N. 655 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 1997
N. 655 Ordinanza emessa il 30 giugno 1997 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra il fallimento Trevitex in liquidazione s.p.a. e il Banco di Napoli s.p.a. Processo civile - Giudice istruttore in funzione di giudice unico - Fissazione dell'udienza di discussione, a seguito di richiesta di una delle parti - Previsto scambio delle comparse conclusionali e non anche delle memorie di replica - Diversita' di disciplina rispetto al rito previsto per le cause collegiali - Irrazionalita' - Lesione del principio di uguaglianza - Violazione del diritto di difesa. (C.P.C., art. 190-bis). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.41 del 8-10-1997 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza in persona del giudice unico dott. Massimo Fabiani (art. 48 ord. giud. come modificato dall'art. 88, legge n. 353/90); sciogliendo la riserva di cui al verbale che precede; nella causa promossa dal fallimento Trevitex in liquidazione s.p.a. in persona del curatore dott. Piero Canevelli (con proc. e dom. avv. M. Bombino), attore, contro il Banco di Napoli s.p.a. (con proc. e dom. avv. Giu. Tarzia). 1. - Il fatto. Il fallimento Trevitex s.p.a. ha convenuo in giudizio davanti al tribunale di Milano il Banco di Napoli s.p.a formulando le seguenti domande: in via principale dichiarazione di nullita' dell'atto di costituzione di pegno e conseguente condanna della banca alla restituzione dell'importo di L. 78.451.872.530; in via subordinata dichiarazione di inefficacia del pegno ai sensi dell'art. 67, comma 1, n. 2) 1. fall. e conseguente condanna della banca alla restituzione dell'importo di L. 78.451.872.530. 2. - Lo sviluppo del processo. La banca convenuta, costituendosi in giudizio ha svolto eccezioni processuali e di merito. In particolare ha eccepito l'incompetenza per territorio del giudice adito e ha chiesto che sul punto la causa venisse immediatamente rimessa in decisione. Su tale istanza vi e' stata sostanziale adesione dell'attore. Alla udienza del 6 maggio 1997 fissata per la precisazione delle conclusioni, la difesa di parte convenuta ha chiesto la discussione della causa e ha contestualmente eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 190-bis c.p.c. nella parte in cui non e' previsto che dopo lo scambio delle comparse conclusionali, laddove una parte chieda la discussione della causa, sia consentito anche lo scambio di memorie di repliche. A seguito di tale eccezione il giudice ha invitato le parti a depositare memorie illustrative sul punto e mentre la difesa della banca ha insistito sulla eccezione, quella dell'attore si e' opposta alla rimessione della questione al vaglio della Corte costituzionale. 3. - Sulla rilevanza della questione. Nel caso in esame il profilo della rilevanza della questione si atteggia su due distinti profili; si tratta infatti di accertare che: a) vi sia stata richiesta di discussione e b) la causa spetti per la cognizione decisoria al giudice monocratico. Per cio' che attiene al profilo sub a) nessun dubbio puo' sussistere sulla rilevanza della questione dal momento che la difesa del Banco di Napoli alla udienza del 6 maggio 1997 ha espressamente chiesto la discussione orale della causa. Quanto, invece, al profilo sub b) occorre verificare se le domande introdotte dall'attore non siano per caso riservate alla cognizione del collegio cio' che escluderebbe la rilevanza della questione. Poiche' parte attrice ha introdotto, in via gradata, diverse domande deve ritenersi applicabile il disposto di cui all'art. 274-bis, ultimo comma, c.p.c. secondo il quale la cognizione decisoria spetta al collegio laddove anche solo una delle cause rientri nella riserva di cui all'art. 88 legge n. 353/90. In verita' tale disposizione si riferisce alla ipotesi della connessione di cause ma come ha evidenziato la dottrina, la stessa regola deve valere anche in presenza di piu' domande all'interno del medesimo processo. In presenza di una regola siffatta, occorre verificare ad una ad una le domande svolte onde accertare se non via sia corrispondenza con le ipotesi segnate dall'art. 88 cit. a) La domanda di nullita' del pegno. La domanda principale e' relativa ad un tipo di controversia che non puo' in alcun modo essere ricondotta nell'alveo dell'art. 88, legge n. 353/90, si' che per questo profilo certa e' la cognizione del giudice unico. b) La domnda revocatoria. In data 2 maggio 1995 e' definitivamente entrata in vigore la legge n. 353/90 con la conseguenza che deve essere applicato il nuovo art. 48 ord. giud. cosi' come modificato dall'art. 88 legge n. 353/90; in base a tale disposizione salve le aree di riserva di collegialita' stabilite nei nn. 1-9 del citato art. 48, tutte le altre controversie sono rimesse alla decisione del giudice monocratico. Si tratta quindi di stabilire se l'azione revocatoria fallimentare (atteso che pacificamente la domanda proposta e' basata sull'art. 67 l. fall.) sia devoluta alla cognizione del collegio o del giudice unico. Nel testo dell'art. 88 legge n. 353/90 sono elencate le controversie per le quali il legislatore ha preferito conservare la cognizione decisoria al collegio; l'elencazione e' estremamente analitica si che occorre stabilire quale sia il grado di resistenza dell'elenco rispetto a possibili integrazioni frutto di interpretazioni analogiche o solo estensive. L'introduzione della figura del giudice monocratico in tribunale nel quadro di un articolato sviluppo di progetti di riforma del processo civile nel corso degli anni '80, appare tutto sommato come un fatto estemporaneo nel senso che e' mancato un approfondimento in sede parlamentare del dibattito su questo argomento. La soluzione adottata sembra rappresentare cosi' una soluzione di compromesso nel senso che la scelta della monocraticita' pare dettata piu' per ragioni di "comodita'" in funzione acceleratoria piuttosto che per reale convinzione, dal momento che per talune materie si e' ritenuto piu' tranquillizzante conservare la cognizione decisoria al collegio. Il sistema di redazione della norma prevede una formula di chiusura a favore del giudice unico "... fuori dei casi riservati alla decisione collegiale, il tribunale decide in persona del giudice unico"; la disposizione e' stata cosi' interpretata dalla prevalenza della dottrina come inidonea a consentire l'interpretazione analogica (solo qualche autore ha optato per l'ammissibilita' di una interpretazione estensiva). Ad avviso del tribunale, la sostanziale casualita' delle controversie indicate nell'art. 88, induce ad articolare qualche pur minima correzione di rotta rispetto alla assoluta esaustivita' dell'elencazione. Per cio' che attiene alla azione revocatoria fallimentare occorre rilevare preliminarmente che tale azione non e' esplicitamente ricompresa fra quelle per le quali opera la riserva di collegialita', anche se per la delicatezza spesso presente in siffatte controversie una diversa scelta legislativa non sarebbe stata incoerente. Per sottrarre l'azione revocatoria fallimentare alla attrazione al giudice monocratico si e' sostenuto che il termine "revocazione" contenuto nell'art. 88 n. 5 potrebbe legittimare una interpretazione che veda l'azione revocatoria compresa nell'area riservata alla collegialita', sul presupposto che in una occasione lo stesso legislatore a proposito dell'istituto della revocatoria, adopera proprio l'espressione "revocazione" nell'art. 71 l. fall. Secondo un criterio di lettura non dissimile dell'art. 88, si e' anche rilevato che laddove il legislatore utilizza il termine "impugnazione" intenderebbe riferirsi a tutti i giudizi nei quali viene chiesta l'inefficacia di un atto o di un negozio, quindi anche alle azioni ex artt. 64, 66 e 67 in quanto azioni di "impugnazione". In verita' ricavare dalla lettura dell'art. 88 n. 5) un elenco di controversie riservate alla cognizione del collegio che non corrispondono a quelle in materia di accertamento del passivo appare francamente azzardato. Infatti le ipotesi di cause contenute nella predetta disposizione coincide esattamente con la sequenza dei procedimento di impugnazione e modificazione dello stato passivo con una perfetta simmetria che rappresenta, una volta tanto un limpido esempio di corretta tecnica legislativa. Le controversie in materia di accertamento del passivo restano devolute alla cognizione del collegio non perche' importanti o delicate, quanto piuttosto per il fatto che rappresentano forme di procedimenti con un carattere latamente impugnatorio, si' che si e' preferito che il giudice chiamato a deciderle non sia lo stesso che ha emesso il provvedimento oggetto del riesame (anche nelle cause conseguenti a dichiarazioni tardive di credito vi e' un profilo impugnatorio sol che si osservi che il procedimento si avvia solo se vi e' un precedente implicito provvedimento di rigetto da parte del giudice delegato che non ritiene di ammettere il credito con decreto). Nelle azioni revocatorie che mai si connotano quale strumento per la impugnazione di un provvedimento della autorita' giudiziaria non ricorre quindi l'esigenza di differenziare il giudice. La soluzione della devoluzione delle azioni revocatorie alla cognizione del giudice singolo, consente di superare il possibile dubbio di legittimita' costituzionale che, invece, occorrerebbe prospettare laddove si ritenesse che le azioni revocatorie intraprese da un fallimento vanno decise dal collegio. Infatti, se il termine "impugnazione" dovesse essere esteso alla fattispecie della revocatoria fallimentare per il fatto che l'art. 88 n. 5) menziona espressamente i giudizi di impugnazione in ambito fallimentare, non vi sarebbe dubbio che anche la revocatoria ordinaria, richiamata in materia concorsuale dall'art. 66 l. fall., sarebbe attratta alla cognizione del collegio, con la conseguenza che le azioni revocatorie ordinarie subirebbero un diverso trattamento a seconda della qualita' della parte proponente la domanda. Dal momento che il legislatore, con la previsione del successivo n. 7) in tema di azioni di responsabilita', ha chiaramente inteso evitare che la scelta collegiale o monocratica possa discendere dalla qualita' delle parti processuali, ci si troverebbe di fronte ad una ingiustificata disparita' di trattamento fra la revocatoria ordinaria promossa dal curatore e quella promossa da un qualsiasi altro soggetto. Anche sotto questo profilo, quindi, appare preferibile la tesi per cui le azioni revocatorie devono essere decise dal tribunale in funzione di giudice singolo. Accedendo a questa soluzione, peraltro, occorre prendere atto che, comunque, qualche aspetto di possibile disparita' di trattamento fra posizioni simili, puo' presentarsi. Va ricordato, infatti, che le azioni revocatorie, secondo una parte della dottrina (peraltro portatrice di una tesi non condivisa dal giudicante) sono tanto quelle che il curatore promuove in via d'azione, quanto quelle che il curatore solleva in via d'eccezione nel procedimento di accertamento dei crediti, quando viene contestata l'efficacia di un atto o di un negozio ai fini della esclusione del credito o della garanzia accessoria. In quanto controversie in tema di accertamento del passivo, la decisione sulla domanda revocatoria - si e' visto - spetta al collegio. Ne deriva che anche tale tesi interpretativa sembrerebbe offrire spunti per una eventuale questione di legittimita' costituzionale. Il dubbio, pero', puo' venire superato agevolmente, ove si rammenti che la riserva della collegialita' in tema di accertamento del passivo, trova la propria ragione nel fatto che si tratta di giudizi, in senso lato, di gravame, giudizi in cui vi e' anche il sindacato su un provvedimento giurisdizionale. Viceversa, nelle azioni revocatorie proposte in via d'azione l'unica "impugnativa" riguarda una situazione giuridica sostanziale: sussistono dunque sufficienti motivi per ritenere che fra le due fattispecie non vi sia omogeneita', bensi' unicamente somiglianza che pure consente una diversa disciplina. 4. - Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 190-bis c.p.c. nella parte in cui non prevede diversamente da quanto disposto dall'art. 190 c.p.c. che in caso di discussione orale sia consentito anche il deposito delle memorie di replica. Dal combinato disposto di cui agli artt. 190 e 275 c.p.c. il sistema previsto per la decisione della causa, quando la cognizione spetta al collegio, e' il seguente: a) il giudice istruttore assegna ex art. 190 c.p.c. alle parti il termine per il deposito delle comparse conclusionali ed un successivo termine per le repliche; b) il giudice fissa l'udienza di discussione avanti al collegio se una delle parti ne fa richiesta ex art. 275 c.p.c. Se invece la cognizione spetta al giudice monocratico il sistema trova la sua unica fonte di disciplina nell'art. 190-bis c.p.c. ed e' il seguente: aa) il giudice dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica osservando i termini di cui all'art. 190 c.p.c.; bb) se una delle parti lo richiede il giudice fissa l'udienza di discussione orale innanzi a se' "disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali". Il legislatore ha dunque previsto due sistemi differenziati e va certamente escluso che le parti possano pattiziamente riprodurre il sistema voluto per le cause collegiali in quelle monocratiche come ha dichiarato di essere disponibile a fare la difesa dell'attore. Si tratta quindi di capire se alla distinzione normativa corrisponda un effettivo diverso assetto di interessi ovvero se, nella prospettiva di cui all'art. 3 Cost., ci si trovi di fronte ad una differenziazione di riti irrazionale. Infatti se e' vero che il principio di eguaglianza vuole che siano trattate allo stesso modo situazioni simili, cio' non esclude che regimi normativi diversi applicati a situazioni diverse possano comunque essere sindacati sotto il profilo della non ragionevolezza quando la diversita' delle situazioni non incide sulla diversita' del regime giuridico prescelto (cfr. fra le piu' recenti in materia processuale, Corte cost., 29 giugno 1995, n. 284; Corte cost., 27 luglio 1994, n. 353; Corte cost., 30 giugno 1994, n. 265). Nel caso in esame la diversita' della disciplina (comparse conclusionali + memorie di replica + discussione/comparse conclusionali + discussione) riflette la diversita' dell'organo giudiziario cui e' affidata la decisione (collegio-giudice monocratico). Sotto questo profilo, in apparenza, non sembrerebbe esservi lesione del principio costituzionale di eguaglianza. In verita' se ci si chiede quale e' la ratio di una simile differenza di regime procedimentale ci si accorge che si fatica ad immaginarla, tanto e' vero che la maggior parte degli interpreti non ne ha saputo dare spiegazione. Taluno ha osservato che la discussione ha una ragion d'essere soprattutto nelle cause collegiali in quanto rappresenta l'unico momento in cui pubblicamente l'intero collegio prende conoscenza dei termini della controversia, si' che la discussione orale davanti al giudice unico assolverebbe alla semplice esigenza di semplificare il processo evitando le repliche scritte. L'osservazione non sembra davvero idonea a giustificare la differenza di trattamento, dal momento che la previsione della discussione orale esiste, appunto, anche nelle cause devolute alla cognizione dell'organo monocratico e alla cognizione del pretore. Altrove si e', invece, affermato che la volonta' del legislatore esprime, quanto meno inconsapevolmente, la riserva mentale per cui le cause affidate al giudice unico sarebbero meno importanti e che pertanto potrebbe essere omessa, a richiesta, la fase del deposito delle memorie di replica. Anche questa tesi non merita accoglimento, sia perche' come si e' gia' osservato i criteri per la formazione delle riserve di collegialita' non rispondono a principi univoci, sia perche' la smentita si trova proprio nel contenuto del presente giudizio (il valore della causa e' ben superiore a L. 70.000.000.000). Da tali rilievi consegue l'irrazionalita' della diversita' di disciplina e quindi la lesione al precetto di cui all'art. 3 della Costituzione. Ma questa disciplina contrasta anche con il parametro di cui all'art. 24 della Costituzione per almeno tre ordini di motivi: a) l'art. 190-bis c.p.c. nulla dice con riferimento alla individuazione del momento in cui va presentata la richiesta di fissazione della discussione, ma argomentando dall'art. 275 c.p.c. si dovrebbe concludere che il termine sia quello dell'udienza di precisazione delle conclusioni. Se cosi' e', posto che non sono previste le repliche ma solo le conclusionali, la parte si trova esposta al rischio che il giudice si avvalga del potere, officioso, di abbreviare i termini per il deposito delle conclusionali, con la conseguenza che la difesa scritta (l'unica a disposizione) potrebbe dover essere presentata nel termine breve di venti giorni con evidente compressione del diritto di difesa; b) l'esigenza di garantire con compiutezza il contraddittorio dovrebbe essere avvertita proprio nelle cause devolute al giudice unico, specie se si consideri che queste possono essere di rilevantissima complessita'; c) il sistema immaginato puo' risultare punitivo per la parte che subisce la richiesta, dal momento che la scelta di uno dei contendenti di discutere oralmente la causa priva l'altro della possibilita' di difendersi per iscritto (mentre nel sistema "collegiale", si tratta solo di aggiungere uno strumento di difesa e non di toglierlo). Il tribunale ritiene, quindi, che sia non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 190-bis c.p.c nella parte in cui non prevede che "in caso di richiesta di una parte di fissazione dell'udienza di discussione il giudice debba disporre oltre allo scambio delle comparse conclusionali anche quello delle memorie di replica". I parametri costituzionali di confronto sono quindi l'art. 3 e l'art. 24 della Costituzione. Sussistono, pertanto, le condizioni per sospendere il presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale cui vanno rimessi gli atti ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale di cui all'art. 190-bis del c.p.c. in relazione all'art. 3 e all'art. 24 della Costituzione nella parte in cui non prevede che anche nel processo davanti al giudice monocratico "in caso di richiesta di una parte di fissazione dell'udienza di discussione il giudice debba disporre oltre allo scambio delle comparse conclusionali anche quello delle memorie di replica"; Sospende il presente giudizio sino alla decisione della Corte costituzionale; Dispone la trasmissione degli atti alla cancelleria della Corte costituzionale e ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti e alla Presidenza del Consiglio, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Cosi' deciso il 30 giugno 1997. Il giudice est.: (firma illeggibile) 97C1090