N. 688 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 agosto 1990
N. 688 Ordinanza emessa il 30 agosto 1990 dal tribunale di Cosenza nel procedimento penale a carico di Jannuzzi Umberto Antonio ed altro Processo penale - Misure coercitive - Richiesta di revoca - Atti preliminari al giudizio - Trasmissione degli atti del fascicolo del p.m. - Omessa previsione - Conseguente ignoranza, in tale fase giudiziale, di atti rilevatori della condotta e della personalita' del prevenuto - Disparita' di trattamento tra imputati a seconda dello stato del giudizio - Ingiustificata compressione del diritto alla liberta' personale e del diritto di difesa. (C.P.P. 1988, artt. 279 e 299; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 91). (Cost., artt. 3, 13 e 24).(GU n.45 del 14-11-1990 )
IL TRIBUNALE Letta l'istanza in data 23 agosto 1990 formulata dalla difesa di Capparelli Francesco, imputato, in stato di custodia cautelare in carcere, di detenzione e vendita continuata di eroina, con la quale si richiede, previa acquisizione della cartella clinica, la remissione in liberta' del prevenuto; Letti gli atti; Lette le deduzioni del p.m.; O S S E R V A La richiesta difensiva di acquisizione della cartella clinica dell'imputato, attualmente ristretto in carcere, in stato di custodia cautelare, e' funzionale rispetto alla richiesta di remissione in liberta', sicche' prima di decidere sulla istanza di acquisizione di detta documentazione s'impone, come preliminare, sul piano logico, l'esame di una questione che il vigente codice di procedura penale presenta per l'istituto della custodia cautelare in relazione alla fase degli atti preliminari al dibattimento di primo grado (artt. 465 e 192); fase nella quale il giudice conosce, alla stregua dell'attuale normativa, solo degli atti di cui agli artt. 431 e 432. In casi come quello in specie, il giudice della fase degli atti preliminari al giudizio di primo grado si trova a dover decidere sulla liberta' personale (per revoca, imposizione o modifica di una misura cautelare) senza gli atti che forniscano il concreto dei fatti e dei dati sui quali poter apprezzare le ragioni cautelari. Escluso il certificato del casellario giudiziale, e gli altri documenti di cui alla lett. e), dell'art. 431 citato, i quali peraltro sono solo un aspetto della valutazione complessiva della pericolosita' dell'imputato (art. 274, lett. c), e non incidono, almeno in maniera diretta, rispetto alle altre ragioni cautelari di cui alle lettere a) e b) dell'art. 274, gli altri atti di cui all'art. 431, non racchiudono, di per se', dati di fatto sui quali le dette ragioni possano apprezzarsi compiutamente e se, essi, indirettamente ed eventualmente, siffatti dati possono esprimere, va pure rilevato che tali atti, ad eccezione del certificato del casellario giudiziale, possono, per loro natura, mancare tutti. Anche il decreto che dispone il giudizio contiene si l'enunciazione del fatto, ma il solo "fatto", ancorche' lo si voglia considerare anche come non vissuto o filtrato dal magistrato che dispone il giudizio, e' comunque, un momento riassuntivo, privo dei suoi aspetti dinamici, apprezzabili sotto il profilo delle esigenze cautelari. Anche l'eventuale presenza dell'ordinanza cautelare (nel caso cioe' di misura gia' imposta: art. 432), la stessa si risolve, in un giudizio precedente e datato, espresso da altro giudice alla stregua di atti che il giudice degli atti preliminari al giudizio di primo grado ignora. Sicche', in ogni caso, questi, in presenza di istanza da parte dell'imputato sulla liberta', non solo non conosce i dati di fatto concreti sui quali una misura e' stata disposta, ma neppure le evenienze del procedimento successive a tale momento. E resta, per quanto concerne il citato art. 431, altresi' inibito il potere di ufficio di incidere sulla custodia cautelare che pure il sistema riconosce (art. 299, terzo comma, ultima parte). Cosi', nel caso dell'istante Capparelli, non vi sono atti nel fascicolo che possano deporre, come ha gia' ritenuto il g.i.p., per una pericolosita' dell'imputato, ovvero, che possano far diversamente apprezzare le ragioni cautelari. Si e' in presenza di atti (decisori, di accertamento tecnico, ecc. ecc.) non rivelatori della condotta e della personalita' del prevenuto. In definitiva, mentre il g.i.p. quando decide sulla liberta' del soggetto sottoposto alle indagini, conosce gli atti sui quali la misura si fonda (da imporre, modificare o revocare), cosi' come il giudice di primo e secondo grado dopo la chiusura dell'istruttoria dibattimentale dispone della vicenda processuale nella sua acquisizione interezza, il giudice degli atti preliminari al dibattimento di primo grado di siffatte conoscenze non dispone. E va rilevato come il legislatore, mentre ha predisposto un sistema idoneo a garantire la conoscenza del giudice in caso di impugnazione (art. 309, quinto comma; art. 310, secondo comma, del cod. proc. pen. e 100 delle disp. att.), un siffatto sistema non ha previsto per la fase processuale che occupa. Siffatto quadro normativo, d'altra parte, non puo' significare, di per se', che il legislatore, consapevole di un giudice "senza atti", ed anzi intenzionati ad un giudice che atti non debba averne, abbia voluto negare la possibilita' di decisioni sulla liberta' per la fase degli atti preliminari al dibattimento di primo grado. La normativa e' chiara ed univoca nel senso dell'ammissibilita' di giudizi sulla liberta' in tale fase processuale: anche d'ufficio, indipendentemente da istanza di parte: a) art. 91 delle disp. att. "Nel corso degli atti preliminari al dibattimento i provvedimenti concernenti le misure cautelari sono adottati, secondo la rispettiva competenza, dal pretore, dal tribunale, dalla corte di assise..."; b) art. 279 del c.p.p. "Sull'applicazione e sulla revoca delle misure nonche' sulle modifiche delle loro modalita' esecutive provvede il giudice che procede"; c) art. 299, primo e terzo comma, del c.p.p. "Le misure coercitive ed interdittive sono immediatamente revocate... Il giudice provvede anche d'ufficio quando... ovvero quando procede all'udienza preliminare o al giudizio". Cio' considerato, e' altresi' da escludere che la vigente legge processuale preveda un modulo che consente al giudice degli atti preliminari al dibattimento di primo grado di decidere sulla liberta', cognita causa. A) Non il ricorso all'art. 127 che, come anche propongono le prime interpretazioni dottrinali, presuppone il richiamo per ipotesi tassative (es. artt. 41, terzo comma; 130, secondo comma, ecc.) e prevede solo lo schema tipo di singole, tipiche procedure, non che il giudice debba necessariamente seguire tale schema ogni qualvolta debba decidere in camera di consiglio. B) Non il sistema di porre il p.m. e l'impianto in contatto mediato, attraverso il giudice che metta la parte non richiedente in condizione di interloquire (es. mediante avviso), perche': a) siffatta ipotesi procedimentale non e' prevista dal sistema; b) essa non consente l'esercizio del dovere-potere del giudice di decidere di ufficio (art. 299, secondo comma, ultima parte); c) l'esigenza cautelare patrocinata dal p.m. (es. pericolo di fuga) potrebbe essere frustrata all'origine; d) presuppone il dovuto attivarsi delle parti nel produrre, ai fini della decisione sulla liberta', gli atti del fascicolo di cui all'art. 433, laddove un tale obbligo non sussiste ne' e' previsto un corrispondente potere del giudice nel richiederli (come, invece, dispongono gli artt. 309 e 310 del c.p.p. e 100 delle disp. att.). Cosi' come avvenuto nella fattispecie in esame, ove alla richiesta difensiva, prima di allegazioni, ha fatto eco negativa il p.m. che ha opposto la mancata previsione di normativa analoga all'art. 100 delle disp. att. Non puo' che concludersi, quindi, che l'attuale sistema, mentre prevede le possibilita' di giudizi sulla liberta' dell'imputato nella fase degli atti preliminari al dibattimento di primo grado (art. 91 delle disp. att., 279 e 299, primo e terzo comma, del c.p.p.), non pone il giudice in condizione di esprimere una decisione contenutistica, fondata su dati di fatto, positivi o negativi, gia' acquisiti, ma per lui ignoti. Siffatto quadro normativo propone, a giudizio del tribunale, una questione di contrasto degli artt. 279 e 299 del c.p.p. e 91 del d.-l. 28 luglio 1989, n. 271, con gli artt. 3, 13 e 24 della Corte costituzionale, nella parte in cui essi non dispongono, rispettivamente, che nella fase degli atti preliminari al dibattimento di primo grado, il p.m., avvisato dal giudice di una istanza concernente la liberta' personale proveniente dall'imputato sottoposto a misura cautelare, debba trasmettere al giudice, ai fini del giudizio sulla liberta', gli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 433 del c.p.p. Il detto contrasto con la Carta costituzionale si evidenzia: a) con l'art. 3, nella parte in cui detto articolo sancisce la uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, laddove l'attuale sistema, per quanto sopra rilevato, in relazione ad istanze concernenti la liberta', fonda una chiara disparita' di trattamento della garanzia giurisdizionale tra imputati il cui processo penda nella fase degli atti preliminari al dibattimento di primo grado e per i quali il giudice conosce solo gli atti consentiti dagli artt. 431 e 432, ed i soggetti sottoposti ad indagini ed imputati nella fase dalla conclusione dell'istruttoria dibattimentale di primo grado in poi, per i quali, gli uni e gli altri, invece, il giudice competente a decidere sulla liberta' personale, dispone degli atti sui quali si fonda la misura o degli atti concernenti, comunque, l'intera vicenda processuale, per come acquisita. Disparita' di trattamento che non trova giustificazione nella diversita' delle fasi processuali; b) con l'art. 13 nella parte in cui, al secondo comma, detto articolo dispone che: "Non e' ammessa forma alcuna di detenzione... ne' qualsiasi altra restrizione della liberta' personale, se non per atto motivato dall'autorita' giudiziaria..." laddove una decisione sulla liberta' personale, per come consentita dagli artt. 431 e 432, priva di concreti dati di fatto, si risolverebbe in un giudizio ed in una motivazione impossibili; c) con l'art. 24 nella parte in cui detto articolo, al secondo comma, persegue una difesa inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, laddove l'assetto processuale oggi vigente, ingiustificatamente comprime, ed anzi esclude, per le ragioni esposte, il diritto di difesa della liberta' nella fase degli atti preliminari al dibattimento di primo grado, a confronto di quanto, invece, garantisce nella fase delle indagini preliminari e nella fase successiva alla conclusione della istruttoria dibattimentale di primo grado. L'evidenziata questione di incostituzionalita', nei suoi aspetti positivi di risoluzione, cosi' come ritenuti dal tribunale (obbligo del p.m. di trasmettere gli atti di cui all'art. 433 del c.p.p.) si propone, del resto, conforme al sistema poiche': a) il legislatore ha adottato sistema analogo in materia di impugnazioni (artt. 309, quinto comma, 310, secondo comma del cod. proc. pen. e 91 delle disp. att.); b) l'art. 431 del c.p.p., nel restringere il novero degli atti utilizzabili dal giudice di primo grado, parla di "fascicolo per il dibattimento", ossia di fascicolo funzionale, ad una determinata fase del giudizio, non di "fascicolo per il giudizio"; c) la conoscenza di atti diversi da quelli previsti dagli artt. 431 e 432 del c.p.p. da parte del giudice degli atti preliminari al dibattimento che sia, personalmente, il medesimo del dibattimento, e' dato irrilevante poiche' la lettera e lo spirito della disciplina concernente le acquisizioni probatorie dibattimentali consistono e si risolvono nel momento oggettivo della utilizzazione degli atti, nulla compromettendo, per tali oggettive ragioni, che il giudice del dibattimento conosca gli atti di cui all'art. 433. La questione, che il tribunale rileva di ufficio come non manifestamente infondata, appare altresi' rilevante per il caso di specie poiche' dalla sua risoluzione discende il modo di procedere per decidere sulla richiesta di remissione in liberta' per l'imputato.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone l'immediata trasmissione negli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio; Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza sia notificata all'imputato Capparelli ed ai suoi difensori, al p.m. presso questo tribunale, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri; Ordina che copia della presente ordinanza sia comunicata, altresi', a cura della cancelleria, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosenza, addi' 30 agosto 1990 Il presidente estensore: GARBATI 90C1334