N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 novembre 1989
N. 72 Ordinanza emessa l'8 novembre 1989 dal tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Zarrelli Domenico e il Ministero di grazia e giustizia ed altri Responsabilita' civile - Giudizio per responsabilita' di magistrati e funzionari di altre amministrazioni (carabinieri e polizia) - Procedimento contro lo Stato - Adizione del giudice territorialmente competente in contrasto con la competenza funzionale prevista per il Ministero di grazia e giustizia Giudizio di inammissibilita' previsto solo per tale procedimento Inevitabile pronuncia di separazione dei giudizi - Mancato previsto spostamento della competenza per connessione per le altre amministrazioni - Lamentata violazione del principio di economia processuale con possibilita' di giudicati contrastanti Menomazione del diritto di difesa per l'attore - Lesione del principio di indipendenza dei giudici. (Legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 4). (Cost., artt. 24, 25 e 101).(GU n.9 del 28-2-1990 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 1490/1989 vertente tra Zarrelli Domenico rappresentato e difeso dall'avv. Mario Zarrelli con studio in Napoli alla piazza S. Domenico Maggiore n. 9, attore, e i Ministeri di grazia e giustizia, dell'interno e della difesa, in persona dei rispettivi ministri pro-tempore, domiciliati per legge presso l'avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli con sede alla via Diaz n. 11, convenuti. Premesso che Domenico Zarrelli, con citazione notificata in data 17 gennaio 1989, ha convenuto in giudizio i Ministeri di grazia e giustizia, dell'interno e della difesa, deducendo che, per effetto di comportamenti dolosi e colposi che sarebbero stati posti in essere da magistrati, dai carabinieri e dalla polizia - che si occuparono, nelle loro rispettive vesti, del procedimento penale a suo carico, inizialmente sfociato in una sentenza di condanna della corte d'assise di Napoli, indi conclusosi con la sentenza di assoluzione con formula piena della corte d'assise di Potenza, passata in giudicato il 18 marzo 1985 - ha riportato danni valutabili in cinquanta miliardi di lire; che il predetto ha chiesto quindi che il tribunale condanni le indicate amministrazioni, in solido tra loro, per la responsabilita' dei rispettivi funzionari e dipendenti, al relativo risarcimento dei danni; che il g.i., con ordinanza in data 28 luglio 1989, ha rimesso la causa innanzi al collegio in camera di consiglio ai sensi dell'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, ritenendo che nella fattispecie sia applicabile la nuova normativa sulla responsabilita' dei magistrati e che pertanto, pregiudizialmente, il tribunale della deliberare sulla ammissibilita' della domanda; In esito alla discussione in camera di consiglio, svoltasi su istanza concorde delle parti all'udienza dell'11 ottobre 1989; O S S E R V A I comportamenti dolosi e colposi che, stando all'assunto dello Zarrelli, sarebbero stati commessi da magistrati e dai funzionari dipendenti delle altre amministrazioni, si riferiscono a epoca antecedente alla entrata in vigore della legge n. 117/1988, che ha introdotto la nuova disciplina sulla responsabilita' civile dei magistrati. In base al sistema operante prima della entrata in vigore della nuova normativa il cittadino poteva agire per risarcimento danni direttamente nei confronti del magistrato, previa autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia, ma soltanto nelle ipotesi di dolo, frode e concussione, nonche' per rifiuto, omissione o ritardo, preceduti dalla messa in mora, giusta le disposizioni di cui all'art. 55 del c.p.c. Poteva inoltre agire per responsabilita' diretta anche e soltanto nei confronti della p.a. di appartenenza del magistrato, e quindi nei confronti dell'amministrazione di grazia e giustizia, ai sensi dell'art. 28 della Costituzione. La legge 13 aprile 1988, n. 117, susseguente alla abrogazione del referendum popolare, ha introdotto una nuova disciplina in materia che ha radicalmente trasformato il sistema previgente, dettando norme non soltanto sulla responsabilita' del magistrato (artt. 2 e 3) ma anche in ordine alla responsabilita' della p.a. di appartenenza e alla relazione esistente tra detta responsabilita' e quella del magistrato. Per quanto concerne questo ultimo specifico profilo ha stabilito infatti che il cittadino possa esercitare soltanto l'azione diretta nei confronti della p.a., escludendo quindi l'azione nei confronti del magistrato, e ha statuito che la domanda - che e' e rimane ovviamente sempre l'azione prevista dall'art. 28 della Costituzione, non abrogabile da una previsione di legge ordinaria - debba pero' essere indirizzata contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale potra' - nelle ipotesi indicate - agire in via di rivalsa contro il magistrato. Per l'azione nei confronti dello Stato la legge ha fissato criteri particolari in ordine alla competenza (art. 4) e un iter che prevede, tra l'altro, l'espletamento di un preventivo giudizio di ammissibilita' da parte del tribunale, in camera di consiglio. La nuova legge contiene cioe' disposizioni di carattere sostanziale e processuale, che debbono essere qui esaminate, in particolare sotto il profilo della successione di leggi, essendosi sopra dimostrato che l'azione oggi proposta dallo Zarrelli altro non e' che l'azione di cui all'art. 28 della Costituzione. Sul punto in esame la legge prevede una sola disposizione: all'art. 19 recita "la presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La presente legge non si applica ai fatti illeciti posti in essere dal magistrato, nei casi previsti dagli artt. 2 e 3, anteriormente alla sua entrata in vigore". La norma e' di chiara interpretazione. L'inciso "nei casi previsti dagli artt. 2 e 3" sta a indicare che la norma ha inteso richiamare il principio di legalita' per le ipotesi di responsabilita', in quanto queste previste appunto dagli artt. 2 e 3, e soltanto per queste. La nuova legge non si applica quindi ai fatti precedenti alla entrata in vigore i quali, pur non rientrando nelle ipotesi di cui all'art. 55 del c.p.c., rientrerebbero invece nei casi disciplinati oggi dagli artt. 2 e 3. In buona sostanza, poiche' il nuovo regime contiene un ambito di efficacia ben piu' ampio di quello precedente, con il secondo comma il legislatore ha inteso evitare contenziosi risarcitori promossi per fatti precedenti, che non integravano i presupposti di cui all'art. 55 del c.p.c. abrogato, bensi' quelli di cui agli artt. 2 e 3 della nuova legge. Il chiaro ed esclusivo riferimento agli artt. 2 e 3 evidenzia comunque che la norma ha tenuto del tutto al di fuori le disposizioni di carattere processuale, per la cui operativita' non esiste quindi alcuna previsione specifica. In assenza di queste, vale il principio pacifico tempus regit actum. Ne consegue che le disposizioni processuali della legge n. 117/1988 devono essere seguite per tutte le azioni che siano proposte successivamente alla entrata in vigore della stessa, anche se riferentisi a fatti commessi antecedentemente al 16 aprile 1988. Una diversa interpretazione dell'art. 19, diretta a sostenere che la norma abbia inteso escludere in toto l'applicabilita' di tutte le disposizioni della legge, sostanziali e processuali, ai fatti commessi in epoca antecedente alla entrata in vigore, e' assolutamente inaccoglibile, atteso che, se il legislatore avesse voluto statuire in tal senso, non avrebbe inserito nella norma l'inciso "nei casi previsti dagli artt. 2 e 3", ma avrebbe detto soltanto: "La presente legge non si applica ai fatti posti in essere dal magistrato anteriormente alla sua entrata in vigore". Con tale interpretazione, d'altronde, concorda la migliore dottrina e collimano anche, per quello che puo' valere, i lavori parlamentari, atteso che nella seduta della commissione giustizia della Camera dell'11 aprile 1988 (sede deliberante) fu precisato che: "Dal combinato disposto dal primo e secondo comma dell'art. 19 risulta che, per quanto riguarda la disciplina sostanziale contenuta nella nuova legge, essa sara' applicabile ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore, mentre per quanto riguarda le norme di natura processuale in essa contenuta, vale la regola generale del tempus regit actum, nel senso che tutti i procedimenti che saranno attivati, anche per fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge, verranno da essa regolati". (Cosi' l'intervento dell'on. Violante, vedi Bollettino comm. n. 160, p. 10). Pertanto la domanda proposta contro la p.a. di appartenenza dei magistrati, in quanto disciplinata dalle disposizioni processuali della nuova legge, innanzitutto - come esattamente prospettato dal g.i. - deve essere sottoposta al giudizio di ammissibilita' previsto dall'art. 5, che comporta il riscontro dei presupposti di cui agli artt. 2, 3 e 4 della legge, dei quali il primo in ordine logico ad essere esaminato e', ovviamente, quello della competenza. Sul punto va osservato che l'azione, ai sensi dell'art. 4, deve essere proposta innanzi al "tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello piu' vicina a quella in cui e' compreso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato". Trattasi di una previsione legislativa che tende innanzitutto a garantire l'attore, assicurandogli, anche se con un meccanismo diverso da quello di cui all'art. 56 del c.p.c., la imparzialita' del magistrato che dovra' giudicare dell'operato e della condotta di altro giudice. L'attore ha adito invece il tribunale di Napoli, che e' l'ufficio giudiziario presso cui fu istruito, e celebrato in primo e secondo grado, il procedimento penale a suo carico, il che dovrebbe portare a una pronunzia di inammissiblita' della domanda, per quanto proposta contro la p.a. di appartenenza dei magistrati. Ma lo Zarrelli ha agito anche contro i Ministri dell'interno e della difesa, prospettando in citazione fatti che sarebbero stati commessi dai dipendenti di queste altre amministrazioni in stretta connessione ovvero in concorso con i magistrati. Al riguardo e' utile evidenziare gli episodi piu' rilevanti. A) Il p.m., a seguito dell'infedele rapporto dei carabinieri in data 14 novembre 1975, si sarebbe deliberatamente trasferito nella caserma Morgantini "al fine di gestire a modo suo" l'istruttoria, in cio' "assecondato" dai carabinieri (paragrafo 7 della citazione); il p.m. non avrebbe negli atti ufficiali dato atto delle indagini da egli stesso ordinate, ed eseguite, sulle impronte delle scarpe all'interno dell'abitazione in via Caravaggio, dal maresciallo Matrullo, in quanto queste non apportavano elementi a carico dello Zarrelli, anzi lo scagionavano; e a sua volta il maresciallo Matrullo, in evidente concorso con il giudice, non avrebbe a sua volta verbalizzato le indagini (pag. 29 dell'atto introduttivo, paragrafo 9); il p.m., in concorso con il cancelliere, con "un illecito collegato all'operato del maresciallo Razzano", avrebbe contribuito a dare luogo alla soppressione del verbale di perquisizione della borsetta della convivente dello Zarrelli, Sandra Maria Thompson, perquisizione effettivamente svolta dal suddetto maresciallo; e cio' allo specifico fine di "inficiare l'alibi dello Zarrelli per la sera del 30 ottobre 1975", in quanto, altrimenti, il verbale avrebbe dovuto attestare il rinvenimento di biglietti ferroviari sulla linea Napoli-Roma e Napoli-Firenze, nel periodo 27 ottobre-4 novembre 1975 (paragrafi 10 e 17, lett. C) della citazione); il p.m. avrebbe consentito al De Laurentis di telefonare alla moglie per avvertirla che di li' a poco si sarebbe recato nell'abitazione dei due il maresciallo Mormile per sequestrare le scarpe, il tutto evidentemente in concorso con il maresciallo Mormile (paragrafo II); il p.m. avrebbe fatto approntare dal maresciallo Razzano una relazione di servizio falsa circa i movimenti, nell'ultimo mese, dello Zarrelli e della Thompson, onde far risultare in particolare che i due, anche per tutto il mese di gennaio, si erano recati due o tre volte alla settimana a casa dell'avv.to Zarrelli, laddove invece risultava, dalle indagini svolte presso i tassisti, che la Thompson era stata accompagnata il 23 dicembre 1975 all'aeroporto di Capodichino per andarsene in Inghilterra. B) Sempre stando all'assunto dell'attore il g.i. poi avrebbe, insieme con i carabinieri, compiuto una illegittima perquisizione nell'appartamento delle vittime, durata piu' giorni, a seguito della quale si verifico' la sparizione della statuetta della "Fortuna Bendata". Sottrazione che era finalizzata per poter sostenere nell'accusa che le lesioni riportate dallo Zarrelli sulle mani erano state causate da un corpo contundente impugnato per colpire le vittime: tesi che poteva accreditarsi solo se si fosse appunto fatta scomparire la predetta statuetta, che non presentava invece alcuna asperita' sulla testina a fusione metallica (vedi in particolare pag. 48 della citazione). A proposito di tale episodio l'attore parla ripetutamente di "frode processuale" commessa dal giudice (pagg. 51 e 52 paragrafo 17, lett. B); il g.i. avrebbe partecipato, insieme con i marescialli Iannotti e Razzano, a una "macchinazione", cosi' esprimendosi testualmente l'attore nel riferire dell'episodio dell'approntamento della busta. A tal uopo sostiene in buona sostanza lo Zarrelli che, su accordo del g.i. e della p.g., sarebbe stato fatto falsamente risultare che nell'immondizia nei pressi del palazzo di via Caravaggio sarebbe stata ritrovata copia di una querela della Canname contro il nipote, querela poi trasmessa alla p.g. dall'anonimo rinvenitore. Al contrario - sostiene l'attore - tutto cio' non sarebbe mai avvenuto, la busta sarebbe stata approntata dai carabinieri e l'operazione sarebbe stata posta in essere al fine di annullare definitivamente la pista alternativa De Laurentis (pag. 53) e creare un falso elemento di prova a carico dello Zarrelli (paragrafo 18); il g.i. avrebbe inoltre preteso e ottenuto, dal dott. Lonardo e dal maresciallo Cuoco, false dichiarazioni di comodo per riscontro alla sua tesi accusatoria, come "prezzo" per non incriminarli per il reato di malversazione, in relazione alla sostituzione del brillante sull'anello (pagg. 90 e 91 della citazione, paragrafo 21); il g.i. avrebbe intimorito il vice-questore Mariano Barrea, gia' inquisito per essersi ricevuto copie di documenti dalla famiglia Zarrelli, al punto tale da far si' che il predetto, a un certo momento della istruttoria formale, trovo' conveniente assecondare il g.i. nella sua direttiva accusatoria, al fine di non essere denunziato dal giudice per il reato di interesse privato in atti di ufficio. Cio' posto, poiche' l'art. 4 della legge n. 117/1988 testualmente stabilisce soltanto una competenza funzionale per le domande relative ai comportamenti dei magistrati ma non prevede, a differenza di altre disposizioni (art. 11 nuovo c.p.p.), alcuna vis actractiva per fatti connessi, e in particolare non prevede quindi analoga competenza funzionale in relazione alle domande proposte per fatti commessi da altri soggetti, ma intimamente connessi, ovvero per i comportamenti posti in essere da altri soggetti in concorso con i magistrati, la domanda dovrebbe allora essere dichiarata inammissibile per quanto proposta nei confronti della p.a. di appartenenza dei magistrati, mentre dovrebbe in ipotesi, trovare ingresso - e senza che alla stessa possa applicarsi il giudizio di ammissibilita' - per quanto proposta nei confronti delle altre amministrazioni. Ma una tale soluzione comporterebbe l'insorgenza di piu' questioni di illegittimita' costituzionale, che si palesano tutte non manifestamente infondate. Invero, come s'e' gia' detto, se si considera innanzitutto la posizione del cittadino che agisce per il risarcimento dei danni, non e' a dubitarsi che il legislatore, stabilendo la competenza funzionale ex art. 4, abbia essenzialmente inteso tutelare la imparzialita' del giudizio, evitando cioe' - nell'interesse dell'attore - che le domande di danno vadano proposte innanzi a giudici appartenenti alla stessa corte d'appello del magistrato del cui operato si discute. La norma cioe' in buona sostanza fissa come giudice naturale della domanda ex art. 4 il tribunale ove ha sede la corte d'appello piu' vicina. Ne consegue che, se le domande per fatti intimamente connessi, o commessi da altri soggetti in concorso con magistrati, dovessero essere giudicate dal tribunale della corte d'appello cui appartiene il giudice della cui condotta si discute, attesa la strettissima interdipendenza esistente tra le condotte degli altri soggetti e quelle dei magistrati, non scindibili le une dalle altre, inevitabilmente il tribunale verrebbe a valutare le condotte dei colleghi della stessa corte d'appello. In tale situazione di palesa costituzionalmente illegittimo, perche' in contrasto con l'art. 25 della Costituzione, l'art. 4 in esame, nella parte in cui non prevede che il giudice ivi indicato sia competente anche per le domande relative a fatti commessi da altri soggetti in concorso con magistrati ovvero per le domande relative a fatti posti in essere da altri soggetti, e intimamente connessi con le condotte dei magistrati. E invero, poiche' l'art. 25 della Costituzione stabilisce che nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, in buona sostanza si verificherebbe, per via indiretta, una sottrazione al giudice ex art. 4 della competenza a giudicare dei comportamenti illeciti dei magistrati, dei quali verrebbe ad occuparsi appunto un magistrato appartenente alla stessa corte d'appello del giudice della cui condotta si discute. Il che il legislatore ha voluto evitare innanzitutto nell'interesse del cittadino attore in giudizio. Ne' si dica che tale valutazione tutto sommato sarebbe effettuata soltanto incidenter tantum: sembra infatti evidente che, li' dove per ragioni di imparzialita', il legislatore ha stabilito una particolare competenza funzionale, anche il giudizio incidenter tantum e' precluso, essendosi in buona sostanza voluto evitare un qualsiasi esercizio di attivita' giurisdizionale da parte del giudice appartenente alla stessa corte d'appello. Del tutto irrilevante poi e' il fatto che la disposizione di cui all'art. 4 non preveda una competenza di ordine generale, in quanto la nozione di giudice naturale non si cristallizza nella determinazione legislativa di una competenza generale, ma si forma anche in relazione a tutte quelle disposizioni le quali derogano a tale competenza sulla base di criteri che razionalmente valutano i disparati interessi posti in gioco dal processo (Corte costituzionale 27 giugno 1972, n. 117). Ma sussiste comunque violazione anche dell'art. 24 della Costituzione, secondo cui la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, in quanto avendo il legislatore sottratto le cause di danni ex art. 4 alla competenza del giudice ex artt. 19 e 20 del c.p.c. proprio per garantire la posizione dell'attore, venendo le domande in questione ad essere sottoposte al giudice ex artt. 19 e 20 del c.p.c., verrebbe indubbiamente ad essere menomato in misura sensibile il diritto di difesa. Per altro verso, considerando la posizione dell'organo giudicante, poiche' alla base dei mutamenti di competenza nei procedimenti riguardanti magistrati - giusta la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 109 del 22 giugno 1963) - esiste anche il principio dell'indipendenza dei giudici fissato dall'art. 101 della Costituzione, verrebbe ad essere violata anche questa ulteriore norma. Al di la' delle questioni di illegittimita' costituzionale indicate, e' da rilevare poi, sul piano strettamente processuale, che una eventuale separazione delle domande contrasterebbe con il principio di economia processuale e potrebbe comportare il serio pericolo di giudicati contrastanti. Nel caso di specie poi si determinerebbe in particolare una questione di difficile soluzione in quanto, essendo stata proposta una querela di falso (episodio di cui al paragrafo 18), di certo non scindibile, non si riesce davvero a comprendere quale giudice sarebbe competente a giudicare. Le indicate questioni di legittimita' costituzionale, investendo la stessa competenza del tribunale, sono rilevanti in quanto tali da rendere impossibile le definizione del procedimento. La causa va pertanto sospesa ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale per il relativo giudizio.
P. Q. M. Solleva le questioni di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 24, 25 e 101 della Costituzione, dell'art. 4 della legge 13 aprile 1988, n. 117, nella parte in cui detta norma non prevede che il giudice ivi indicato, funzionalmente competente a giudicare delle domande di risarcimento contro lo Stato per fatti dei magistrati, sia funzionalmente competente anche in relazione alle domande relative a fatti commessi da altri soggetti in concorso con magistrati, ovvero relative a fatti posti in essere da altri soggetti, ma intimamente connessi con le condotte dei magistrati; Sospende il procedimento in corso e ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il relativo giudizio; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al p.m. - sede, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due camere del Parlamento. Cosi' deciso in Napoli, addi' 8 novembre 1989. Il presidente: (firma illeggibile) 90C0182