N. 231 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 dicembre 1989
N. 231 Ordinanza emessa il 18 dicembre 1989 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Leoni Pier Paolo e Brancaccio Antonio ad altri Magistrati - Responsabilita' civile - Esercizio di funzioni giudiziarie - Risarcimento danni per decisione emessa il 28 maggio 1987 - Citazione a giudizio del 12 aprile 1988 - Inapplicabilita' della legge n. 117/1988 - Non proponibilita' della richiesta di autorizzazione al Ministro di grazia e giustizia per mancata previsione di ultrattivita' dell'art. 56 del c.p.c. - Conseguente possibilita' di proporre l'azione senza alcun giudizio preliminare - Irrazionale deteriore trattamento per i magistrati ai quali pervenga la notifica nel periodo dal 9 al 15 aprile 1988 - Mancata tutela dell'indipendenza e dell'autonomia delle funzioni giudiziarie. (Legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 19). (Cost., artt. 3, 28, 97, e da 101 a 113).(GU n.15 del 11-4-1990 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 12721 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 1988, posta in deliberazione all'udienza collegiale del 4 dicembre 1989 e vertenze tra Pier Paolo Leoni elettivamente domiciliato in Roma, via Premuda, n. 2, presso lo studio del procuratore avv. Enrico Guidi e avv. Giuseppe Podda che lo rappresentano e difendono per delega in atti, e Antonio Brancaccio, Renato Granta, Antonio Sensale, Filippo Anglani, Adriano Colasurdo, Giovanni Cassata, elettivamente domiciliati in Roma, via Tibullo, 10, presso lo studio del procuratore avv. Luigi Delli Paoli che li rappresenta e difende per delega in atti, nonche' Giuseppe Morsillo, Antonio Iannotta e Andrea Vela, elettivamente domiciliati in Roma, corso di Francia, 197, presso lo studio dei procuratori avvocati Fabrizio Lemme e Andrea Morsillo che li rappresentano e difendono per delega in atti. Oggetto: Risarcimento danni da pretesa responsabilita' civile di magistrati nell'esercizio di funzioni giudiziarie. Il collegio rileva quanto segue. Con atto notificato il 12 aprile 1988 Pier Paolo Leoni cito' in giudizio avanti questo tribunale Antonio Brancaccio, Renato Granata, Antonio Vela, Adriano Colasurdo, Filippo Anglani, Antonio Iannotta, Giuseppe Morsillo, Antonio Sensale e Giovanni Cassata (nei confronti del quale la notifica e' avvenuta il 26 giugno 1988), magistrati componenti il Collegio delle sezioni unite civili della Corte di cassazione esponendo: che davanti al predetto collegio era stato discusso e deciso all'udienza del 28 maggio 1987 il ricorso (r.g. n. 8739/80) da lui proposto avverso la delibera 18 giugno 1980 del consiglio nazionale dei geometri (sentenza 28 maggio-16 dicembre 1987, n. 9319); che con altra sentenza 28 maggio-16 dicembre 1987, n. 9320, lo stesso collegio delle sezioni unite composto dai medesimi magistrati aveva deciso il ricorso (r.g. n. 29/82) presentato dal geometra Roberto Scatolini "in senso diametralmente opposto" a quello contenuto nella decisione relativa a quello proposto da esso istante benche' i due ricorsi "fossero fondati su motivazioni di fatto e di diritto analoghe che andavano pertanto valutate alla medesima stregua"; che le sezioni unite della Corte di cassazione "avevano posto in essere, un comportamento viziato da colpa grave ai sensi dell'art. 23 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, ritenuto il difforme atteggiamento dei medesimi giudici nel decidere due questioni perfettamente identiche in fatto e diritto" per effetto del quale l'istante aveva subito i danni derivanti dalla mancata iscrizione all'albo del collegio dei geometri della provincia di Cagliari. Quanto sopra premesso, l'attore chiese che questo tribunale dichiarasse i convenuti responsabili in solido del danno da lui subito e li condannasse al relativo risarcimento. Ritualmente costituitisi in giudizi i convenuti Anglani, Brancaccio, Cassata, Colasurdo, Granata e Sensale (avv. Delli Paoli) e Iannotta, Morsillo e Vela (avv. Lemme) formularono diverse eccezioni preliminari contestando nel merito il fondamento della domanda. Cio' premesso in fatto, ritiene il collegio di dover sollevare di ufficio la questione di legittimita' costituzionale di seguito precisata. Alla fattispecie in esame (pretesa responsabilita' civile dei magistrati componenti le sezioni unite civile della Corte di cassazione) deve applicarsi la norma contenuta nell'art. 55 del c.p.c. giacche' la sentenza che secondo l'assunto dell'attore sarebbe stata posta in essere dai giudici con colpa grave (profilo questo non in armonia con il dettato del citato art. 55 del c.p.c. ma evidentemente non esaminabile - siccome attinente al merito - se non dopo aver risolto le questioni di carattere processuale che assumono assorbente rilievo) risulta pubblicata il 16 dicembre 1987. Con d.P.R. 9 dicembre 1987, n. 497, si statui' infatti che l'abrogazione degli artt. 55, 56 e 74 del c.p.c. conseguente al risultato del noto referendum popolare avesse effetto decorsi centoventi giorni dalla data di pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale, intervenuta il 9 dicembre 1987. La regola processuale contenuta nell'art. 56 del c.p.c. (che richiede quale condizione di procedibilita' della domanda per la dichiarazione di responsabilita' del giudice l'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia) non sarebbe pero' piu' applicabile giacche' la citazione e' stata notificata il 12 aprile 1988 (il 26 giugno 1988 nei confronti del convenuto Cassata) e dunque in data successiva alla prorogatio introdotta con il citato d.P.R. n. 497/1987. E' appena il caso di chiarire che detta norma dell'art. 56 del c.p.c. essendo essenzialmente processuale secondo i noti principi dello ius superveniens in materia di diritto processuale andrebbe comunque immediatamente disapplicata. Anche la risposta al quesito se sia in qualche modo applicabile il preventivo giudizio di ammissibilita' previsto nell'art. 5 della recente legge 13 aprile 1988, n. 117, sulla responsabilita' civile dei magistrati dev'essere negativa atteso il chiario disposto dell'art. 19, secondo comma che esclude espressamente (senza distinguere fra norme sostanziali e processuali) l'applicabilita' della normativa a fatti illeciti posti in essere dal magistrato anteriormente alla sua entrata in vigore (il giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale avvenuta il 15 aprile 1988). Risulta in sintesi evidente: a) che il legislatore ha pienamente avvertito la necessita' della prorogatio del sistema normativo espresso negli articoli 55, 56 e 74 del c.p.c. (d.P.R. 9 dicembre 1987, n. 497) per evitare soluzioni di continuita' in relazione al prevedibile non breve iter della nuova legge sulla responsabilita' civile dei magistrati; b) che detta nuova legge 13 aprile 1988, n. 117, non puo' essere applicata ne' in relazione al profilo sostanziale ne' a quello processuale ad illeciti posti in essere dal magistrato anteriormente alla sua entrata in vigore; c) che nel primo caso (sistema normativo espresso negli artt. 55, 56 e 74 del c.p.c.) era previsto un penetrante filtro (autorizzazione del Ministro, quale condizione di procedibilita' della domanda); d) che non meno incisivo e' il filtro endoprocessuale (preventivo giudizio di ammissibilita') posto dalla legge n. 117/1988. In definitiva lo stesso legislatore, non potendo non aver presenti i principi sanciti dalla Costituzione (art. da 101 a 113) ha dimostrato di non potere lasciare scoperto uno spazio di tempo in cui fosse possibile qualsiasi incontrollato giudizio (diretto o indiretto) di responsabilita' nei confronti del giudice. Se puo' sembrare superfluo richiamare la costante ratio della necessita' del c.d. filtro chiaramente desumibile anche dai lavori parlamentari, appare nondimento necessario ricordare che la stessa Corte costituzionale ha, in ripetute pronuncie (sentenza 14 marzo 1968, n. 2, sentenza 3 febbraio 1987, n. 26, emessa in sede di deliberazione di ammissibilita' del referendum abrogativo in tema di responsabilita' dei magistrati) considerato necessario e rilevante la previsione di penetranti limiti e di precise condizioni in relazione al predetto giudizio di responsabilita' specie in considerazione della peculiarita' delle funzioni giudiziarie e della natura dei provvedimenti giudiziari anche alla luce degli inderogabili principii enunciati nella Costituzione sull'ordinamento giurisdizionale, sulla giurisdizione e sulla magistratura in genere. In base alle considerazioni che precedono pertanto non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa ad una normativa che consenta di instauare, senza un controllo preliminare, un giudizio di responsabilita' nei confronti del giudice. Nel caso di specie ad elevare il grado di non manifesta infondatezza della questione devesi considerare che la norma processuale concretamente applicabile altra non dovrebbe essere se non quella prevista nell'art. 56 del c.p.c. Detta norma infatti essendo organicamente inserita nella unitaria disciplina previgente (artt. 55, 56 e 74 del c.p.c.) non puo' razionalmente essere espunta relativamente alle posizioni sostanziali tuttora regolate da detto art. 55 del c.p.c. In altre parole sembra un assurdo logico e giuridico l'applicazione frammentaria di regole (sostanziali e processuali) saldamente legate da un contesto normativo unitario. Dal altro angolo visuale va ancora posto in rilievo che il citato art. 19, nel sancire espressamente la non applicabilita' delle norme delle legge n. 117/1988 ai fatti illeciti posti in essere dal magistrato (nei casi previsti dagli artt. 2 e 3) anteriormente alla sua entrata in vigore, non puo' non fare essenzialmente riferimento che alle norme processuali (apparendo superfluo sancire espressamente l'irretroattivita' di quelle sostanziali). Detta norma in definitiva avrebbe la funzione di introdurre una deroga al fondamentale principio processuale tempus regit actum nel senso che alle fattispecie poste in essere in passato (e regolate dal punto di vista sostanziale dall'art. 55 del c.p.c.) non si applica la nuova normativa processuale neppure allorquando il relativo giudizio venga introdotto successivamente all'entrata in vigore della nuova legge. La ratio della norma va individuata anche nel convincimento che relativamente ai giudizi per fatti illeciti commessi dal magistrato in passato potesse bastare la posticipazione dell'effetto abrogativo (d.P.R. n. 407/1988) del noto referendum popolare, vale a dire la prorogatio della norma processuale contenuta nell'art. 56 del c.p.c. Senonche' quello che si dava cosi' per implicito presupposto (approvazione della nuova legge entro i centoventi giorni di posticipazione dell'effetto abrogativo del referendum) sarebbe stato smentito dalla realta'. Conseguentemete puo' essere individuato un limitissimo periodo di tempo compreso fra l'8 aprile 1988 (scadenza della prorogatio) e il 16 aprile 1988 (entrata in vigore della nuova normativa) relativamente al quale non sarebbe comunque applicabile nessuna delle due regole processuale (nel caso in esame la citazione venne notificata ai convenuti il 12 aprile 1988, escluso Cassata cui la notifica venne effettuata il 28 giugno 1988). Cio' chiarito, e quale che sia l'interpretazione che si voglia dare del secondo comma del citato art. 19, balza comunque evidente l'irrazionalita' di detta norma formulata in modo tale da consentire che nei confronti di una categoria di magistrati (quelli contro cui si sia riusciti ad effettuare la notifica della citazione nel breve periodo 9-15 aprile 1988) sia possibile promuovere qualsiasi incontrollato giudizio di responsabilita' mentre nei riguardi di tutti gli altri magistrati in situazione identica operebbe comunque o l'art. 56 del c.p.c. o il filtro endoprocessuale previsto negli art. 5 e segg. della nuova legge. Piu' specificamente, sia in generale sia in relazione ai giudizi introdotti con atto notificato nel perito 9-15 aprile, deve ritenersi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' - sollevata di ufficio - dell'art. 19 della legge 13 aprile 1988, n. 117, in quanto non prevede anche per i giudizi introdotti in ordine a fatti attribuibili alla responsabilita' civile del magistrato - avvenuti prima della sua entrata in vigore - l'ultrattiva vigenza della condizione di procedibilita' prevista nell'art. 56 del c.p.c. con riferimento agli artt. 3, 28, 97 e da 101 a 113 della Costituzione. Da ultimo, atteso che l'attore non ha in ogni caso richiesto la previa autorizzazione ministeriale (e che comunque non ha avuto luogo il giudizio di ammissibilita' previsto nell'art. 5 della legge n. 117/1988) appare indubbia la sussistenza del requisito della rilevanza della suindicata questione di legittimita' costituzionale.
P.Q.M. Visti gli artt. 1 legge costituzionale 1 febbraio 1948, n. 1, 23 e 24 della legge 11 marzo 1953, n. 37; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19 della legge 13 aprile 1988, n. 117, nei limiti precisati in motivazione in riferimento agli artt. 3, 28, 97 e da 101 a 113 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile del tribunale di Roma il 18 dicembre 1989. Il presidente estensore: LO TURCO 90C0414