N. 38 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 1997- 15 gennaio 1998
N. 38 Ordinanza emessa il 19 marzo 1997 (pervenuta alla Corte costituzionale il 15 gennaio 1998) dalla pretura di Pescara sezione distaccata di S. Valentino in A.C. nel procedimento penale a carico di Salvatore Raffaele Ambiente (Tutela dell') - Rifiuti pericolosi - Violazione degli obblighi di comunicazione e di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari - Lamentata depenalizzazione - Eccesso di delega - Violazione dei principi di tutela dell'ambiente e della salute. (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 52). (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 32 e 76).(GU n.6 del 11-2-1998 )
IL PRETORE Visti gli atti del procedimento nei confronti di Salvatore Raffaele, vista l'istanza avanzata dal pubblico ministero, che ha chiesto sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 52 decreto legislativo n. 22/1997, e le conclusioni della difesa sul punto, osserva quanto segue. Uno dei reati oggetto del presente processo a carico dell'imputato Salvatore Raffaele e' costituito da omissioni nella tenuta dei registri di carico e scarico, con riguardo sia a rifiuti speciali sia a rifiuti tossici e nocivi. Il fatto al momento del rinvio a giudizio era previsto e sanzionato penalmente dagli artt. 3 e 9-octies della legge 9 novembre 1988, n. 475. Di recente e' entrata tuttavia in vigore la normativa contenuta nel d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che all'art. 56 ha disposto esplicitamente l'abrogazione, fra le altre, delle citate disposizioni della legge n. 475/1988, mentre con gli artt. 11, 12 e 52 ne ha riformulato, con talune modificazioni, la disciplina. A parte le novita' circa i presupposti e le modalita' per l'adempimento degli obblighi di comunicazione al catasto dei rifiuti e di tenuta del registro di carico e scarico (artt. 11 e 12 del decreto legislativo), cio' che rileva particolarmente nel presente giudizio e' l'avvenuta depenalizzazione delle fattispecie in questione. L'art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 22/1997, punisce infatti con sanzioni amministrative pecuniarie chiunque non effettua la comunicazione di cui all'art. 11, comma 3 (vale a dire la comunicazione annuale della quantita' e qualita' dei rifiuti prodotti recuperati e smaltiti, cui sono tenuti coloro che esercitano a titolo professionale attivita' di raccolta e di trasporto dei rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti, ovvero svolgono operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonche' le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e... non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali ed artigianali, con esonero per i piccoli imprenditori artigiani che non abbiano piu' di tre dipendenti e producano rifiuti non pericolosi e con trasferimento dell'obbligo di comunicazione in capo all'ente gestore del servizio pubblico di raccolta nel caso in cui i produttori di rifiuti li conferiscano al servizio pubblico) e chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all'art. 12, comma 1 (tale disposizione pone a carico dei medesimi soggetti che devono compiere la comunicazione annuale sopra indicata l'obbligo di tenere un registro su cui annotare almeno una volta alla settimana la qualita' e quantita' dei rifiuti, mentre i commi successivi dell'art. 12 pongono un'ulteriore disciplina, a seconda del tipo di soggetti, circa il contenuto e le modalita' di tenuta dei registri), con incremento dell'ammontare della sanzione amministrativa pecuniaria e aggiunta di sanzione amministrativa accessoria quando si tratta di registri concernenti rifiuti pericolosi. L'art. 52, comma 4, prevede sanzione amministrativa pecuniaria ridotta per l'ipotesi di incompletezza o inesattezza meramente formale nelle comunicazioni e nella tenuta dei registri di cui ai commi 1 e 2. Si ricava dunque che l'addebito originariamente mosso agli imputati trova piena continuita' dal punto di vista della materialita' del fatto nella normativa recentemente entrata in vigore, nel senso che le omissioni in tema di comunicazioni periodiche circa i rifiuti prodotti continuano a costituire violazione di obblighi previsti dalla legge. La differenza rispetto alla normativa previgente e' rappresentata dal fatto che tale violazione risulta ora punita con sanzione amministrativa. Codesto giudice dovrebbe dunque applicare al caso di specie la nuova disciplina, ai sensi di quanto stabilito dall'art. 2, secondo comma, c.p. Si ha pero' motivo di dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 52 del decreto legislativo n. 22/1997. La delega per l'emanazione del decreto legislativo n. 22/1997, contenuta nella legge 22 febbraio 1994, n. 146 (prorogata dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52), conteneva infatti tra i criteri e principi direttivi, rilevanti ex art. 76 della Costituzione, il seguente, enunciato nell'art. 2, lettera d), della legge: Salva l'applicazione delle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, saranno previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a lire duecento milioni e dell'arresto fino a tre anni, saranno previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi generali dell'ordinamento interno del tipo di quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi saranno previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravita'. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a... e non superiore a... sara' prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli suindicati. ... In ogni caso, in deroga ai limiti sopra indicati, per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali o amministrative identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti per violazioni che siano omogenee e di pari offensivita' rispetto alle infrazioni medesime. La legge delega impone al Governo, quindi, a parere di questo giudice, nell'adempimento degli obblighi di recepimento della normativa comunitaria di rispettare il sistema sanzionatorio penale gia' esistente, disponendo anzitutto testualmente che sia fatta salva l'applicazione delle norme penali vigenti (al momento della delega) e solo subordinatamente, come e' ben chiarito dall'inciso "ove necessario" il ricorso a nuove sanzioni penali o amministrative per la creazione di nuove e diverse fattispecie precedentemente non sanzionate. Comunque, ribadisce il legislatore, con ulteriore limitazione della delega, ove non si possa fare riferimento a specifiche norme penali preesistenti per determinati comportamenti, "in ogni caso" in deroga ai limiti previsti per le sanzioni nuove da introdurre con il decreto legislativo, occorre adottare sanzioni identiche a quelle gia' comminate per violazioni omogenee e di pari offensivita'. Va detto ancora che la legge delega integra queste prescrizioni generali con quelle specifiche (art. 36, lettere b) e c)) relative alla tutela ambientale, nelle quali e' espressamente previsto "mantenimento dei livelli di protezione ambientale previsti dalla normativa nazionale ove piu' rigorosi di quelli derivanti dalla normativa comunitaria"; il che e' applicazione del principio pacificamente affermato dalla giurisprudenza comunitaria, che prevede come possibilita' di adozione o mantenimento da parte dei singoli Stati di norme sanzionatorie piu' rigorose rispetto alla disciplina comunitaria per la tutela della salute e dell'ambiente. Vi e' ancora sul punto lo specifico richiamo nell'art. 2 della legge delega all'applicazione di sanzioni penali per la difesa di interessi generali tutelati dagli artt. 34 e 35, legge n. 689/1981. Infatti, se si analizza il contenuto dell'art. 34 della legge n. 689/1981, si rileva che tra le fattispecie di reato sottratte all'epoca alla depenalizzazione figurano, fra le altre, quelle poste dalla legge n. 319/1976, sulla tutela delle acque dall'inquinamento, quelle poste dalla legge n. 615/1966, sull'inquinamento atmosferico, nonche' quelle previste da leggi in materia urbanistica ed edilizia. Il legislatore delegante del 1994 ha voluto dunque vincolare il Governo a presidiare con sanzione penale quelle fattispecie che, nell'ambito delle materie oggetto di legislazione delegata, dovevano considerarsi funzionali alla tutela di interessi dello stesso tipo di quelli tutelati dalla normativa sull'inquinamento delle acque e dell'aria e sulla disciplina del territorio (oltre naturalmente agli altri interessi enucleabili dall'elenco contenuto nell'art. 34 della legge n. 689/1981). E' evidente che gli interessi di tutela ambientale protetti alla disciplina dei rifiuti sono esattamente dello stesso tipo di quelli tutelati dalle leggi sull'inquinamento idrico e atmosferico. Tanto piu' cio' appare incontestabile se si considera che all'epoca dell'entrata in vigore della legge n. 689/1981 non sussisteva ancora la disciplina dei rifiuti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982 (che dunque non fu "materialmente" possibile includere nell'elenco di cui al citato art. 34) e che la disciplina dei rifiuti - sia quella sino a poco tempo fa vigente, contenuta appunto nel decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982, sia quella recentissimamente introdotta dal decreto legislativo n. 22/1997 - si raccorda e collega in modo diretto ed esplicito con quella posta dalla legge sull'inquinamento delle acque (si vedano in proposito gli artt. 2, commi 6 e 7, lettera b), e 9, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982 e l'art. 8, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 22/1997). Ma vi e' di piu': lo smaltimento incontrollato dei rifiuti incide sull'ambiente in tutte le sue componenti e frequentemente colpisce, in modo diretto o indiretto, l'integrita' delle acque, sicche' la normativa che disciplina lo smaltimento dei rifiuti e' in certa misura rilevante anche con riguardo alla protezione dall'inquinamento idrico. Ne consegue che il richiamo alla normativa sull'inquinamento delle acque contenuto nell'art. 34 della legge n. 689/1981 non poteva che valere, nella prospettiva della legge n. 146/1994, anche per la normativa sui rifiuti. Ne' sembra fondato obiettare che, facendo riferimento l'art. 2, lettera d) della legge n. 146/1994 alle infrazioni che "ledano o espongano a pericolo" gli interessi generali del tipo di quelli di cui all'art. 34, legge n. 689/1976, dovevano essere munite di sanzione penale soltanto fattispecie di ordine sostanziale e non anche inadempimenti di carattere formale, come quelli della comunicazione annuale e della tenuta del registro dei rifiuti. Contro tale possibile obiezione occorre infatti osservare che l'attivita' di smaltimento dei rifiuti (intendendo in senso lato il termine smaltimento) non e' un'attivita' di per se' illecita e contrastante con l'interesse alla tutela dell'ambiente e della salute della collettivita', ma lo diventa ove venga svolta al di fuori dei criteri tecnici e della disciplina giuridica fissati dalle norme e dagli organi amministrativi. La tutela dell'interesse protetto si basa dunque sulle verifiche e sui controlli, preventivi e successivi, circa le modalita' di "gestione" dei rifiuti e gli obblighi di comunicazione annuale e di tenuta dei registri di carico e scarico costituiscono uno dei momenti importanti di tali verifiche e controlli. Vi e' di piu'. L'art. 2, lettera d), legge n. 146/1994, enuncia un criterio direttivo valido per l'esercizio della delega non solo in materia di rifiuti, ma anche con riguardo ad altri ambiti. Se ne deduce che il "dosaggio" di sanzione amministrativa e sanzione penale non doveva necessariamente avvenire all'interno della disciplina dei rifiuti, bensi' doveva essere operato dal Governo con riguardo esclusivo alla natura degli interessi tutelati nei diversi settori normativi. La legge n. 146/1994 non e' stata dunque una delega diretta ad una parziale depenalizzazione delle fattispecie in tema di rifiuti. Vale anzi osservare, all'opposto, che lo stesso art. 2, lettera d), della legge in questione si chiude (come sopra e' stato riportato) con l'enunciazione dell'obbligo per il legislatore delegato di stabilire, per le infrazioni alle disposizioni dei decreti emanandi, "sanzioni penali o amministrative identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti per violazioni che siano omogenee e di pari offensivita'". Questo forte richiamo all'omogeneita' normativa sul piano sanzionatorio, quand'anche non si voglia o possa interpretarlo come diretto ad imporre il mantenimento integrale delle fattispecie penali gia' previste come tali nelle materie oggetto della delega e quindi anche nel campo dei rifiuti (tesi sostenuta in via principale da questo giudice), doveva chiaramente valere ad impedire - in combinazione con il richiamo all'art. 34 legge n. 698/1981 - alterazioni del quadro sanzionatorio per fattispecie riconducibili alla medesima ratio di altre contenute in materie "vicine", non interessate dall'esercizio della delega. Ancora si deve osservare che l'art. 52, comma 4, del decreto legislativo n. 22/1997 (cui si e' fatto cenno gia' sopra) pone una sanzione amininistrativa attenuata per i casi di incompletezze o inesattezze meramente formali dei registri di carico e scarico dei rifiuti. Da cio' si desume che il legislatore delegato non ha attribuito in via generale una rilevanza esclusivamente formale alle violazioni della disciplina dei registri e che dunque per tali violazioni, a parte le suddette ipotesi attenuate, non doveva comunque prevedere una sanzione amministrativa, in ossequio a quanto previsto dal criterio direttivo di cui all'art. 2 della legge n. 146/1994. In mancanza di formulazione di ipotesi attenuata con riguardo alle omissioni concernenti l'obbligo di comunicazione annuale al catasto dei rifiuti, si deve poi desumere che il legislatore delegato abbia valutato tali violazioni come aventi in ogni caso un disvalore non meramente formale e dunque anche per queste, in ossequio al pluricitato criterio direttivo, non doveva prevedere una sanzione amministrativa. Occorre inoltre evidenziare che gli obblighi di comunicazione annuale e di tenuta dei registri sono disciplinati (come si e' precedentemente visto) dagli artt. 11 e 12 del decreto legislativo n. 22/1997 tenendo conto delle dimensioni dell'attivita' di produzione e smaltimento dei rifiuti e della natura degli stessi, con esoneri o semplificazioni per i casi di minore rilevanza. Anche da questa prospettiva si evince dunque la rilevanza niente affatto formale delle condotte illecite previste dall'art. 52 e la conseguente necessita' per il legislatore delegato, sempre in relazione ai criteri della delega, di approntare per esse sanzioni penali, eventualmente fissando sanzioni amministrative per i soli casi di oggettiva minore rilevanza, individuabili sulla base del tipo di omissione, della dimensione dell'attivita' e della qualita' dei rifiuti. Non puo' tacersi infatti che l'obbligo della comunicazione della qualita' e quantita' dei rifiuti prodotti e della tenuta dei registri di carico e scarico e' depenalizzato anche per chi produce quantita' rilevanti di rifiuti e svolge a titolo professionale le operazioni di recupero e smaltimento, compresi quindi incenerimento e discarica, per quantita' maggiori di una tonnellata di rifiuti pericolosi all'anno (al di sotto di tale soglia e' gia' prevista una procedura con termini semplificati - v. art. 12, comma 4 - con altra scelta rischiosa sotto il profilo del controllo). E' altresi' evidente che l'obbligo di comunicazione dei rifiuti prodotti, trattati o smaltiti in discarica dal produttore, costituisce la necessaria premessa per qualunque controllo sul destino e sulla gestione dei rifiuti stessi, fatti, questi ultimi, penalmente sanzionati. Se si sfornisce di sanzione penale l'obbligo di comunicazione, e' illogico e contraddittorio ritenere di poter perseguire penalmente gli altri abusi e di poter regolarmente curare tutte le operazioni di censimento, catasto, pianificazione del flusso dei rifiuti. Infine, privando gli organi inquirenti dell'iniziale informazione sulla violazione delle fattispecie depenalizzate, si ostacola l'accertamento delle fattispecie conseguenti e tuttora penalmente sanzionate. Cio' in contrasto anche con i principi generali indicati dall'art. 2 del decreto legislativo n. 22/1997, che sottolinea la necessita' di "assicurare un'elevata protezione dell'ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificita' dei rifiuti pericolosi". Vi e' quindi un'irragionevole ed insanabile contraddizione tra queste finalita' fondamentali del decreto e la depenalizzazione delle fattispecie che di questo controllo costituiscono imprescindibile premessa. Del resto, la stessa Unione europea prevede espressamente i controlli sulla vita dei rifiuti, soprattutto pericolosi, "dalla culla alla tomba", sottolineando quindi la rilevanza di un controllo approfondito sin dall'origine del rifiuto stesso. La scelta di depenalizzazione qui censurata appare quindi in evidente contrasto con il principio di ragionevolezza, ma anche, nei suoi riflessi concreti, con l'effettiva tutela dei diritti fondamentali alla salute e all'ambiente. E quanto ad irragionevolezza va ancora sottolineata la differenza di trattamento sanzionatorio fra le fattispecie di cui all'art. 52, commi 1 e 2, e quelle di cui all'art. 51, comma 1, con riferimento agli adempimenti previsti dagli artt. 30 - 33 dello stesso decreto legislativo. Non e' infatti agevole giustificare la rilevanza esclusivamente amministrativa per le prime ed invece penale per le seconde, dal momento che si tratta, in tutti i casi, di violazioni concernenti obblighi di iscrizione, comunicazione, registrazione e che le prime fattispecie (quelle dell'art. 52, commi 1 e 2) non risultano certo di efficacia inferiore rispetto alle seconde al fine di consentire verifiche e controlli sulle modalita' di gestione dei rifiuti da parte dei singoli operatori. Il tutto sempre tenendo conto dell'interesse generale protetto da tali norme, che e' sempre e comunque la salvaguardia dell'ambiente e della salute. Si osserva da ultimo, alla luce della costante giurisprudenza di codesta Corte, che la violazione dei criteri di delega integra la violazione dell'art. 76 della Costituzione e che questioni, come la presente, concernenti le c.d. "norme penali di favore" sono ammissibili (cfr. sentenza n. 25 del 1994, che richiama la n. 148 del 1983). Sulla base di quanto sopra evidenziato appare a questo pretore non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 52 del decreto legislativo n. 22/1997 per contrasto con gli artt. 76, 3, 9 secondo comma, 32, della Costituzione. Ritenuta la rilevanza della questione per la definizione del procedimento in questione, in quanto l'applicazione dell'art. 52 del decreto legislativo n.22/1997 e' determinante per la decisione in ordine alla responsabilita' penale degli imputati e che il giudizio sul punto non puo' essere definito indipendentemente dalla questione di legittimita' costituzionale innanzi prospettata, visti gli artt. 1, legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 1 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Sospende il processo a carico di Scipione Camillo e Di Tillio Nino Orazio; Dispone che la presente ordinanza letta all'udienza sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. S. Valentino in A.C., addi' 9 aprile 1997 Il pretore: Cillo 98C0078