N. 753 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 marzo 2007
Ordinanza emessa il 30 marzo 2007 dalla Corte di appello di Trieste sull'istanza proposta da Bonazza Alessandro Valentino Processo penale - Riparazione per l'ingiusta detenzione - Diritto alla riparazione per la durata della custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta - Mancata previsione - Contrasto con la legge di delega n. 81/1987. - Codice di procedura penale, art. 314. - Costituzione, artt. 2, 3, 24 e 77.(GU n.45 del 21-11-2007 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza. Letta l'istanza depositata il 16 settembre 2006, con la quale Bonazza Alessandro Valentino, nato a Trieste il 14 febbraio 1961, ivi residente in via Cotogna n. 41, richiede tempestivamente, ai sensi degli artt. 314 e 315 c.p.p., la riparazione per l'ingiusta detenzione dallo stesso subita dall'8 gennaio 1999 all'8 settembre 2000 (anni uno e mesi otto), a seguito dell'arresto effettuato dai Carabinieri del reparto operativo del Comando provinciale di Trieste, convalidato dal g.i.p. di Tribunale di Trieste con ordinanza dd. 11 gennaio 1999, con la quale era altresi' applicata la misura cautelare della custodia in carcere - relativamente a tutti i reati contestati: 1) detenzione e porto in luogo pubblico di arma comune da sparo (pistola cal. 7,65); 2) ricettazione della medesima arma, oggetto di furto; 3) detenzione e porto di arma comune clandestina, perche' priva dei numeri di riconoscimento, in quanto abrasi; 4) tentato omicidio premeditato in danno di Brazzati Claudio -, nell'ambito del procedimento n. 54/1999 RGNR TS nel quale il g.u.p. del Tribunale di Trieste, con sentenza n. 372/1999 di data 26 novembre 1999, derubricato il reato di tentato omicidio premeditato in quello di lesioni personali volontarie pluriaggravate, dichiarava il Bonazza colpevole dei reati ascrittigli e, concesse le circostanze attenuanti della seminfermita' e del danno risarcito prevalenti sulle aggravanti, riconosciuta la continuazione, lo condannava alla pena di anni uno, mesi otto di reclusione e lire 3.000.000 di multa, nonche' al pagamento delle spese processuali, escludendo la concedibilita' della sospensione condizionale della pena ed ordinandone il ricovero in casa di cura e custodia per mesi sei, previa ulteriore verifica della pericolosita' sociale; la Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 503/2004 dd. 17 giugno 2004 (irr. il 17 settembre 2004), in parziale riforma della predetta sentenza, ulteriormente derubricato il reato sub 4) in quello previsto e punito dall'art. 590 c.p., dichiarava di non doversi procedere in ordine a tale reato per difetto di querela e rideterminava la pena per i residui reati (capi 1) 2) e 3), ex art. 599 c.p.p., in anni uno, mesi due, giorni venti di reclusione ed euro 1.600,00 di multa, revocando altresi' la misura di sicurezza e concedendo i doppi benefici di legge. Letta la memoria di costituzione dell'Avvocatura dello Stato di Trieste, nell'interesse del convenuto Ministero dell'economia e delle finanze, con la quale si conclude per il rigetto dell'istanza ovvero, in subordine, per la riduzione del quantum a misura di giustizia; Fissata l'udienza del 18 gennaio 2007, differita a quella odierna per l'impedimento del difensore, e sentite le conclusioni delle parti comparse; Ritenuta la propria competenza; O s s e r v a Sostiene il ricorrente che - essendo stata sempre riferita la detenzione cautelare al tentato omicidio, prima, ed alle lesioni dolose gravi, poi - potrebbe in primo luogo ipotizzarsi, in relazione all'intervenuto proscioglimento per tale delitto, una detenzione ingiustificata ab inizio. Sostiene in primo subordine il ricorrente, che certamente non potra' ritenersi giustificata la detenzione per misura superiore a quella cautelare massima per i reati di ricettazione, detenzione e porto dell'arma comune da sparo e dell'arma clandestina, nettamente inferiori anche alla pena irrogata con la sentenza pronunciata dalla Corte di appello. Infine, ancora per certo, non potranno comunque ritenersi giustificati i cinque mesi e dieci giorni (o la maggior cifra) in cui il Bonazza fu ristretto non essendo piu' giustificata la cautelare per il reato di lesioni personali, rivelatosi infine insussistente; tanto piu' che, tolta la pena inflitta per tale reato, ne e' risultata pena inferiore al presofferto cautelare. Orbene, la domanda, per i primi due profili evidenziati, non puo' essere accolta. L'ordinanza applicativa della misura cautelare (al pari della richiesta del pubblico ministero) e' infatti esplicitamente riferita a tutte le fattispecie di reato contestate e non solo dunque a quella di tentato omicidio aggravato, cosi' che, trattandosi di delitti che consentono l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, non v'e' questione di detenzione ingiustificata ab initio. Quanto alla entita' della custodia cautelare massima prevista per i reati per i quali e' intervenuta pronuncia definitiva di condanna, deve considerarsi che quella massima prevista per il reato di detenzione e porto di arma clandestina e' superiore a quella irrogata con la sentenza definitiva di condanna a norma degli artt. 303 e 407, comma 2, lettera a) c.p.p. Ben piu' complesse questioni si pongono con riferimento al terzo profilo evocato dal ricorrente. Riassumendo: si ha, nel caso, una detenzione cautelare legittimamente protrattasi per anni uno e mesi otto, e cioe' per il periodo corrispondente alla pena inflitta - non sospesa condizionalmente, in relazione alla ritenuta pericolosita' sociale dell'imputato - con la sentenza di condanna di primo grado per tutti i titoli contestati (ancorche' derubricato il reato di tentato omicidio premeditato in quello di lesioni personali volontarie pluriaggravate). Ormai cessata la custodia, e' sopravvenuta sentenza di secondo grado (poi divenuta irrevocabile), di condanna, per tre dei delitti ascritti, e di improcedibilita' per difetto di querela, relativamente al quarto, ulteriormente derubricato in tale sede nel delitto previsto e punito dall'art. 590 c.p.; e' stata conseguentemente disposta la riduzione della pena inflitta in primo grado ed accordata la sospensione condizionale della pena, all'esito di nuovo giudizio negativo in ordine alla pericolosita' sociale, oltre alla non menzione della condanna. Orbene, nella situazione data, non v'ha dubbio che il disposto dell'art. 314 c.p.p., come costantemente interpretato dalla Corte di cassazione non consente di ritenere ingiusta la detenzione e, per l'effetto, di affermare il diritto alla riparazione. In termini generali, l'ambito di applicazione della norma dell'art. 314, comma 2 c.p.p. e' stato definito dalla suprema Corte (Cass., sez. un., n. 20, 12 ottobre 1993, Durante, CED 195353, Cass. Pen., 1994, n. 162; 12 ottobre 1993, Stablum e Capitali, Cass. Pen., 1994, n. 1640) nel senso che non sono idonee a fondare il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione le violazioni degli artt. 274 e 275 c.p.p., mentre il diritto si configura ove sussista una causa di illegittimita' enucleabile dall'art. 273 o dall'art. 280 c.p.p.; con riferimento alla «decisione irrevocabile» di cui all'art. 314, comma 2 c.p.p., tali stesse pronunce hanno pure affermato che «in alcune ipotesi l'illegittimita' della misura cautelare ai sensi del comma 2 del citato art. 314, puo' risultare, in modo implicito e tuttavia evidente, dalla stessa sentenza definitiva di merito. Cio' si verifica sicuramente nei casi in cui l'imputato sia stato condannato per un reato diverso da quello contestato ed inoltre punito con pena edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, per cui la misura cautelare risulti ex post inflitta in violazione del cit. art. 280 c.p.p., ovvero nel caso in cui l'imputato sia stato viceversa assolto perche' il reato era estinto sin dal momento di applicazione o conferma della stessa misura»; «come per le ipotesi di cui all'art. 314, comma primo, c.p.p. l'ingiustizia sostanziale della custodia cautelare e' individuata sulla base di una valutazione ex post, cosi' l'ingiustizia formale o illegittimita' della misura cautelare nelle ipotesi di cui al comma secondo del citato art. 314 non deve necessariamente risultare ex ante (cioe' in termini di errore nella valutazione sulla inesistenza dei presupposti al momento dell'emissione del provvedimento con il quale e' stata disposta o mantenuta) ma puo' risultare sulla base di una valutazione ex post, alla luce delle emergenze probatorie confluite nella decisione irrevocabile che accerta l'illegittimita' e che puo' essere quella terminativa del procedimento. (Nella fattispecie la custodia cautelare era stata revocata con la sentenza con cui era stato definito il giudizio, in quanto nel fatto contestato era stato ravvisato un reato diverso da quello configurato» (Cass., sez. IV, n. 639, 11 maggio - 10 novembre 1993, Ric. Min. tesoro in proc. Franceschini, CED 196185). Piu' in particolare, «in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione (art. 314 c.p.p.) deve ritenersi che, nel caso di processo cumulativo, se il provvedimento restrittivo della liberta' e' fondato su piu' contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola fra queste - sempreche' autonomamente idonea a legittimare la compressione della liberta' stessa - impedisce il sorgere del diritto alla riparazione, irrilevante risultando il pieno proscioglimento dalle altre imputazioni» - (Cass., sez. IV, n. 421, 9 febbraio - 4 aprile 1996, Zaccaria, CED 204426); ed ancora, «in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, nel caso di diversa qualificazione giuridica del delitto originariamente contestato (che ha determinato il provvedimento restrittivo) in altro delitto che non consenta la custodia cautelare, il diritto alla riparazione sorge esclusivamente se, in seguito a tale «derubricazione», la custodia cautelare sia illegittimamente mantenuta, come si ricava dall'espressione «o mantenuto» contenuta nell'art. 314, comma 2, c.p.p.» (Cass., sez. IV, n. 683, 11 marzo - 17 luglio 1997, Cesario, CED 208529); «in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, l'ingiustizia formale della detenzione, anche se conseguente a diversa qualificazione del fatto contestato nell'imputazione come reato procedibile a querela, tuttavia mancante, e/o punito con pena edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, deve risultare da una decisione irrevocabile in fase (o comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche) cautelare: invero, la «derubricazione» che avvenga al di fuori del giudicato (con valenza) cautelare e nel giudizio di merito - per effetto della valutazione di circostanze emerse solo nella istruzione dibattimentale o rilevate dal giudice di ufficio, senza che abbiano costituito oggetto della controversia - e' estranea alla categoria dell'errore giudiziario, giacche' in tal caso l'applicazione della misura e' originariamente legittima e manca il titolo del diritto alla riparazione, che sorge esclusivamente se, in seguito alla detta «derubricazione», la custodia cautelare sia illegittimamente mantenuta, come si ricava dalla seconda previsione contenuta nell'art. 314 cpv. c.p.p. (Nella fattispecie la decisione di merito che riconosceva il diritto all'indennita' - annullata senza rinvio in applicazione del principio massimato - era relativa ad una detenzione disposta per il reato originariamente contestato di sequestro di persona, derubricato in ratto a fine di libidine e dichiarato improcedibile per la non equipollenza dell'atto di denuncia a querela, rilevata d'ufficio solo dalla Corte di appello)» Cass., sez. IV, n. 36, 12 gennaio - 13 marzo 1999, Onori, CED 213231; conf. n. 12781, 26 febbraio - 19 marzo 2003. Cannavo', CED 223828). Come s'e' detto, nel caso di specie, la derubricazione di uno dei reati contestati in fattispecie procedibile a querela di parte, e la conseguente declaratoria di improcedibilita', si ebbe quando la vicenda cautelare si era ormai esaurita e la relativa detenzione era da tempo cessata (onde la stessa non venne ingiustamente ed ingiustificatamente «mantenuta»). Cio' posto, non puo' non prendersi atto che le sezioni unite della Corte di cassazione (ord. n. 25084, c.c. 30 maggio 2006, dep. 19 luglio 2006) hanno ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, e 77 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione per la durata della custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta. Sebbene la questione posta all'esame delle sezioni unite della Corte di cassazione concernesse un'ipotesi di detenzione per piu' titoli cautelari di pari durata, con assoluzione di merito da uno dei reati ascritti e declaratoria di estinzione per prescrizione relativamente ad altra fattispecie delittuosa, anche al caso all'esame della Corte di appello (condanna e declaratoria, di improcedibilita' per difetto di querela) si attaglia la questione di legittimita' costituzionale negli esatti termini teste' evidenziati, posto che il Barazza ha oggettivamente sofferto un periodo di detenzione cautelare superiore alla misura della pena detentiva inflittagli. Ed infatti, le sezioni unite, dopo aver richiamato i limiti di applicazione dell'istituto, come delineati nella costante interpretazione giurisprudenziale («In riferimento alla previsione della seconda parte del comma 4, il diritto vivente, nell'ipotesi di concorrenza di una pluralita' di titoli cautelari, ammette il diritto alla riparazione alla tassativa condizione che tutte le imputazioni siano definite con un proscioglimento nel merito o che sia stata accertata l'illegalita' della custodia cautelare a norma del comma 2 dell'art. 314, qualora per ciascuno di detti titoli l'art. 303 c.p.p. preveda pari durata... in una siffatta situazione, il periodo di detenzione cautelare e' unico ed inscindibilmente imputabile ad ognuno e a tutti i titoli custodiali (Sez. IV, 9 maggio 2000, Comisso, rv. 217721), di guisa che se questi hanno un identico limite massimo di durata, e' sufficiente la mancanza di proscioglimento nel merito per uno solo di essi perche' l'intera detenzione cautelare debba essere ad esso riferita, indipendentemente dalla misura della pena che sarebbe stata in concreto inflitta se fosse intervenuta una pronuncia di condanna. Inoltre... la portata della disposizione di cui al comma 4 dell'art. 314 puo' essere compiutamente definita soltanto coordinandola con quella contenuta nel comma 1, in quanto da quest'ultima traspare inequivocamente l'intenzione legislatore di escludere, integralmente la riparazione per ingiusta detenzione in tutti i casi di proscioglimento non di merito e, a maggior ragione, di condanna prescindendo totalmente dall'effettiva misura della pena applicabile o in concreto applicata, quand'anche questa risulti largamente inferiore al periodo di custodia cautelare effettivamente subita»), hanno rimarcato come due recenti sentenze della Corte (n. 1451, c.c. 6 luglio 2005, Cinanni; n. 1467, 8 luglio 2005, Femia), fossero pervenute a risultati asimmetrici rispetto all'ambito dell'istituto configurato dall'art. 314 c.p.p., finendo per riconoscere, in buona sostanza, «che il diritto all'indennizzo deve essere determinato non in riferimento alla durata massima della misura custodiale, ma all'entita' della pena che sarebbe stata inflitta in caso di condanna, aprendo, cosi', un varco che dilata a dismisura l'area della riparabilita' e la estende oltre i precisi termini tassativamente fissati dalla normativa vigente», conclusione avvalorata «dalle implicazioni insite nel dictum delle predette due decisioni dal quale deriva che il diritto alla riparazione e' configurabile non solo in caso di proscioglimento non di merito per uno dei reati contestati, ma anche nell'ipotesi di condanna, giacche' il periodo di privazione della liberta' eccedente la misura della pena in concreto inflitta dovrebbe in ogni caso imputarsi al concorrente reato per il quale e' stata pronunciata l'assoluzione nel merito». Nella stessa ordinanza di rimessione si era rilevato che «l'avere l'imputato scontato una custodia cautelare di durata maggiore alla pena inflitta, se pure possa considerarsi oggettivamente ingiusto, non vale - nel presente quadro normativo e allo stato della giurisprudenza - a ritenere "ingiusta"... la detenzione cautelare eccedente il limite della pena» e tuttavia si osservava che alle citate decisioni sottostavano «valide ragioni sostanziali che consistono nel non ritenere conforme ad equita' l'impossibilita' di riparazione per ingiusta detenzione in presenza di una custodia cautelare ampiamente superiore a quella della pena che viene poi stabilita dal giudice», indicandosi «molteplici profili che potrebbero far dubitare della compatibilita' con i principi sanciti dalla Carta costituzionale della normativa racchiusa nell'art. 314, commi 1 e 4 c.p.p., nella parte in cui esclude il diritto alla riparazione per la custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta, precludendo di riflesso - nell'ipotesi di piu' titoli cautelari con pari limiti di durata massima - la liquidazione dell'indennita' in ordine all'imputazione per la quale e' intervenuta assoluzione nel merito, anche se l'effettivo periodo di custodia cautelare risulti superiore alla misura della pena inflitta (o che sarebbe stata inflitta) per l'altra imputazione se il reato non fosse stato dichiarato prescritto». Premesso che, nel caso sottoposto all'esame delle sezioni unite, andava riconosciuta l'impossibilita' di utilizzare il metodo dell'interpretazione secundum costitutionem, non potendosi superare il limite rappresentato dall'univoco senso letterale delle disposizioni dei commi 1 e 4 dell'art. 314 e dalle convergenti ragioni logiche che sorreggono la specifica strutturazione della normativa, le stesse sezioni unite rilevavano - nell'ottica particolare della durata della custodia in carcere rispetto all'entita' della pena applicata (o applicabile) - la possibilita' di formulare fondati dubbi sulla compatibilita' con le norme costituzionali della disciplina risultante dal combinato disposto dei commi 1 e 4 dell'art. 314 c.p.p., e cio' in rapporto agli artt. 76 e 77 Cost., in riferimento alla non fedele attuazione della direttiva contenuta nell'art. 2, comma 1 n. 100 della legge di delega n. 81 del 1987, anche in relazione alla direttiva che impone di adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia (artt. 5-5 della Convenzione europea e 9-5 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici), nonche' agli artt. 2, 3 e 24, quarto comma Cost. Per i motivi esposti, ritiene conclusivamente questa corte che la questione di legittimita' costituzionale, subordinatamente dedotta dal difensore del Barazza all'odierna udienza, sia rilevante nel presente procedimento e, per le ragioni e nei termini prospettati dall'ordinanza delle sezioni unite della Corte di cassazione sopra citata, cui deve farsi integrale richiamo, sia non manifestamente infondata.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 314 c.p.p., in riferimento agli artt. 2, 3, 24, e 77 Cost., nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione per la durata della custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Trieste, il 15 marzo 2007. Il Presidente: Di Silvestre Il consigliere estensore: Rifiorati 07C1298