N. 756 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 aprile 2007
Ordinanza emessa il 2 aprile 2007 dal tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Sezione staccata di Catania sul ricorso proposto da Russello Natalino contro Ministero dell'Interno ed altro Impiego pubblico - Procedimento disciplinare a carico di agente di P.S. - Obbligo dell'incolpato di avvalersi esclusivamente di un difensore appartenente all'Amministrazione della P.S. - Ingiustificato deteriore trattamento degli agenti di P.S. rispetto ai magistrati, a seguito della sentenza della Corte n. 497/2000 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una norma di analogo contenuto riguardante i magistrati stessi - Lesione della garanzia difensiva dell'incolpato. - Decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737, art. 20. - Costituzione, artt. 3 e 24, comma secondo.(GU n.45 del 21-11-2007 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 805 del .2001 proposto da. Russello Natalino, rapp.to e difeso dagli avv. Amalia De Paola e Salvatore Buscemi nel cui studio e' elett. dom. in Catania corso Italia n. 36; Contro il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore; il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria, per l'annullamento del decreto 15 dicembre 2000, n. 333-D/0166145 con il quale il Capo della polizia - Direttore generale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, ha disposto la destituzione del ricorrente dall'amministrazione della P.S. a decorrere dal 28 settembre 2000, nonche' di ogni altro atto e comportamento connesso, collegato, presupposto, precedente e consequenziale. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione resistente; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la pubblica udienza del giorno 8 marzo 2007 il consigliere Vincenzo Salamone; Uditi i difensori delle parti come da verbale di pubblica udienza; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue F a t t o Con il ricorso si chiede l'annullamento del decreto 15 dicembre 2000 n. 333-D/0166145 con il quale il Capo della polizia - Direttore generale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, ha disposto la destituzione del ricorrente dall'Amministrazione della PS. a decorrere dal 28 settembre 2000, nonche' di ogni altro atto e comportamento connesso, collegato, presupposto, precedente e consequenziale. Si premette che con sentenza del 16 giugno 1998 il Tribunale di Agrigento aveva condannato il ricorrente alla pena, sospesa, di mesi nove di reclusione perche' ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 479 c.p. per avere redatto una relazione di servizio con falso contenuto, laddove lo stesso aveva dichiarato di essere rimasto ferito da un colpo di pistola durante uno spontaneo intervento presso un'abitazione privata dove era in corso un furto ad opera di un soggetto rimasto ignoto, mentre in realta' il colpo di pistola era stato accidentalmente esploso dallo stesso Russello. Tale sentenza era stata confermata dalla Corte di appello di Palermo con decisione dell'8 aprile 1999 ed il ricorso avverso la stessa era stato dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione con sentenza del 15 maggio 2000. Conseguentemente sottoposto a procedimento disciplinare, su conforme parere del 27 settembre 2000 del Consiglio provinciale di disciplina, con decreto 15 dicembre 2000 n. 333-D/0166145 del Capo della polizia il ricorrente veniva destituito dall'amministrazione della P.S. a decorrere dal 28 settembre 2000. Tale decreto e' stato impugnato davanti a questo tribunale con ricorso n. 805/2001; la domanda cautelare e' stata rigettata con ordinanza n. 525/2001 del 10 marzo 2001. All'atto impugnato si muovono le seguenti censure: 1) illegittimita', per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma della Costituzione, dall'art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981 nella parte in cui impone al dipendente dell'amm.ne della P.S. sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'amm.ne medesima; la sola possibilita', riconosciuta ai dipendenti dell'amm.ne P.S., di farsi assistere davanti al Consiglio di disciplina da un difensore dipendente dell'amm.ne medesima sarebbe incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto .dall'art. 24 Cost., che lo estende anche alla garanzia dell'assistenza tecnica che puo', tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del libero foro oltre che da un dipendente della p.a.; 2) illegittimita', per violazione degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dell'art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981 nella parte di cui prevede che la p.a. proceda alla nomina di un difensore d'ufficio al dipendente della P.S., che, sottoposto a procedimento disciplinare, non abbia provveduto a nominarne uno di fiducia; la giurisdizionalizzazione del procedimento disciplinare non consentirebbe, infatti, che l'incolpato rimanga privo di un difensore; 3) illegittimita', per violazione degli arti. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981 nella parte in cui prevede che il difensore del dipendente dell amm.ne P.S., sottoposto a procedimento disciplinare, non possa intervenire davanti al Consiglio di disciplina allorche' il dipendente medesimo rimanga assente; il divieto si risolverebbe in una compressione delle attivita' difensive non. assistita da alcuna finalita' di pubblico interesse; 4) illegittimita', per violazione degli artt. 3, 25, secondo comma, 28 e 97 della Costituzione, dell'art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981 e dell'art. 9 della legge n. 19/1990 in quanto la sanzione espulsiva non sarebbe riconnessa ad alcuna tipizzazione di atti illeciti che specificatamente la commini essendo rimessa, invece, alla piu' ampia discrezionalita' dell'amm.ne, peraltro difficilmente censurabile in sede di tutela giurisdizionale; altresi', mentre alla condanna per delitto non colposo il terzo comma, n. 2 dell'art. 6 del d.P.R. n. 737 del 1981 riconnette la sanzione della sospensione dal servizio, la stessa sanzione potrebbe essere riservata in presenza di condanna per gravi reati, lasciando cosi' aperta la porta per il passaggio della discrezionalita' al libero arbitrio; 5) violazione dell'ultimo comma dell'art. 19 del d.P.R. n. 737 del 1981 e l'omessa motivazione del provvedimento di trasmissione del carteggio dell'inchiesta al Consiglio provinciale di disciplina in quanto il Questore di Catania non avrebbe adempiuto all'obbligo di corredare con le «opportune osservazioni» il carteggio dell'inchiesta trasmesso al Consiglio di disciplina; 6) violazione del quarto comma, lett. b) dell'art. 20 del d.P.R. n. 73 7/1981 e l'eccesso di potere per erroneita' dei presupposti in quanto sia il funzionario istruttore, nella fase dell'inchiesta, che il Presidente del Consiglio di disciplina, nel corso della trattazione orale, averebbero omesso di rendere «noti i precedenti di servizio dell'inquisito» e, cioe', i dati positivi della sua attivita', essendosi limitato il secondo a menzionare soltanto un provvedimento sanzionatorio a carico del ricorrente, peraltro sospeso da questo Tribunale amministrativo regionale con ordinanza n. 1392/2000; 7) violazione dell'ultimo comma, lett. a) dell'art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981 e l'eccesso di potere in quanto agli atti del giudizio disciplinare (ed anche a quelli dell'inchiesta istruttoria) non sarebbe stato acquisito, nonostante apposita richiesta del difensore dell'inquisito, il fascicolo relative al procedimento penale celebrato a carico di quest'ultimo; su tale, inchiesta, che aveva natura di questione pregiudiziale, non sarebbe stata adottata alcuna formale decisione da parte del Consiglio di disciplina, che si sarebbe cosi' sottratto all'onere di compiere, attraverso l'esame del predetto fascicolo, un'autonoma e sua propria valutazione dei fatti accertati in sede penale; 8) eccesso di potere per omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione, per valutazione contrastante con i fatti e per illogicita' manifesta e la violazione dell'art. 13 del d.P.R. n. 737 del 1981 nel presupposto che la misura sanzionatoria deve' essere proporzionata all'infrazione accertata per cui il Consiglio di disciplina avrebbe dovuto tenere conto delle circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio dell'inquisito, del carattere, dell'eta', della qualifica e dell'anzianita' di servizio dello stesso; tali dati, costituendo un limite alla discrezionalita' della p.a., e imporrebbero alla stessa di circondare le sue determinazioni di pertinente motivazione che dia conto di come i predetti dati abbiano inciso nell'adozione del provvedimento finale; 9) violazione dell'art. 1, secondo comma e c.p.v. del d.P.R. n. 737 del 1981 e dell'art. 7 della legge n. 241/1990 e l'eccesso di potere per omessa motivazione e per violazione della discrezionalita' in quanto il rispetto del principio di proporzionalita' della sanzione sarebbe sindacabile dal giudice amm.vo allorche' quest'ultima appaia manifestamente anomala rispetto all'infrazione commessa e non sia assistita, come nel caso di specie, da una adeguata. motivazione che non puo' esaurirsi nella riproduzione di laconiche espressioni normative e, men che mai, nel richiamo a precedenti disciplinari privi del carattere della definitivita'; 10) eccesso di potere per omessa motivazione sulla sussistenza dei nn. 1, 2 e 4 di cui all'art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981 in quanto l'impugnato decreto di destituzione non darebbe contezza dell'iter logico seguito non esplicitando in alcun modo in che cosa consisterebbe il grave pregiudizio subito dall'Amm.ne; 11) violazione dell'art. 103 del d.P.R. n. 737 del 1981 in quanto sarebbe stato violato il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, essendo questa intervenuta dopo ben cinque anni dall'accertamento del fatto. Si e' costituita in giudizio l'amministrazione resistente che ha chiesto il rigettodel ricorso. Alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2007 la causa e' passata in decisione. D i r i t t o In relazione al primo (ed assorbente) motivo di censura va ritenuta rilevante al fine del decidere e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma della Costituzione, dall'art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981 nella parte in cui impone al dipcndente dell'amm.ne della p.s. sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'amm.ne medesima. La sola possibilita', riconosciuta ai dipendenti dell'amm.ne p.s., di farsi assistere davanti al Consiglio di disciplina da un difensore dipendente dell'amm.ne medesima sarebbe incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost., che lo estende anche alla garanzia . dell'assistenza tecnica che puo', tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del libero foro oltre che da un dipendente della p.a. La legittimita' di una norma che, in sede di procedimento disciplinare, esclude che un dipendente della p.a. possa farsi assistere da un avvocato del libero foro e' stata esaminata dalla Corte costituzionale che, con sentenza n 497 del 16 novembre 2000, ne ha dichiarato l'incostituzionalita'; Con tale sentenza e' stato infatti espunto dall'ordinamento giuridico il secondo comma dell'art 34 del r.d. legislativo n. 511 del 1946 (guarantigie della Magistratura) che, al pari dell'art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981 imponeva all'incolpato di farsi assistere soltanto da un difensore appartenente alla sua amministrazione. Nell'esaminare la predetta norma, il giudice dalle leggi ha affeimato che la stessa aveva dismesso la sua originaria caratterizzazione corporativa per rispondere alla diversa ratio di una scelta dell'incolpato che doveva cadere su un collega, in quanto ritenuto in possesso dell'idoneita' tecnica per assumerne la difesa. Essendo questa l'unica ragione che puo' sorreggere anche la disposizione di cui all'art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981 non pare dubbio che alla stessa sono sovrapponibili le medesime considerazioni svolte dalla Corte costituzionale sul secondo comma dell'art. 34 del d.lgs. n. 511/1946. Rimarrebbe priva di qualunque fondamento giustificativo la limitazione dell'ufficio difensivo ai soli appartenenti all'amministrazione della p.s. e l'esclusione dallo stesso degli avvocati del libero foro. Peraltro, riguardata anche in punto di pubblico interesse e, tuttavia, pure nella prospettiva della persona incolpata e del sub diritto di difesa, la pienezza della tutela paragiurisdizionale e' anche funzionale, a giudizio della sentenza n. 497/2000, alla migliore e piu' efficace realizzazione dell'interesse, eminentemente pubblico, al corretto e regolare svolgimento delle funzioni dell'amministrazione della p.s. e del suo prestigio. Anche nella vicenda in questione, il procedimento disciplinare incide sulla posizione del soggetto e ne coinvolge i beni della persona che richiedono, di per se', le garanzie piu' efficaci con la conseguenza che il diritto di difesa non puo' prescindere, in primo luogo, dalla scelta del difensore che non possa subire limiti di sorta. La posizione di estraneita' del difensore esterno escluderebbe ogni sua soggezione ad alcuno dei poteri dell'amm.ne della p.s., che possono invece condizionare l'operato del difensore interno. Dette considerazioni, gia' avvalorate dalla precitata sentenza n. 497/2000, rendono non manifestamente infondata la richiesta di sottoporre al vaglio costituzionale la norma di cui all'art. 20 del d.P.R. n. 737/1981. Tale questione risulta avvalorata anche dalla circostanza che: per il personale appartenente al Corpo di polizia penitenziaria che si trovi sottoposto a procedimento disciplinare l'art. 16 del d.lgs. n. 449/1992 prevede la possibilita' che lo stesso possa farsi assistere anche da un «legale» e, cioe', da un avvocato del libero foro; per il personale del settore del pubblico impiego «contrattualizzato» l'art. 55, comma 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 non pone limiti alla nomina di un procuratore con funzione di difensore.
P. Q. M. Dichiara rilevante per la definizione del presente giudizio e non manifestamente infondata nei termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalita' delle norme dell'art. 20 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, nella parte in cui impone al dipendente dell'amm.ne della p.s. sottoposto a procedimento disciplinare di essere assistito esclusivamente cia un difensore appartenente all'amm.ne medesima la sola possibilita', riconosciuta ai dipendenti dell'amm.ne p.s., di farsi assistere davanti al Consiglio di disciplina da un difensore dipendente dell'amm.ne medesima sarebbe incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost., che lo estende anche alla garanzia dell'assistenza tecnica che puo', tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del libero foro oltre che da un dipendente della p.a. per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione. Sospende il presente giudizio e ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla segreteria di provvedere alla notificazione della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri ed alla comunicazione della stessa ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall'autorita' amministrativa. Cosi' deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2007. Il presidente ff. estensore: Salomone 07C1301