N. 97 SENTENZA 5 - 22 maggio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di
  detenzione - Divieto di scambiare oggetti - Necessaria applicazione
  anche ai detenuti appartenenti al medesimo gruppo di  socialita'  -
  Irragionevolezza e contrasto con  il  finalismo  rieducativo  della
  pena - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, comma 2-quater,  lettera
  f). 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
(GU n.22 del 27-5-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  41-bis,
comma 2-quater, lettera f), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative  della  liberta'),  promossi  dalla  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, nei procedimenti a carico di G.  G.
e C. G., con due  ordinanze  del  23  ottobre  2019,  rispettivamente
iscritte ai numeri 222 e 223 del registro ordinanze 2019 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  50,  prima   serie
speciale, dell'anno 2019. 
    Visti gli atti di costituzione di G. G. e di C.  G.  nonche'  gli
atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito il Giudice relatore Nicolo'  Zanon  ai  sensi  del  decreto
della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1) lettere  a)
e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in  data  5
maggio 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 maggio 2020 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La  Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,  con  due
ordinanze di analogo tenore, adottate in pari data e  nella  medesima
composizione collegiale (rispettivamente iscritte ai numeri 222 e 223
del registro ordinanze 2019), ha sollevato, in riferimento agli artt.
3 e 27 della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge  26  luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta'), «nella parte  in
cui  prevede  che  siano  adottate  tutte  le  necessarie  misure  di
sicurezza  volte  a  garantire  che  sia   assicurata   la   assoluta
impossibilita'  di  scambiare  oggetti  per  i  detenuti  in   regime
differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialita'». 
    2.- Nel giudizio iscritto al r.o. n. 222 del  2019,  il  collegio
rimettente  riferisce  che  la  vicenda  sottoposta  al   vaglio   di
legittimita' nasce dal  reclamo  al  Magistrato  di  sorveglianza  di
Spoleto  proposto  da  G.   G.,   detenuto   sottoposto   al   regime
differenziato ex art.  41-bis  ordin.  penit.,  avverso  l'ordine  di
servizio del 15 marzo 2015 con il quale  la  direzione  dell'istituto
penitenziario ha  comunicato  il  divieto  di  scambiare  oggetti  di
qualunque genere, quand'anche realizzato tra detenuti appartenenti al
medesimo gruppo di socialita', a seguito delle innovazioni  apportate
al citato regime differenziato dalla legge  15  luglio  2009,  n.  94
(Disposizioni  in  materia  di  sicurezza   pubblica).   Secondo   il
reclamante, lo  scambio  di  oggetti,  e  in  particolare  di  generi
alimentari «provenienti dai consueti canali (pacco famiglia, acquisti
effettuati attraverso il circuito interno dell'istituto penitenziario
in  base  al  cd.  mod.  72)»,  non  poteva  mettere  a  rischio   il
perseguimento delle finalita' cui e' preordinato il regime carcerario
previsto dall'art. 41-bis ordin. penit., considerato che  i  detenuti
interessati allo scambio erano gia' stati ammessi «a fruire in comune
la cd. socialita'». 
    Espone ancora il rimettente che il Magistrato di sorveglianza  di
Spoleto ha dichiarato inammissibile il reclamo  presentato  ai  sensi
dell'art. 35-bis  ordin.  penit.,  conformemente  a  quanto  previsto
dall'art. 4,  comma  l,  della  circolare  del  2  ottobre  2017,  n.
3676/6126, del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (d'ora
innanzi: DAP), non potendosi  riconoscere  la  sussistenza  di  alcun
diritto  soggettivo  avente  ad  oggetto  «il  passaggio  di   generi
alimentari ad altri ristretti». 
    Tale provvedimento di inammissibilita' era  oggetto  di  reclamo,
accolto, dinnanzi al Tribunale di sorveglianza di Perugia. Secondo il
collegio,  lo  scambio  di  oggetti  (e  di  generi   alimentari   in
particolare, provenienti dai pacchi famiglia,  dal  sopravvitto,  dal
cibo  somministrato  dalla  stessa   amministrazione   penitenziaria)
riceverebbe tutela in base al combinato disposto degli artt. 35-bis e
69, comma 6, lettera b), della legge n. 354  del  1975.  Dovrebbe  in
particolare riconoscersi un diritto soggettivo «a fruire  di  momenti
di socialita' tra persone ristrette» anche al detenuto  sottoposto  a
regime  differenziato,  il  quale  puo'  condividere  la   cosiddetta
socialita' all'interno del relativo "gruppo", secondo quanto previsto
dallo stesso art. 41-bis ordin. penit. e dall'art. 3.1  della  citata
circolare  del  DAP.  Del  resto,  sempre  secondo  il  Tribunale  di
sorveglianza, essendo lo  scambio  di  oggetti  comunque  limitato  a
quelli  di  «modico  valore»  -  in  base  alla  previsione  generale
dell'art. 15 del decreto del Presidente della  Repubblica  30  giugno
2000,   n.   230   (Regolamento   recante   norme    sull'ordinamento
penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta') -
non sarebbe possibile configurare alcuna  «posizione  di  supremazia»
tra i detenuti. In definitiva, il divieto di scambio tra soggetti del
medesimo gruppo di socialita' non sarebbe giustificabile in forza  di
«ragioni di sicurezza», non potendosi rilevare «alcuna congruita' tra
lo stesso e il fine perseguito dal regime  differenziato,  costituito
dalla necessita'  di  recidere  i  collegamenti  tra  il  detenuto  e
l'associazione criminale di appartenenza». Infine, sempre secondo  il
collegio, poiche' i  detenuti  appartenenti  al  medesimo  gruppo  di
socialita' possono incontrarsi liberamente, dovrebbe escludersi  che,
attraverso il divieto di scambio di oggetti di modico  valore  (e  di
generi alimentari),  possa  essere  «neutralizzato  il  pericolo  per
l'ordine e la sicurezza costituito dal passaggio di comunicazioni non
consentite, potendo le stesse essere trasmesse oralmente». 
    Riferisce la Corte di cassazione rimettente che,  sulla  base  di
tali  premesse,  il  Tribunale  di  sorveglianza  di   Perugia,   con
ordinanza, ha disposto la disapplicazione dell'art. 4, comma l, della
circolare del DAP del 2 ottobre 2017 e dell'ordine di servizio  della
direzione  della  casa   di   reclusione,   oggetto   dell'originaria
impugnazione. Ricorda inoltre la Corte come sia stato  ordinato  alla
stessa direzione di emettere un diverso ordine di servizio,  volto  a
consentire il passaggio di oggetti  e  di  generi  alimentari  tra  i
detenuti facenti parte del  medesimo  gruppo  di  socialita'  cui  il
reclamante e' assegnato. 
    Contro questa ordinanza ha proposto  ricorso  per  cassazione  il
Ministero della giustizia, sostenendo che  l'interpretazione  fornita
dal  Tribunale  di  sorveglianza  di   Perugia   sarebbe   «contraria
all'inequivoco  tenore  letterale»  della   disposizione   censurata.
Quest'ultima, «secondo  quanto  confermato  dalla  giurisprudenza  di
legittimita'», non consentirebbe di superare il divieto di scambio di
oggetti  anche  tra  detenuti  appartenenti  al  medesimo  gruppo  di
socialita': secondo il ricorrente, la  formulazione  letterale  della
disposizione, «chiarissima nello statuire  che  solo  il  divieto  di
comunicazione ammette  deroga  all'interno  del  medesimo  gruppo  di
socialita'», si giustificherebbe con la considerazione che lo scambio
di oggetti non sarebbe «cosi' essenziale alla socializzazione come il
comunicare», risultando quindi ragionevole il divieto  di  procedervi
nell'ambito del «bilanciamento tra l'interesse  alla  socializzazione
del detenuto  e  l'interesse  (fondante  il  regime  del  41-bis)  ad
arginare flussi informativi tra detenuti in regime speciale». 
    2.1.- Cio' premesso in punto di  fatto,  il  collegio  rimettente
evidenzia che la disposizione  censurata  prevede,  testualmente,  la
adozione  di  «tutte  le  necessarie  misure  di   sicurezza,   anche
attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione,
volte a garantire che sia assicurata la  assoluta  impossibilita'  di
comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di  socialita',
scambiare oggetti e cuocere cibi». 
    Ricostruisce, poi, l'interpretazione di tale disposizione offerta
dalla giurisprudenza di legittimita', riproducendo,  in  particolare,
brani della motivazione della sentenza  della  Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, 8 febbraio 2017, n. 5977, secondo cui  «tenendo
conto del significato e della connessione delle parole  e  dei  segni
grafici  utilizzati,  nonche'  del  senso  logico  del  testo»,  deve
ritenersi, «soprattutto in considerazione dell'inserimento del  segno
di  interpunzione  della  virgola  fra  le  parole   "socialita'"   e
"scambiare", (...) che, nel periodo sintattico  in  esame,  le  varie
proposizioni riferite a comportamenti  dei  detenuti,  in  ordine  ai
quali va perseguita la "assoluta  impossibilita'"  di  realizzazione,
siano costituiti, per un  verso,  dalla  comunicazione  fra  detenuti
appartenenti a diversi gruppi di socialita' e, per altro verso, dallo
scambio di oggetti e dalla cottura di cibi».  Diversamente,  infatti,
«la disposizione avrebbe contemplato "la assoluta  impossibilita'  di
comunicare e scambiare oggetti tra detenuti  appartenenti  a  diversi
gruppi di socialita', e di cuocere cibi"». Pertanto, il perseguimento
della  "assoluta  impossibilita'"  deve  ritenersi   «riferito   alle
comunicazioni  fra  detenuti  appartenenti  a   diversi   gruppi   di
socialita', con l'ovvia conseguenza che non e' richiesto di  impedire
in modo cosi' radicale le comunicazioni fra i  detenuti  appartenenti
al  medesimo  gruppo  di  socialita'»;  mentre  «la   necessita'   di
assicurare la "assoluta  impossibilita'"  dello  scambio  di  oggetti
riguarda tutti gli scambi fra detenuti, e non  e'  limitata  ai  soli
scambi fra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita'». 
    Il   collegio   rimettente   afferma    di    condividere    tale
interpretazione, ribadita in diverse successive pronunce della  Corte
di  legittimita'  (sono  richiamate  le  sentenze  della   Corte   di
cassazione, sezione prima penale, 4 luglio 2019, n. 29301 e n. 29300,
e 1° febbraio 2018, n. 4993), sicche' esclude di poter  pervenire  «a
un epilogo esegetico di significato opposto a quello fatto palese dal
significato delle parole che quell'enunciato compongono». 
    2.2.- Cio' premesso, ritiene la  Corte  di  legittimita'  che  la
disposizione censurata, nella parte  in  cui  impone  il  divieto  di
scambio di oggetti tra detenuti appartenenti al  medesimo  gruppo  di
socialita',  proprio  perche'  non  suscettibile   di   assumere   un
differente   significato,   sia   incompatibile   con   il    dettato
costituzionale. 
    Il  giudice  a  quo  muove  dal  presupposto  che,   secondo   la
giurisprudenza costituzionale,  la  funzione  della  sospensione  del
regime  penitenziario  ordinario  prevista  dall'art.  41-bis  ordin.
penit. sarebbe quella di «rescindere i  collegamenti  ancora  attuali
sia tra i detenuti  che  appartengano  a  determinate  organizzazioni
criminali, sia tra gli stessi e gli altri  componenti  del  sodalizio
che si trovano in liberta'».  Un  obiettivo  perseguito  mediante  la
previsione  di  una  serie  di  significative  restrizioni  a  quegli
istituti dell'ordinamento penitenziario che, ordinariamente rivolti a
favorire  il  reinserimento  sociale  dei  detenuti,  sono   tuttavia
suscettibili di favorire il mantenimento dei contatti con  l'ambiente
esterno  e,  in  particolare,  con  la   consorteria   criminale   di
appartenenza,  consentendo  ai  reclusi  di  continuare  a  impartire
direttive all'esterno o di mantenere, anche dall'interno del carcere,
il controllo sulle attivita' criminose dell'associazione (sono citate
le pronunce n. 122 del 2017, n. 143 del 2013, n. 417 del 2004, n. 192
del 1998 e n. 376 del 1997). 
    Ricorda,   tuttavia,   che   quella    medesima    giurisprudenza
costituzionale avrebbe imposto due limiti al regime differenziato. 
    Il primo vincolo, direttamente  discendente  dall'art.  3  Cost.,
atterrebbe «alla congruita'  della  misura  applicata  rispetto  allo
scopo che essa  persegue»,  sicche'  non  potrebbero  essere  imposte
misure non riconducibili alla concreta esigenza di tutelare  l'ordine
e  la  sicurezza  e,  come  tali,  aventi  una   «portata   puramente
afflittiva», ingiustificabile anche laddove mirassero  a  uno  «scopo
"dimostrativo", volto cioe' a privare una categoria  di  detenuti  di
quelle che vengono considerate manifestazioni  di  "potere  reale"  e
occasioni per aggregare intorno ad  essi  "consenso"  traducibile  in
termini  di  potenzialita'  offensive  criminali».   Tale   finalita'
andrebbe,  piuttosto,  perseguita   attraverso   la   definizione   e
l'applicazione rigorosa e imparziale  delle  regole  del  trattamento
carcerario (viene richiamata la sentenza n. 351 del 1996). 
    Il secondo limite discenderebbe dai principi fissati nell'art. 27
Cost., in forza dei quali le restrizioni disposte ai sensi  dell'art.
41-bis, comma 2, ordin. penit. non  potrebbero  mai  essere  tali  da
«vanificare completamente la necessaria finalita'  rieducativa  della
pena e da violare il divieto di  trattamenti  contrari  al  senso  di
umanita'» (sono richiamate le sentenze n. 149 del 2018,  n.  351  del
1996 e n. 349 del 1993). 
    A parere del collegio rimettente, mentre il divieto di comunicare
tra detenuti appartenenti a  diversi  gruppi  di  socialita'  «appare
effettivamente funzionale a garantire gli  obiettivi  di  prevenzione
della misura», l'ulteriore disposizione, concernente  il  divieto  di
scambio di oggetti, in quanto riferito, indifferentemente, a tutti  i
detenuti in regime differenziato, ancorche' appartenenti al  medesimo
gruppo di socialita', non potrebbe, invece, ritenersi  «funzionale  a
fronteggiare alcun pericolo per la sicurezza pubblica, assumendo "una
portata meramente afflittiva"». 
    Secondo il giudice a quo, infatti, solo lo scambio di oggetti tra
soggetti  assegnati  a  differenti  gruppi  di  socialita'   potrebbe
consentire   di   veicolare    informazioni    tra    detenuti    che
l'amministrazione penitenziaria ha ritenuto di non ammettere ad alcun
tipo di comunicazione tra loro, «proprio per interrompere ogni  forma
di  relazione  e  per  ovviare  al  pericolo  della  circolazione  di
determinate conoscenze». Tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo
di socialita', viceversa, tale «essenziale  esigenza»  sarebbe,  «per
definizione,  inesistente,  dal  momento  che   proprio   la   comune
appartenenza al medesimo gruppo consentirebbe, a monte, lo scambio di
qualunque  contenuto  informativo;  e  cio'  senza  dover  ricorrere,
appunto, allo scambio di oggetti». 
    Nella visione del collegio rimettente, neppure potrebbe ritenersi
che il divieto di scambio di oggetti possa giustificarsi in  rapporto
alla necessita' di impedire che taluno degli appartenenti al medesimo
gruppo di socialita' possa acquisire, attraverso  tale  scambio,  una
posizione   di   supremazia   nel   contesto   penitenziario.    Tale
convincimento e' rafforzato nel rimettente dalla sentenza n. 186  del
2018  della  Corte  costituzionale,  secondo  cui  il   manifestarsi,
all'interno del carcere, di forme di "potere" dei detenuti piu' forti
o piu' facoltosi, suscettibili anche di rafforzare le  organizzazioni
criminali,  deve  essere  impedito  «attraverso  la   definizione   e
l'applicazione rigorosa e imparziale  delle  regole  del  trattamento
carcerario» e «non potrebbe, per converso, considerarsi legittimo,  a
questo scopo, l'impiego di misure piu' restrittive nei  confronti  di
singoli detenuti in funzione di  semplice  discriminazione  negativa,
non altrimenti  giustificata,  rispetto  alle  regole  e  ai  diritti
valevoli per tutti». 
    A tale proposito, ricorda ancora il rimettente,  gia'  la  regola
generale, posta dall'art. 15 del d.P.R. n.  230  del  2000,  consente
solo la cessione o lo scambio di beni «di "modico valore"»: nel  caso
di specie,  verrebbero  in  questione  generi  alimentari  (zucchero,
caffe' et similia) o, comunque, di  prima  necessita'  (per  l'igiene
personale o la pulizia della cella) inviati dall'esterno -  e  quindi
ulteriormente limitati ai sensi  dell'art.  41-bis,  comma  2-quater,
lettera c), ordin. penit. - o acquistati al  cosiddetto  sopravvitto,
sicche' la possibilita' di un utilizzo di beni  di  rilevante  valore
quale mezzo di accrescimento del potere in ambito carcerario dovrebbe
«ritenersi esclusa in radice». 
    Gia' in relazione al solo art. 3 Cost.,  dunque,  il  divieto  in
esame configurerebbe «una ingiustificata  disparita'  di  trattamento
rispetto  ai  ristretti  in  regime  ordinario  e  una  irragionevole
limitazione dal significato inutilmente vessatorio». 
    La stessa preclusione, per altro,  contrasterebbe  anche  con  il
principio del finalismo rieducativo della pena, di  cui  all'art.  27
Cost., oltre ad integrare una  limitazione  al  regime  penitenziario
ordinario contraria al senso di umanita': una volta stabilito che  il
diritto alla socialita' debba essere  esercitato  nell'ambito  di  un
limitato gruppo di detenuti, selezionato dalla stessa amministrazione
penitenziaria in ragione della necessita' di impedire il mantenimento
dei legami con il contesto criminale  di  provenienza,  la  ulteriore
limitazione conseguente all'applicazione del  divieto  imposto  dalla
disposizione censurata, nell'impedire «anche quelle forme "minime" di
socialita' che si estrinsecano nello scambio  di  oggetti  di  scarso
valore e di immediata utilita' o di generi alimentari tra persone che
si frequentano "senza filtri" ogni giorno e  in  una  prospettiva  di
normalita' di rapporti interpersonali», finirebbe per realizzare  una
non consentita limitazione dei principi presidiati dall'art. 27 Cost. 
    2.3.- Quanto al profilo della rilevanza, il  collegio  rimettente
evidenzia che solo la declaratoria di illegittimita'  costituzionale,
sia pure in parte qua, dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera  f),
ordin.  penit.  «farebbe  venire  meno  la  base  legale  degli  atti
dell'Amministrazione penitenziaria in relazione  ai  quali  e'  stato
proposto il reclamo» e,  segnatamente,  dell'ordine  di  servizio  15
marzo 2015 e della circolare n. 3676/6126  del  2017  successivamente
emanata dal DAP. Una tale pronuncia determinerebbe «il  riespandersi,
anche per tale categoria di reclusi, delle previsioni generali legate
al diritto alla socialita' quale momento essenziale  del  trattamento
penitenziario» e, dunque, anche della facolta' di cedere «oggetti  di
modico valore» accordata a detenuti e internati dall'art.  15,  comma
2, del d.P.R. n. 230 del 2000, sicche' anche per i reclusi sottoposti
al regime differenziato diventerebbe esperibile il reclamo  previsto,
per il caso  della  lesione  di  diritti  soggettivi,  dal  combinato
disposto degli artt. 35-bis, comma 3, e  69,  comma  6,  lettera  b),
ordin. penit., in virtu' dei quali il magistrato di sorveglianza,  se
accerta  la  sussistenza  e  l'attualita'  del  pregiudizio,   ordina
all'amministrazione  penitenziaria  di   porvi   rimedio   entro   un
determinato termine. Evidenzia il collegio rimettente, infatti,  che,
sebbene il  comma  2-sexies  dell'art.  41-bis  ordin.  penit.  abbia
limitato il sindacato giurisdizionale sul regime  detentivo  speciale
alla verifica della sussistenza  dei  presupposti  applicativi,  deve
comunque ritenersi esperibile un controllo giudiziale  sul  contenuto
dell'atto (viene richiamata la sentenza n. 190 del 2010  della  Corte
costituzionale), oggi esercitabile, appunto, attraverso lo  strumento
del reclamo di cui all'art. 35-bis ordin. penit. 
    2.4.- Si e' costituito  G.  G.,  condividendo  le  argomentazioni
dell'ordinanza  di  rimessione  e  chiedendo   l'accoglimento   delle
questioni di legittimita' costituzionale in essa sollevate. La  parte
sottolinea, in particolare, quanto affermato nella  sentenza  n.  186
del   2018   della   Corte   costituzionale,   che   ha    dichiarato
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  41-bis,  comma  2-quater,
lettera f), ordin.  penit.,  limitatamente  alle  parole  «e  cuocere
cibi». 
    3.- Nel giudizio iscritto al r.o. n. 223 del  2019,  il  collegio
rimettente espone, in punto di fatto, che C. G., sottoposto al regime
differenziato previsto dall'art. 41-bis, ordin.  penit,  ha  proposto
reclamo, ai sensi dell'art. 35-bis ordin. penit.,  al  Magistrato  di
sorveglianza di Spoleto, contro l'ordine di servizio  n.  40  del  22
dicembre  2017,   sulla   cui   base   la   direzione   dell'istituto
penitenziario ha disposto  che,  in  conformita'  dell'art.  4  della
circolare del DAP n. 3676/6126 del 2017, a decorrere dal  15  gennaio
2018 deve ritenersi  vietato  lo  scambio  di  oggetti  di  qualunque
genere, quand'anche realizzato tra detenuti appartenenti al  medesimo
"gruppo  di   socialita'".   Il   reclamante   si   sarebbe   trovato
improvvisamente impossibilitato a scambiare, con i  detenuti  inclusi
nel gruppo di socialita' di appartenenza, generi alimentari e oggetti
destinati all'igiene personale o alla pulizia della stanza detentiva. 
    Con ordinanza del 27 marzo 2018, il Magistrato di sorveglianza di
Spoleto ha accolto il reclamo, ordinando alla direzione dell'istituto
penitenziario di adottare un ordine di servizio tale da circoscrivere
il divieto in questione  ai  soli  detenuti  non  facenti  parte  del
medesimo gruppo di socialita'. 
    Contro il provvedimento di accoglimento ha  proposto  reclamo  il
Ministero della giustizia, chiedendo al Tribunale di sorveglianza  di
Perugia l'annullamento dell'ordinanza  impugnata,  sulla  base  della
considerazione  che  il  divieto  di  scambio  di  generi  alimentari
"infragruppo" sarebbe funzionale, non solo ad impedire  posizioni  di
predominio tra i detenuti, ma anche ad evitare che vengano  occultati
beni, oggetti o messaggi  diretti  a  mantenere  i  contatti  con  il
sodalizio criminoso. 
    Il Tribunale di sorveglianza di Perugia ha rigettato il  reclamo,
per motivi analoghi a quelli illustrati al  precedente  punto  2.  In
aggiunta, ha  osservato  che  gli  scambi  in  esame,  quando  ancora
autorizzati, non hanno mai previsto la traditio diretta del bene  tra
un detenuto e l'altro, essendo inibito ai reclusi di portare con  se'
degli oggetti all'uscita  della  stanza  detentiva,  con  le  modeste
deroghe (bottiglietta d'acqua,  pacchetto  di  fazzoletti  di  carta,
eccetera) previste dall'art.11.2 della piu'  volte  citata  circolare
DAP del 2 ottobre 2017 e sussistendo, in ogni caso,  «il  filtro  del
controllo visivo quale ulteriore meccanismo a presidio  di  eventuali
comunicazioni fraudolente». 
    Avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di  Perugia  ha
proposto  ricorso  per  cassazione  il  Ministero  della   giustizia,
articolando le medesime considerazioni gia' illustrate in precedenza,
in relazione al giudizio r.o. n. 222 del 2019. 
    3.1.- In punto di rilevanza e di non manifesta  infondatezza,  il
giudice  a  quo  adduce   argomentazioni   coincidenti   con   quelle
dell'ordinanza iscritta al  r.o.  n.  222  del  2019,  illustrate  ai
precedenti punti 2.2 e 2.3. 
    3.2.-  Si  e'  costituito  C.   G.,   aderendo   all'impostazione
dell'ordinanza  di  rimessione  e  chiedendo   l'accoglimento   delle
questioni di legittimita' costituzionale. 
    4.- In entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  depositando  atti  di   analogo   tenore   e
concludendo per la non fondatezza delle questioni. 
    Secondo l'Avvocatura generale dello Stato,  se  la  funzione  del
regime speciale e'  quella  di  impedire  determinate  comunicazioni,
risulta «evidente» che anche la socialita', nei  particolari  termini
in cui e' consentita, «non e' altro che un momento  di  dialogo  che,
necessario perche' il detenuto conservi la possibilita' di  mantenere
i rapporti sociali, puo' comunque trasformarsi in uno  strumento  per
la trasmissione di messaggi all'esterno, che  possono  transitare  ai
familiari di taluno degli interlocutori». 
    Al fine di ridurre tale concreto rischio, il legislatore non solo
avrebbe circoscritto gli incontri intramurari del detenuto sottoposto
al regime differenziato al solo gruppo di socialita' di appartenenza,
ma  avrebbe  anche  disposto  che  all'interno  di  tale  gruppo   le
comunicazioni  non  assumano  modalita'  diverse  da  quelle   forme,
gestuali o verbali, con le quali si  intrecciano,  primariamente,  le
relazioni umane. 
    La scelta del legislatore di vietare lo scambio o la cessione  di
oggetti anche con altri detenuti appartenenti al medesimo  gruppo  di
socialita' avrebbe lo scopo di neutralizzare (o  quantomeno  ridurre)
«il  concreto  e  serio  rischio  che  si  vanifichino  le  peculiari
finalita' che quel regime mira a tutelare»: in  assenza  del  divieto
censurato, infatti, si consentirebbe «di  veicolare  all'interno  del
gruppo  informazioni   il   cui   contenuto   sarebbe   difficilmente
intellegibile da parte del personale dell'Amministrazione, nonostante
gli eventuali controlli auditivi o  visivi  apprestati,  [...]  anche
qualora ne fosse autorizzata l'intercettazione da parte dell'A.G.». 
    Secondo  l'Avvocatura,  a  qualunque  oggetto  sarebbe  possibile
attribuire    convenzionalmente    un    determinato     «significato
comunicativo», anche quando la res sia priva di una valenza simbolica
intrinseca, sicche', tramite  lo  scambio  di  oggetti  fra  detenuti
appartenenti allo stesso  gruppo  di  socialita',  si  finirebbe  per
consentire anche l'eventuale «passaggio di informazioni criptate  fra
detenuti sottoposti  al  regime  speciale  all'interno  dell'ambiente
carcerario e poi, per il  tramite  dei  colloqui  di  costoro  con  i
familiari, anche all'esterno». 
    In   definitiva,   il   legislatore,   con   una   scelta    «non
irragionevole», avrebbe voluto evitare che lo scambio di oggetti, sia
pure all'interno dello stesso  gruppo  di  socialita',  possa  essere
utilizzato come forma di comunicazione non verbale e, come tale,  «di
assai piu' difficile leggibilita'  nello  svolgimento  dei  necessari
controlli a cui i detenuti sono sottoposti». 
    Inoltre, sempre secondo l'Avvocatura  generale,  per  il  tramite
dello scambio o della  cessione  di  oggetti  potrebbero  affermarsi,
all'interno  dello  stesso   gruppo   di   socialita',   logiche   di
sopraffazione che condurrebbero «il detenuto piu' debole, per carisma
personale o  per  carica  rivestita  all'interno  dell'organizzazione
criminale di appartenenza, a soggiacere alle prevaricazioni di uno di
quei pochi  soggetti  con  i  quali  egli  puo'  avere  contatti  con
immaginabili  conseguenze  in  termini   di   sicurezza   all'interno
dell'istituto penitenziario». 
    Per gli stessi motivi, l'Avvocatura considera «non pertinente» il
richiamo operato dalle ordinanze di rimessione  alla  sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  186  del  2018,  con  la  quale  e'  stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt.
3 e 27 Cost., l'art.  41-bis,  comma  2-quater,  lettera  f),  ordin.
penit., limitatamente alle parole «e cuocere cibi».  L'interveniente,
infatti, riconosce che il divieto  di  cuocere  cibi,  che  la  norma
invalidata  imponeva  ai  soli  detenuti  in  regime   differenziato,
implicava una deroga ingiustificata all'ordinario regime  carcerario,
perche' dotata di  valenza  «meramente  e  ulteriormente  afflittiva,
incongrua e inutile»  rispetto  alle  esigenze  che  giustificano  il
regime differenziato. Ritiene, pero', che quella medesima valutazione
non si  attagli  al  divieto  di  scambio  di  oggetti  tra  detenuti
sottoposti al regime suddetto: diversamente dal  divieto  di  cuocere
cibi (attivita' quest'ultima  ritenuta  ontologicamente  estranea  al
concetto di comunicazione), il divieto  qui  censurato  «sottende  la
necessita' di evitare [...] che lo scambio di  oggetti  possa  essere
utilizzato come forma di comunicazione non verbale tra  detenuti,  di
complessa decifrabilita' in fase di controllo». 
    5.-  Entrambe  le  parti,  in  prossimita'  dell'udienza,   hanno
depositato memorie, ribadendo le conclusioni gia' avanzate negli atti
di costituzione. 
    Esse replicano  all'argomento  addotto  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, secondo cui all'oggetto scambiato si potrebbe attribuire
un significato comunicativo convenzionale da trasmettere all'esterno:
in particolare, la parte costituita nel giudizio iscritto al r.o.  n.
222 del 2019 osserva  che,  nel  corso  dei  colloqui  visivi  con  i
familiari, i detenuti  non  possono  portare  alcun  oggetto,  «fatta
eccezione per una bottiglia di  acqua  (priva  dell'etichetta)  e  un
pacchetto di fazzoletti di carta» e  che  tali  colloqui  sono  video
registrati, sicche' «qualunque gesto o parola di  dubbio  significato
viene annotata e segnalata alla competente Autorita'». 
    6.- L'Avvocatura generale dello Stato ha depositato, in  data  15
aprile 2020, e dunque tardivamente, ulteriori memorie. 
    7.- In data 28  aprile  2020,  in  forza  delle  nuove  modalita'
previste dal punto 1), lettera c), del decreto della Presidente della
Corte costituzionale del 20 aprile 2020, l'Avvocatura generale  dello
Stato ha depositato, in entrambi i giudizi, brevi note finalizzate  a
svolgere alcune  puntualizzazioni,  alla  luce  delle  considerazioni
sviluppate  dalle   parti   nelle   memorie   depositate   in   vista
dell'udienza, ribadendo, in  conclusione,  la  richiesta  di  rigetto
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  in  quanto   non
fondate. Con la nota relativa al giudizio iscritto al r.o. n. 223 del
2019,  ha  aggiunto  di  ritenere  «necessario  che  il   legislatore
individui divieti specifici, sottratti  alla  discrezionalita'  della
singola struttura, al  fine  di  pervenire  al  raggiungimento  delle
predette esigenze di sicurezza sottese all'istituto dell'art  41  bis
ord. pen.», non potendo rimettersi  «ad  una  valutazione  "caso  per
caso"» il  divieto  di  cessione  di  oggetti  o  cose  tra  detenuti
appartenenti al medesimo gruppo di socialita'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La  Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,  con  due
ordinanze di analogo tenore, solleva, in riferimento agli artt.  3  e
27  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge  26  luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta'), «nella parte  in
cui  prevede  che  siano  adottate  tutte  le  necessarie  misure  di
sicurezza  volte  a  garantire  che  sia   assicurata   la   assoluta
impossibilita'  di  scambiare  oggetti  per  i  detenuti  in   regime
differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialita'». 
    2.- In entrambi i giudizi, la Corte di legittimita' rimettente si
trova a decidere su ricorsi proposti dal  Ministero  della  giustizia
avverso ordinanze emesse dal Tribunale di  sorveglianza  di  Perugia,
investito da reclami proposti in ordine alle modalita' attuative  del
regime penitenziario differenziato  di  cui  all'art.  41-bis  ordin.
penit. e, in particolare, del  divieto  di  scambio  di  oggetti  tra
detenuti previsto dal comma 2-quater,  lettera  f)  dell'articolo  da
ultimo citato  e  applicato  dall'amministrazione  penitenziaria  con
appositi ordini di servizio, anche in esecuzione della circolare  del
2 ottobre 2017, n. 3676/6126, del  Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria (d'ora innanzi: DAP). 
    Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Perugia  -  nel  primo  caso
accogliendo il reclamo del detenuto, nell'altro rigettando quello del
Ministero della giustizia - ha ordinato ai direttori  degli  istituti
penitenziari di consentire lo scambio  di  oggetti  (in  particolare,
generi alimentari provenienti dai pacchi famiglia, dal sopravvitto  o
dal cibo somministrato dalla  stessa  amministrazione  penitenziaria,
nonche' beni di prima necessita', per l'igiene personale o la pulizia
della cella) tra  detenuti  soggetti  al  regime  speciale  ai  sensi
dell'art. 41-bis ordin. penit., e appartenenti al medesimo gruppo  di
socialita'. 
    La disposizione censurata prevede,  testualmente,  l'adozione  di
«tutte  le  necessarie  misure   di   sicurezza,   anche   attraverso
accorgimenti di natura logistica sui locali di  detenzione,  volte  a
garantire che sia assicurata la assoluta impossibilita' di comunicare
tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di  socialita',  scambiare
oggetti» («e cuocere cibi», recitava la norma prima della sentenza n.
186 del 2018 di questa Corte, che l'ha dichiarata  costituzionalmente
illegittima   in   questa   parte).   Il   giudice    del    reclamo,
nell'interpretare la disposizione, ha ritenuto che il divieto in essa
stabilito, ove applicato anche ai detenuti appartenenti  al  medesimo
gruppo di socialita', non sarebbe giustificabile in forza di «ragioni
di sicurezza». 
    Non si potrebbe, infatti, riconoscere «alcuna congruita'» tra  la
suddetta interdizione e «il fine perseguito dal regime differenziato,
costituito  dalla  necessita'  di  recidere  i  collegamenti  tra  il
detenuto e l'associazione criminale di appartenenza». 
    Cio'  premesso  in  punto  di  fatto,  il   collegio   rimettente
sottolinea che compito dell'interprete e' «quello  di  verificare  la
compatibilita'  costituzionale  delle  disposizioni  di   legge   non
suscettibili, senza forzature ermeneutiche, di assumere un differente
significato normativo», investendo, se del caso, questa  Corte  delle
relative questioni di legittimita' costituzionale. 
    In sostanza, il giudice a quo sottolinea di non  poter  pervenire
alla  medesima   interpretazione,   in   ipotesi   costituzionalmente
conforme, accolta dal Tribunale di sorveglianza di Perugia,  giacche'
si tratterebbe di un'esegesi di segno opposto a quello  fatto  palese
dal significato proprio  delle  parole  utilizzate  dal  legislatore,
secondo la loro connessione. Aderisce,  percio',  all'interpretazione
accolta dalla giurisprudenza di legittimita',  secondo  cui  «tenendo
conto del significato e della connessione delle parole  e  dei  segni
grafici  utilizzati,  nonche'  del  senso  logico  del  testo»,   «la
necessita' di assicurare la "assoluta impossibilita'"  dello  scambio
di oggetti riguarda tutti gli scambi fra detenuti, e non e'  limitata
ai  soli  scambi  fra  detenuti  appartenenti  a  diversi  gruppi  di
socialita'» (e' citata, in particolare, la sentenza  della  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, 8 febbraio 2017, n. 5977). 
    Chiarito il contenuto normativo della disposizione,  il  collegio
rimettente la ritiene in contrasto  con  gli  artt.  3  e  27  Cost.,
sollevando le indicate questioni di legittimita' costituzionale. 
    2.1.- Premette il giudice a quo che,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale, la funzione della sospensione delle regole del regime
penitenziario  ordinario  prevista  dall'art.  41-bis  ordin.  penit.
sarebbe quella di «rescindere i collegamenti ancora attuali sia tra i
detenuti che appartengano a determinate organizzazioni criminali, sia
tra gli stessi e gli altri componenti del sodalizio che si trovano in
liberta'» (sono richiamate le pronunce n. 122 del 2017,  n.  143  del
2013, n. 417 del 2004, n. 192 del 1998 e n. 376 del 1997). 
    Ricorda,  tuttavia,  anche   i   limiti   che   quella   medesima
giurisprudenza   costituzionale    avrebbe    imposto    al    regime
differenziato. 
    Il primo  di  essi,  direttamente  collegato  all'art.  3  Cost.,
atterrebbe «alla congruita'  della  misura  applicata  rispetto  allo
scopo che essa persegue»; l'altro, imposto dal rispetto dell'art.  27
Cost., impedirebbe  alle  restrizioni  ordinate  ai  sensi  dell'art.
41-bis, comma  2,  ordin.  penit.  di  «vanificare  completamente  la
necessaria finalita' rieducativa della pena» e di «violare il divieto
di trattamenti contrari al senso di  umanita'»  (sono  richiamate  le
sentenze n. 149 del 2018, n. 351 del 1996 e n. 349 del 1993). 
    Alla luce di tali principi, il divieto di scambio di oggetti,  in
quanto riferito, indifferentemente, a tutti i detenuti sottoposti  al
regime speciale di cui si discute, ancorche' appartenenti al medesimo
gruppo  di  socialita',  non   potrebbe   ritenersi   «funzionale   a
fronteggiare alcun pericolo per la sicurezza pubblica, assumendo "una
portata meramente afflittiva"», ingiustificabile anche laddove mirata
ad evitare l'instaurazione di posizioni di dominio all'interno  della
comunita' carceraria. 
    L'incongruita' rispetto al fine di recidere i collegamenti ancora
attuali tra i detenuti soggetti al  regime  di  cui  all'art.  41-bis
ordin. penit. e tra gli stessi e gli altri componenti  del  sodalizio
che si trovano in liberta', discenderebbe dal  fatto  che  la  comune
appartenenza al medesimo gruppo di socialita' consente, «a monte,  lo
scambio di  qualunque  contenuto  informativo;  e  cio'  senza  dover
ricorrere, appunto, allo scambio di oggetti». 
    L'inutilita' del divieto censurato  sarebbe,  altresi',  evidente
anche in rapporto alla necessita' di prevenire  la  formazione  o  il
consolidamento di logiche di prevaricazione all'interno del  medesimo
gruppo di socialita', a tanto bastando - secondo  principi  ribaditi,
da ultimo, nella sentenza n. 186 del  2018  di  questa  Corte  -  «la
definizione e l'applicazione rigorosa e imparziale delle  regole  del
trattamento carcerario», tra le  quali  rileva,  in  particolare,  la
regola generale dettata dall'art. 15 del decreto del Presidente della
Repubblica  30  giugno  2000,  n.  230  (Regolamento  recante   norme
sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e  limitative
della liberta'), che consente la cessione o lo scambio unicamente  di
«oggetti di modico valore». 
    Il divieto in esame, inoltre, sarebbe in contrasto anche  con  il
principio del finalismo rieducativo della pena, presidiato  dall'art.
27 Cost., oltre ad integrare una limitazione al regime  penitenziario
ordinario contraria al senso di umanita'. 
    2.2.- Quanto al profilo della rilevanza, il  collegio  rimettente
evidenzia che solo la dichiarazione di illegittimita' costituzionale,
sia pure in parte qua, dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera  f),
ordin.  penit.  «farebbe  venire  meno  la  base  legale  degli  atti
dell'Amministrazione penitenziaria in relazione  ai  quali  e'  stato
proposto  [l'originario]  reclamo»,  consentendo  al  magistrato   di
sorveglianza di  disapplicarli  e  di  impartire  all'amministrazione
stessa ordini di segno opposto. 
    3.-  Le  due  ordinanze  di  rimessione   censurano   la   stessa
disposizione  ed  evocano  i  medesimi  parametri  costituzionali.  I
relativi  giudizi  vanno  percio'  riuniti,  per  essere  decisi  con
un'unica sentenza. 
    4.-  Il  giudice  a  quo  solleva  le  ricordate   questioni   di
legittimita' costituzionale dopo  aver  individuato,  sulla  base  di
un'univoca interpretazione testuale, il significato  normativo  della
disposizione censurata, e dopo aver precisato che una diversa lettura
e' impedita proprio dal suo tenore letterale. 
    Al lume della giurisprudenza costituzionale,  va  preliminarmente
sottolineato che questo iter argomentativo, percorso in  entrambe  le
ordinanze, e' corretto  e  consente  l'accesso  al  merito.  Infatti,
questa  Corte  afferma  in  modo  ormai  costante  che,  laddove   il
rimettente abbia considerato la  possibilita'  di  un'interpretazione
idonea a  eliminare  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale,  e
l'abbia motivatamente  scartata,  la  valutazione  sulla  correttezza
dell'opzione ermeneutica prescelta riguarda non gia' l'ammissibilita'
della questione sollevata, bensi'  il  merito  di  essa  (ex  multis,
sentenze n. 50 e n. 11 del 2020, n. 241 e n. 189 del  2019,  sentenza
n. 135 del 2018). 
    5.- Con la legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni  in  materia
di sicurezza pubblica), contenente un ampio ventaglio  di  interventi
nella materia evocata dal  titolo  della  legge  stessa,  appunto  la
sicurezza pubblica, e' stata profondamente incisa anche la disciplina
recata dall'art.  41-bis  ordin.  penit.,  attraverso  una  serie  di
modifiche  volte  chiaramente  a  irrigidire  il  regime   carcerario
speciale. 
    Per la parte che qui particolarmente interessa, il comma 2-quater
dell'art.   41-bis   e'   stato   modificato,    eliminandosi    ogni
discrezionalita'  nella  applicazione  delle   condizioni   detentive
speciali  come  e'  fatto   palese   dal   tenore   letterale   della
disposizione,  secondo   cui   il   provvedimento   ministeriale   di
sospensione delle regole di trattamento carcerario «prevede»,  e  non
piu' «puo' prevedere», le misure dettagliate alle successive  lettere
(salvo quanto disposto dalla lettera a del medesimo comma, di cui  si
dira' piu' avanti al punto 8). La novella, in  sostanza,  elenca  una
serie di misure specifiche, che costituiscono il contenuto  tipico  e
necessario del regime speciale (sentenze n. 186 del 2018 e n. 122 del
2017).  Dette  misure,  frutto  di  una  valutazione  svolta  in  via
generale,  ex  ante,   dal   legislatore,   devono   percio'   essere
obbligatoriamente applicate a tutti  i  detenuti  sottoposti  a  tale
regime. 
    Tra le misure in questione figurano quelle disposte alla  lettera
f) dell'art. 41-bis,  comma  2-quater,  ordin.  penit.,  oggetto  del
presente  giudizio  di   legittimita'   costituzionale.   Esse,   pur
assicurando anche ai detenuti in questione indispensabili  momenti  e
forme di "socialita'" intramuraria,  circoscrivono  queste  relazioni
all'interno di gruppi ristretti, costituiti da non  piu'  di  quattro
persone, limitandone altresi' la durata massima. 
    I gruppi di socialita' rappresentano la modalita'  prescelta  dal
legislatore per conciliare, da una parte, la finalita' essenziale del
regime differenziato (evitare che i detenuti piu' pericolosi  possano
mantenere vivi i propri collegamenti con le organizzazioni  criminali
di riferimento) e, dall'altra, l'esigenza di garantire  le  accennate
forme indispensabili di socialita'. 
    In questa chiave, e' soprattutto fatto carico all'amministrazione
penitenziaria di adottare «tutte le necessarie misure  di  sicurezza,
anche attraverso accorgimenti  di  natura  logistica  sui  locali  di
detenzione,  volte  a  garantire  che  sia  assicurata  la   assoluta
impossibilita' di comunicare  tra  detenuti  appartenenti  a  diversi
gruppi di socialita', scambiare oggetti». 
    La disposizione ha dunque l'obbiettivo  essenziale  di  mantenere
gli  incontri  intramurari  all'interno  di  determinati  "gruppi  di
socialita'", e di evitare invece contatti tra detenuti appartenenti a
gruppi diversi. La composizione di  ciascun  singolo  gruppo,  sempre
opportunamente modificabile  secondo  le  esigenze  che  via  via  si
presentino, e' governata da complessi criteri  (attualmente  previsti
al punto 3.1 della circolare del 2 ottobre 2017,  n.  3676/6126,  del
DAP),  ispirati  alla  necessita'  di  evitare  ogni   occasione   di
rafforzamento delle consorterie criminali, nonche' ogni  possibilita'
che vengano scambiati con l'esterno ordini, informazioni e notizie. 
    Per questo, come si e' detto, contenuto essenziale  della  citata
lettera f) e' la «assoluta impossibilita' di comunicare fra  detenuti
appartenenti a diversi gruppi di socialita'»,  sul  presupposto  che,
invece, una inevitabile relazione comunicativa possa svilupparsi  fra
i detenuti che al medesimo gruppo di socialita' siano assegnati. 
    Tuttavia, nella lettura del rimettente, assume  distinto  rilievo
anche  l'ulteriore  divieto,  relativo  allo  scambio   di   oggetti.
Sintatticamente e morfologicamente separato dal primo, esso assume un
significato  non  gia'  servente   e   accessorio   al   divieto   di
comunicazioni tra detenuti assegnati a gruppi diversi, ma una portata
normativa autonoma, con efficacia per tutti i  detenuti  soggetti  al
regime  speciale,  pur  se  appartenenti  al   medesimo   gruppo   di
socialita', impedendo percio' lo  scambio  di  oggetti  anche  tra  i
detenuti gia' autorizzati  a  trascorrere  insieme,  all'interno  del
carcere, alcune ore della giornata. 
    Per vero, tale distinta portata  non  fu  oggetto  di  esame  nei
lavori preparatori della ricordata legge n. 94 del 2009, e la  stessa
prima circolare DAP successiva  a  tale  legge  (4  agosto  2009,  n.
286202, recante la disciplina  dell'«[o]rganizzazione  delle  sezioni
detentive adibite al contenimento di detenuti  sottoposti  al  regime
detentivo  speciale»)  forni'  una  parafrasi  non   testuale   della
disposizione censurata, evidenziando la necessita' di assicurare  «la
assoluta  impossibilita'  di  comunicare  e  scambiare  oggetti   tra
detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita'». 
    Sta di fatto, pero', ed e' quel che conta, che la  giurisprudenza
di legittimita'  (a  partire  da  Cassazione  penale,  sezione  prima
penale, 8 febbraio 2017, n. 5977) si e' in  seguito  attestata  sulla
lettura accolta dalle ordinanze di  rimessione,  nel  senso  che  «il
divieto di scambio di oggetti ha portata generale  e  che,  pertanto,
non e' ammessa una diversa interpretazione che ne restringa  l'ambito
applicativo al  caso  di  eterogeneita'  dei  gruppi  di  socialita'»
(cosi', in particolare, Cassazione penale, sezione prima  penale,  16
settembre 2019, n. 38223). 
    6.- Della disposizione  cosi'  ricostruita  nel  suo  significato
normativo  va  pertanto  vagliata  la  legittimita',  alla  luce  dei
parametri costituzionali evocati dal rimettente. 
    Si tratta, cosi', di  accertare  se  il  divieto  legislativo  di
scambiare oggetti,  in  quanto  necessariamente  applicato  anche  ai
detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo  gruppo  di
socialita', determini effetti congrui e proporzionati,  sia  rispetto
alle finalita' del regime stesso, sia ai limiti cui  e'  soggetta  la
sua applicazione, quali delineati dalla  costante  giurisprudenza  di
questa Corte. 
    Quanto alle finalita', il regime differenziato previsto dall'art.
41-bis, comma 2, ordin. penit. mira a contenere la  pericolosita'  di
singoli  detenuti,  proiettata  anche  all'esterno  del  carcere,  in
particolare impedendo i collegamenti dei detenuti  appartenenti  alle
organizzazioni criminali tra loro e con i membri  di  queste  che  si
trovino  in  liberta':  collegamenti   che   potrebbero   realizzarsi
attraverso i contatti con il mondo esterno che lo stesso  ordinamento
penitenziario normalmente favorisce, quali strumenti di reinserimento
sociale (sentenze n. 186 del 2018, n. 122 del 2017 e n. 376 del 1998;
ordinanze n. 417 del 2004 e n. 192 del 1998). 
    Cio'  che  l'applicazione  del   regime   differenziato   intende
soprattutto evitare e' che gli esponenti dell'organizzazione in stato
di  detenzione,  sfruttando  l'ordinaria  disciplina   trattamentale,
possano  continuare  (utilizzando  particolarmente,  in  ipotesi,   i
colloqui con familiari o terze persone) a  impartire  direttive  agli
affiliati in stato di liberta', e cosi' mantenere, anche dall'interno
del   carcere,    il    controllo    sulle    attivita'    delittuose
dell'organizzazione stessa (ancora sentenze n. 186 del 2018,  n.  122
del 2017 e n. 143 del 2013). 
    Quanto  ai  limiti  cui  soggiace   l'applicazione   del   regime
differenziato, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito  che,  in
base all'art. 41-bis, comma 2, ordin. penit., e' possibile sospendere
solo   l'applicazione   di   regole   e   istituti   dell'ordinamento
penitenziario che risultino in concreto contrasto con  le  richiamate
esigenze di ordine e sicurezza. Correlativamente,  ha  affermato  non
potersi disporre misure che, a causa del loro  contenuto,  non  siano
riconducibili a quelle concrete esigenze, poiche' si  tratterebbe  in
tal caso di misure palesemente incongrue  o  inidonee  rispetto  alle
finalita'  del  provvedimento  che  assegna  il  detenuto  al  regime
differenziato. Se cio' accade, non solo le misure  in  questione  non
risponderebbero piu' al fine in vista del  quale  la  legge  consente
siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, «divenendo
ingiustificate  deroghe  all'ordinario  regime  carcerario,  con  una
portata  puramente  afflittiva  non   riconducibile   alla   funzione
attribuita dalla legge al provvedimento  ministeriale»  (sentenza  n.
351 del 1996). 
    7.-  Questa  verifica,  operata  sulla  disposizione   censurata,
fornisce esito negativo, sicche'  le  sollevate  questioni  risultano
fondate, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    In lesione dell'art. 3 Cost., il divieto  di  scambiare  oggetti,
nella parte in cui si applica anche ai detenuti inseriti nel medesimo
gruppo di socialita', non risulta ne' funzionale ne' congruo rispetto
alla  finalita'   tipica   ed   essenziale   del   provvedimento   di
sottoposizione  del  singolo  detenuto   al   regime   differenziato,
consistente nell'impedire le  sue  comunicazioni  con  l'esterno.  In
queste condizioni, non e' giustificata la deroga -  da  tale  divieto
disposta - alla regola ordinariamente  valida  per  i  detenuti,  che
possono scambiare tra loro «oggetti di modico valore» (art. 15, comma
2, del d.P.R. n. 230 del 2000), e la proibizione  in  parola  finisce
per assumere un significato meramente afflittivo, in violazione anche
dell'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Come meglio si dira', infine, in ulteriore lesione dei  parametri
ricordati, il carattere non proporzionato del divieto in questione si
evidenzia considerando  la  scelta  legislativa  di  farne  contenuto
necessario del regime differenziato, da applicarsi  -  a  prescindere
dalle esigenze del caso concreto - ogni  qualvolta  sia  disposto  il
provvedimento di assegnazione del detenuto al regime differenziato. 
    7.1.-  Questa  stessa  Corte  ha  riconosciuto  -  peraltro,   in
riferimento al diverso divieto di scambiare  con  l'esterno  libri  e
riviste, quale risultante dall'applicazione delle misure di cui  alle
lettere a) e c) del comma 2-quater dell'art. 41-bis - che  «qualsiasi
oggetto si presta astrattamente ad assumere  -  per  effetto  di  una
precedente convenzione, per la sua  valenza  simbolica  intrinseca  o
semplicemente per  i  rapporti  interpersonali  tra  le  parti  -  un
determinato significato comunicativo, quando non pure  a  fungere  da
sostituto "anomalo" dell'ordinario supporto cartaceo per la redazione
di messaggi, o da contenitore per celarli al suo  interno»  (sentenza
n. 122 del 2017). 
    Nel nostro caso, il significato simbolico o convenzionale  insito
nell'oggetto scambiato potrebbe efficacemente tradursi,  in  ipotesi,
in una comunicazione da veicolare all'esterno, magari in occasione di
un colloquio con familiari  o  (negli  eccezionali  casi  in  cui  e'
consentito) terze persone. 
    A  ben  vedere,  tuttavia,  questa  prima   giustificazione   non
convince, proprio sul piano della sua congruita' all'obbiettivo. 
    Il fatto e' che i detenuti appartenenti  al  medesimo  gruppo  di
socialita' hanno varie occasioni di  comunicare  qualsiasi  messaggio
tra loro in forma orale,  senza  poter  essere  ascoltati,  salve  le
casuali percezioni degli agenti comunque presenti per sorvegliare gli
spazi comuni, e salve  le  specifiche  captazioni  o  intercettazioni
ambientali, che  tuttavia  devono  essere  appositamente  autorizzate
dall'autorita' giudiziaria. In quelle stesse occasioni,  pur  essendo
sottoposti a  continua  videosorveglianza,  i  detenuti  ben  possono
inoltre scambiare comunicazioni in forma  gestuale,  dal  significato
non facilmente intelligibile. 
    Cio' accade nelle due  ore  giornaliere  d'aria,  nei  cosiddetti
"cortili passeggio", ove e' consentito  svolgere  esercizi  fisici  e
portare  solo  pochissimi  oggetti,   per   tipologie   e   quantita'
espressamente indicate. Accade altresi' nelle comunicazioni da  cella
a  cella,  posto  che,  in  base  alle  comuni  regole   del   regime
differenziato, le porte blindate delle camere di  detenzione  restano
aperte dalle ore 7 alle ore 22 (d'estate) oppure  fino  alle  ore  20
(d'inverno), e in questi orari ai detenuti appartenenti  al  medesimo
gruppo di socialita' e'  consentito  parlare  tra  loro,  essendo  le
rispettive celle generalmente collocate non lontane l'una dall'altra. 
    E' abitualmente prevista, poi, la predisposizione di "salette"  -
adibite a biblioteca, palestra e sala  hobby  -  per  l'attivita'  in
comune di tipo culturale, ricreativo e sportivo, possibile per un'ora
al  giorno  (secondo  le   turnazioni   stabilite   dalla   direzione
d'istituto)   e   attraverso   strumenti   messi    a    disposizione
dall'amministrazione. 
    I "cortili passeggio" e le "salette" vengono peraltro  perquisiti
ogni qualvolta esce e accede un gruppo, e anche nella saletta e nella
palestra e' consentito portare solo pochi oggetti,  per  tipologia  e
quantita' espressamente indicate. 
    In tutte queste  occasioni  di  socialita',  anche  a  non  voler
considerare  i  messaggi  (in  ipotesi  inascoltati)  dal   contenuto
inequivocabile, e' ben immaginabile che il piu' criptico  significato
simbolico o  convenzionale  di  un  oggetto  scambiato  possa  essere
agevolmente  sostituito  da   un'esternazione   orale   o   gestuale,
apparentemente casuale, ma in realta'  dal  contenuto  chiaro  (solo)
all'altro detenuto che ascolta od osserva. 
    In ultima analisi, vale per questa ipotetica giustificazione  del
divieto  -  impedire  la  trasmissione  all'esterno  del  carcere  di
messaggi  funzionali  all'attivita'   criminale   dell'organizzazione
malavitosa - un giudizio di incongruita' rispetto allo scopo, cui non
puo'  non  accompagnarsi,  di  conseguenza,  la  sottolineatura   del
carattere inutilmente e meramente afflittivo della misura. 
    E' la stessa valutazione che questa Corte (sentenza  n.  143  del
2013) ebbe a dare sui limiti di cadenza e di  durata  previsti  dalla
legge n. 94 del 2009 per i colloqui dei detenuti soggetti  al  regime
differenziato con i propri difensori:  non  potendo,  ovviamente,  la
disposizione cancellare del tutto  quei  colloqui,  essa  introduceva
limiti suscettibili, bensi', di penalizzare la difesa, ma  inutili  a
impedire, anche parzialmente, il  temuto  passaggio  di  direttive  e
informazioni tra il carcere e l'esterno. In quel caso -  osservo'  la
sentenza - alla indiscutibile  compressione  del  diritto  di  difesa
indotta  dalla   disposizione   censurata,   non   corrispondeva   un
paragonabile incremento della tutela dell'interesse alla salvaguardia
dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini. 
    Anche in questo caso, in definitiva, alla certa  compressione  di
una  forma  minima  di  socialita'   -   estrinsecantesi,   peraltro,
nell'ambito di una cerchia assai ristretta di soggetti, e consistente
nello scambio di cose di scarso valore e di immediata utilita', nella
prospettiva  di  una  (assai  parziale)  "normalita'"   di   rapporti
interpersonali - non corrisponde un accrescimento delle  garanzie  di
difesa sociale e sicurezza pubblica. 
    Comprensibile se  riferito  a  detenuti  appartenenti  a  diversi
gruppi  di  socialita',  il  divieto   in   esame   mostra   la   sua
irragionevolezza  se  necessariamente  applicato  anche  ai  detenuti
assegnati al medesimo gruppo. 
    7.2.- La valutazione  non  muta  nemmeno  a  considerare  l'altra
possibile  ratio  dell'applicazione  del  divieto   all'interno   del
medesimo gruppo di  socialita',  laddove  cioe'  si  ritenga  che  la
proibizione si  giustifichi  al  fine  d'impedire  che  taluno  degli
appartenenti al gruppo possa  acquisire,  attraverso  lo  scambio  di
oggetti, una posizione  di  supremazia  nel  contesto  penitenziario,
simbolicamente   significativa   nell'ottica   delle   organizzazioni
criminali e da comunicare, come tale, all'esterno del carcere. 
    Questa Corte (sentenza n.  186  del  2018)  ha  in  effetti  gia'
affermato che il manifestarsi, all'interno del carcere, di  forme  di
"potere" dei detenuti piu' forti o piu' facoltosi, suscettibili anche
di rafforzare  le  organizzazioni  criminali,  deve  essere  impedito
«attraverso la definizione e  l'applicazione  rigorosa  e  imparziale
delle  regole  del  trattamento  carcerario»  e  «non  potrebbe,  per
converso, considerarsi legittimo, a questo scopo, l'impiego di misure
piu' restrittive nei confronti di singoli  detenuti  in  funzione  di
semplice  discriminazione  negativa,  non  altrimenti   giustificata,
rispetto alle regole e ai diritti valevoli per tutti». 
    A tale  proposito,  la  gia'  ricordata  regola  generale,  posta
dall'art. 15, comma 2, del  d.P.R.  n.  230  del  2000,  consente  la
cessione o lo scambio unicamente di beni di "modico valore",  sicche'
la possibilita' di un utilizzo di  beni  di  rilevante  valore  quale
mezzo  di  accrescimento  del  potere   in   ambito   carcerario   e'
ragionevolmente da escludersi,  gia'  grazie  all'applicazione  della
regola generale. 
    Nei giudizi a quibus, ad  esempio,  i  beni  che  si  intendevano
scambiare con gli altri membri del gruppo di socialita'  consistevano
in generi alimentari (zucchero, caffe' et similia)  o,  comunque,  di
prima necessita' (per l'igiene personale o la  pulizia  della  cella)
inviati dall'esterno -  e  quindi  ulteriormente  limitati  ai  sensi
dell'art. 41-bis, comma 2-quater,  lettera  c),  ordin.  penit.  -  o
acquistati al cosiddetto sopravvitto. 
    Osserva ancora l'Avvocatura generale dello Stato che  lo  scambio
di oggetti puo' essere "imposto" all'interno del medesimo  gruppo  di
socialita' dal membro di maggiore caratura criminale, allo  scopo  di
dimostrare, attraverso l'esercizio della capacita' di costringere gli
altri componenti a privarsi di beni essenziali e  comunque  posseduti
in quantita' limitata, la sua attitudine a mantenere,  o  rafforzare,
la  propria  posizione  di   supremazia,   creando   "condizioni   di
sudditanza"   all'interno   del   gruppo,   anch'esse   tanto    piu'
simbolicamente  significative,   nell'ottica   delle   organizzazioni
criminali, in quanto comunicabili  in  varia  forma  all'esterno  del
carcere. 
    Anche a questo riguardo, tuttavia,  l'applicazione  delle  regole
penitenziarie specificamente  dettate  per  i  gruppi  di  socialita'
consente la costante osservazione dei gruppi e l'eventuale tempestiva
modifica della loro  composizione,  che  ben  puo'  essere  suggerita
proprio dalla rilevazione di un'anomala frequenza e unidirezionalita'
degli scambi. 
    In conclusione, la valutazione della ratio in parola non  conduce
a mutare le considerazioni gia'  svolte,  confermandosi  anche  sotto
questo profilo la lesione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    8.- Cosi' come non esiste un diritto  fondamentale  del  detenuto
sottoposto al regime differenziato a cuocere cibi  (sentenza  n.  186
del 2018),  non  esiste  un  suo  diritto  fondamentale  a  scambiare
oggetti, nemmeno con i detenuti assegnati al  suo  stesso  gruppo  di
socialita'. E tuttavia, sia cuocere cibi, sia scambiare oggetti, sono
facolta' dell'individuo, anche se  posto  in  detenzione,  che  fanno
parte di  quei  «piccoli  gesti  di  normalita'  quotidiana»  (ancora
sentenza n. 186 del 2018), tanto piu' preziosi in quanto  costituenti
gli ultimi residui in cui puo' espandersi la  liberta'  del  detenuto
stesso  (analogamente,  sentenza  n.  349  del  1993,  seguita  dalle
sentenze n. 20 e n. 122 del 2017 e n. 186 del 2018). 
    Pertanto, la compressione della possibilita' di scambiare oggetti
con gli altri detenuti del medesimo gruppo - espressione, questa,  di
una pur minimale facolta'  di  socializzazione  -  e  la  conseguente
deroga   all'applicazione   delle    regole    ordinarie,    potrebbe
giustificarsi non in via generale e  astratta,  ma  solo  se  esista,
nelle specifiche  condizioni  date,  la  necessita'  in  concreto  di
garantire la sicurezza dei  cittadini,  e  la  motivata  esigenza  di
prevenire - come recita l'art. 41-bis, comma  2-quater,  lettera  a),
ordin.  penit.  -  «contatti  con   l'organizzazione   criminale   di
appartenenza o di attuale  riferimento,  contrasti  con  elementi  di
organizzazioni criminali contrapposte, interazione con altri detenuti
o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre
ad essa alleate». 
    Da  questo  punto   di   vista,   l'applicazione   necessaria   e
generalizzata del divieto di  scambiare  oggetti  anche  ai  detenuti
appartenenti al medesimo gruppo di socialita', sconta  il  limite  di
essere frutto di un bilanciamento condotto ex ante dal legislatore, a
prescindere, percio', da  una  verifica  in  concreto  dell'esistenza
delle  ricordate,  specifiche,  esigenze  di   sicurezza,   e   senza
possibilita' di adattamenti calibrati sulle peculiarita' dei  singoli
casi. 
    E', in definitiva, la previsione ex lege del divieto  assoluto  a
costituire misura  sproporzionata,  anche  sotto  questo  profilo  in
contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    Invece, anche dopo la presente sentenza di accoglimento, in forza
della  disposizione  di  cui  alla  lettera  a)  del  comma  2-quater
dell'art. 41-bis, ordin. penit. - secondo cui  la  sospensione  delle
regole di trattamento e  degli  istituti  di  cui  al  comma  2  puo'
comportare «l'adozione di misure  di  elevata  sicurezza  interna  ed
esterna» - restera' consentito all'amministrazione  penitenziaria  di
disciplinare le modalita' di effettuazione degli scambi tra  detenuti
appartenenti al medesimo  gruppo  (ad  esempio,  qualora  concernenti
oggetti di cui non sia consentita la detenzione durante i momenti  di
socialita', prevedendo  in  proposito  una  annotazione  in  appositi
registri), nonche' di predeterminare  le  condizioni  per  introdurre
eventuali limitazioni (con riferimento a certi oggetti che,  piu'  di
altri, si prestano ad essere veicolo di  comunicazioni  difficilmente
decifrabili, come gia' previsto, ad esempio, per il  divieto  -  gia'
disciplinato dalla citata circolare DAP del 2  ottobre  2017  in  via
autonoma rispetto a quello, generale, qui censurato  -  di  scambiare
libri o copie parziali tra detenuti). 
    Naturalmente, tali limitazioni dovrebbero risultare  giustificate
da precise  esigenze,  da  motivare  espressamente,  e  sotto  questi
profili ben potrebbero  essere  sindacate,  di  volta  in  volta,  in
relazione al  caso  concreto,  dal  magistrato  di  sorveglianza,  in
attuazione di quanto disposto dagli artt.  35-bis,  comma  3,  e  69,
comma 6, lettera b), ordin. penit. 
    9.- In definitiva, il divieto  di  scambiare  oggetti  prescritto
dalla  norma  censurata,  se  applicato  necessariamente  a  detenuti
assegnati al medesimo gruppo di socialita', viola gli artt. 3  e  27,
terzo comma, Cost. Si giustifica percio', ad opera di  questa  Corte,
l'adozione  di  un  dispositivo  di  accoglimento  che  riconduca  la
disposizione  censurata  entro  i  limiti  del  rispetto  dei  citati
parametri costituzionali, ne elimini la necessaria applicazione anche
ai detenuti  che  a  tale  medesimo  gruppo  siano  assegnati,  e  ne
circoscriva l'applicazione ai detenuti appartenenti a diversi  gruppi
di socialita'. 
    L'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f),  ordin.  penit.,  deve
pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte
in cui prevede l'adozione delle necessarie misure di sicurezza  volte
a  garantire  che  sia  assicurata  «la  assoluta  impossibilita'  di
comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di  socialita',
scambiare oggetti» anziche' «la assoluta impossibilita' di comunicare
e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti  a  diversi  gruppi  di
socialita'». 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 41-bis,  comma
2-quater, lettera f), della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), nella parte  in  cui  prevede
l'adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che
sia assicurata «la assoluta impossibilita' di comunicare tra detenuti
appartenenti a  diversi  gruppi  di  socialita',  scambiare  oggetti»
anziche'  «la  assoluta  impossibilita'  di  comunicare  e  scambiare
oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialita'». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA