedimento, naturalmente da sottoporre a nuovo vaglio e valutazione e cio' in un sistema processuale accusatorio, rigidamente ispirato al principio della formazione della prova in dibattimento. Era dunque e comunque fonte di prova quella formatasi in un dibattimento nel contraddittorio fra le parti, anche se diverse. Del resto sarebbe illogico pensare ai procedimenti come a dei compartimenti stagni in cui l'accertamento del medesimo fatto storico debba avvenire in modo del tutto indipendente, come se un accertamento avvenuto nell'ambito di un procedimento non possa essere valutato in un altro. Il diritto di difesa viene comunque garantito dall'ultimo comma dell'art. 238 c.p.p. che introduce la possibilita' di richiedere espressamente l'esame delle persone le cui dichiarazioni siano state acqusite a norma dei commi 1, 2 e 4 dell'art. 238 c.p.p. L'attuale modifica con riferimento al comma 2-bis, incide radicalmente su detti principi rendendo assolutamente inutilizabile la prova raccolta ex art. 210 c.p.p. in altro procedimento affermando un principio di incomunicabilita' tra processi, che contraddice ogni principio logico. Soprattutto, il legislatore introduce tale limitazione solo con riferimento, si ribadisce, alle dichiarazioni ex 210 c.p.p. e non con riferimento alle altre fonti di prova quale ad esempio la prova testimoniale che rimane pienamente utilizzabile anche se il difensore dell'imputato non abbia partecipato a quel dibattimento. Tale disparita' non ha giustificazione ne' logica ne' processuale. In particolare non puo' certo trovare fondamento in un aprioristico diverso valore della prova stante la previsione garantista di cui all'art. 192, comma 3 e 4 c.p.p. Al riguardo e' appena il caso di evidenziare come il consenso del difensore dell'odierno imputato all'acquisizione dei verbali ai fini dell'utilizzabilita', a nula rilevi, trattandosi di condizione non contemplata e quindi indisponibile da parte del difensore stesso. Infatti l'odierno legislatore ha previsto un' inutilizzabilita' assoluta qualora non vi sia stata la partecipazione del difensore all'assunzione delle dichiarazioni gia' rese dalle persone sentite ai sensi dell'art. 210 c.p.p.: viene cosi' precluso al giudice l'esame comparativo di quanto detto in tempi successivi e la conseguente valutazione di attendibilita' intrinseca, cosa questa che comporta un rilievo di illogicita' interna della norma. Inoltre, posto che sia le dichiarazioni testimoniali che quelle provenienti da persona esaminata ex art. 210 c.p.p., hanno entrambe valenza probatoria (pur con le cautele gia' riferite) non si giustificano le diverse conseguenze che la legge attribuisce al sopravvenuto silenzio del testimone in sede dibattimentale, rispetto all'analogo silenzio della persona esaminata ex art. 210 c.p.p.: nel primo caso (art. 500 commi 2-bis, 3, 4 e 5 c.p.p.) potendosi procedere alla contestazione ed all'utilizzazione delle precedenti dichiarazioni, nel secondo caso non attribuendo l'art. 238 c.p.p. novellato alcuna rilevanza all'atteggiamento silente o meno prescelto dalle persone citate ex art. 210 c.p.p., ma vincolando l'utilizzabilita' delle pregresse dichiarazioni - e' necessario sottolinearlo ad un dato estrinseco ed oltremodo eventuale: la partecipazione del difensore dell'odierno imputato all'asssunzione delle dichiarazioni medesime. A quest'ultimo proposito e' necessario evidenziare la paradossale situazione in cui viene a trovarsi questo tribunale dal momento in cui i principali imputati in procedimento connesso si sono avvalsi della facolta' di non rispondere. Da un lato non e' possibile addivenire alla conoscenza ai fini della doverosa assunzione della prova (artt. 111, 112 della Costituzione) delle dichiarazioni rese nelle fasi antecedenti al dibattimento, stante il disposto dell'art. 513, comma 2, nuova formulazione (secondo l'interpretazione sopra data); dall'altro neppure e' possibile acquisire ed utilizzare i verbali di prove assunte nel corso di altro dibattimento (art. 238 commi 1 e 2-bis), posto che l'odierno imputato non era rappresentato nell'ambito dei diversi gradi del giudizio contro gli adulti. Viene pertanto a verificarsi l'aberrante conseguenza - non valutata evidentemente dall'ultimo legislatore - di pervenire ad un giudizio prevalentemente sulla base delle sentenze irrevocabili gia' acquisite ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p., visto che il giudicante e' stato privato della possibilita' di accedere, utilizzare e valutare nel loro andamento complessivo le dichiarazioni succedutesi nel tempo rese dalle persone sentite ai sensi dell'art. 210 c.p.p. Con l'ulteriore conseguenza che anche quanto gia' acquisito e conosciuto nel presente dibattimento non possa piu' essere valutato ed utilizzato ai fini del convincimento e quindi della decisione. E' del tutto evidente come proprio il diritto di difesa resti irrimediabilmente vulnerato con violazione quindi del principio di cui all'art. 24 della Costituzione. Altra censura si deve muovere nei confronti del comma 4 dell'art. 238 c.p.p. nuova formulazione, a proposito del quale questo tribunale prospetta violazione degli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione E' infatti palesemente illogico far dipendere la formazione della prova dal consenso e quindi dal gradimento del solo imputato, con cio' oltretutto violandosi il principio di parita' tra accusa e difesa. Un'ultima censura e' infine da muovere nei confronti della norma transitoria (art. 6 legge n. 267/1997) ove, prevedendosi l'immediata applicazione della normativa, non e' dato alcun rimedio diretto alla conservazione delle dichiarazioni rese dalle persone sentite ai sensi dell'art. 210 c.p.p. Lo stesso legislatore ha avvertito l'esigenza di preservare le prove assunte nella fase delle indagini preliminari, la' dove ha ampliato i casi in cui possa darsi ingresso all'incidente probatorio (lett. c e d, art. 392, come novellato) cosi' mostrando sensibilita' riguardo al rispetto del principio della conservazione delle acquisizioni probatorie di cui sopra s'e' detto, e pero' dando palesemente adito ad una disparita' di trattamento tra procedimenti in corso e non. Concludendo, il nuovo assetto, se da un lato viola il diritto di difesa qualora nei confronti di coimputati siano gia' state pronunciate sentenze definitive utilizzabili in malam partem, dall'altro lascia all'imputato eccessivo margine nel momento dell'acquisizione della prova, cosa questa che fortemente e negativamente incide sull'accertamento della verita' e va oltre i dichiarati fini di garantismo processuale.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritiene rilevanti e non manifestamente infondate in relazione agli artt. 3, 24, 11 e 112 della Costituzione le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 513, comma 2, 238, commi 2-bis e 4, c.p.p. di cui alla legge 7 agosto 1997, n. 267 e art. 6 legge medesima nelle parti e per i profili di cui in motivazione; Sospende il presente procedimento; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione ai Presidenti delle Camere del Parlamento; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento e della presente ordinanza alla Corte costituzionale. Cosi' deciso nella camera di consiglio dell'udienza dibattimentale di questo tribunale in data 19 settembre 1997. Il presidente: Longo 97C1243