N. 229 SENTENZA 9 ottobre - 8 novembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Applicabilita' ai
  condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di  sequestro
  di persona a scopo di estorsione, che abbiano  cagionato  la  morte
  del sequestrato - Condizione - Effettiva espiazione di  almeno  due
  terzi  della  pena  irrogata  -   Intrinseca   irragionevolezza   e
  violazione della finalita' rieducativa della pena -  Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. Ordinamento penitenziario  -  Benefici
  penitenziari  -  Applicabilita'  ai  condannati  a  pena  detentiva
  temporanea per il delitto  di  sequestro  di  persona  a  scopo  di
  terrorismo o di eversione,  che  abbiano  cagionato  la  morte  del
  sequestrato - Condizione - Effettiva espiazione di almeno due terzi
  della pena irrogata - Illegittimita' costituzionale  consequenziale
  in parte qua. 
Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Applicabilita' ai
  condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di  sequestro
  di persona a scopo  di  terrorismo  o  di  eversione,  che  abbiano
  cagionato  la  morte  del  sequestrato  -  Condizione  -  Effettiva
  espiazione di almeno due terzi della pena irrogata - Illegittimita'
  costituzionale consequenziale in parte qua. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 58-quater, comma 4. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
(GU n.46 del 13-11-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  58-quater,
comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), promossi dal Magistrato di sorveglianza  di  Padova,
nella procedura di sorveglianza ad istanza di G.  C.,  con  ordinanza
del 3 dicembre 2018, iscritta al n. 55 del registro ordinanze 2019  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  16,  prima
serie speciale, dell'anno 2019, e dal Magistrato di  sorveglianza  di
Milano, nella procedura di sorveglianza ad  istanza  di  A.  C.,  con
ordinanza del 14  maggio  2019,  iscritta  al  n.  131  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione di A. C.; 
    udito nell'udienza pubblica e nella camera  di  consiglio  del  9
ottobre 2019 il Giudice relatore Francesco Vigano'; 
    udito nell'udienza pubblica l'avvocato Corrado Limentani  per  A.
C. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 maggio 2019 (r. o. n. 131 del 2019),  il
Magistrato di sorveglianza di Milano  ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater, comma 4, della legge
26 luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
nella parte  in  cui  prevede  che  i  condannati  a  pena  detentiva
temporanea per il delitto di cui all'art.  630,  secondo  comma,  del
codice penale, che abbiano cagionato la morte  del  sequestrato,  non
sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati dall'art.  4-bis,  comma
1, ordin. penit. se non abbiano  effettivamente  espiato  almeno  due
terzi della pena irrogata. 
    1.1.- Espone il giudice rimettente di essere chiamato a  decidere
sull'istanza, formulata dalla detenuta  A.  C.,  di  concessione  del
primo permesso premio al fine di coltivare i propri affetti familiari
e, in particolare, con il figlio minorenne. 
    Riferisce il giudice a quo: 
    - che la detenuta e' stata condannata in via definitiva alla pena
di ventiquattro anni di  reclusione  per  concorso  in  sequestro  di
persona a scopo di estorsione, aggravato dalla  morte  della  persona
sequestrata come conseguenza non  voluta,  ai  sensi  dell'art.  630,
secondo comma, cod. pen., in relazione al ruolo da  lei  assunto  nel
rapimento di un bimbo, conclusosi con la sua uccisione  da  parte  di
altri correi; 
    - che, al momento della presentazione dell'istanza,  la  detenuta
aveva espiato effettivamente tredici anni, un mese e dodici giorni di
reclusione, avendo altresi' maturato due anni, sette  mesi  e  cinque
giorni di liberazione anticipata; 
    - che nell'istanza la condannata aveva asserito la propria totale
estraneita' a contesti di criminalita' organizzata e  aveva  dedotto,
altresi',  l'evidente  impossibilita'  di  una   sua   collaborazione
"attiva",  in  quanto  le  condotte  a  lei  ascritte   erano   state
integralmente accertate con sentenza passata in giudicato. 
    Il  rimettente  ritiene,  tuttavia,  che   alla   stregua   della
disposizione   censurata   l'istanza   dovrebbe    essere    ritenuta
inammissibile, non avendo la condannata ancora espiato  i  due  terzi
della pena detentiva inflitta. Non avrebbe infatti pregio l'argomento
dell'istante secondo cui la preclusione  posta  dall'art.  58-quater,
comma 4, ordin. penit. non si applicherebbe all'ipotesi aggravata  di
cui all'art. 630, secondo comma, cod. pen.,  dal  momento  che  -  ad
avviso del giudice a quo - l'espressione «che  abbiano  cagionato  la
morte  del  sequestrato»  sarebbe  riferibile  tanto  all'ipotesi   -
contemplata dall'art. 630, terzo comma, cod. pen. -  in  cui  il  reo
abbia volontariamente cagionato l'evento letale, quanto  a  quella  -
prevista dal secondo comma di tale disposizione - in cui la morte del
sequestrato costituisca conseguenza non voluta della sua condotta. 
    1.2.- Il rimettente dubita,  tuttavia,  della  compatibilita'  di
tale preclusione con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    1.3. - Le questioni sarebbero, anzitutto,  rilevanti,  in  quanto
soltanto la rimozione della preclusione in parola - non superabile in
via interpretativa - consentirebbe di esaminare nel merito  l'istanza
proposta dalla condannata. 
    1.4.- Le  questioni  non  potrebbero,  d'altra  parte,  ritenersi
manifestamente infondate. 
    1.4.1.- La preclusione posta dall'art. 58-quater, comma 4, ordin.
penit. si esporrebbe, infatti, a tutte le censure  di  illegittimita'
costituzionale gia'  ritenute  fondate  da  questa  Corte,  sotto  il
profilo dell'art. 27, terzo comma, Cost., con la sentenza n. 149  del
2018, censure richiamate per intero dal giudice a quo. 
    1.4.2.- La disciplina risultante dalla sentenza n. 149  del  2018
si porrebbe, inoltre, in contrasto con  l'art.  3  Cost.,  risultando
irragionevole  -  ed  anzi  paradossale  -  che  per   i   condannati
all'ergastolo sia oggi vigente  una  disciplina  piu'  favorevole  di
quella  applicabile  ai  condannati  a  una   mera   pena   detentiva
temporanea. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
nel giudizio. 
    3.- La detenuta istante  A.  C.  si  e'  costituita  in  giudizio
chiedendo  che  -  ove  questa  Corte  non  ritenga   possibile   una
interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   disposizione
censurata nel senso di escludere l'operativita' della preclusioni nei
confronti dei condannati per il delitto di  sequestro  di  persona  a
scopo di estorsione che abbiano cagionato la  morte  del  sequestrato
come  conseguenza  non  voluta  -  sia  accolta   la   questione   di
legittimita' costituzionale prospettata per i medesimi argomenti gia'
sviluppati nell'ordinanza di rimessione. 
    4.- Con ordinanza del 3 dicembre 2018 (r. o. n. 55 del 2019),  il
Magistrato di  sorveglianza  di  Padova  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale  dell'art.  58-quater,  comma  4,  ordin.
penit., in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma,  Cost.,  nella
parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per
il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, che abbiano
cagionato la morte del sequestrato, non siano ammessi ad  alcuno  dei
benefici penitenziari indicati nel primo comma dell'art. 4-bis ordin.
penit. se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della
pena irrogata. 
    4.1.-  Espone  il  rimettente  di  essere  chiamato  a   decidere
sull'istanza, formulata dal detenuto G. C.,  di  un  permesso  premio
presso l'abitazione della madre per coltivare gli affetti  familiari,
e  in  particolare  con  il  figlio,  portatore  di  grave  patologia
invalidante. 
    Riferisce il giudice a quo: 
    - che il detenuto e' stato condannato in via definitiva alla pena
complessiva di venti anni e due mesi di reclusione, nonche' di cinque
mesi di arresto, di cui diciotto anni per il delitto di sequestro  di
persona a scopo di estorsione aggravato ai sensi dell'art. 630, terzo
comma, cod. pen., per avere egli cagionato volontariamente  la  morte
del sequestrato; 
    - che, al momento della presentazione dell'istanza,  il  detenuto
aveva espiato effettivamente la pena di  nove  anni,  cinque  mesi  e
venticinque  giorni,  avendo  altresi'   maturato   630   giorni   di
liberazione anticipata; 
    - che  nel  2014  lo  stesso  Magistrato  di  sorveglianza  aveva
riconosciuto che G. C. aveva prestato  piena  collaborazione  con  la
giustizia. 
    Ritiene tuttavia il rimettente che alla concessione del beneficio
richiesto osti il  disposto  dell'art.  58-quater,  comma  4,  ordin.
penit., che preclude ai condannati a pena temporanea per  il  delitto
di sequestro a scopo di estorsione che abbiano cagionato la morte del
sequestrato di accedere a qualsiasi beneficio penitenziario  ove  non
abbiano effettivamente espiato i due terzi della pena irrogata. 
    4.2.- Il giudice a quo dubita, tuttavia, della compatibilita'  di
tale disciplina con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    4.3.- Le questioni sarebbero anzitutto rilevanti, dal momento che
- in assenza della preclusione posta dalla disposizione  censurata  -
l'istanza del condannato potrebbe senz'altro essere  accolta.  Avendo
egli attivamente collaborato con la giustizia, l'accesso ai  permessi
premio gli sarebbe consentito una  volta  scontato  il  quarto  della
pena, ai sensi del combinato disposto degli artt. 58-ter, comma 1,  e
30-ter, comma 4, lettera b), ordin. penit.:  termine,  questo,  ormai
abbondantemente scaduto.  Il  condannato  avrebbe,  inoltre,  serbato
regolare  condotta  all'interno  dell'istituto  penitenziario,   come
attestato anche dalla relazione favorevole del direttore del  carcere
e dalle molteplici evidenze relative alla partecipazione alle offerte
trattamentali, alla rivisitazione critica del reato, ai tentativi  di
risarcimento posti in essere in favore dei familiari  della  vittima,
al mantenimento di rapporti costanti con i familiari e in particolare
con il figlio  disabile,  nonche'  all'assenza  di  elementi  che  lo
colleghino alla criminalita' organizzata. 
    4.4.-  Le  questioni  sarebbero,  altresi',  non   manifestamente
infondate. 
    4.4.1.-  Il  rimettente  rileva  anzitutto  che  la  disposizione
censurata risulterebbe incompatibile con l'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo  dell'irragionevole  disparita'  di  trattamento  venutasi  a
creare, in seguito alla sentenza n. 149 del 2018 di questa Corte, tra
i  condannati  all'ergastolo  e  i  condannati   a   pena   detentiva
temporanea, per i quali vigerebbe ormai un regime deteriore,  potendo
i primi essere ammessi a godere dei permessi premio una volta espiati
dieci anni di pena (ulteriormente riducibili per effetto dei  periodi
di liberazione anticipata maturati), a  fronte  della  necessita'  di
espiazione effettiva dei due terzi della  pena  per  i  secondi  -  e
dunque di un periodo superiore a dieci anni,  ogniqualvolta  la  pena
irrogata sia superiore ai quindici anni di reclusione, come nel  caso
del detenuto istante. 
    Di tale disparita' di trattamento creata dalla  sentenza  n.  149
del 2018 sarebbe stata, del resto, consapevole  anche  questa  Corte,
che  proprio  per  porre  rimedio  a  tale  effetto  aveva   invocato
l'intervento   correttivo   del   legislatore,   a   tutt'oggi    non
verificatosi. 
    4.4.2.- La disposizione censurata si esporrebbe, inoltre,  a  una
seconda censura di irragionevole disparita' di trattamento ex art.  3
Cost.,  sottoponendo  a  un  trattamento  marcatamente  deteriore   i
condannati per il delitto di cui all'art. 630, terzo comma, cod. pen.
che abbiano collaborato con la giustizia rispetto a quello  riservato
alla generalita' dei  condannati  per  taluno  dei  delitti  previsti
dall'art. 4-bis ordin. penit. che parimenti abbiano  collaborato  con
la giustizia, e per i quali vigono - per  effetto  dell'art.  58-ter,
comma 1, ordin. penit.  -  gli  ordinari  termini  per  l'accesso  ai
benefici penitenziari applicabili a qualsiasi condannato, e non  gia'
quelli piu' gravosi previsti per i condannati per i delitti  previsti
dallo stesso art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. 
    4.4.3.- Infine, la disposizione censurata si esporrebbe a tutti i
profili  di  contrasto  con  l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.   gia'
riscontrati da questa Corte,  con  riferimento  alla  preclusione  in
precedenza vigente per i condannati all'ergastolo, nella sentenza  n.
149 del  2018,  la  cui  motivazione  viene  diffusamente  richiamata
dall'ordinanza di rimessione. 
    5. - Il Presidente del Consiglio dei ministri non e'  intervenuto
nel giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanze rispettivamente rubricate al n. 131 e al n.  55
del r. o.  2019,  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Milano  e  il
Magistrato di sorveglianza di Padova  hanno  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater, comma 4, della legge
26 luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
in riferimento agli artt. 3 e 27, comma  terzo,  della  Costituzione,
nella parte  in  cui  prevede  che  i  condannati  a  pena  detentiva
temporanea per  il  delitto  di  sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non siano
ammessi ad alcuno dei benefici penitenziari indicati nel primo  comma
dell'art. 4-bis ordin. penit., se non abbiano effettivamente  espiato
almeno i due terzi della pena irrogata. 
    2.-  Deve  preliminarmente  disporsi  la  riunione  dei  predetti
giudizi, che pongono questioni identiche e si fondano su argomenti in
larga misura comuni. 
    3.- Le questioni sono ammissibili, avendo entrambi  i  rimettenti
puntualmente  chiarito  che  soltanto  la  preclusione  posta   dalla
disposizione censurata impedisce l'esame nel  merito,  e  l'eventuale
accoglimento, dell'istanza  di  concessione  di  un  permesso  premio
formulata da entrambi i detenuti nei giudizi a quibus. 
    3.1.- Il Magistrato di sorveglianza di Milano ha ritenuto d'altra
parte che  tale  preclusione  si  estenda  anche  al  condannato  per
sequestro di persona che abbia cagionato per mera colpa la morte  del
sequestrato ai sensi dell'art. 630, secondo comma, del codice penale.
Tale conclusione e' contrastata dalla parte privata e dalla  dottrina
sinora espressasi sul punto, a parere delle quali il tenore letterale
dell'art.  58-quater,  comma  4,  ordin.  penit.  farebbe  inequivoco
riferimento all'ipotesi dolosa, prevista dall'art. 630, terzo  comma,
cod. pen., in cui «il colpevole cagiona la morte del sequestrato»,  e
non gia' a quella, prevista dal secondo comma, in cui «dal  sequestro
deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della
persona sequestrato». Il giudice a quo, tuttavia, motiva  in  maniera
non implausibile la  propria  scelta  ermeneutica,  argomentando  nel
senso della riconducibilita' all'area semantica del verbo "cagionare"
anche dell'ipotesi in cui  la  morte  del  sequestrato  sia  comunque
"derivata", in termini eziologici,  dalla  condotta  dell'autore  del
reato, ancorche' quest'ultimo non fosse  animato  dalla  volonta'  di
uccidere la vittima. 
    Tanto  basta  ai   fini   dell'ammissibilita'   delle   questioni
prospettate dal  Magistrato  di  sorveglianza  di  Milano,  sotto  il
profilo della loro rilevanza nel giudizio a quo. 
    4.- Le questioni sono  fondate,  con  riferimento  a  entrambi  i
parametri evocati. 
    4.1.- Anche per i condannati a pena temporanea per il delitto  di
sequestro  di  persona  a  scopo  di  estorsione  qualificato   dalla
causazione della morte della vittima vale anzitutto il rilievo,  gia'
svolto dalla sentenza n. 149 del 2018 in  riferimento  ai  condannati
all'ergastolo per  il  medesimo  reato,  che  la  rigida  preclusione
temporale posta dalla disposizione censurata all'accesso ai  benefici
sovverte  irragionevolmente  la  logica  gradualistica   sottesa   al
principio della «progressivita' trattamentale e  flessibilita'  della
pena», gia' enucleato da numerose pronunce di questa Corte  (sentenze
n. 257 del 2006, n. 255 del 2006, n. 445 del 1997 e n. 504 del  1995)
come corollario del mandato costituzionale secondo cui la  pena  deve
tendere  alla  rieducazione  del  condannato,  fissando   l'unica   e
indifferenziata soglia dell'espiazione effettiva dei due terzi  della
pena irrogata quale condizione  per  l'accesso  a  tutti  i  benefici
penitenziari. In tal modo, la disposizione opera in  senso  distonico
rispetto all'obiettivo,  costituzionalmente  imposto,  di  consentire
alla  magistratura  di  sorveglianza  di  verificare  gradualmente  e
prudentemente, anzitutto attraverso la concessione di permessi premio
e  l'autorizzazione  al  lavoro  all'esterno,  l'effettivo   percorso
rieducativo compiuto dal soggetto, prima di ammetterlo  in  una  fase
successiva dell'esecuzione - sulla base anche dell'esito positivo  di
quelle  prime  sperimentazioni  -  alla  semiliberta'  e   poi   alla
liberazione  condizionale.  Il  che  determina  la   violazione   del
combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    4.2.  -  Come  giustamente  rilevato  da   entrambi   i   giudici
rimettenti, inoltre, la rimozione della preclusione  contenuta  nella
disposizione censurata con riferimento ai condannati all'ergastolo da
parte della sentenza n. 149  del  2018  ha  prodotto  l'irragionevole
conseguenza che, oggi, essi godono di  un  trattamento  penitenziario
piu' favorevole rispetto a quello  riservato  ai  condannati  a  pena
detentiva temporanea per i medesimi titoli di reato. 
    I condannati alla pena dell'ergastolo che  abbiano  cagionato  la
morte del sequestrato, infatti,  possono  -  in  forza  della  citata
sentenza n. 149 del 2018 - accedere al beneficio del permesso premio,
in caso di collaborazione o condizioni equiparate, dopo aver  espiato
dieci  anni  di  pena,  riducibili  sino  a  otto  anni  grazie  alla
liberazione anticipata. I condannati a pena detentiva temporanea  per
il medesimo titolo delittuoso possono  invece  accedere  al  predetto
beneficio, a parita' di condizioni quanto alla collaborazione con  la
giustizia, solo dopo aver scontato i due terzi della  pena  inflitta,
senza poter beneficiare di alcuna riduzione di tale termine a  titolo
di liberazione anticipata: e cioe' dopo aver scontato un  periodo  di
detenzione che - tenuto conto  delle  elevatissime  cornici  edittali
previste  per  le  ipotesi  delittuose  in  questione  -   e'   nella
generalita' dei casi ben superiore a otto  anni,  come  mostrano  del
resto i due casi oggetto dei giudizi a quibus. 
    Una  tale  conseguenza,  evidentemente   incompatibile   con   il
principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma,  Cost.,  era
stata peraltro puntualmente segnalata all'attenzione del  legislatore
da parte di questa Corte nella sentenza n. 149 del 2018, senza che  -
tuttavia - a tale monito abbia fatto seguito la  necessaria  modifica
della normativa vigente. 
    4.3.- Da tutto  cio'  consegue  la  necessita'  di  rimuovere  la
preclusione stabilita dall'art. 58-quater,  comma  4,  ordin.  penit.
anche con riferimento ai condannati a pena temporanea per il  delitto
di sequestro di persona a scopo di estorsione che  abbiano  cagionato
(dolosamente  o  colposamente)  la   morte   del   sequestrato,   con
conseguente  automatica  riespansione,  nei  loro  confronti,   della
disciplina applicabile alla generalita' dei condannati per i  delitti
previsti dall'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. 
    Restano assorbiti gli  ulteriori  profili  di  censura  formulati
dalle ordinanze di rimessione in relazione ai medesimi parametri. 
    5.- Cosi' come avvenuto  nella  sentenza  n.  149  del  2018,  la
presente dichiarazione di illegittimita' costituzionale  deve  essere
estesa, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
alla  parte  della  disposizione  censurata  che  si   riferisce   ai
condannati a pene detentive temporanee per il delitto di sequestro di
persona a scopo di terrorismo o di eversione, di cui all'art. 289-bis
cod. pen., che abbiano cagionato la morte del sequestrato. 
    Per effetto della presente pronuncia, dunque, la disposizione  di
cui all'art. 58-quater, comma  4,  ordin.  penit.  resta  interamente
caducata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  58-quater,
comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), nella parte in cui si applica ai condannati  a  pena
detentiva temporanea per il delitto di cui all'art.  630  del  codice
penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato; 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 58-quater, comma  4,  ordin.  penit.,  nella
parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per
il delitto di cui all'art. 289-bis cod. pen. che abbiano cagionato la
morte del sequestrato. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA