N. 64 SENTENZA 28 gennaio - 8 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - G.I.P. - Ulteriori richieste
 istruttorie - Richiesta delle parti - Limitazioni - Mera eventualita'
 del supplemento istruttorio nel nuovo sistema processuale della fase
 anteriore al dibattimento - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 422).
 
 (Cost., art. 24).
(GU n.7 del 13-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.
 Ugo   SPAGNOLI,   prof.   Francesco  Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 422 del codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 29  marzo  1990
 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona
 nel procedimento penale a carico di  Breveglieri  William  ed  altro,
 iscritta  al  n.  657  del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  43,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 gennaio 1991 il giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  All'esito  di  una  udienza preliminare nella quale il P.M.
 aveva sostenuto che le richieste istruttorie delle parti ex art.  422
 cod.  proc. pen. possono aver ingresso in detta udienza solo se e nei
 limiti in cui vi sia stata da parte del giudice l'indicazione di temi
 nuovi  o incompleti sui quali si renda necessario acquisire ulteriori
 informazioni ai fini della decisione,  il  Giudice  per  le  indagini
 preliminari presso il Tribunale di Ancona ha sollevato d'ufficio, con
 ordinanza  del  29  marzo  1990,  una   questione   di   legittimita'
 costituzionale  del citato art. 422, in quanto subordina l'iniziativa
 delle parti a tale "impulso d'ufficio" e non consente alle  parti  di
 "anticipare l'eventuale stimolo probatorio" del giudice con richieste
 di "prova autonoma".
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo la disposizione, "intesa in detta
 maniera riduttiva", violerebbe il diritto di difesa (art. 24  Cost.),
 in  quanto  impedirebbe  al  giudice  per  le indagini preliminari di
 valutare  "l'ammissibilita'  e   conferenza   di   mezzi   di   prova
 autonomamente proposti dalle parti" senza il suo impulso, e quindi la
 loro  concludenza  ai   fini   del   raggiungimento   dello   "stadio
 dell'evidenza  per la sentenza di non luogo a procedere" "o, nel caso
 contrario, della decisivita' per il rinvio a giudizio".
    In   tal   modo,   detto   giudice  verrebbe  "ad  essere  inibito
 nell'accertamento della verita' materiale", in  quanto  vincolato  ad
 emettere  "una pronuncia conforme alla mera richiesta" del P.M., "tra
 l'altro, non di rinvio a giudizio bensi' di  fissazione  dell'udienza
 preliminare":  onde  "la  eventuale  lacunosita'  della  norma", "che
 verrebbe a ledere quindi il contraddittorio processuale".
    2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite
 l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che la questione sia  dichiarata
 inammissibile,  dato che il giudice a quo, pur rigettando la tesi del
 P.M., mostra di ritenersi vincolato ad essa e sottopone alla Corte un
 "normale  dubbio  interpretativo",  la  cui  soluzione  e'  viceversa
 demandata solo a lui.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe, il Giudice per le
 indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona dubita che  l'art.
 422  del  nuovo  codice  di  procedura  penale, in quanto prevede che
 nell'udienza  preliminare  le  parti  possano   formulare   richieste
 istruttorie  solo  se (e nei limiti in cui) vi sia stata da parte del
 giudice l'indicazione di "temi nuovi o incompleti sui quali si  rende
 necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini della decisione",
 violi il diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost.: e  cio',  in
 quanto   la   preclusione  all'espletamento  di  prove  autonomamente
 richieste  dalle  parti  ed  eventualmente  decisive  ai  fini  della
 pronuncia  sul  non  luogo  a  procedere  o  sul  rinvio  a  giudizio
 impedirebbe l'accertamento della verita'  materiale  e  lederebbe  il
 contraddittorio processuale.
    2.  -  L'Avvocatura  dello Stato contesta l'ammissibilita' di tale
 questione, dato che, a suo avviso, essa sarebbe formulata in modo  da
 prospettare un mero dubbio interpretativo.
    L'eccezione non puo' essere accolta. Dal testo dell'ordinanza, pur
 se   non   sempre   felicemente   formulata,   si   desume,   invero,
 inequivocabilmente,  che  il  giudice a quo, pur muovendo al riguardo
 rilievi critici, parta dal presupposto secondo cui la norma impugnata
 non  consente  di ammettere, nell'udienza preliminare, prove proposte
 dalle parti in modo autonomo, senza cioe' che vi  sia  da  parte  del
 giudice  la  previa indicazione di "temi nuovi o incompleti": e tanto
 basta ai fini dell'esatta individuazione del thema decidendum.
    3. - Nel merito, la questione non e' fondata.
    Nel  delineare  i  caratteri  del  nuovo  sistema  processuale, il
 legislatore ha inteso abolire la funzione  inquisitoria  del  giudice
 nella  fase  anteriore  al  dibattimento  ed  evitare  il  riprodursi
 dell'istruzione, che era connotato  essenziale  del  codice  di  rito
 previgente.
    L'udienza  preliminare e' stata percio' congegnata, nel suo regime
 ordinario, come un procedimento allo stato degli atti (art. 421);  ed
 e'  solo  per  evitare le situazioni di stallo decisorio derivanti da
 incompletezza del  materiale  informativo  offertogli  che  e'  stato
 conferito   al  giudice  il  potere  di  promuovere  il  "supplemento
 istruttorio" previsto nell'art. 422, concepito,  peraltro,  come  "un
 regime  eccezionale  imperniato  su  limitate acquisizioni probatorie
 caratterizzate da una efficacia  interna  alla  fase"  (Relazione  al
 progetto preliminare, p. 102).
    L'ingresso di tale fase eventuale presuppone dunque, innanzitutto,
 una valutazione del giudice sugli elementi probatori sottopostigli, e
 cioe'  di  non  essere  in grado, in base ad essi, di decidere per il
 rinvio a giudizio o per il proscioglimento: ed inoltre, l'indicazione
 da  parte  sua  di  "temi  nuovi  o  incompleti"  sui  quali si rende
 necessario  acquisire  ulteriori  informazioni  ai   fini   di   tale
 decisione.  Spettera'  poi alle parti, in assolvimento dei rispettivi
 oneri probatori, fornire tali ulteriori elementi,  peraltro  limitati
 alla   sola   produzione  di  documenti,  audizione  di  testimoni  o
 consulenti tecnici e interrogatorio  di  persone  imputate  di  reato
 connesso  o  collegato. Ma l'ingresso di tali prove sara' ammissibile
 solo se "ne risulti manifesta la decisivita'" ai fini  del  rinvio  a
 giudizio  ovvero  della  pronuncia  della  sentenza  di  non  luogo a
 procedere, la quale, a sua volta, e'  consentita  solo  nei  casi  di
 evidente infondatezza dell'accusa (art. 425).
    Non  spetta  alla  Corte  valutare,  in  questa  sede, se con tale
 congegno risulti eccessivamente compressa  la  funzione  di  "filtro"
 rispetto  al  dibattimento  che  pur  era stata assegnata all'udienza
 preliminare; certo e' che questa non  e'  mai  stata  concepita  come
 strumento di "accertamento della verita' materiale", che e' quanto il
 giudice rimettente nella sostanza lamenta. Essa e' invece strutturata
 come  una fase processuale, e non di cognizione piena, dato che si e'
 voluto  evitare  che  una   valutazione   approfondita   del   merito
 dell'imputazione  da  parte  del  giudice  potesse avere, come per il
 passato,  un'influenza  condizionante  sulla  successiva   fase   del
 giudizio (cfr. Relazione, doc. cit.).
    La   regola   di   giudizio   assegnata  al  giudice  dell'udienza
 preliminare attiene percio' al rito e non al merito,  consiste  cioe'
 non  in  una  valutazione  di  tipo  prognostico sulle prospettive di
 condanna o  assoluzione  dell'imputato,  ma  in  un  controllo  sulla
 legittimita'   della   domanda  di  giudizio  avanzata  dal  pubblico
 ministero. Ed e'  coerente  a  tale  regola  che  spetti  al  giudice
 l'individuazione  di  "temi  nuovi o incompleti", il cui acclaramento
 possa risultare decisivo a tali fini.
    Indicazioni  e sollecitazioni in tal senso possono certo provenire
 dalle parti, che  potranno  svolgerle  nel  corso  della  discussione
 prevista  dall'art.  421: e del resto ad esse spetta sempre, e quindi
 anche nella fase in esame,  la  facolta'  di  presentare  al  giudice
 memorie  e  richieste  scritte  (art.  121, primo comma). Ma altro e'
 constatare cio', altro  e'  riconoscere  -  come  il  giudice  a  quo
 pretende  -  che  alle  parti possa spettare un autonomo diritto alla
 prova, che prescinda dalla previa  valutazione  del  giudice  di  non
 poter  decidere  allo stato degli atti e dalla previa indicazione dei
 temi, nuovi o incompleti, sui quali la prova  puo'  essere  utilmente
 prospettata ai fini sopraindicati.
    Cio'  non  comporta  violazione  del  diritto  di  difesa, essendo
 insegnamento costante di questa Corte  che  i  modi  di  esercizio  e
 fruizione di esso possono essere diversamente articolati in relazione
 alle speciali caratteristiche strutturali dei  singoli  procedimenti.
 Nell'ordinaria  configurazione  del  nuovo  sistema  processuale,  il
 diritto alla prova puo' esplicarsi pienamente nel dibattimento,  dato
 che  sono  escluse  solo  le  prove  vietate  dalla  legge  e  quelle
 manifestamente  superflue  o  irrilevanti  (art.  190).  Ma   poiche'
 nell'udienza  preliminare la regola di giudizio e' diversa, e' logico
 che il diritto alla prova si atteggi in modi coerenti ad  essa  e  ne
 risulti conseguentemente limitato.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  422  del  codice  di  procedura  penale,   sollevata,   in
 riferimento  all'art.  24  della  Costituzione,  dal  Giudice  per le
 indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona con ordinanza  del
 29 marzo 1990.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                         Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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