N. 94 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 ottobre 2015
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 19 ottobre 2015 (della Regione Veneto). Amministrazione pubblica - Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche - Semplificazioni amministrative - Carta della cittadinanza digitale - Istituzione del sistema della dirigenza pubblica - Deleghe per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche e dei servizi pubblici locali di interesse economico generale - Principi e criteri direttivi. - Legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), artt. 1, commi 1, lett. b), c) e g), e 2; 11, commi 1, lett. a), b), punto 2, lett. c), punti 1 e 2, lett. e), f), g), h), i), l), m), n), o), p) e q), e 2; 16, commi 1 e 4; 17, comma 1, lett. a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s) e t); 18, lett. a), b), c), e), i), l) e m), punti da 1 a 7; 19, lett. b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u); 23, comma 1.(GU n.50 del 16-12-2015 )
Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. 80007580279 - P.IVA 02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C9570), autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 1219 del 28 settembre. 2015 (all. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (C.F. ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano e Luigi Manzi (CF.MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org). Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 124 del 7 agosto 2015 recante: «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015: dell'art. 1, comma 1, lett. b), c) e g), e comma 2; dell'art. 23, comma 1; dell'art. 11, comma 1, lett a), b), p.to 2), lett. c), p.ti 1 e 2, lett. e), f), g), h), i), l), m), n), o), p), q), e comma 2; dell'art. 16, commi 1 e 4; dell'art. 17, comma 1, lett. a), b), e), d), e), f), l), m), o), q), r), s), t); dell'art. 18, lett. a), b), c), e), i), l) e m), punti da 1 a 7; dell'art. 19, lett. b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t), u); Motivi 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. b), c) e g), e comma 2, nonche' dell'art. 23, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli articoli 5, 81, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. L'art. 1, comma 1, reca una delega al Governo per l'emanazione di uno o piu' decreti legislativi volti a modificare e integrare, anche disponendone la delegificazione, il codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, il cui ambito di applicazione si estende anche alle Regioni. In particolare, alla lettera b) tra i criteri e principi direttivi prevede: «b) ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi, in relazione alle esigenze di celerita', certezza dei tempi e trasparenza nei confronti dei cittadini e delle imprese, mediante una disciplina basata sulla loro digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio "innanzitutto digitale" (digital first), nonche' l'organizzazione e le procedure interne a ciascuna amministrazione». Alla lettera c) poi dispone «garantire, in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea, la disponibilita' di connettivita' a banda larga e ultralarga e l'accesso alla rete internet presso gli uffici pubblici e altri luoghi che, per la loro funzione, richiedono le suddette dotazioni, anche attribuendo carattere prioritario, nei bandi per accedere ai finanziamenti pubblici per la realizzazione della strategia italiana per la banda ultralarga, all'infrastrutturazione con reti a banda ultralarga nei settori scolastico, sanitario e turistico, agevolando in quest'ultimo settore la realizzazione di un'unica rete wifi ad accesso libero, con autenticazione tramite Sistema pubblico per la gestione dell'identita' digitale (SPID), presente in tutti i luoghi di particolare interesse turistico, e prevedendo la possibilita' di estendere il servizio anche ai non residenti in Italia, nonche' prevedendo che la porzione di banda non utilizzata dagli uffici pubblici sia messa a disposizione degli utenti, anche non residenti, attraverso un sistema di autenticazione tramite SPID; garantire l'accesso e il riuso gratuiti di tutte le informazioni prodotte e detenute dalle amministrazioni pubbliche in formato aperto, l'alfabetizzazione digitale, la partecipazione con modalita' telematiche ai processi decisionali delle istituzioni pubbliche, la piena disponibilita' dei sistemi di pagamento elettronico nonche' la riduzione del divario digitale sviluppando le competenze digitali di base;». Alla lettera g) stabilisce: «favorire l'elezione di un domicilio digitale da parte di cittadini e imprese ai fini dell'interazione con le amministrazioni, anche mediante sistemi di comunicazione non ripudiabili, garantendo l'adozione di soluzioni idonee a consentirne l'uso anche in caso di indisponibilita' di adeguate infrastrutture e dispositivi di comunicazione o di un inadeguato livello di alfabetizzazione informatica, in modo da assicurare, altresi', la piena accessibilita' mediante l'introduzione, compatibilmente con i vincoli di bilancio, di modalita' specifiche e peculiari, quali, tra le altre, quelle relative alla lingua italiana dei segni». In questi termini, le suddette disposizioni, trascendono la mera funzione del coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, assegnata dall'art. 117, II comma, Cost. alla competenza esclusiva statale. Infatti secondo la giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte, l'accezione da attribuirsi all'inciso «coordinamento informativo» tipizzato alla lett. r) dell'art. 117, II comma, Cost. e' da intendersi Quale mero «coordinamento tecnico» (ex plurimis, Coste cost. nn. 17 del 2004, 36 del 2004 e 35 del 2005). E' pertanto acquisizione pacifica che la competenza statale in materia di «coordinamento informativo» debba essere intesa quale «potere limitato (per quanto riguarda le Regioni) ad un coordinamento meramente tecnico, per assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilita' tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione» (cosi' Corte cost. n. 17 del 2004). Al contrario, le disposizioni impugnate invadono vari ambiti competenziali di pertinenza regionale in materia, ad esempio, di sanita', turismo, attivita' di impresa e organizzazione amministrativa regionale, incidendo unilateralmente con prescrizioni che prevedono, tra le altre, che i decreti delegati debbano: «ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi» mediante «l'organizzazione e le procedure interne a ciascuna amministrazione» (lett. b); «che la porzione di banda non utilizzata dagli uffici pubblici sia messa a disposizione degli utenti, anche non residenti» (lett. c); «l'introduzione, compatibilmente con i vincoli di bilancio, di modalita' specifiche e peculiari, quali, tra le altre, quelle relative alla lingua italiana dei segni» (lett. g). Lungi dal collocarsi nell'alveo della definizione di regole tecniche, le disposizioni in esame sembrano piuttosto riferirsi all'esercizio di un potere di indirizzo politico trasversale a materie la cui spettanza, come gia' ricordato, e' senza alcun dubbio regionale. E' cosi', ad esempio, riguardo all'ipotesi di ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi incidendo sull'organizzazione e le procedure interne a ciascuna organizzazione (art. 1, comma 1, lett. b), cosi' come riguardo alla scelta relativa all'introduzione di «modalita' specifiche e peculiari» ai fini dell'elezione di un domicilio digitale da parte di cittadini e imprese (lett. g). In questo modo le disposizioni impugnate, stabilendo una serie di prescrizioni innovative destinate a interessare tutti i procedimenti amministrativi con cui l'amministrazione regionale e locale si rapporta con cittadini e imprese, determinano una generalizzata interferenza con ambiti materiali di competenza costituzionalmente assegnati alle Regioni ai sensi degli artt. 117, III e IV comma, e 118 della Costituzione, tra i quali la sanita', il turismo, i procedimenti amministrativi relativi all'attivita' di impresa. Se la direzione del processo di riforma, quella di favorire una maggiore digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, e' senz'altro condivisibile, va tuttavia osservato che non prevedendo, in violazione del principio di leale collaborazione, un adeguato coinvolgimento delle Regioni, l'intero processo si espone a seri rischi sia di diseconomie che di inefficacia. Infatti, nonostante le descritte interferenze con le materie regionali, evidentemente non risolvibili con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale, l'art. 1, al comma 2, prevede che i decreti legislativi di cui al comma 1 siano adottati su proposta del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, solo «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», da rendere «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». Le violazioni costituzionali del principio di leale collaborazione sono quindi molteplici: i) innanzitutto viene previsto un termine eccessivamente breve: come precisato da questa Ecc.ma Corte «costituisce un insuperabile motivo di illegittimita' costituzionale la predeterminazione di un termine irragionevolmente breve» (sent. n. 274 del 2013) (che nel caso di specie era di 60 gg.!); ii) anche a prescindere da questo aspetto, e' di ogni evidenza che il suddetto parere costituisce uno strumento di partecipazione inidoneo ad assicurare una adeguata ponderazione degli interessi e delle esigenze delle autonomie. Questa Ecc.ma Corte nella sent. n. 31 del 2005 ha, infatti, stabilito che: «La previsione del mero parere della Conferenza unificata non costituisce, nella specie, una misura adeguata a garantire il rispetto del principio di leale collaborazione. Per quanto l'oggetto delle norme di cui ai commi 1 e 2, cui rinvia la disposizione in esame, sia riconducibile, nei limiti esposti, alla materia del «coordinamento informativo statistico e informatico» di spettanza esclusiva del legislatore statale, lo stesso presenta un contenuto precettivo idoneo a determinare una forte incidenza sull'esercizio concreto delle funzioni nella materia dell'«organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali». Cio' rende necessario garantire un piu' incisivo coinvolgimento di tali enti nella fase di attuazione delle disposizioni censurate mediante lo strumento dell'intesa: da qui la illegittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 3, della legge n. 289 del 2002 nella parte in cui prevede che sia «sentita la Conferenza unificata» anziche' che si raggiunga con la stessa Conferenza l'intesa.» (Corte cost. n. 31 del 2005); iii) inoltre, questa Ecc.ma Corte (sentenza n. 39 del 2013) ha recentemente precisato con molta chiarezza che la prescrizione collaborativa, quando vi sia una interferenza con le materie regionali, non puo' ridursi (come fa invece la norma impugnata) al semplice decorso del tempo, previsto come unica condizione per l'adozione unilaterale dell'atto ad opera dello Stato: «Il rilievo nazionale degli interessi menzionati nella norma censurata non e' da solo sufficiente a rendere legittimo il superamento dei limiti alla potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni fissati dal riparto costituzionale delle competenze. Difatti, l'accentramento dell'esercizio di funzioni amministrative da parte dello Stato «puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'. Il semplice decorso del tempo - previsto dalla norma impugnata come unica condizione per l'adozione unilaterale dell'atto ad opera dello Stato - per sua natura prescinde completamente dall'osservanza, da parte di Stato e Regioni, di comportamenti ispirati al principio di leale collaborazione. Quale che sia l'atteggiamento delle parti nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per l'adozione dell'atto, si verifica, secondo la richiamata previsione legislativa statale, la concentrazione della potesta' di decidere in capo ad una di esse. Cio' anche nell'ipotesi che proprio lo Stato abbia determinato, con l'inerzia o con altri comportamenti elusivi, l'inutile decorrenza del termine. Per le ragioni esposte, non puo' essere condiviso l'assunto della difesa erariale, che la prestazione collaborativa da parte dello Stato possa ridursi alla mera attesa della scadenza del termine». In questi termini, il raccordo con le Regioni, si dimostra altamente insufficiente e lesivo del principio di bilateralita', in quanto il mancato raggiungimento dell'accordo (il cui termine, come detto, peraltro e' decisamente troppo breve) legittima, di per se', l'assunzione unilaterale di atti normativi in contrasto con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale. Da cio' deriva la lesione degli artt. 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione. Inoltre, dal momento che sia all'art. 1, comma 1, (dove si prevede la «invarianza delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»), sia all'art. 23 (Disposizioni finanziarie) si stabilisce che dall'attuazione della legge in oggetto e dai decreti legislativi da essa previsti non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale, appare chiaro, vista la richiamata interferenza con i procedimenti amministrativi inerenti materie regionali, che si impone un nuovo e improprio onere di finanziamento della riforma in capo alle Regioni, in violazione degli artt. 81, la cui lesione ridonda sulle competenze regionali, e 119 della Costituzione. L'assunzione di nuovi modelli tecnologici imposta dalla normativa statale comporta, infatti, inevitabilmente dei costi per la Regione, ma rispetto a questi si omette di destinare le risorse aggiuntive che occorrono a coprire gli oneri conseguenti all'espletamento delle azioni necessarie. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1, lett. a), b), p.to 2), lett. c), p.ti 1 e 2, lett. e), f), g), h), i), l), m), n), o), p), q), e comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 117, e IV comma, e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. L'art. 11, comma 1, delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvo quanto previsto dall'art. 17, comma 2, della stessa legge 124/2015, uno o piu' decreti legislativi in materia di dirigenza pubblica, prevedendo l'istituzione del sistema della dirigenza pubblica, articolato in ruoli unificati e coordinati, aventi requisiti omogenei di accesso e procedure analoghe di reclutamento e fondati sui principi del merito, dell'aggiornamento, della formazione continua. Viene quindi disposta la realizzazione di tre ruoli unici in cui sono ricompresi, rispettivamente, i dirigenti dello Stato, i dirigenti regionali e i dirigenti degli enti locali ed in cui confluiscono altresi' le attuali figure dei segretari comunali e provinciali. In particolare, al suddetto comma 1, si prevede che i decreti legislativi siano adottati nel rispetto di principi e criteri direttivi che comportano: (lett. a) l'istituzione del sistema della dirigenza pubblica e che inoltre stabiliscono (lett. b, p.to 2) con riferimento all'inquadramento dei dirigenti delle Regioni: «istituzione, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di un ruolo unico dei dirigenti regionali; in sede di prima applicazione, confluenza nel suddetto ruolo dei dirigenti di ruolo nelle regioni, negli enti pubblici non economici regionali e nelle agenzie regionali; attribuzione della gestione del ruolo unico a una Commissione per la dirigenza regionale, sulla base dei medesimi criteri di cui al numero 1) della presente lettera; inclusione nel suddetto ruolo unico della dirigenza delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e della dirigenza amministrativa, professionale e tecnica del Servizio sanitario nazionale ed esclusione dallo stesso, ferma restando l'applicazione dell'art. 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria del Servizio sanitario nazionale». Vengono poi indicati, in modo generalizzato anche per i dirigenti regionali criteri e principi direttivi che disciplinano (lett. c) l'accesso alla dirigenza nelle forme del (p.to 1) corso-concorso e (p.to 2) concorso. Nonche' che disciplinano: alla lett. e) la formazione permanente dei dirigenti; alla lett. f) la mobilita', peraltro, stabilendo anche la previsione dei casi e delle condizioni nei quali non e' richiesto il previo assenso delle amministrazioni di appartenenza per la mobilita' della dirigenza medica e sanitaria. Alla lett. g) si prevede poi una articolata serie di criteri direttivi in ordine riferimento al conferimento degli incarichi dirigenziali e alla lett. h) alla durata degli stessi. Alla lett. i) si stabiliscono criteri e principi direttivi in ordine ai dirigenti privi di incarico; alla lett. l) in riferimento alla valutazione dei risultati; alla lett. m) con riferimento alla responsabilita' dei dirigenti; alla lett. n) con riferimento alla retribuzione; alla lett. o) con riferimento alla disciplina transitoria. La lett p) detta poi principi e criteri direttivi con «riferimento al conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario, nonche', ove previsto dalla legislazione regionale, di direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando quanto previsto dall'art. 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, per quanto attiene ai requisiti, alla trasparenza del procedimento e dei risultati, alla verifica e alla valutazione». La stessa lett. p) prevede poi la «definizione dei seguenti principi fondamentali, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione: selezione unica per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che procede secondo le modalita' del citato art. 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni; sistema di verifica e di valutazione dell'attivita' dei direttori generali che tenga conto del raggiungimento degli obiettivi sanitari e dell'equilibrio economico dell'azienda, anche in relazione alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza e dei risultati del programma nazionale valutazione esiti dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; decadenza dall'incarico e possibilita' di reinserimento soltanto all'esito di una nuova selezione nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato decorsi ventiquattro mesi dalla nomina, o nel caso di gravi o comprovati motivi, o di grave disavanzo o di manifesta violazione di leggi o regolamenti o del principio di buon andamento e imparzialita'; selezione per titoli e colloquio, previo avviso pubblico, dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari, nonche', ove previsti dalla legislazione regionale, dei direttori dei servizi socio-sanitari, in possesso di specifici titoli professionali, scientifici e di carriera, effettuata da parte di commissioni regionali composte da esperti di qualificate istituzioni scientifiche, per l'inserimento in appositi elenchi regionali degli idonei, aggiornati con cadenza biennale, da cui i direttori generali devono obbligatoriamente attingere per le relative nomine; decadenza dall'incarico nel caso di manifesta violazione di' leggi o regolamenti o del principio di buon andamento e imparzialita'; definizione delle modalita' per l'applicazione delle norme adottate in attuazione della presente lettera alle aziende ospedaliero-universitarie». Da ultimo, la lettera q) stabilisce la «previsione di ipotesi di revoca dell'incarico e di divieto di rinnovo di conferimento di incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose». In questi termini, tutte le suddette disposizioni si pongono in contrasto con «la costante giurisprudenza di questa Corte» (sentenza n. 149 del 2012) che ha ritenuto che «l'impiego pubblico anche regionale deve ricondursi, per i profili privatizzati del rapporto, all'ordinamento civile e quindi alla competenza legislativa statale esclusiva, mentre i profili «pubblicistico-organizzativi» rientrano nell'ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione (ex multis, sentenze n. 63 del 2012, nn. 339 e 77 del 2011, n. 233 del 2006, n. 2 del 2004)» (cfr., in termini analoghi, sent. n. 100 del 2010) Le disposizioni dell'art. 11, comma 1, lett. a), b), p.to 2), lett. c), p.ti 1 e 2, lett. e), f) g), h), i), l), m), n), o), e q) infatti stabiliscono puntuali principi e criteri direttivi rivolti a disciplinare direttamente anche la dirigenza regionale, senza che intervenga alcuna distinzione e qualificazione, all'interno di questi, di quei «principi generali dell'ordinamento» che soli sarebbero idonei a vincolare la potesta' legislativa regionale in materia (Corte cost. sent. n. 388/2004). In base all'ordinamento vigente, peraltro, e' particolarmente esteso l'ambito di competenza legislativa residuale delle Regioni in relazione alla propria dirigenza (la valenza fondamentalmente «pubblicistico-organizzativa» del rapporto di lavoro dirigenziale e' peraltro confermata dalla collocazione della «Dirigenza» nella parte dedicata alla «Organizzazione», nel Titolo II, Capo II, del d.lgs. n. 165/2001), essendo numerosi e rilevanti i profili del rapporto di lavoro dirigenziale riconducibili all'«ordinamento e organizzazione amministrativa»: reclutamento e sistemi di accesso ai ruoli della dirigenza, dotazioni organiche e incompatibilita', disciplina del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali (cfr. Corte cost. n. 233/2006), nonche' quella della responsabilita' dirigenziale e delle relative misure sanzionatorie (cfr. Corte cost n. 36/2005). Di conseguenza, con riferimento alla dirigenza si presentano piu' ridotti, rispetto al personale non dirigente, i profili del rapporto riconducibili alla potesta' legislativa dello Stato in materia di «ordinamento civile», in quanto «privatizzati» e «contrattualizzati» dal legislatore statale. In ogni caso, gia' anche in via generale la giurisprudenza costituzionale ha ricondotto all'«ordinamento e organizzazione amministrativa»: l'accesso al pubblico impiego e i concorsi (inclusi quelli per le progressioni di carriera), essendo la relativa disciplina, «per i suoi contenuti marcatamente pubblicistici e la sua intima correlazione con l'attuazione dei principi sanciti dagli artt. 51 e 97 Cost, sottratta all'incidenza della privatizzazione del lavoro presso le pubbliche amministrazioni, che si riferisce alla disciplina del rapporto gia' instaurato» (Corte cost. n. 380/2004) (1) , per cui «la regolamentazione delle modalita' di accesso al lavoro pubblico regionale e' riconducibile alla materia dell'organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra nella competenza residuale delle Regioni di cui all'art. 117, quarto comma, della Costituzione» (Corte cost. n. 95/2008); le «dotazioni organiche» (Corte cost. n. 37/2005); le «incompatibilita'» (Corte cost. n. 147/2005); la «responsabilita' amministrativa» dei dipendenti (Corte cost. n. 345/2004). Si tratta di ambiti in cui intervengono direttamente le disposizioni impugnate. Tuttavia, a differenza di quanto stabilito in precedenti riforme (come quella promossa dalla legge delega n. 15/2009 che espressamente, all'art. 2, comma 2, richiedeva, per l'adozione emanazione dei decreti legislativi in materia di dirigenza, la previa «Intesa» con le Regioni) le norme impugnate si limitano a prevedere un'intesa solo (lett. b, p.to 2) con riferimento all'istituzione del ruolo unico dei diligenti regionali, disponendo, invece, al comma 2 dell'art. 11 che i decreti legislativi di cui al comma l siano adottati «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» che deve essere reso «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione», «decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». In questi termini, nonostante le descritte interferenze con le materie regionali, evidentemente non risolvibili con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale, si prevede una forma di raccordo con le Regioni altamente insufficiente, lesiva del principio di bilateralita', in quanto il mancato raggiungimento dell'accordo (il cui termine peraltro e' decisamente troppo breve) legittima, di per se', l'assunzione unilaterale di atti normativi in contrasto con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale richiamata nei punti i), ii) e iii) del punto 1 del presente ricorso. Inoltre, le disposizioni della lett. f), nello stabilire un principio generale di ampliamento delle ipotesi di mobilita' senza considerare che la selezione dei dirigenti in servizio e' avvenuta sulla base dell'accertamento di specifiche competenze tecniche da parte dell'ente che ha bandito il concorso si pongono in contrasto anche con il principio di ragionevolezza e buon andamento, la cui lesione ridonda sulle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni in materia prima richiamate. Nello stesso vizio incorrono le disposizioni della lett. i) con riferimento ai dirigenti privi di incarico riguardo alla disciplina della decadenza dal ruolo unico: esse determinano, infatti, una reformatio in peius del regime vigente con una violazione del principio del legittimo affidamento (cfr. sent. n. 160 del 2013) e del buon andamento della Pubblica amministrazione, che incidendo sul principio di autonomia dell'amministrazione dalla politica, ridondano in una lesione delle competenze regionali sopra ricordate. Dai motivi complessivamente sopra esposti deriva la lesione degli artt. 3 e 97 della Cost. che ridonda nella violazione, anche autonomamente considerata, degli artt. 117, III e IV comma, 118, e degli artt. 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione. Quanto alla lett. p), che detta criteri direttivi per la definizione di principi fondamentali riguardo al conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo, di direttore sanitario e di direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, e' evidente che con tali norme il legislatore delegante ha «formulato principi e criteri direttivi che tali non sono, per concretizzarsi invece in norme di dettaglio» (Corte cost. n. 50/2005), che comprimono indebitamente, stante l'attinenza della materia alla tutela della salute e all'organizzazione amministrativa regionale (rientrante nella competenza regionale residuale, come sopra dimostrato), le competenze costituzionalmente garantite alla regione. E' infatti evidente che dalla portata stringente dei principi e criteri direttivi individuati per la selezione dei dirigenti sanitari (dalla definizione dei titoli formativi e professionali, alla valutazione da parte di una commissione nazionale, alla predisposizione di un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, alla definizione di un sistema di verifica e di valutazione che consideri i risultati del programma nazionale valutazione esiti dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ecc.) non residua alcuno spazio a favore della legislazione regionale (cfr. Corte cost. n. 161/2006). Il che configura anche una disciplina del tutto irragionevole e contraria al principio del buon andamento della Pubblica amministrazione, che ridonda in una violazione delle competenze costituzionali regionali, posto che la Regione e' poi l'unica responsabile del corretto governo, anche finanziario, del sistema sanitario regionale. Eppure anche in questo caso, in violazione della giurisprudenza costituzionale richiamata al punto.1, lett. i), ii) e iii) del presente ricorso, si applica la procedura di cui al comma 2, per cui i decreti legislativi sono adottati solo previa acquisizione del parere della Conferenza unificata, da rendere entro quarantacinque giorni, decorsi i quale il Governo puo' comunque procedere. Si deve quindi escludere che nel caso di specie si sia in presenza di una legittima chiamata in sussidiarieta'. Da cio' deriva, anche in questo caso, la lesione degli artt. 3 e 97 della Cost., che ridonda nella violazione, anche autonomamente considerata, degli artt. 117, III e IV comma, 118 e degli artt. 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 1 e 4, della legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. L'art. 16, comma 1, che detta i criteri comuni alle tre successive deleghe previste dagli artt. 17, 18 e 19 della legge 124/2015, prevede la elaborazione di distinti testi unici diretti alla semplificazione disposizioni nelle materie: lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche; riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale. Tuttavia, il collegamento tra l'art. 16 e i successivi articoli 17, 18 e 19 fa si' che non si tratti di una mera delega alla semplificazione, ma che si tratti, in realta', di semplificazione e riorganizzazione. Nonostante le molteplici interferenze dei suddetti principi e criteri direttivi previsti dai suddetti artt. 17, 18 e 19, con competenze regionali di cui agli artt. 117, III e IV comma, come l'organizzazione amministrativa regionale, il trasporto pubblico locale e i servizi pubblici locali (si veda, infra, p.ti da 4 a 6 del presente ricorso), e 119 Cost., al comma 4 dell'art. 16 si prevede, come nelle altre disposizioni qui impugnate, che i suddetti decreti legislativi siano adottati «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» che deve essere reso «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione», «decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». In questi termini, nonostante le descritte interferenze con le materie regionali, evidentemente non risolvibili con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale, si prevede una forma di raccordo con le Regioni altamente insufficiente, lesiva del principio di bilateralita', in quanto il mancato raggiungimento dell'accordo (il cui termine peraltro e' decisamente troppo breve) legittima, di per se', l'assunzione unilaterale di atti normativi in contrasto con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale richiamata nei punti i), ii) e iii) del punto l del presente ricorso. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, lett. a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s), t), della legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. L'art. 17, comma 1, definisce nei seguenti termini i principi e criteri direttivi per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: lett. a) riconoscimento nei concorsi pubblici della professionalita' acquisita da coloro che abbiano avuto rapporti di lavoro flessibile con amministrazioni pubbliche; lett. b) disciplina delle prove concorsuali in modo da privilegiare l'accertamento della capacita' dei candidati di utilizzare e applicare a problemi specifici e casi concreti nozioni teoriche; c) accentramento dei concorsi per tutte le amministrazioni pubbliche e la revisione delle modalita' di espletamento degli stessi,; lett. d) soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai concorsi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni; lett. e) previsione dell'accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue, quale requisito di partecipazione al concorso o titolo di merito valutabile dalle commissioni giudicatrici, secondo modalita' definite dal bando anche in relazione ai posti da coprire; lett. f) valorizzazione del titolo di dottore di ricerca; lett. l) la riorganizzazione delle funzioni di accertamento medico legale in caso di assenze dei dipendenti pubblici per malattia, con l'attribuzione all'INPS delle relative competenze al fine di garantire l'effettivita' dei controlli; lett. m) definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in base agli effettivi fabbisogni; lett. o) disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative fattispecie, caratterizzate dalla compatibilita' con la peculiarita' del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato; lett. q) il progressivo superamento della dotazione organica come limite per le assunzioni, anche al fine di facilitare i processi di mobilita'; lett. r) semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici, di riconoscimento del merito e di premialita'; razionalizzazione e integrazione dei sistemi di valutazione, anche al fine della migliore valutazione delle politiche; sviluppo di sistemi distinti per la misurazione dei risultati raggiunti dall'organizzazione e dei risultati raggiunti dai singoli dipendenti; potenziamento dei processi di valutazione indipendente del livello di efficienza e qualita' dei servizi e delle attivita' delle amministrazioni pubbliche e degli impatti da queste prodotti, anche mediante il ricorso a standard di riferimento e confronti; lett. s) introduzione di norme in materia di responsabilita' disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare, t) rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione. Le disposizioni citate stabiliscono principi e criteri direttivi rivolti a disciplinare direttamente anche il pubblico impiego regionale, senza che intervenga, anche in questo caso, alcuna distinzione e qualificazione, all'interno di questi, di quei «principi generali dell'ordinamento» che soli sarebbero idonei a vincolare la potesta' legislativa regionale in materia (Corte cost. n. 388/2004). Ma come ricordato al p.to 2 del presente ricorso, secondo la costante giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte, «l'impiego pubblico anche regionale deve ricondursi, per i profili privatizzati del rapporto, all'ordinamento civile e quindi alla competenza legislativa statale esclusiva, mentre i profili «pubblicistico-organizzativi» rientrano nell'ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione (ex multis, sentenze n. 63 del 2012, nn. 339 e 77 del 2011, n. 233 del 2006, n. 2 del 2004)» (sent. n. 149 del 2012, cfr. inoltre sent. n. 100 del 2010). Da questo punto di vista si deve ritenere che rientri nella competenza regionale la disciplina: dei procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; delle responsabilita' giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure amministrative; degli organi, degli uffici e dei modi di conferimento della titolarita' dei medesimi; dei principi fondamentali di organizzazione degli uffici; dei ruoli e le dotazioni organiche nonche' la loro consistenza complessiva. Si tratta di ambiti in cui illegittimamente intervengono le disposizioni impugnate. Tuttavia, anche in relazione a questa fattispecie si evidenzia la differenza da quanto stabilito nelle precedenti riforme e in particolate da quella disposta dalla legge delega n. 15/2009 che espressamente disponeva che la maggior parte dei decreti legislativi fosse adottata «previa intesa» in sede di Conferenza unificata (art. 2, co. 2, l. n. 15/2009). Anche in questo caso - stante il richiamo che alle materie di cui al medesimo art. 17 e' operato dal succitato art. 16 - i relativi decreti legislativi di riordino sono, invece, adottati «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» che deve essere reso «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione», «decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». L'illegittimita' della presente disposizione deriva quindi anche dall'insufficiente forma di raccordo prevista con il sistema regionale, stante il combinato disposto con l'art. 16 succitato e in questa sede impugnato. Nonostante le molteplici interferenze che i principi e criteri direttivi previsti dall'art. 17 presentino con le competenze regionali di cui agli artt. 117, III e IV comma, e 119, Cost., evidentemente non risolvibili con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale, si dispone, infatti, una forma di raccordo con le Regioni altamente insufficiente, lesiva del principio di bilateralita', in quanto il mancato raggiungimento dell'accordo (il cui termine peraltro e' decisamente troppo breve) legittima, di per se', l'assunzione unilaterale di atti normativi in contrasto con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale (richiamata al precedente p.to 1, lett. i), ii) e iii) del presente ricorso. Da cio' deriva la lesione degli artt. 117, II, III e IV comma, 118, 119, 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, lett a), b), c), e), i), l) e m), punti da 1 a 7, della legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. L'art. 18 delega il Governo a operare un riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche, e, trascendendo quanto puo' legittimamente essere ricondotto alle competenze statali in materia di tutela della concorrenza e coordinamento della finanza pubblica (si ricorda che la regione Veneto ha gia' impugnato l'art. 1, commi 611 e 612, della legge n. 190/2014) prevede come principi e criteri direttivi, tra l'altro: lett. a) ricorso ad una varieta' di tipologie societarie in relazione alle attivita' svolte e agli interessi pubblici di riferimento, con applicazione di distinte discipline, derogando "proporzionalmente" alla disciplina privatistica; lett. b) ridefinizione delle regole, delle condizioni e soprattutto dei limiti per la costituzione di societa' o per l'assunzione o il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche; lett. c) definizione di un preciso regime che regoli le responsabilita' degli amministratori degli enti partecipanti e degli organi delle societa' partecipate; lett. e) razionalizzazione del regime pubblicistico per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive; lett. i) possibilita' di piani di rientro per le societa' con bilanci in disavanzo con eventuale commissariamento; lett. l) regolazione dei flussi finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione pubblica e societa' partecipate secondo i criteri di parita' di trattamento tra imprese pubbliche e private e operatore di mercato. Vengono poi previsti specifici criteri direttivi in relazione al riordino delle societa' partecipate dagli enti locali: in particolare, alla lett. m), punti da 1 a 7: stabilire i criteri di scelta della forma societaria piu' adeguata per le societa'; per le societa' che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale, individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che comportino obblighi di liquidazione delle societa'; rafforzamento delle misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di qualita', efficienza, efficacia ed economicita', anche attraverso la riduzione dell'entita' e del numero delle partecipazioni e l'incentivazione dei processi di aggregazione, intervenendo sulla disciplina dei rapporti finanziari tra ente locale e societa' partecipate nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e al fine di una maggior trasparenza; promozione della trasparenza; introduzione di un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei principi di razionalizzazione e riduzione di cui al presente articolo, basato anche sulla riduzione dei trasferimenti dello Stato alle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni in materia; introduzione di strumenti, anche contrattuali, volti a favorire la tutela dei livelli occupazionali nei processi di ristrutturazione e privatizzazione relativi alle societa' partecipate. In questi termini le disposizioni delle lett. a), b), c), e), i), l) dell'art. 18 non precisando il loro ambito di applicazione - si' da risultare dunque riferite anche per le societa' partecipate dalle Regioni - si pongono in contrasto con l'autonomia organizzativa delle Regioni riconosciuta da questa Ecc.ma Corte costituzionale. Nella sentenza n. 229/2013 si precisa, infatti, che disposizioni statali rivolte a vietare - come prefigurano le lett. a) e b), peraltro anche in relazione alla societa' esistenti - alle Regioni di assumere o mantenere partecipazioni in societa' pubbliche comportano l'illegittima conseguenza di sottrarre alle Regioni medesime «la scelta in ordine alle modalita' organizzative di svolgimento delle attivita' di produzione di beni o servizi strumentali alle proprie finalita' istituzionali ... In sostanza, [...] precludono anche alle Regioni, titolari di competenza legislativa residuale e primaria in materia di organizzazione, costituzionalmente e statutariamente riconosciuta e garantita, la scelta di una delle possibili modalita' di svolgimento dei servizi strumentali alle proprie finalita' istituzionali. [...]» e «incidono, pertanto, sulla materia dell'organizzazione e funzionamento della Regione, affidata dall'art. 117, quarto comma, Cost., alla competenza legislativa regionale residuale delle Regioni ad autonomia ordinaria ..., tenuto conto che esse inibiscono in radice una delle possibili declinazioni dell'autonomia organizzativa regionale» (sent. n. 229/2013). Inoltre, la lett. c) delega il Governo a definire la responsabilita' - peraltro senza alcuna specificazione, con una formula dunque idonea a ricomprendere qualsivoglia tipologia di responsabilita' - non solo degli organi delle societa' partecipate, ma anche «degli amministratori delle amministrazioni partecipanti», senza alcuna considerazione che in questi termini l'intervento governativo e' destinato a sconfinare anche nell'ambito della «responsabilita' amministrativa» del personale regionale che, come in precedenza evidenziato al p.to 2 (Corte cost. n. 345/2004), esula dalla competenza statale. Ancora, la lett. e) prevedendo razionalizzazione del regime pubblicistico per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, non considera le competenze regionali nella materia dell'organizzazione e funzionamento della Regione, ad essa affidata dall'art. 117, quarto comma, Cost. Inoltre, la lett. i) delega il Governo a prevedere la «possibilita' di piani di rientro per le societa' con bilanci in disavanzo con eventuale commissariamento», senza considerare che, come affermato dalla sent. n. 249/2009 di questa Ecc.ma Corte e' solo alla Regione che «spetta provvedere a regolare dettagliatamente modalita' e termini di esercizio del proprio potere sostitutivo» in ambiti ricollegati, come quello in esame, alla competenza della propria legislazione. Infine, la lett. l) interviene sulla regolazione dei flussi finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione pubblica e societa' partecipate, senza nessuna considerazione dell'autonomia finanzia regionale di cui all'art. 119 Cost. Quanto, da ultimo, alla lett. m) che detta, nei punti da 1 a 7, specifici criteri direttivi in relazione al riordino delle societa' partecipate dagli enti locali, e' evidente che tale criteri direttivi per come sono formulati, sacrificano integralmente la competenza regionale a legiferare sulle societa' dagli enti locali, non lasciando alcuno spazio per l'intervento regolativo della Regione, nonostante questa Ecc.ma Corte ne abbia riconosciuto e valorizzato l'esistenza, come, ad es., nella sent. n. 29/2006 legittimando una normativa regionale che, per le societa' a capitale interamente pubblico cui sia stata conferita dagli enti locali la proprieta' di reti, impianti e dotazioni patrimoniali, destinati all'esercizio dei servizi pubblici, stabilisce un limite minimo (40 per cento del capitale sociale) per la partecipazione azionaria del socio privato, da scegliere con procedura di evidenza pubblica, nella societa' mista cui puo' essere conferita la titolarita' della gestione del servizio pubblico di rilevanza economica. In questi termini le norme impugnate risultano in contrasto con il principio di proporzionalita', dal momento che non si configurano come il mezzo meno invasivo (si veda Corte cost. n. 272 del 2004, cit. al punto successivo del presente ricorso) per disciplinare la tutela della concorrenza e il coordinamento della finanza pubblica, con una lesione che evidentemente ridonda sulle competenze regionali. In ogni caso, risultano poi violare il principio di leale collaborazione. Come anche in relazione alle lettere precedenti dell'art. 18, a), b), c), e), i), l), anche in relazione all'ambito materiale oggetto della lett. p), infatti, a fronte della compressione della competenza normativa in ambiti di loro spettanza, per il combinato disposto tra l'art. 18 e l'art. 16 i relativi decreti legislativi di riordino sono adottati «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» che deve essere reso «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione», «decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». Nonostante le molteplici interferenze dimostrate con le competenze regionali di cui agli artt. 117, III e IV comma, e 119, Cost., evidentemente non risolvibili con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale, si dispone, quindi, una forma di raccordo con le Regioni altamente insufficiente, lesiva del principio di bilateralita', in quanto il mancato raggiungimento dell'accordo (il cui termine peraltro e' decisamente troppo breve) legittima, di per se', l'assunzione unilaterale di un provvedimento, in contrasto con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale (richiamata al precedente p.to 1, lett. i), ii) e iii) del presente ricorso. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, lett. b), e), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t), u), della legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. L'art. 19 reca una delega legislativa al Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali d'interesse economico generale, rivolta, in particolare, alla previsione di una disciplina generale in materia di regolazione e di organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale. Nello specifico, trascendendo quanto legittimamente puo' essere ricondotto alla competenza statale in materia di tutela della concorrenza e coordinamento della finanza pubblica, viene previsto: lett. b) soppressione, previa ricognizione, dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non conformi ai principi generali in materia di concorrenza e comunque non indispensabili per assicurare la qualita' e l'efficienza del servizio; lett. c) individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale, compresa la definizione dei criteri per l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi; lett. d) definizione, anche mediante rinvio alle normative di settore e armonizzazione delle stesse, dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; lett. g) individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari che tengano conto degli incrementi di produttivita' al fine di ridurre l'aggravio sui cittadini e sulle imprese; lett. h) definizione delle modalita' di tutela degli utenti dei servizi pubblici locali; lett. l) previsione di una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le funzioni di gestione dei servizi, anche attraverso la modifica della disciplina sulle incompatibilita' o sull'inconferibilita' di incarichi o cariche; lett. m) revisione della disciplina dei regimi di proprieta' e gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonche' di cessione dei beni in caso di subentro, in base a principi di tutela e valorizzazione della proprieta' pubblica, di efficienza, di promozione della concorrenza, di contenimento dei costi di gestione, di semplificazione; lett. n) individuazione e allocazione dei poteri di regolazione e controllo tra i diversi livelli di governo e le autorita' indipendenti, al fine di assicurare la trasparenza nella gestione e nell'erogazione dei servizi, di garantire l'eliminazione degli sprechi, di tendere al continuo contenimento dei costi aumentando nel contempo gli standard qualitativi dei servizi; lett. o) previsione di adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi; lett. p) introduzione e potenziamento di forme di consultazione dei cittadini e di partecipazione diretta alla formulazione di direttive alle amministrazioni pubbliche e alle societa' di servizi sulla qualita' e sui costi degli stessi; lett. s) definizione del regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di violazione della disciplina in materia; lett. t) armonizzazione con la disciplina generale delle disposizioni speciali vigenti nei servizi pubblici locali, relative alla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro; lett. u) definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di servizio, relativi a servizi pubblici locali di interesse economico generale, da parte degli enti affidanti anche attraverso la definizione di contratti di servizio tipo per ciascun servizio pubblico locale di interesse economico generale. Tali disposizioni, essendo rivolte al riordino dell'intero settore dei servizi pubblici locali d'interesse economico generale hanno un ambito di - applicazione estremamente ampio e sono destinate a interferire con materie come quella dei servizi pubblici del trasporto pubblico locale, certamente rientranti in tale ambito (cfr. in via piu' generale sent. n. 325/2010 dove questa Ecc.ma Corte precisa la corrispondenza tra la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica con quello di «servizi di interesse generale in ambito locale» di rilevanza economica, facendo entrambe le nozioni riferimento infatti «ad un servizio che: a) e' reso mediante un'attivita' economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in senso ampio, come "qualsiasi attivita' che consista nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato" (come si esprimono sia la citata sentenza della Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia, sia le sentenze della stessa Corte 10 gennaio 2006, C-222/04, Ministero dell'economia e delle finanze, e 16 marzo 2004, cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, nonche' il Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, al paragrafo 2.3, punto 44); b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioe', a realizzare anche "fini sociali" nei confronti di una indifferenziata generalita' di cittadini)». Da questo punto di vista e' quindi preliminare precisare che questa Ecc.ma Corte, nella sentenza n. 222 del 2005, ha chiarito che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell'ambito delle competenze residuali delle Regioni di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost., «come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 422/1997 [...] aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi forma affidati» ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale». Cio' premesso, appare chiaro che le norme in oggetto, intervengono su ambiti certamente rimessi, in una materia come quella indicata, alla competenza regionale residuale in materia di trasporto pubblico locale e organizzazione amministrativa regionale e degli enti locali. Esse, infatti, dettano criteri direttivi rivolti, nell'ordine, a: sopprimere i regimi di esclusiva, ma non solo quelli non conformi ai principi generali in materia di concorrenza, ma anche quelli non indispensabili per assicurare la qualita' e l'efficienza del servizio; definire i criteri per l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi; definire i criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali; nonche': dei regimi tariffari; delle modalita' di tutela degli utenti dei servizi pubblici locali; delle incompatibilita' o dell'inconferibilita' di incarichi o cariche; dei regimi di gestione delle reti; della allocazione dei poteri di regolazione e controllo tra i diversi livelli di governo. Detti criteri direttivi intervengono a: prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi; introdurre e potenziare le forme di consultazione dei cittadini e la partecipazione; definire il regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi; definire strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di servizio. Da questo punto di vista l'intervento statale trascende i limiti entri cui deve attenersi la trasversalita' della materia «tutela della concorrenza» perche', come questa Ecc.ma Corte ha precisato, con la sentenza n. 272 del 2004: «Il criterio della proporzionalita' e dell'adeguatezza appare quindi essenziale per definire l'ambito di operativita' della competenza legislativa statale attinente alla "tutela della concorrenza" e conseguentemente la legittimita' dei relativi interventi statali. Trattandosi infatti di una cosiddetta materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, la quale non ha un'estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma, per cosi' dire, "trasversale" (cfr. sentenza n. 407 del 2002), poiche' si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni - connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese, e' evidente la necessita' di basarsi sul criterio di proporzionalita-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato» (Corte cost. n. 272 del 2004). Nel caso di specie, questo criterio di proporzionalita' appare chiaramente violato, con una ripercussione sulle competenze, sopra richiamate, delle Regioni. Inoltre, a fronte della dimostrata invadenza della normativa statale su evidenti ambiti di competenza regionale e del completo sacrificio della potesta' legislativa regionale riguardo alla possibilita' di adottare le proprie scelte di organizzazione, nemmeno viene prevista una adeguata forma di raccordo con le Regioni. Per il combinato disposto tra l'art. 19 e l'art. 16, infatti, i relativi decreti legislativi di riordino sono adottati «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» che deve essere reso «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione», «decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». Nonostante le molteplici interferenze con le competenze regionali di cui agli artt. 117, III e IV comma, e 119 Cost., evidentemente non risolvibili con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale, si dispone, quindi, una forma di raccordo con le Regioni altamente insufficiente, lesiva del principio di bilateralita', in quanto il mancato raggiungimento dell'accordo (il cui termine peraltro e' decisamente troppo breve) legittima, di per se', l'assunzione unilaterale di atti normativi in contrasto con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale (richiamata al precedente p.to 1, lett. l), ii) e iii) del presente ricorso. (1) Nella sentenza si afferma, quindi, che la regolamentazione dell'accesso ai pubblici impieghi mediante concorso e' riferibile all'ambito della competenza esclusiva statale, sancita dall'art. 117, secondo comma, lett. g), Cost., solo per quanto riguarda i concorsi indetti dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici nazionali. Non altrettanto puo' dirsi per l'accesso agli impieghi presso le Regioni e gli altri enti regionali. Ed invero, ha affermato la Corte, la regolamentazione delle modalita' di accesso al lavoro pubblico regionale - in quanto riconducibile alla materia innominata dell'organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali - e' preclusa allo Stato (a maggior ragione attraverso disposizioni di dettaglio), e spetta alla competenza residuale delle Regioni (v. sentenza n. 2/2004), ovviamente nel rispetto dei limiti costituzionali (v. sentenza n. 274/2003). Ha pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 53 della legge n. 289 del 2002 nella parte in cui si applicava ai concorsi banditi dalle Regioni o dagli enti regionali.
P. Q. M. La Regione del Veneto chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 124 del 7 agosto 2015 recante: «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015: dell'art. 1, comma 1, lett. b), c) e g), e comma 2, nonche' dell'art. 23, comma 1, per violazione degli articoli 5, 81, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; dell'art. 11, comma 1, lett. a), b), p.to 2), lett. c), p.ti 1 e 2, lett. e), f), g), h), i), l), m), n), o), p), q), e comma 2, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 117, III e IV comma, e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; dell'art. 16, commi 1 e 4, per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; dell'art. 17, comma 1, lett. a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s), t), per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; dell'art. 18, lett. a), b), c), e), i), l) e m), punti da 1 a 7, per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, ll8 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; dell'art. 19, lett. b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t), u), per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; Si depositano: 1) delibera della Giunta Regionale n. 1219 del 28 settembre 2015 di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale; Venezia-Roma, 8 ottobre 2015 Avv. Ezio Zanon Avv. prof. Luca Antonini Avv. Luigi Manzi