N. 182 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 2019
Ordinanza del 17 giugno 2019 della Corte di cassazione nel procedimento civile promosso dall'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) contro B. M. K. F.. Assistenza e solidarieta' sociale - Maternita' e infanzia - Straniero - Assegno per l'incentivazione della natalita' e la contribuzione alle spese per il suo sostegno - Requisiti per l'individuazione dei destinatari della prestazione - Previsione, per i cittadini di Stati extracomunitari, della titolarita' del permesso di soggiorno di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 (permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo), anziche' della titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione dell'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998. - Legge 23 dicembre 2014, n. 190 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)"), art. 1, comma 125.(GU n.44 del 30-10-2019 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione Lavoro Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: dott. Antonio Manna - Presidente; dott.ssa Enrica D'Antonio - consigliere; dott. Umberto Berrino - consigliere; dott. Giulio Fernandes - consigliere; dott.ssa Daniela Calafiore - relatore consigliere, ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso n. 12199-2018, proposto da: I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria n. 29, presso l'Avvocatura centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonietta Coretti, Vincenzo Triolo, Vincenzo Stumpo, ricorrente; Contro B. M. K. F. domiciliata in Roma piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte suprema di cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Livio Neri, Alberto Guariso, controricorrente; Avverso la sentenza n. 1735/2017 della Corte d'appello di Milano, depositata il 31 ottobre 2017 R.G.N. n. 823/2017; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2 aprile 2019 dal consigliere dott.ssa Daniela Calafiore; Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale dott. Stefano Visona' che ha concluso per il rigetto ed in subordine rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea; Udito l'avv. Antonietta Coretti; Udito l'avv. Alberto Guariso. Rilevato in fatto 1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza n. 1735/2017, ha accolto l'impugnazione proposta da B. M. K. F. nei riguardi dell'I.N.P.S. avverso l'ordinanza emessa dal tribunale della stessa sede di rigetto del ricorso proposto ai sensi degli articoli 28, decreto legislativo n. 150 del 2011, 44 testo unico sull'immigrazione e 702-bis del codice di procedura civile da B. M. K. F. (cittadina egiziana, titolare di permesso unico di soggiorno per motivi di lavoro e residente in Italia), con condanna dell'I.N.P.S. al pagamento dell'assegno di natalita', previsto dall'art. 1 della legge di bilancio per il 2015, n. 190 del 2014, commi 125-129, che le era stato negato in quanto non titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all'art. 9, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero). 2. La corte territoriale ha riformato l'ordinanza impugnata che aveva rigettato la domanda tesa all'accertamento della discriminazione per nazionalita' in considerazione del fatto che la legge, violando l'art. 12 della direttiva 2011/98/UE che garantisce ai titolari del permesso unico di soggiorno il diritto alla parita' di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro in materia di sicurezza sociale, aveva introdotto nell'ordinamento un beneficio assistenziale riconoscendolo, quanto ai cittadini di Paesi terzi, unicamente a quelli in possesso di permesso di lungo soggiorno. 3. Inoltre, la Corte d'appello ha ritenuto legittimo il ricorso all'azione antidiscriminatoria trattandosi di diniego di prestazione richiesta da cittadini di Stati terzi in ragione della violazione del diritto alla parita' di trattamento ed in quanto la stessa prestazione era stata richiesta in giudizio al solo fine di rimuovere la discriminazione. 4. Quanto poi alla inclusione, ai sensi dell'art. 12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva UE n. 2011/98, del beneficio in questione all'interno dei settori della «sicurezza sociale» definiti nel regolamento CE n. 883/2004 art. 3, comma 5, ed alla natura immediatamente applicativa della direttiva appena richiamata, la Corte d'appello di Milano ha ricordato propri precedenti e confermato che l'assegno di natalita' previsto dall'art. 1, commi 125-129, legge n. 190 del 2014 rientra nel settore della sicurezza sociale in quanto il regolamento CE n. 883/2004 contempla trattamenti «contributivi e non contributivi» ed entrambi vanno compresi nell'elenco di cui al primo comma del medesimo art. 3 che indica, alla lettera b) «i trattamenti di maternita' e paternita' assimilati» ed alla lettera j) le «prestazioni familiari». L'art. 1 del regolamento citato, inoltre, definisce quali prestazioni familiari «tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni di nascita o di adozione menzionati nell'Allegato 1», dove l'espressione «compensare i carichi familiari» deve essere interpretata, secondo quanto ritenuto dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, con riferimento ad un contributo pubblico al bilancio familiare destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli (CGUE 19 settembre 2013 causa C-216/12 e C-217/12), non essendo rilevante che la prestazione in esame sia qualificata o meno come previdenziale dal diritto nazionale, ma rilevando solo che la misura venga erogata prescindendo da ogni valutazione individuale o discrezionale delle esigenze personali dei beneficiari, secondo criteri legali quali le dimensioni del nucleo familiare ed il reddito. 5. Date queste premesse, la corte territoriale ha ritenuto, essendo stato provato il requisito reddituale richiesto per la corresponsione dell'assegno, che la disposizione denunciata realizzi effetti discriminatori e che, in modo consequenziale, tali effetti abbia pure realizzato l'attivita' della pubblica amministrazione che a questa si e' conformata, non potendosi neanche ravvisare (in conformita' con quanto stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza del 21 giugno 2017 C. 449/2016) alcuna ipotesi di legittima facolta' di deroga al principio di parita' di trattamento, fissato dall'art. 12 della direttiva UE 2011/98, non avendo lo Stato italiano manifestato esplicitamente tale volonta'. 6. Avverso tale sentenza l'I.N.P.S. propone ricorso per cassazione sulla base di un solo articolato motivo. 7. B. M. K. F. resiste con controricorso. 8. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 del codice di procedura civile. 9. Con l'unico articolato motivo di ricorso, l'I.N.P.S. deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 1, commi da 125 a 129, legge n. 190 del 2014 e connesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2015, articoli 4-bis, comma 1-bis, 5, commi 8.1. e 8.2., 9, dodicesimo comma, lettera c); articoli 43 e 44, decreto legislativo n. 286 del 1998, anche in relazione all'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, all'art. 12 della direttiva 2011/98/UE, recepita con il decreto legislativo n. 40 del 2014 ed all'art. 3 del regolamento CE n. 883/2004, per avere la sentenza impugnata riconosciuto il diritto delle controparti, cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno per motivi di lavoro e quindi privi del permesso di lungo soggiorno, a percepire le somme richieste da ciascuno per i periodi indicati, a titolo di assegno di natalita' previsto dall'art. 1, commi da 125 a 129, legge n. 190 del 2014 in favore dei cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea o di cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo - in possesso del requisito reddituale previsto non superiore ai 25.000 euro annui con maggiorazione in caso di reddito annuo non superiore a 7.000 euro pur in assenza, nel disposto normativo indicato, di una previsione specifica e definendo discriminatoria la condotta dell'I.N.P.S.. 12. Ad avviso del ricorrente, dall'impianto normativo istitutivo della prestazione rivendicata, e segnatamente dal meccanismo di monitoraggio della spesa in relazione al numero delle domande in concreto presentate con possibilita' per l'I.N.P.S. di sospensione dell'acquisizione delle domande in attesa del decreto ministeriale previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2015, art. 6, comma 2, si evincono sia la natura di «premio», diretto ad incentivare la natalita' nell'ambito del territorio nazionale a causa della notoria flessione delle nascite sia l'estraneita' di tale misura rispetto al sistema delle tutele di sicurezza sociale richiamate dal regolamento CEE n. 883/2004; in tal senso il ricorrente richiama quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 141 del 2014 a proposito del cosiddetto «bonus bebe'» previsto con legge della Regione Campania n. 4, art. 1, comma 78 del 2011, disposizione considerata giustificata e razionale, come pure in casi analoghi era avvenuto da parte delle sentenze della Corte costituzionale nn. 222, 178, 4 e 2 del 2013. Gli inderogabili doveri di solidarieta' di cui all'art. 2 della Costituzione e le misure di protezione della maternita' di cui all'art. 31, secondo comma della Costituzione sono realizzati, ad avviso dell'Istituto ricorrente, dalla disposizione contenuta nell'art. 35, comma terzo, decreto legislativo n. 286 del 1998, la' dove e' prevista per tutti gli stranieri, ancorche' non iscritti al Servizio sanitario nazionale, la tutela della gravidanza e della maternita' a parita' di trattamento con le cittadine italiane e la tutela della salute del minore. Peraltro, come riconosciuto da Corte costituzionale n. 222 del 2013, il radicamento nel territorio nazionale derivante dalla titolarita' del permesso di lungo soggiorno e' elemento valido a giustificare il riconoscimento di prestazioni sociali solo a coloro i quali hanno conseguito tale permesso a fronte della limitatezza delle risorse economiche disponibili e della discrezionalita' che va riconosciuta al legislatore ove non si versi in misure appartenenti ai livelli essenziali di assistenza. In ragione di tali considerazioni, dunque, la disposizione denunciata quale discriminatoria e', per l'I.N.P.S., misura del tutto estranea all'ambito della sicurezza sociale oggetto della previsione contenuta nell'art. 12 della direttiva UE 2011/98 e, quindi all' oggetto del diritto alla parita' di trattamento ivi previsto, e conforme ai principi Costituzionali di cui agli articoli 2, 3, 31 e 38 della Costituzione. 13. Infine, l'Istituto evidenzia che la propria tesi non e' contraddetta dalla sentenza della Corte di giustizia del 21 giugno 2017 C 449/2016 in quanto l'assegno di natalita' di cui alla legge n. 190 del 2014, e' destinato ad incentivare le nascite e rientra nella previsione dell'art. 70 del citato regolamento quale misura retta dalla fiscalita' generale, a differenza dell'assegno per il nucleo familiare erogato dai comuni di cui all'art. 65 della legge n. 448 del 1998, che e' un contributo pubblico destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli. 14. La controricorrente eccepisce l'inammissibilita' del ricorso ai sensi dell'art. 366 del codice di procedura civile per l'assenza di relazione tra la regola giuridica applicata dal giudice di merito e la regola ritenuta corretta, con l'ulteriore elemento di genericita' costituito dall'aver affermato in modo apodittico che l'assegno di natalita' in oggetto non e' prestazione di sicurezza sociale, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata. In ogni caso la controricorrente ribadisce l'infondatezza delle affermazioni sottese al motivo di ricorso, in quanto il diritto a non subire disparita' di trattamento, fondato sull'art. 12 della direttiva UE 2011/98, deriva dalla inclusione della propria posizione di cittadina titolare di permesso di soggiorno che consente di lavorare - paragrafo 1, lettere b) e c) della citata direttiva 2011/98 - e dalla natura della prestazione rivendicata, che rientra nel settore della sicurezza sociale definito dal regolamento n. 883 del 2004, art. 3, primo comma, lettera b) «prestazioni di maternita' e paternita' assimilate» e lettera j) «prestazioni familiari», in quanto diretta a tutelare la maternita' e la paternita' ed ad alleviare gli oneri familiari, come peraltro ribadito nella giurisprudenza europea (CGUE 16 luglio 1992 in C-78/91; CGUE 5 marzo 1998 in C-160/1996; CGUE 14 giugno 2016 in C-308/2014; CGUE 21 giugno 2017 in C-449/16). 15. Quanto, poi, al profilo relativo al vincolo di spesa annuale imposto all'Istituto attraverso il monitoraggio dell'andamento dell'uscita di cassa, la controricorrente osserva che tale meccanismo, oltre a non poter evitare la necessaria applicazione del diritto euro-unitario, in concreto, data la scadenza del termine originariamente previsto per la fruizione del beneficio (31 dicembre 2017), e' semmai prova del fatto che il riconoscimento del diritto anche ai titolari del permesso di soggiorno per lavoro non ha comportato alcuna conseguenza sul piano della copertura finanziaria prevista. 16. Infine, la controricorrente segnala la natura del tutto apodittica dell'affermazione dell'I.N.P.S. relativa alla contrarieta' alla finalita' di incentivo alla natalita' del trattamento richiesto con una presenza solo temporanea dei titolari di permesso di unico di lavoro, in quanto nulla in concreto puo' collegare il possesso del permesso unico di soggiorno alla presunzione di permanenza solo temporanea sul territorio nazionale, soprattutto considerando che il permesso di lungo periodo di cui all'art. 9, decreto legislativo n. 286 del 1998 e' subordinato, oltre che alla residenza effettiva per almeno cinque anni, anche al raggiungimento di un reddito minimo ed alla fruizione di un alloggio idoneo e che la direttiva UE 2011/98 non ha scelto questo criterio per selezionare i soggetti cui va assicurata la parita' di trattamento in materia di sicurezza sociale. Considerato in diritto 1. Ritiene il collegio, dovendosi escludere che il ricorso sia inammissibile per difetto di specificita' del motivo in ragione della piena idoneita' dei vizi di violazione di legge prospettati ad incrinare la ricostruzione giuridica seguita dalla sentenza impugnata, che la questione prospettata importi innanzi tutto la necessita' di verificare la legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 3 della Costituzione, 31 della Costituzione e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 2. Il testo dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014 prevede: «Al fine di incentivare la natalita' e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017, e' riconosciuto un assegno di importo pari a 960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione. L'assegno, che non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, e' corrisposto fino al compimento del terzo anno di eta' ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell'adozione, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all'art. 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, residenti in Italia e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione economica corrispondente ad un valore dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), stabilito ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, non superiore a 25.000 euro annui. L'assegno di cui al presente comma e' corrisposto, a domanda, dalI'I.N.P.S., che provvede alle relative attivita', nonche' a quelle del comma 127, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Qualora il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell'ISEE, stabilito ai sensi del citato regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, non superiore a 7.000 euro annui, l'importo dell'assegno di cui al primo periodo del presente comma e' raddoppiato». 3. Rilevanza della questione di costituzionalita'. Il presente giudizio e' stato introdotto dagli attuali controricorrenti ai sensi dell'art. 44, decreto legislativo n. 286 del 1998, denunciando la natura oggettivamente discriminatoria della negazione, da parte dell'I.N.P.S., dell'assegno di natalita' di cui sopra in ragione del possesso del permesso unico di lavoro anziche' di quello di lungo soggiorno ex art. 9, decreto legislativo n. 286 del 1998. In particolare, e' stato fatto valere il diritto a beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato italiano in cui soggiornano per quanto concerne l'erogazione dell'assegno di cui all'art. 1, commi 125-129, legge n. 190 del 2014, in applicazione del disposto dell'art. 12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva UE 2011/98, con richiesta di non applicazione del disposto della norma il cui testo, invece, li esclude, ritenendola incompatibile con il diritto europeo. 4. E' evidente che il chiaro tenore testuale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014 dimostra che il carattere in se' lesivo del diritto a non subire disparita' di trattamento e' da verificare innanzi tutto nella previsione di legge che ha introdotto l'assegno di natalita', selezionando i beneficiari in ragione di requisiti diversi a seconda della nazionalita', essendo la condotta dell'I.N.P.S. solamente applicativa di tale disposto. 5. Inoltre, avendo B. M. K. F. chiesto la condanna dell'I.N.P.S. all'erogazione dell'assegno di natalita' quale concreta misura idonea ad eliminare gli effetti della discriminazione ed avendo, in sede di legittimita', il ricorrente denunciato vizio di violazione di legge incentrato sulla affermata erronea interpretazione di tale disposizione in relazione alle previsioni della direttiva UE 2011/98, la concreta rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che la involge e' evidente, non potendo la Corte di cassazione fare a meno di vagliare l'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014 al fine di risolvere la questione oggetto di giudizio. 6. Non vi e' dubbio, inoltre, che qualora si dovesse fare applicazione della disposizione appena citata, la domanda della cittadina extracomunitaria sarebbe rigettata perche' e' pacifico che, pur essendo presenti gli ulteriori presupposti richiesti, odierna controricorrente non e' titolare del permesso di lungo soggiorno ex art. 9, decreto legilativo n. 286 del 1998. Ne' l'inequivocabile tenore letterale dell'art. 1, comma 125, 1egge n. 190 del 2014 - che per i cittadini extracomunitari espressamente condiziona il diritto all'assegno de quo, fra gli altri requisiti, al permesso di soggiorno di cui all'art. 9 del decreto legislativo n. 286 del 1998 - e' suscettibile di estensione in via di interpretazione costituzionalmente conforme (donde la necessita' di investire il giudice delle leggi). 7. Detta rilevanza, peraltro, non e' impedita dalla pur concreta possibilita' di procedere alla disamina del motivo di ricorso privilegiando la finalita', perseguita dai giudici di merito, diretta esclusivamente alla verifica di compatibilita' della norma denunciata con la previsione dell'art. 12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva UE 2011/98, che impone la parita' di trattamento in favore dei «lavoratori dei paesi terzi di cui all'art. 3 paragrafo 1, lettere b) e c)» e che, ove l'incompatibilita' si evidenzi anche previo ricorso pregiudiziale alla CGUE, conduce all'inapplicabilita' alla fattispecie in esame del disposto dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014 in ragione del principio di prevalenza del diritto euro-unitario sul diritto nazionale. 8. Va infatti osservato che l'interpretazione della citata disposizione, sollecitata, ancor prima che dal motivo di ricorso per cassazione, dalla stessa denuncia degli effetti discriminatori insiti nella disposizione formulata dai ricorrenti in primo grado, importa la necessaria disamina della conformita' a Costituzione della disposizione in esame che richiama, testualmente, l'art. 9, decreto legislativo n. 286 del 1998 e, quindi, il sistema normativo che disciplina la materia dei permessi di soggiorno e dei diritti riguardanti i cittadini stranieri delineato dal citato testo unico che, attraverso le modifiche apportate dai due articoli del decreto legislativo n. 40 del 2014, ha pure recepito la direttiva UE 2011/98. 9. Nel caso di specie, ritiene il collegio che il peculiare meccanismo di funzionamento della non applicazione della disposizione contenuta nell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, ovviamente limitato all'inciso che richiede per cittadini extra comunitari anche il possesso di permesso di lungo soggiorno, non possa realizzare effetti analoghi a quelli derivanti dalla pronuncia di incostituzionalita' per violazione degli articoli agli articoli 3 della Costituzione, 31 della Costituzione e 117, primo comma della Costituzione quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE). 10. Solo in sede di giudizio costituzionale e' possibile, infatti, valutare la ragionevolezza della scelta discrezionale legislativa, frutto di bilanciamento dei contrapposti interessi e considerare, come si dira' piu' approfonditamente in sede di giudizio di non manifesta infondatezza, gli indici normativi che avrebbero dovuto condurre il legislatore a riconoscere quale unico criterio selettivo giustificato e ragionevole il possesso della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, previsto dall'art. 41, decreto legislativo n. 286 del 1998 quale espressione di un principio generale, al fine di riconoscere ai titolari la piena equiparazione ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale. 11. Ad avviso del collegio, per tali ragioni legate ai diversi effetti che potrebbero derivare dalla pronuncia della Corte costituzionale rispetto al sistema al cui interno si colloca la disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale, l'applicabilita' alla fattispecie della direttiva UE 2011/98 non determina l'irrilevanza della questione di costituzionalita' e la stessa va subito sollevata. 12. Cio' e' in sintonia con quanto affermato dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale n. 63 del 2019), secondo la quale «[...] ove il giudice a quo ha inteso formulare in termini chiari e definitivi le questioni sottoposte all'esame di questa Corte; occorre in questa sede ribadire - sulla scorta dei principi gia' affermati nelle sentenze n. 269 del 2017 e n. 20 del 2019 - che a questa Corte non puo' ritenersi precluso l'esame nel merito delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate con riferimento sia a parametri interni, anche mediati dalla normativa interposta convenzionale, sia - per il tramite degli articoli 11 e 117, primo comma della Costituzione - alle norme corrispondenti della Carta che tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti; e cio' fermo restando il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, e - ricorrendone i presupposti - di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta [...]. Laddove pero' sia stato lo stesso giudice comune a sollevare una questione di legittimita' costituzionale che coinvolga anche le norme della Carta, questa Corte non potra' esimersi, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, dal fornire una risposta a tale questione con gli strumenti che le sono propri: strumenti tra i quali si annovera anche la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della disposizione ritenuta in contrasto con la Carta (e pertanto con gli articoli 11 e 117, primo comma della Costituzione), con conseguente eliminazione dall'ordinamento, con effetti erga omnes, di tale disposizione». 13. Non manifesta infondatezza. L'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, riferito ai nuovi nati o adottati tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017, e' una misura che concorre a formare il sistema dei sostegni sociali alla genitorialita'. 14. Il beneficio consiste nell'erogazione di un'assegno, da parte dell'I.N.P.S., nell'arco dei primi tre anni di vita per ciascun figlio nato o adottato da genitori residenti sul territorio nazionale che abbiano redditi non superiori ad euro 25.000 secondo gli indicatori ISEE. Laddove, pero', i genitori siano cittadini extracomunitari, si richiede l'ulteriore requisito della titolarita' del permesso di lungo soggiorno ex art. 9, decreto legislativo n. 286 del 1998, con la conseguenza che la prestazione puo' essere erogata solo ai cittadini extracomunitari, che ai fini dell'ottenimento del permesso in questione, abbiano dimostrato di disporre di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell'art. 29, comma 3, lettera b) del decreto legislativo n. 286 del 1998, nonche' di un alloggio idoneo e di aver superato un test di conoscenza della lingua italiana. 15. L'onere finanziario relativo all'erogazione dell'assegno e' esclusivamente a carico dello Stato e, come afferma la stessa disposizione, la misura persegue la finalita' di «incentivare la natalita'» e di «contribuire alle spese per il suo sostegno». 16. A fronte di cio', e segnatamente della limitazione dei possibili beneficiari in ragione della fruizione di redditi modesti o addirittura estremamente bassi, non pare seriamente dubitabile che si tratti di misura soprattutto tesa al sostegno delle famiglie in condizioni economiche non agiate (qualora non si superi il tetto di 25.000 euro annui) o addirittura in stato di bisogno (per l'ipotesi di redditi non superiori a 7.000 euro annui). 17. Peraltro, l'art. 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2015, emanato per dare attuazione alla misura, prevede la decadenza dal beneficio in ragione della perdita, durante il triennio, dei requisiti economici posseduti al momento di presentazione della domanda, di decesso del figlio o di perdita della responsabilita' genitoriale. 18. In altri termini si tratta di prestazione di assistenza sociale di contenuto economico realizzante uno degli interventi finalizzati alla valorizzazione ed al sostegno delle responsabilita' familiari, cosi' come previsto, in applicazione dei principi costituzionali fissati dagli articoli 2 e 3 della Costituzione dalla legge n. 328 del 2000, all'art. 16. 19. La disposizione si caratterizza per l'adozione di un criterio di selezione dei beneficiari affidato a ragioni di nazionalita' e di contemporanea presenza di condizioni economico-sociali peculiari - compendiate nel rinvio all'art. 9, decreto legislativo n. 286 del 1998 - relative ai soli cittadini extracomunitari, essendo invece comuni a cittadini europei ed extracomunitari gli ulteriori requisiti dell'attualita' della residenza in Italia e della percezione di redditi non superiori alle modeste soglie sopra indicate. 20. In sostanza, la fruizione dell'assegno risulta, per testuale previsione di legge e senza che possa sperimentarsi alcuna diversa interpretazione che eviti l'oggettiva disparita' di trattamento, esclusa nei confronti dei nati o degli adottati tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017 da genitori cittadini extracomunitari che fruiscono di redditi non superiori ad euro 7.000 o ad euro 25.000, sono legalmente residenti in Italia in base ad idoneo permesso di soggiorno e lavoro, ma non risultano titolari del permesso di lungo soggiornanti di cui all'art. 9, decreto legislativo n. 286 del 1998. 21. Inoltre, la disposizione in esame non si raccorda in alcun modo con la previsione contenuta nell'art. 41 del decreto legislativo n. 286 del 1998 (disposizione appartenente all'insieme di norme contenute nel testo unico che l'art. 1, comma 4, definisce «norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica») che riconosce in linea generale parita' di trattamento, rispetto ai cittadini italiani, in materia di assistenza sociale ai cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro validi per almeno un anno. 22. La disposizione suscita il dubbio di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza e della disparita' di trattamento, dell'art. 31 della Costituzione, dell'art. 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. 23. Thema decidendum. I profili della questione sono i seguenti. Quanto alla possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione, pare in contrasto con il principio di ragionevolezza prevedere dapprima - e correttamente - che l'erogazione dell'assegno di natalita' debba essere uguale a parita' di bisogno, e poi escludere contraddittoriamente dalla medesima prestazione sociale, rilevante perche' a contenuto economico, intere categorie di soggetti, selezionati non in base all'entita' o alla natura del bisogno, ma ad un criterio privo di ogni collegamento con questo, quale la titolarita' del permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata pregressa della residenza almeno quinquennale, un reddito comunque almeno pari all'importo dell'assegno sociale, un alloggio idoneo e la conoscenza della lingua italiana: determinando, con cio', l'esclusione di chi si trova in situazione di maggior bisogno rispetto a tale categoria e disparita' di trattamento tra situazioni identiche od analoghe, con conseguente lesione del principio di eguaglianza. 24. La Corte costituzionale ha gia' ritenuto illegittime disposizioni simili a quella denunciata, sul rilievo che una disciplina del tipo considerato introduce un elemento di distinzione arbitrario, proprio perche' non vi e' alcuna ragionevole correlazione tra la residenza protratta nel tempo ed i requisiti di bisogno e di disagio della persona che costituiscono il presupposto di fruibilita' di una provvidenza sociale (sentenza n. 40 del 2011). 25. Peraltro, si tratta di prestazione sociale erogata in occasione della nascita di un figlio o della sua adozione, da fruire nell'arco di tre anni e, quindi, relativa a bisogni essenziali del nucleo familiare da soddisfare nei limiti di durata contenuta in tale arco temporale e destinata a non essere piu' erogata nell'ipotesi in cui venga meno qualcuno dei presupposti necessari durante il decorso del triennio. Sia avendo riguardo alla funzione di incentivo all'incremento demografico che alla funzione di sostegno economico, non si comprende in che relazione possano stare tali finalita' con le circostanze di vita pregressa che costituiscono i presupposti per ottenere il permesso di lungo soggiorno di cui all'art. 9, decreto legislativo n. 286/1998. 26. Ne' a giustificare la pretesa giovano considerazioni legate alla particolare finalita' di incentivare la natalita' nel territorio nazionale che legittimerebbe l'imposizione della titolarita' del permesso di lungo soggiorno, quale dimostrazione del particolare radicamento del richiedente nel territorio nazionale. Infatti, sebbene il permesso di lungo soggiorno dimostri tale radicamento e lasci presagire un progetto di continuita' in tal senso, e' altrettanto vero che tali considerazioni non risultano logicamente correlate con l'assegno di natalita' di cui si discute, che non ha solo funzione di incentivo all'innalzamento demografico ma, soprattutto, riveste il ruolo di sostegno economico, limitato solo al primo triennio di vita del bambino o del suo inserimento in famiglia in caso di adozione, alle famiglie meno agiate cui bisogni sono immediati ed indifferibili e certamente poco influenzati dai progetti di vita a lungo termine. 27. Non e', dunque, rilevante in questa sede quanto ha affermato la Corte costituzionale a proposito della legittimita' costituzionale di misure definite «assegni di natalita'» istituite da talune regioni e che non avevano nessuna funzione di sostegno alla famiglie bisognose perche' erogate a prescindere da limiti reddituali (vedi Corte costituzionale n. 222 del 2013 in relazione alla legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2011, art. 3). 28. Anzi, va ricordato che Corte costituzionale n. 141 del 2014, nel giudicare la conformita' all'art. 3 della Costituzione della legge regionale della Campania n. 4 del 2011, istitutiva di un «bonus bebe'» erogato a prescindere dal reddito familiare e solo sulla base della residenza biennale sul territorio regionale, ha affermato: «La questione - che con riguardo al cosiddetto «bonus bebe'», investe propriamente il solo prescritto requisito della permanenza biennale sul territorio regionale - non e' fondata, poiche' non e' irragionevole la previsione regionale che si limiti a favorire la natalita' in correlazione alla presenza stabile del nucleo familiare sul territorio, senza che vengano in rilievo ulteriori criteri selettivi concernenti situazioni di bisogno o disagio, i quali non tollerano di per se' discriminazioni (cosi', tra le altre, le sentenze n. 222, n. 178, n. 4 e n. 2 del 2013)». 29. Va aggiunta l'ulteriore considerazione che neppure rilevano, in senso contrario, valutazioni relative alla necessita' di limitare l'erogazione di prestazioni di natura economica eccedenti quelle essenziali in ragione della limitatezza delle risorse disponibili, posto che cio' non esclude «che le scelte connesse alla individuazione dei beneficiari - necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse disponibili - debbano essere operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza» come statuito da Corte costituzionale n. 40 del 2011 e n. 432 del 2005. 30. A questo fine, la giurisprudenza costituzionale, sempre in materia di misure di assistenza sociale da garantire ai cittadini extracomunitari in possesso di titoli validi di soggiorno ma non della carta di soggiorno, ora permesso di lungo soggiorno, ha precisato la necessita' che, fermi gli ulteriori presupposti richiesti per la fruizione delle misure di assistenza sociale, « [...] nell'ottica della piu' compatibile integrazione sociale e della prevista equiparazione, per scopi assistenziali, tra cittadini e stranieri extracomunitari, di cui all'art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) - il soggiorno di questi ultimi risulti, oltre che regalare, non episodico ne' occasionale» (Corte costituzionale n. 230 del 2015). 31. Neppure le considerazioni svolte nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2019, in tema di legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19 della legge n. 388 del 2000 nella parte in cui subordina il diritto a percepire l'assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla titolarita' della carta di soggiorno (ora permesso di lungo soggiorno) pare possa risolvere il dubbio di costituzionalita' relativo alla norma in esame. Infatti, il soddisfacimento di tale condizione per il solo straniero extracomunitario e' stata ritenuta non irragionevole in virtu' del fatto che l'assegno sociale e' misura che, rivolgendosi a chiunque abbia compiuto sessantacinque anni di eta', persegue finalita' peculiari e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate a specifiche esigenze di tutela sociale della persona che non tollerano discriminazioni, come nel caso delle invalidita' psicofisiche. Ha, in particolare, affermato la Corte costituzionale, nella sentenza da ultimo citata, che « [...] Tali persone ottengono infatti, alle soglie dell'uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della collettivita' nella quale hanno operato (non a caso il legislatore esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in Italia), che e' anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della societa' (art. 4 della Costituzione)». 32. Il profilo di irragionevolezza appena illustrato e la disparita' di trattamento che ne consegue, in definitiva, dovrebbero condurre alla declaratoria di incostituzionalita' - per violazione dell'art. 3 della Costituzione - dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell'erogazione dell'assegno di natalita' anche la titolarita' del permesso unico di soggiorno, anziche' la titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione della disposizione generale contenuta nell'art. 41, decreto legislativo n. 286 del 1998, norma che rappresenta l'equilibrato bilanciamento tra il diritto dell'extracomunitario di godere, a parita' di trattamento con i cittadini italiani, delle misure di assistenza sociale e il riscontro di una presenza dello stesso non temporanea ne' episodica sul territorio nazionale. 33. Altro profilo di denuncia, conseguente a quello appena illustrato, e' quella relativo all'art. 31 della Costituzione, giacche' l'irragionevole disparita' di trattamento ai danni dei cittadini extracomunitari prodotta dalla norma denunciata determina anche l'effetto di violare i diritti protetti dall'art. 31 della Costituzione, in forza del quale la Repubblica si fa carico di agevolare con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e di proteggere la maternita' e l'infanzia. 34. E' evidente, infatti, che la richiesta della titolarita' del permesso di lungo soggiorno per l'erogazione di un sostegno economico finalizzato ad incentivare le nascite ed ad alleviare il peso economico del mantenimento del nuovo nato impedisce di fatto ed irrimediabilmente la realizzazione della garanzia costituzionale per quelle famiglie e per quei figli in cui nessuno dei genitori e' in possesso del permesso di lungo soggiorno, pur trovandosi le stesse famiglie in modo non episodico o temporaneo a risiedere in territorio nazionale e vivendo nelle medesime, se non peggiori, condizioni economiche. 35. L'effetto, inevitabile, pare essere quello di negare per tali nuclei familiari e per i loro nuovi nati, in radice ed irrimediabilmente, la realizzazione del diritto sancito dalla Costituzione, con effetti disgreganti del tessuto sociale della nazione nel nucleo originario ed essenziale della famiglia. 36. L'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, inoltre, pare violare anche l'art. 117, primo comma della Costituzione, in relazione agli articoli 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che, rispettivamente, enunciano il principio di uguaglianza ed il divieto di discriminazioni, anche per cittadinanza, riconoscono il diritto dei bambini «alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere», garantiscono «la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale» nonche' riconoscono «il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale ed ai servizi sociali che assicurano protezione». 37. Il diniego dell'assegno di natalita' di cui all'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, pare integrare, difatti, una discriminazione a causa della nazionalita', come pure espressamente vietato dall'art. 12, lettera e) della direttiva 2011/98 (applicabile ai cittadini di Paesi terzi, titolari del permesso unico di soggiorno come gli odierni contro ricorrenti), che espressamente prevede il diritto dei lavoratori di cui all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne - fra l'altro - i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004. 38. In particolare, va ricordato che la giurisprudenza europea che ha avuto modo di esaminare la direttiva in questione sotto il profilo dei diritti sociali per cui va garantita la parita' di trattamento (CGUE 21 giugno 2017 C-4491/2016) ha avuto modo di precisare che « [...] la distinzione fra prestazioni escluse dall'ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni che vi rientrano e' basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in particolare sulle sue finalita' e sui presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa sia o no qualificata come prestazione di sicurezza sociale da una normativa nazionale (vedi, in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 14; del 20 gennaio 2005, Noteboom, C-101/04, EU:C:2005:51, punto 24, e del 24 ottobre 2013, Lachheb, C-177/12, EU:C:2013:689, punto 28). Una prestazione puo' essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale qualora sia attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita per legge, e si riferisca a uno dei rischi espressamente elencati nell'art. 3, paragrafo 1 del regolamento n. 883/2004 (vedi in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 15; del 15 marzo 2001, Offermanns, C-85/99, EU:C:2001:166, punto 28, nonche' del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU:C:2013:568, punto 48)». Inoltre, la stessa sentenza ha affermato che « [...] l'espressione "compensare i carichi familiari" deve essere interpretata nel senso che essa fa riferimento, in particolare, ad un contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli (vedi, in tal senso, sentenza del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU:C:2013:568, punto 55 e giurisprudenza ivi citata)». Pertanto, la sentenza ha concluso affermando che l'art. 12 della direttiva 2011/98 prevede «[...] un diritto alla parita' di trattamento, che costituisce la regola generale, ed elenca le deroghe a tale diritto che gli Stati membri hanno la facolta' di istituire. Tali deroghe possono dunque essere invocate solo qualora gli organi competenti nello Stato membro interessato per l'attuazione di tale direttiva abbiano chiaramente espresso l'intenzione di avvalersi delle stesse (vedi, per analogia, sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C-571/10, EU:C:2012:233, punti 86 e 87)» e che « [...] l'art. 12 della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale, in base alla quale il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico ai sensi dell'art. 2, lettera c) di tale direttiva, non puo' beneficiare di una prestazione come l'ANF, istituito dalla legge n. 448/1998». 39. Alle argomentazioni sin qui svolte consegue che deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 3 della Costituzione, 31 della Costituzione e 117, primo comma della Costituzione quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui, ai fini dell'erogazione dell'assegno di natalita', richiede ai soli cittadini extracomunitari anche la titolarita' del permesso unico di soggiorno, anziche' la titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, in applicazione della disposizione generale contenuta nell'art. 41, decreto legislativo n. 286 del 1998. A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri ed alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
P.Q.M. La Corte di cassazione, visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 3 della Costituzione, 31 della Costituzione e 117, primo comma della Costituzione quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 ed adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell'erogazione dell'assegno di natalita' anche la titolarita' del permesso unico di soggiorno, anziche' la titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione dell'art. 41, decreto legislativo n. 286 del 1998. Sospende il presente procedimento. Manda la cancelleria per gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87 e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma il 2 aprile 2019. Il Presidente: Manna