N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 1998
N. 72 Ordinanza emessa il 5 novembre 1998 dal pretore di Venezia nel procedimento penale a carico di Sancin Primoz Processo penale - Procedimento riguardante un magistrato, a carico di imputato appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta (nella specie, slovena) - Spostamento della competenza territoriale ai sensi dell'art. 11 cod. proc. pen. - Applicabilita' delle garanzie previste a tutela delle minoranze linguistiche - Mancata previsione - Violazione del diritto di difesa - Lesione dei diritti rinonosciuti alle minoranze linguistiche. (C.P.P. 1998, art. 109; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 26). (Cost., artt. 3, primo e secondo comma, 6 e 24).(GU n.8 del 24-2-1999 )
IL PRETORE Alla pubblica udienza del 5 novembre 1998 ha pronunciato, dando immediata lettura del solo dispositivo, la seguente ordinanza, nel procedimento penale a carico di Sancin Primoz, imputato del reato di cui all'art. 341 c.p., perche' in una lettera indirizzata al dott. Vincenzo D'Amato, Presidente del Tribunale di Trieste, ne offendeva l'onore ed il prestigio accusandolo di "diniego di giustizia, discriminazione etnica, inganno": In Trieste nell'ottobre 1995. Redidivo semplice. Svolgimento del processo All'udienza dibattimentale, prima di ogni altra eccezione o difesa, il difensore dell'imputato, alla presenza dello stesso Sancin Primoz, che si rifiutava di parlare in italiano, eccepiva la nullita' del decreto di citazione a giudizio, notificato al prevenuto in data 8 marzo 1997 presso la sua residenza anagrafica in Trieste, assumendo la violazione dell'art. 109 c.p.p., sul presupposto che, appartenendo il Sancin al gruppo etnico sloveno di minoranza insediato stabilmente nel territorio della regione Friuli Venezia Giulia, ed avendo il giudicabile avanzato esplicita richiesta in tal senso al pm., il decreto di citazione a giudizio avrebbe dovuto essergli notificato corredato della traduzione nella lingua slovena: al contrario soltanto la relata di notifica dell'atto di citazione risultava redatto in duplice lingua. Al medesimo fine, in subordine alla declaratoria di nullita' del decreto di citazione a giudizio, veniva rinnovata in udienza l'istanza di traduzione. La difesa eccepiva altresi' la violazione del diritto di difesa, in relazione alla norma di cui all'art. 26, comma secondo disp. att. c.p.p. assumendo che la sua nomina, quale difensore di ufficio, era avvenuta senza tener conto dell'appartenenza etnica o linguistica dell'imputato, e conseguentemente chiedeva che l'autorita' procedente provvedesse alla nomina di un nuovo difensore da scegliersi, attingendo ai turni di reperibilita' predisposti dal Consiglio forense della prov. di Trieste, tenendo conto dei criteri di cui all'indicato art. 26 disp. att. cpp. Nel richiedere infine l'esame dell'imputato, insisteva affinche' al giudicabile fosse consentito di esprimersi, anche in sede di dichiarazioni spontanee in sloveno, previa nomina di un interprete, e questo ancora ai sensi del comma 2 dell'art. 109 c.p.p. Per l'eventualita' che il pretore scrivente non ritenesse che le richiamate disposizioni codicistiche dovessero applicarsi nel caso di specie, ovvero nello svolgimento di un processo penale per un reato, commesso nel territorio di appartenenza della minoranza etnica cui appartiene l'imputato, ma devoluto, ai sensi dell'art. 11 c.p.p. (in materia di procedimenti riguardanti i magistrati), alla competenza di un'autorita' giudiziaria non insediata nel territorio ove ha sede la comunita' di minoranza linguistica, la difesa dell'imputato sollecitava la proposizione di una questione di legittimita' costituzionale degli artt. 109, 143 c.p.p. e 26 disp. att. c.p.p. nella parte in cui non prevedono l'applicabilita' delle garanzie difensive ivi sancite anche nel caso de quo, con i riferimento alle norme di cui all'art. 3, 6, 24 della Costituzione, asseritamente violate. Motivi della decisione Osserva in primo luogo la scrivente che nel caso di specie non e' assolutamente indubbio la effettiva conoscenza, da parte dell' imputato, cittadino italiano, quand'anche appartenente ad un gruppo etnico e linguistico di minoranza, della lingua italiana e, conseguentemente, del tutto inconferente deve ritenersi essere il richiamo, da parte della difesa dell' imputato, all'art. 143 del c.p.p., riguardante la nomina, obbligatoria, dell'interprete in favore dell'imputato, italiano o straniero che non conosca la lingua italiana. E' indubbio invece che, in questo caso, si verta nella diversa ipotesi in cui un cittadino italiano, di madre lingua diversa da quella italiana, per l'appartenenza ad un gruppo etnico di minoranza, stabilmente stanziato in una parte del territorio italiano, rivendica l'uso della lingua di origine nei rapporti con le autorita' giudiziarie, a prescindere dalla sua conoscenza della lingua "ufficiale", quale forma di riconoscimento, e di tutela, di un proprio diritto anche costituzionalmente garantito (art. 9 della Cost.), del quale sono appunto espressione gli artt. 109 c.p.p. e 26 disp. att. c.p.p. La questione, nei limiti da ultimo evidenziati, ovvero con esclusivo riferimento agli artt. 109 c.p.p. e 26 disp. att. c.p.p., e' senz'altro rilevante atteso che si tratta di decidere in ordine alla doverosa (o meno) osservanza di determinate formalita' incidenti tanto sulla regolare documentazione degli atti processuali destinati all'imputato, quanto sulla regolare assunzione di prove (l'esame dell'imputato), quanto infine sulla regolare designazione e nomina del difensore di ufficio, il cui mancato adempimento (ove si ritenesse che le medesime formalita', avrebbero dovuto essere accordate) dovrebbe ritenersi sanzionato a pena nullita'. Piu' precisamente si prospetterebberodelle nullita' di ordine generale a regime intermedio per violazione di disposizioni concernenti l'intervento e l'assistenza dell'imputato (ex artt. 178 lett. c) e 180 c.p.p.). Nullita' che, se tempestivamente rilevate (come e' avvenuto nella fattispecie) sono poi destinate ad inficiare anche la validita' degli atti successivi. Ritiene invero la scrivente che l'attuale tenore (e vigore, anche tenuto conto del diritto vivente) delle disposizioni codicistiche summenzionate non ne consenta l'applicazione nel caso di specie. Il chiaro tenore letterale del secondo comma dell'art. 109 c.p.p. (cui rinvia anche l'art. 26 delle disp. di att. c.p.p.) secondo cui le formalita' di garanzia ivi previste si applicano dinanzi all autorita' giudiziada avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove e' insediata una minoranza linguistica e' infatti confortato dalle numerose pronunce della giurisprudenza di merito e di legittimita' che, sulla scia di numerose pronunce della stessa Corte Costituzionale (a partire da quella della del 1982 (Sent. C. della Costituzione num. 28'82: che ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 137 del previgente cod. di proc. pen., in tal modo ispirando l'innovazione contenuta nell'attuale art. 109 c.p.p.), hanno affrontato sempre e soltanto il diverso problema della necessita' di accordare a tali cittadini il diritto di esprimersi nella propria lingua, usufrendo della traduzione nella lingua italiana (cd tutela minima, laddove una tutela piu' ampia si realizza soltanto per determinate comunita' di minoranza, quali per esempio i cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano, cui e' riconosciuto dallo Statuto della Regione Trentino Alto Adige il diritto di scegliere la lingua in cui debbe svolgersi il processo), in qualsiasi rapporto che nel territorio di appartenenza si instauri con le pubbliche autorita', comprese quelle giudiziarie, in funzione, in quest'ultimo caso, sia delle esigenze di autodifesa che di quelle della difesa tecnica (cfr. oltre alla sent. n. 28'82 gia' richiamata: sent. C. Cost. n. 62 del 24 febbraio 1992, ord. C. Cost. 30 gennaio 1994 n. 271 e 19 gennaio 1995 n. 16). Osserva e ritiene la scrivente che la evidenziata lacuna legislativa fa sorgere piu' di un dubbio di legittimita' costituzionale. Infatti considerato che le esigenze di garanzia connesse alle formalita' previste dagli att. 109 c.p.p. e 26 disp. att. c.p.p. attengono a diritti soggettivi di rango costituzionale, quali da un lato il diritto al riconoscimento e alla tutela sostanziale delle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.) e, dall'altro, il diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel caso di specie gli stessi dovrebbero essere sacrificati, o quanto meno verrebbero a subire compromissioni non lievi, per la pretesa incompatibilita' con la contemporanea tutela da accordare a interessi e diritti, di uguale rilevanza, quali sono quelli sottesi ai criteri derogatori delle regole generali di competenza per territorio di cui all'art. 11 c.p.p. (espressione e attuazione dei principi del buon andamento della pubblica amministrazione, in generale, e dell'amministrazione della giustizia in particolare (art. 97 e 108 Cost.). E tale sacrifico o compromissione appare tanto piu' illegittimo e ingiustficato, in quanto appunto si risolve nel definitivo "allontanamento" di un processo che, riguardando un fatto commesso nel territorio in cui e' stanziata e riconosciuta la minoranza e' destinato a rivestire i maggiori interessi ed avere la maggiore e piu' immediata risonanza proprio nella stessa comunita' territoriale di appartenenza: sicche' l'esigenza di apprestare nella madre lingua tanto l'autodifesa, quanto la difesa tecnica, e' massima e fortemente sentita. Invero, trattandosi di un cittadino italiano, allo stesso, in considerazione della sua appartenenza ad una minoranza linguistica riconosciuta, deve essere accordata una tutela diversa, ma non inferiore, a quella accordata agli altri cittadini italiani, nell'esercizio del diritto di difesa, quando siano chiamati a rispondere di illeciti commessi nel territorio del proprio paese. Al riguardo deve osservarsi che il criterio di cui all'art. 11 c.p.p., si differenzia nettamente non solo dalle regole generali attributive della competenza per territorio (di cui all'art. 8 c.p.p.), ma anche dalle regole suppletive (di cui all'art. 9), essendo a tutte comune l'unica ratio, chiaramente connessa alla necessita' di radicare il processo nel territorio ove maggiori sono le sue implicazioni, in ragione del luogo in cui l'illecito e' stato commesso, ovvero del luogo in cui vive il suo autore, laddove viceversa il soddisfacimento delle finalita' particolari sottese al criterio di cui all'art. 11 (serenita' e neutralita' del giudizio di cui e' parte un magistrato), richiedono l'allontanamento del processo. In tale contesto, ritiene la scrivente che l'esigenza di assicurare un ragionevole bilanciamento di diritti ed interessi pubblici contrapposti, aventi tutti la medesima rilevanza costituzionale, in luogo dell'arbitraria compromissione degli uni, in favore della tutela riservata incondizionatamente agli altri, avrebbe dovuto indurre il legislatore a prevedere espressamente l'applicazione delle norme di cui all'art. 109 c.p.p., anche nel caso in cui, per effetto dello spostamento della competenza per territorio determinata dall' art. 11 c.p.p., il processo venga ad essere devoluto ad autorita' giudiziarie diverse da quelle aventi sede nel territorio ove e' insediata una minoranza linguistica riconosciuta. La presenza di tale lacuna legislativa rende non manifestamente infondata l'asserita violazione degli artt. 3 commi 1 e 2, 6 e 24 della Cost.
P. Q. M. Letto l'art. 23, legge cost. n. 87/'53, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 109 c.p.p. e 26 disp. att. c.p.p., in relazione agli artt. 3, comma primo e secondo 6 e 24 della Costituzione nella parte in cui le summenzionate disposizioni codicistiche non prevedeno che si applicano anche agli atti del procedimento penale davanti all'Autorita' Giudiziaria non avente sede, per competenza di primo grado o di appello, nel territorio dove e' insediata una minoranza linguislica riconosciuta per effetto dello spostamento di competenza determinatosi in appucazione dell'art. 11 c.p.p.. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone la sospensione del procedimento; Ordina che la presente ordinanza venga notificata a cura della Cancelleria all'imputato, al suo difensore, al p.m. nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia altresi' comunicata ai presidenti delle due Camere dei Parlamento. Cosi' deciso, in Venezia, il 5 novembre 1998. Il pretore: Gaggelli 99C0110