N. 199 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 2019
Ordinanza del 13 marzo 2019 del Tribunale di Vibo Valentia nel procedimento civile promosso da C. L. contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Impiego pubblico - Licenziamento disciplinare - Falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia - Applicazione "comunque" della sanzione disciplinare del licenziamento. - Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), art. 55-quater, comma 1.(GU n.46 del 13-11-2019 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI VIBO VALENTIA settore lavoro e previdenza Il Tribunale ordinario di Vibo Valentia, nella persona del giudice del lavoro e della previdenza Ilario Nasso, ha emesso - all'esito della Camera di consiglio successiva all'udienza del 13 marzo 2019 - la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n. 173 del reg. gen. dell'anno 2019, e vertente tra C.L. (C.F.: ... rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso introduttivo, dall'avv. Francesco Mobilio del Foro di Vibo Valentia) e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del Ministro e legale rappresentante pro tempore (C.F.: 80004580793, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catanzaro). 1. Il ricorrente agisce per l'accertamento dell'illegittimita' del recesso comminato dalla controparte datoriale, con missiva avente prot. n. 990UD del 7 novembre 2018, retroagente alla data (della sospensione cautelare, deliberata con provvedimento recante prot. n. 22136) del 9 ottobre precedente. 2. A tal fine, egli deduce: I) d'aver prestato servizio, quale dipendente civile del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, presso la Capitaneria di porto di Vibo Valentia Marina, con qualifica XSB3; II) d'aver ricevuto un addebito di' falsa attestazione della propria presenza in ufficio, nei giorni del 7, 10, 12 e 14 settembre 2018; III) d'aver subito, pertanto, la sospensione dall'attivita' lavorativa e dalla percezione dello stipendio; IV) d'esser stato convocato - il 29 ottobre 2018 - a rendere le proprie giustificazioni, fatte pervenire (cinque giorni prima) al competente Ufficio disciplina della Direzione generale del personale e degli affari generali del Dicastero intimato; V) d'esser stato richiesto - il 31 ottobre 2018 - di un'integrazione documentale, adempiuta con e-mail del 5 novembre 2018, e relativa alle modalita' di autorizzazione all'espletamento di lavoro straordinario, vigenti all'interno dell'ente di sua appartenenza; VI) di non aver ottenuto lo scopo auspicato mediante la propria partecipazione al contraddittorio disciplinare; VII) d'esser stato definitivamente allontanato dal servizio due giorni dopo. 2.1. Il ricorrente lamenta l'antigiuridicita' della determinazione espulsiva, poiche' sproporzionata rispetto all'andamento dei fatti. 3. Costituendosi in giudizio, l'Amministrazione convenuta ha sostenuto la conformita' alla legge della propria decisione, argomentandone la rispondenza all'art. 55-quater, comma 1, lettera a), decreto legislativo n. 165/2001, letto alla luce della giurisprudenza formatasi successivamente alla sua entrata in vigore (avvenuta merce' l'art. 69, decreto legislativo n. 150/2009). 4. Alla prima udienza di discussione, il Tribunale ha sollevato d'ufficio la presente questione - per contrasto fra l'art. 55-quater, comma 1, lettera a), decreto legislativo n. 165/2001 e gli articoli 3, primo comma, 4, primo comma, 24, primo comma, 35, primo comma, e 117, primo comma, Cost., di cui si illustrano appresso le motivazioni. 5. In ordine alla rilevanza, non e' dubitabile l'ascrizione della fattispecie all'alveo applicativo del sopracitato art. 55-quater, comma 1, lettera a), decreto legislativo n. 165/2001: la sanzione espulsiva controversa nel giudizio origina dal comportamento del dipendente pubblico, il quale - per quattro volte e a distanza ravvicinata di tempo - allontanandosi dalla sede di servizio a conclusione dell'orario lavorativo ordinario, ha omesso di attestare la circostanza attraverso l'apposito cartellino marcatempo, per poi rientrare in ufficio e registrarsi definitivamente in uscita alcune ore dopo. 5.1. La vicenda va, pertanto, esaminata proprio in relazione all'anzidetta disposizione: a mente della prima parte della lettera a) in discorso, al cospetto di una «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente» va applicata «comunque la sanzione disciplinare del licenziamento» (come stabilito dal primo periodo della disposizione). 5.2. Risulta sufficientemente documentato (dal materiale fotografico allegato alla memoria di costituzione ministeriale) il contegno di C. consistito nel tentativo di sottrarre al raggio visivo del personale in forze alla Capitaneria i movimenti posti in essere, mediante il concomitante posizionamento della propria autovettura all'esterno del sedime portuale, diversamente da quanto normalmente compiuto: la reiterazione della condotta addebitata all'attore - nonche', in particolare, la prossimita' cronologica fra i diversi episodi rilevati dall'Autorita' datoriale - autorizzano a escludere l'involontarieta' e la casualita' del comportamento del prestatore, piuttosto deponendo nel senso indicato dalla disposizione sopraddetta, avuto riguardo al riferimento - ivi contenuto - alle «altre modalita' fraudolente» d'integrazione dell'illecito. 6. Cio' chiarito, e' d'uopo procedere alla ricognizione della non manifesta infondatezza. 6.1. La disposizione esaminata e' inequivoca nell'introdurre un automatismo sanzionatorio: accertato il contegno del lavoratore, il medesimo viene estromesso per legge dalla compagine lavorativa, a conclusione del relativo procedimento disciplinare. 6.2. Il tenore letterale della proposizione - e, piu' segnatamente, l'impiego dell'avverbio «comunque» - preclude interpretazioni adeguatrici, e conduce alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro, quale epilogo normativamente necessitato in tutti i casi in cui il precetto in questione trovi applicazione. 6.2.1. Premessa la puntualizzazione secondo la quale - come sostenuto dal giudice ad quem con sentenza n. 51/2015 - «per aversi una questione di legittimita' validamente posta, e' sufficiente che il giudice a quo fornisca un'interpretazione non implausibile della disposizione contestata», la stessa Corte (con sentenza n. 262/2015) ha statuito come «ai fini dell'ammissibilita' della questione, e' sufficiente che il giudice a quo esplori la possibilita' di un'interpretazione conforme alla Carta fondamentale e, come avviene nel caso di specie, la escluda consapevolmente». 6.2.2. La giurisprudenza di legittimita', invero, si e' interrogata circa le ricadute della norma qui esaminata sull'esperibilita' di un sindacato (disciplinare e) giurisdizionale effettivo e non soltanto apparente, concludendo per la conformita' a Costituzione dell'art. 55-quater, decreto legislativo n. 165/2001, sostenendo (con sentenza n. 9314/2018) come «L'art. 55-quater, testo unico del 2001, lungi dall'aver reintrodotto un'ipotesi di destituzione di diritto in contrasto con le norme costituzionali richiamate dal ricorrente, ha individuato alcune ipotesi, della cui particolare gravita' la legge si e' riservata ex ante la valutazione, ai fini dell'attribuzione in capo alle pubbliche amministrazioni del potere di recesso nella sua forma piu' "forte"». 6.2.3. Piu' diffusamente, la Corte di cassazione (con sentenza n. 24574/2016, e mediante ampio richiamo ai propri orientamenti pregressi) ha precisato come «d(ebba) escludersi la configurabilita' in astratto di qualsivoglia automatismo nell'irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalita' della sanzione rispetto al fatto addebitato (Cass. 17259/2016, 17335/2016, 11639/2016, 10842/2016, 1315/2016, 24796/2010, 26329/2008; Corte Costituzionale 971/1988, 239/1996, 286/1999). (...). La proporzionalita' della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi e', infatti, regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative) e risulta trasfusa per l'illecito disciplinare nell'art. 2106 del codice civile, con conseguente possibilita' per il giudice di annullamento della sanzione «eccessiva», proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari». (...). I principi sopra richiamati sono stati affermati anche con riguardo all'art. 55-quater (Cass. 17259/2016, 1351/2016), sul rilievo che l'art. 2106 del codice civile risulta oggetto di espresso richiamo da parte dell'art. 55, comma 2 e sul rilievo che alla giusta causa ed al giustificato motivo fa riferimento il comma 1 dell'art. 55-quater. (...) Va, inoltre, considerato che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, al quale va data continuita', l'operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell'applicare clausole generali come quella dell'art. 2119 del codice civile, e da effettuarsi con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilita' del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di' affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensita' dell'elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. 1977/2016, 1351/2016, 12059/2015 25608/2014), non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimita' (Cass. 17259/2016, 17335/2016, 11630/2016, 1351/2016, 12069/2015, 6501/13, 18247/2009), poiche' l'operativita' in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento. 6.2.4. L'interpretazione avallata dalla Suprema Corte, tuttavia, non persuade. 6.2.4.1. Rammentato come - coerentemente alle indicazioni rivenienti da Corte costituzionale, sentena n. 221 del 2015 - al giudice a quo sia richiesto un «accurato ed esaustivo esame delle alternative poste a disposizione dal dibattito giurisprudenziale, se del caso per discostarsene motivatamente. Solo se avviene cio' infatti si puo' dire che l'interpretazione adeguatrice e' stata davvero "consapevolmente esclusa" dal rimettente», nella specie la formulazione letterale della disposizione non sembra offrire margini di discostamento dall'approdo ermeneutico propugnato con la presente ordinanza. 6.2.4.1.1. In particolare, l'inciso (appunto veicolato dall'art. 55-quater, comma 1, decreto legislativo n. 165/2001) secondo il quale «si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento» e' perentorio nel derivare dall'illecito - dettagliato nel prosieguo dell'articolo - la misura espulsiva, degradando il vaglio dell'organo disciplinare prima - e dell'autorita' giudiziaria poi - a una constatazione estrinseca e formale, evocativa dello schema «norma-fatto-effetto». 6.2.4.1.2. L'utilizzo del modo verbale indicativo e del tempo presente - in funzione deontica - unitamente all'impiego dell'avverbio «comunque» inibiscono letture alternative della disposizione, e impongono l'incardinamento della presente questione di legittimita'. 6.3. Cio' detto, la corrispondenza tra la falsa attestazione della propria presenza in servizio e il pedissequo recesso della pubblica amministrazione confligge innanzitutto con l'art. 3 Cost., poiche' irragionevole. 6.3.1. Come argomentato dalla Corte costituzionale, sentenza n. 197/2018, «in materia di sanzioni disciplinari, sono invero numerose le sentenze di questa Corte che hanno ritenuto illegittime, per contrasto con l'art. 3 Cost, disposizioni che comportavano l'automatica destituzione del pubblico dipendente in conseguenza della sua condanna in sede penale per determinati reati (cosi', ex multis, sentenze n. 268 del 2016, n. 363 del 1996, n. 197 del 1993 e n. 16 del 1991). Tali pronunce riposano essenzialmente sul presupposto secondo cui il principio di eguaglianza-ragionevolezza esige, in via generale, che sia conservata all'organo disciplinare una valutazione discrezionale sulla proporzionale graduazione della sanzione disciplinare nel caso concreto (cosi', in particolare, la citata sentenza n. 268 del 2016)». 6.3.2. Nella specie, la controparte del prestatore e' tenuta a recedere dal rapporto nel momento in cui si avveda di anomalie nella formalizzazione degli ingressi e delle uscite del dipendente dalla sede lavorativa: nessuna progressione sanzionatoria e' consentita, e anche nell'ipotesi in cui - come nel caso in esame - l'incolpato ammetta la storicita' della condotta (salvo negarne la rilevanza disciplinare sotto il profilo psicologico), l'ente-datore non ha accesso ad alcuno strumentario disciplinare, potendo (e dovendo) solamente addivenire al licenziamento dell'impiegato. 6.3.3. A cio' si aggiunga, inoltre, come la tipizzazione dell'ineluttabilita' della sanzione espulsiva risulti prevista nelle sole ipotesi d'infedele autodichiarazione della propria presenza a lavoro. 6.3.3.1. L'art. 55-quater, appunto rubricato «Licenziamento disciplinare», contempla la misura in discorso in un'articolata serie di fattispecie, ma ciascuna di esse - con la sola eccezione di quella qui rilevante - assegna al datore di lavoro (e correlativamente al giudice, se investito della vertenza) il potere-dovere di saggiare la consistenza dell'illecito. 6.3.3.2. Le ipotesi disciplinate dall'articolo in questione, a ben vedere, si caratterizzano per la previsione di clausole generali in virtu' delle quali e' richiesto alla parte pubblica di verificare la giustificabilita' della condotta del dipendente, la sua protrazione o serialita', il grado del suo discostamento dai principi di correttezza e laboriosita'. 6.3.3.3. Non lo stesso e' a dirsi, di contro, nell'ambito di cui alla lettera a) dell'art. 55-quater, connotato dalla previsione di un meccanismo pressoche' deterministico di causa ed effetto, la cui operativita' e' prefissata dal legislatore, e si rivela impermeabile alle cadenze concrete della vicenda considerata: l'assoggettamento alla medesima sanzione di condotte rispetto alle quali cosi' eterogenea appare l'ampiezza del controllo esercitabile dal datore e dal giudice si risolve, dunque, in un profilo d'irragionevolezza. 6.4. In merito, poi, alla violazione degli articoli 4 e 35, primo comma, Cost., sempre la Corte costituzionale - con sentenza n. 194/2018 - ha riconosciuto come il diritto al lavoro, «fondamentale diritto di liberta' della persona umana», pur non garantendo diritto alla conservazione del lavoro», tuttavia «esige che il legislatore (...) adegui (...) la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato al fine ultimo di assicurare a tutti la continuita' del lavoro, e circondi di doverose garanzie (...) e di opportuni temperamenti i casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti» (sentenza n. 45 del 1965, punti 3. e 4. del Considerato in diritto). Questa esortazione, come e' noto, fu accolta con l'approvazione della legge n. 604 del 1966, che sanci', all'art. 1, il principio della necessaria giustificazione del licenziamento, da considerarsi illegittimo se non sorretto da una «giusta causa» o da un «giustificato motivo». Si e' in seguito affermato il «diritto (garantito dall'art. 4 Cost. a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente» (sentenza n. 60 del 1991, punto 9. del Considerato in diritto) e si e' poi ribadita la «garanzia costituzionale (del) diritto di non subire un licenziamento arbitrario» (sentenza n. 541 del 2000, punto 2. del Considerato in diritto e ordinanza n. 56 del 2006). L'«indirizzo di progressiva garanzia del diritto al lavoro previsto dagli articoli 4 e 35 Cost., che ha portato, nel tempo, a introdurre temperamenti al potere di recesso del datore di lavoro» (sentenza n. 46 del 2000, punto 5. del Considerato in diritto), si riscontra in una successiva pronuncia, in cui si afferma che «la materia dei licenziamenti individuali e' oggi regolata, in presenza degli articoli 4 e 35 della Costituzione, in base al principio della necessaria giustificazione del recesso» (sentenza n. 41 del 2003, punto 2.1. del Considerato in diritto)». 6.4.1. Non e' secondario rilevare come la tutela del lavoro - «in tutte le sue forme applicazioni» - assolva a una missione trascendente l'equilibrato svolgimento del rapporto, e si ponga quale canale privilegiato di salvaguardia dell'individuo e della sua dignita': nell'ordinamento costituzionale il lavoro esplica, infatti, una funzione promozionale dei valori della persona umana, contribuendo alla sua emancipazione e al suo sviluppo. 6.4.1.1. Consentire il licenziamento del lavoratore - qualora irrogato prescindendo dall'accertamento (soprattutto giudiziale) delle molteplici sfaccettature coessenziali alla singola vicenda - mal si concilia con l'affidamento alla Repubblica - ex art. 4, primo comma, Cost. - del compito di «promuovere le condizioni che rendano effettivo (il) diritto (al lavoro)», poiche' equivale a tollerare l'inflizione al prestatore della massima sanzione datoriale - causativa dell'interruzione del rapporto - pur in assenza di ragioni impositive di una tale misura. 6.5. Nella pronuncia poc'anzi richiamata, peraltro, la Corte afferma - pur nella parziale diversita' di contesto - come «non poss(a)no che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del giudice chiamato a dirimere la controversia». 6.6. La norma, tuttavia, osta alla ponderazione - in concreto - della portata offensiva della condotta oggetto d'incolpazione, e sottrae alla sede giudiziale la verifica della proporzionalita' fra illecito riscontrato e licenziamento adottato. 6.7. La perentorieta' del disposto di cui all'art. 55-quater impedisce, nondimeno, la valorizzazione delle coordinate fattuali in cui s'inscrive la vicenda giudicata: ne riesce frustrato l'esercizio della funzione giurisdizionale, e compromesso il rapporto fra la condotta da reprimere e il provvedimento disciplinare all'uopo predisposto. 6.8. Al giudice, infatti, viene preclusa a monte la constatazione della congruita' della misura espulsiva, laddove quest'ultima implicherebbe - al contrario - un doveroso vaglio circa (la sussistenza, e) l'intensita' del coefficiente psicologico, la gravita' del comportamento sanzionato, l'andamento pregresso del rapporto e gli eventuali precedenti (specifici e non), il pregiudizio derivatone per gli interessi del datore di lavoro, la compatibilita' della condotta con l'eventuale prosecuzione del rapporto (ovvero l'effettiva attitudine di essa alla definitiva compromissione dell'elemento fiduciario intercorrente fra le parti), e la preferibilita' di strumenti sanzionatori conservativi. 6.9. Orbene, la scelta legislativa di provocare la sistematica espunzione del dipendente dal contesto lavorativo, alla semplice presa d'atto di sue azioni od omissioni realizzative di un illecito disciplinare, sottrae all'autorita' giusdicente ogni margine di apprezzamento del fatto nella sua globalita', e nega un vaglio imparziale ed effettivo circa le ricadute della condotta biasimata sulla dinamica del rapporto di lavoro. 7. La continuita' del rapporto medesimo e' aprioristicamente sacrificata, e le finalita' della repressione appaiono ingiustificatamente privilegiate: ricorrendo al giudice, il lavoratore non e' in grado di articolare efficacemente motivi di doglianza (concernenti la legittimita' del licenziamento) alternativi a quello della radicale insussistenza del fatto materiale, poiche' il loro contenuto - quand'anche ipoteticamente condivisibile dalla giurisdizione adita - non potrebbe tradursi, a diritto positivo invariato, in una rimozione della sanzione espulsiva, siccome prestabilita dalla legge. 7.1. Tale conseguenza, allora, infirma la legittimita' della norma censurata anche alla luce dell'art. 24 Cost., risolvendosi nella compressione della possibilita' di agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni soggettive: il diritto di difesa, infatti, postula non solamente la possibilita' di rivolgersi all'autorita' giurisdizionale, ma anche la completezza della tutela ricevibile da quest'ultima, tuttavia ampiamente depotenziata dalla predetta opzione normativa, poiche' indirizzata al sistematico licenziamento del pubblico dipendente. 8. La sterilizzazione del sindacato giudiziale - derivante dall'architettura della norma in questione - e' motivo di ulteriore contrasto dell'art. 55-quater, comma 1, lettera a), decreto legislativo n. 165/2001 con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea. 8.1. Giusta Corte costituzionale, sentenza n. 120/2018, la «Carta sociale europea, oggetto di revisione nel 1996, che riunisce in un solo trattato i diritti riconosciuti dalla versione originaria del 1961 e quelli che sono stati aggiunti attraverso il Protocollo addizionale del 5 maggio 1988, entrato in vigore il 4 settembre 1992 (...) Ai fini dell'ammissibilita' dell'evocazione di tale parametro interposto, va rilevato che esso presenta spiccati elementi di specialita' rispetto ai normali accordi internazionali, elementi che la collegano alla CEDU. Se quest'ultima, infatti, ha inteso costituire un «sistema di tutela uniforme» dei diritti fondamentali civili e politici (sentenza n. 349 del 2007), la Carta ne costituisce il naturale completamento sul piano sociale poiche', come si legge nel preambolo, gli Stati membri del Consiglio d'Europa hanno voluto estendere la tutela anche ai diritti sociali, ricordando il carattere indivisibile di tutti i diritti dell'uomo. (...). Per queste sue caratteristiche la Carta, dunque, deve qualificarsi fonte internazionale, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost. Essa e' priva di effetto diretto e la sua applicazione non puo' avvenire immediatamente ad opera del giudice comune ma richiede l'intervento di questa Corte, cui va prospettata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione del citato primo comma dell'art. 117 Cost., della norma nazionale ritenuta in contrasto con la Carta». 8.2. Ai sensi dell'art. 24 della Carta sociale europea, «Per assicurare l'effettivo esercizio del diritto ad una tutela in caso di licenziamento, le parti s'impegnano a riconoscere: a) il diritto dei lavoratori di non essere licenziati senza un valido motivo legato alle loro attitudini o alla loro condotta o basato sulle necessita' di funzionamento dell'impresa, dello stabilimento o del servizio». 8.2.1. Orbene, la disposizione teste' enunciata richiama l'attenzione su due esigenze parimenti compromesse dalla norma ex art. 55-quater. l'effettivita' della tutela invocabile a fronte di un recesso datoriale, e il divieto di licenziamento del lavoratore (qualora allontanato per ragioni estranee alla funzionalita' dell'impresa) in assenza di' una causale ascrivibile alle sue attitudini ovvero al suo comportamento. 8.2.2. La disciplina della cui costituzionalita' si dubita, a ben vedere, snatura la tutela giudiziaria fruibile dal lavoratore, negando di fatto al ricorrente la possibilita' di dedurre la sussistenza - nella vicenda considerata - di peculiarita' del proprio comportamento da cui dovrebbe attendersi l'applicazione di una sanzione conservativa. 8.2.3. Specularmente, all'autorita' giudiziaria la vicenda non risulta accessibile nella sua complessita', ma solamente nel presupposto materiale d'irrogazione del provvedimento datoriale, condizione necessaria ma sufficiente - nell'economia della norma medesima - a provocare l'epilogo espulsivo. 8.2.4. In tal modo, pero', non viene assicurato alcuno scrutinio circa la validita' del motivo di recesso, da intendersi come appropriatezza delle ragioni poste a base della destituzione, e adeguatezza (e inevitabilita') dell'allontanamento rispetto alla gravita' dello specifico comportamento attuato dal lavoratore, parametrato al vissuto lavorativo di quest'ultimo. 9. Per le ragioni appena illustrate, dunque, va sollecitato l'intervento del giudice delle leggi, affinche' rimuova l'automatismo denunziato, ripristinando la possibilita' di individualizzazione della risposta sanzionatoria, insieme all'integrale espandibilita' del sindacato giudiziale.
P. Q. M. Visti gli articoli 23 e seguenti, legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata d'ufficio, dell'art. 55-quater, comma 1, decreto legislativo n. 165/2001, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 4, primo comma, 24, primo comma, 35, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, e ratificata con legge n. 30/1999, limitatamente alla parte in cui prevede che la sanzione disciplinare del licenziamento, nell'ipotesi prevista dalla lettera a) del predetto primo comma dell'art. 55-quater, si applichi «comunque»; Per l'effetto, sospende il giudizio in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Incarica la cancelleria di notificare copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di comunicare la stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Vibo Valentia, 13 marzo 2019 Il Giudice del lavoro e della previdenza: Nasso