N. 905 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 novembre 1997
N. 905 Ordinanza emessa il 10 novembre 1997 dal giudice di pace di Stradella nel procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo promosso da Riccardi Elisa contro il condominio "Emilia" di Stradella Processo civile - Procedimento davanti al giudice di pace - Costituzione del convenuto - Obbligo alla proposizione, con il primo atto difensivo, delle eventuali domande riconvenzionali - Mancata previsione - Lesione del principio di eguaglianza - Violazione del diritto di difesa. Processo civile - Procedimento davanti al giudice di pace - Domanda introduttiva del giudizio - Mancata previsione, nel contenuto della stessa, dell'invito al convenuto di costituirsi entro l'udienza indicata e dell'avvertimento circa la decadenza dal diritto a proporre domande riconvenzionali, in caso di mancata costituzione - Lesione del diritto di eguaglianza - Violazione del diritto di difesa. Processo civile - Procedimento davanti al giudice di pace - Atto di opposizione a decreto ingiuntivo - Obbligo alla proposizione nello stesso, a pena di decadenza, delle eventuali domande riconvengionali - Mancata previsione - Lesione del principio di eguaglianza - Violazione del diritto di difesa. Processo civile - Procedimento davanti al giudice di pace - Domanda di ingiunzione - Mancata previsione, nel contenuto della stessa, dell'avvertimento all'opponente di proporre, a pena di decadenza, nell'atto di opposizione, le eventuali domande riconvenzionali - Lesione del principio di eguaglianza - Violazione del diritto di difesa. (C.P.C., artt. 319, comma 1, 318, comma 1, 645, comma 1, 638, comma 1, e 641, comma 1). (Cost., artt. 3 e 24, secondo comma).(GU n.3 del 21-1-1998 )
IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di opposizione n. 132/97 r.g. al decreto ingiuntivo n. 26/97, promosso da Elisa Riccardi di Monza contro il condominio Emilia di Stradella e per esso il suo amministratore pro-tempore rag. Enrico Buscarini. F a t t o Enrico Buscarini, nella sua qualita' di amministratore del condominio Emilia di Stradella, con ricorso depositato il 13 marzo 1997 ha chiesto e con decreto 25 marzo 1997 di questo giudice ha ottenuto ingiunzione a carico della condomina Elisa Riccardi per L.3.459.750, oltre accessori, per la riscossione della residua parte non pagata dei contributi in base agli stati di ripartizione approvati dalle assemblee dei condomini 28 ottobre 1994-10 novembre 1995 e 29 febbraio 1996, nonche' al verbale di ispezione U.S.S.L. 77 in data 6 settembre 1993. Nei confronti del decreto ingiuntivo, dichiarato immediatamente esecutivo nonostante opposizione (ex art. 63 disp. att. c.c.) e notificato il 19 aprile 1997 unitamente all'atto di precetto per L. 5.897.399 redatto in calce, l'ingiunta Elisa Riccardi ha proposto opposizione con citazione notificata il 28 maggio 1997 e ne ha chiesta la revocazione per "nullita' o inefficacia", in ogni caso offrendo la sola somma capitale ingiunta; in via subordinata ha chiesto la condanna dell'amministratore al risarcimento del danno per mancata fatturazione delle spese straordinarie. L'opponente si e' costituita in cancelleria il 6 giugno 1997. L'opposto Condominio Emilia, costituitosi in cancelleria il 22 settembre 1997 depositando anche comparsa di risposta, ha eccepito la "inammissibilita' ed improponibilita'" dell'opposizione e ha contestato la attinenza delle motivazioni di opposizione con "l'oggetto della causa". Nell'udienza 6 ottobre 1997 (di rinvio ex art. 57 disp. att. c.p.c.), le parti sono comparse personalmente, assistite dai rispettivi legali. L'opponente personalmente ha confermato di "non contestare l'ammontare del debito di cui al decreto ingiuntivo opposto" e ha offerto "per la conciliazione la somma di L. 3.459.750 per capitale e L. 2.000.000 per le spese legali", ma ha "chiesto che da questa somma venga detratta la somma di L. 500.000, che ritiene di aver pagate in piu', delle spese sulla facciata del condominio", il suo legale ha chiesto "ordine all'amministratore Buscarini di esibizione delle fatture per L. 180.000.000 c.ca" relative alle spese di cui sopra. Il legale del condominio si e' opposto "alla richiesta, non riguardando l'oggetto della presente causa". Non essendo riuscito il tentativo di conciliazione, le parti sono state invitate a precisare le conclusioni e a discutere la causa per l'udienza del 14 ottobre 1997, nella quale, nonostante le dichiarazioni orali di precisare "come in atti", e' stato inesattamente verbalizzato che le conclusioni venivano precisate "come da atto di citazione e comparsa di risposta"; esaurita la discussione, la causa e' stata assegnata a sentenza. Questo giudice, revocata l'ordinanza di assegnazione della causa a sentenza, ritiene di sollevare d'ufficio la questione di illegittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione: del primo comma dell'art. 319 c.p.c., nella parte in cui non prevede espressamente che il convenuto costituendosi anche davanti al giudice, ma entro l'udienza indicata nella domanda, deve proporre, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali; del primo comma dell'art. 318 c.p.c. nella parte in cui non prevede espressamente che la domanda deve contenere anche l'invito al convenuto a costituirsi entro l'udienza indicata, con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica la decadenza dal diritto di proporre le eventuali domande riconvenzionali; del primo comma dell'art. 645 c.p.c., nella parte in cui non prevede espressamente che l'opponente deve, a pena di decadenza, proporre nell'atto di opposizione le eventuali domande riconvenzionali; dei primi commi degli artt. 638 e 641 c.p.c. nella parte in cui non prevedono l'avvertimento che l'opponente deve proporre a pena di decadenza nell'atto di opposizione le eventuali domande riconvenzionali. D i r i t t o 1. - Nell'udienza 6 ottobre 1997 (di rinvio ex art. 57 disp. att c.p.c.) l'opponente ha chiesto che dalla somma dovuta "venga detratta la somma di L. 500.000, che ritiene di aver pagate in piu', delle spese sulla facciata del condominio; il suo legale ha chiesto "ordine all'amministratore Buscarini di esibizione delle fatture per L. 180.000.000 c.ca" relative alle spese di cui sopra: la mancata espressa riproposizione, nelle conclusioni definitive, di questa domanda riconvenzionale (che mira ad ottenere un positivo accertamento del credito vantato dall'opponente e la conseguente eventuale compensazione parziale) non costituisce elemento sufficiente a far presumere la rinuncia tacita alla stessa (conf. Cass. 94/7683). Il legale del condominio si e' opposto "alla richiesta, non riguardando l'oggetto della presente causa", con questo rifiutando il contraddittorio per la tardivita' della domanda: e che la riconvenzionale debba essere proposta con il primo atto difensivo e' eccezione che, pur dovendo essere espressa, non deve essere necessariamente esplicita, ben potendosi trarre la volonta' della parte interessata dal contenuto sostanziale delle sue deduzioni (cosi' anche Cass. 95/482). Ora, "in seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito" (art. 645 c.p.c. secondo comma) e in esso ciascuna delle parti viene ad assumere la propria naturale posizione sostanziale, nel senso che "la qualita' di attore spetta al creditore che ha chiesto il decreto ingiuntivo (convenuto nel giudizio di opposizione) e quella di convenuto al debitore opponente" (Cass. sez. unite 93/7448 in motivazione), il cui primo atto difensivo, pur avendo la forma della citazione, e' una comparsa di risposta, nella quale "a pena di decadenza devono essere proposte le eventuali domande riconvenzionali". Per accertare e dichiarare dunque la eventuale inammissibilita' della domanda riconvenzionale, tardivamente proposta dall'opponente-convenuto nella udienza di rinvio e sulla quale il ricorrente-attore non ha accettato il contraddittorio (Cass. 86/3907), e' necessario stabilire se, anche nel "procedimento ordinario davanti al giudice" di pace, le eventuali domande riconvenzionali devono essere proposte, a pena di decadenza, dal convenuto nel suo primo atto difensivo ("comparsa di risposta" o "processo verbale" che sia) e dall'opponente nell'atto di opposizione; in caso affermativo, se l'irrogazione della pena della decadenza e' condizionata alla riproduzione, da parte dell'attore nella domanda (comunque proposta) e da parte del ricorrente nella domanda e del giudice nel decreto, dell'avvertimento che rispettivamente il convenuto (costituendosi anche nei tempi e nei modi indicati dal primo comma dell'art. 319 c.p.c.) nella comparsa di risposta (o se si vuole nel "processo verbale") e l'opponente nell'atto di opposizione devono, a pena di decadenza, proporre le eventuali domande riconvenzionali. Di qui, la rilevanza nel giudizio delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 2. - L'avvertimento su preclusioni e decadenze nell'esercizio dei poteri processuali esplica (a fortiori nel procedimento davanti al giudice di pace) una preziosa e (come e' gia' stato rilevato) "essenziale funzione nei confronti della parte non ancora costituita in giudizio (e pertanto a priori svantaggiata rispetto a quella che, probabilmente, gia' e' munita di difensore tecnico)", soprattutto se questa intende costituirsi e stare in giudizio personalmente (in virtu' dei primi due commi dell'art. 82 c.p.c.); "sicche' dovrebbe essere attentamente rimediata" (ma evidentemente non con sentenze interpretative non vincolanti) la illegittimita' costituzionale: o della ineluttabile norma di rinvio di cui all'art. 311 c.p.c., che impone l'applicazione diretta (secondo i principi di cui al primo comma dell'art. 12 preleggi), anche delle norme che sanciscono preclusioni e decadenze nel procedimento davanti al tribunale, e non consente l'applicazione analogica (secondo i principi di cui al secondo comma stesso articolo), che gia' escluderebbe essa sola l'applicazione appunto delle norme che sanciscono preclusioni e decadenze; o quantomeno delle norme che, soprattutto nei processi nei quali l'assistenza legale sia sempre facoltativa, non impongono espressamente un preciso obbligo di informazione e di istruzione alle parti. Con ordinanza 4 agosto 1997 (pubblicata con il n. 675 nella Gazzetta ufficiale n. 42/1997, 1 serie speciale) questo giudice ha gia' chiesto l'intervento radicale di codesta Corte, con la declaratoria (qui di ovvio rilievo) di illegittimita' costituzionale dell'art. 311 c.p.c., nella parte in cui, estendendo anche al procedimento davanti al giudice di pace il rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribunale, ne impone un'applicazione diretta (fatta solo salva la loro "applicabilita'" al procedimento davanti a giudice monocratico) e non consente un giudizio di loro compatibilita' con le "disposizioni speciali" o con principi generali da queste sole ricavati. Infatti, da un lato le "disposizioni speciali", facendo appunto eccezione (per espressa previsione legislativa) alle norme ordinarie, sono di stretta interpretazione e non consentono di ricavare da esse sole principi generali; dall'altro lato il giudizio di compatibilita' fra norme ordinarie e "disposizioni speciali" o principi da queste ricavati (consentito ed anzi doveroso nel solo caso di applicazione analogica), non ha senso alcuno (ne' giuridico ne' logico) nell'applicazione diretta imposta dall'art. 311 c.p.c., cosi' come non lo avrebbe in generale fra regole ed eccezioni o altre regole che dalle eccezioni si vorrebbero ricavare. Ecco perche' (come gia' evidenziato nella precedente citata ordinanza) esattamente la S.C. (Cass. 93/1789) ha affermato che addirittura "il giudizio di equita', in forza del generale richiamo operato dall'art. 311 c.p.c. e salvo specifiche deroghe previste nel titolo secondo dello stesso codice o da altre espresse disposizioni, continua ad essere retto dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale". Ma se si conviene che in sostanza (se non altro dal punto di vista quantitativo) anche il procedimento davanti al giudice di pace (cosi' come quello davanti al pretore) e' retto dalle norme relative al procedimento ordinario (pur espressamente modificate o derogate dalle poche "disposizioni speciali"), ne consegue inevitabilmente che, all'interno di questa struttura unitaria (solo apparentemente semplificata), non e' comunque consentito un giudizio di compatibilita' fra le singole norme (quelle ordinarie e quelle "speciali") che la compongono o fra la gran parte di queste (le ordinarie) e principi che immotivatamente si prefigurano, ricavandoli da una piccola parte di queste le speciali). Ed ecco perche', ancora esattamente, anche la S.C. (Cass. 96/1953) ha anche affermato che "ai giudizi davanti al pretore (e dunque anche davanti al giudice di pace), per il (comune) rinvio stabilito dall'art. 311 c.p.c., sono applicabili tutte le norme che regolano il procedimento davanti al tribunale, eccetto quelle incompatibili con la particolare struttura del procedimento davanti al giudice monocratico": il giudizio di "applicabilita'" (fatto appunto salvo dall'art. 311 c.p.c. per le sole norme caratterizzate dalla struttura collegiale del tribunale) puo' avere dunque come riferimento soltanto la struttura monocratica del giudice di pace e non gia' la prefigurata "struttura semplificata del rito" davanti a questo giudice. In conclusione, soltanto se verra' accolta la gia' chiesta declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 311 c.p.c., si potra' procedere alla eventuale applicazione analogica delle norme che regolano il procedimento davanti al tribunale, con ovvia esclusione di quelle che sanciscono preclusioni e/o decadenze, e si potra' anche concordare con codesta Corte (sent. 21-29 maggio 1997) sulla prefigurata "incompatibilita' (di queste) con la struttura semplificata del rito in esame". Allo stato, anche concordando sulla ricordata (da codesta Corte) "facolta' (del convenuto) di costituirsi in udienza mediante la proposizione anche orale delle proprie difese e di eventuali domande riconvenzionali", si concordera' in sostanza soltanto sul fatto che il convenuto puo' costituirsi anche in udienza (che e' la prima "udienza fissa" di cui all'art. 316 c.p.c. 1), ma pur sempre mediante la proposizione delle eventuali domande riconvenzionali in una "comparsa di risposta" che, anziche' essere redatta direttamente dal convenuto (rectius: dal suo legale, come pressoche' sempre accade) e conservare anche formalmente questo nome, sara' redatta "dal cancelliere (come pressoche' mai accade) sotto la direzione del giudice" (art. 130 c.p.c.) e per cio' solo acquisira' formalmente il nome di "processo verbale", ma non potra' comunque sottrarsi alla normativa di cui all'art. 167 c.p.c. secondo comma. In sostanza, e' consentito soltanto un semplice ed irrilevante (quantomeno ai nostri fini) differimento temporale del termine di tempestiva costituzione del convenuto e proposizione delle sue eventuali domande riconvenzionali: in particolare, non importa ovviamente se la tempestiva costituzione sia "anteriore all'udienza" (siccome previsto dall'art. 166 c.p.c.) o con questa coincidente (siccome previsto dall'art. 319 c.p.c.). Ma se cosi' e', e cosi' non puo' non essere, allora si' che vi e' "ragione di stabilire (in contrasto con codesta Corte) che, tra gli elementi dell'atto introduttivo, debba essere contenuto l'avvertimento circa le conseguenze della costituzione tardiva del convenuto", successivamente alla "udienza fissa" di cui al primo comma dell'art. 316 c.p.c. 3. - Piu' in particolare, la proposizione della domanda riconvenzionale da parte del convenuto e le conseguenze della sua tardivita' "non sono regolate nel titolo secondo o in altre espresse disposizioni" speciali e conseguentemente (grazie all'art. 311 c.p.c.) "sono rette dalle norme relative al procedimento davanti al tribunale", anche se come (implicitamente ma necessariamente) modificate dalle "disposizioni speciali" e dalle "altre espresse disposizioni", in qualche modo collegate alla costituzione del convenuto davanti al giudice di pace. In forza dei combinati disposti dei vari articoli, si puo' pero' affermare che il convenuto "a pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali" (art. 167 c.p.c. secondo comma) o direttamente scrivendole nella "comparsa di risposta", o verbalmente e quindi facendole scrivere nel "processo verbale" redatto fuori udienza (art. 316 c.p.c. secondo comma) o ancora verbalmente e quindi facendole scrivere nel "processo verbale" redatto in prima udienza (art. 319 c.p.c. primo comma). lnfatti, come l'attore puo' "proporre la sua domanda mediante citazione" o "verbalmente" (ma in tal caso "il giudice di pace fa redigere processo verbale" - art 316 c.p.c. secondo comma), cosi' anche il convenuto puo' a sua volta, "proporre le sue eventuali domande riconvenzionali nella comparsa di risposta" o (in veste di attore in riconvenzione interessato alla interpretazione estensiva a suo favore della citata norma) "verbalmente" fuori udienza (e anche in tal caso, come parita' fra le parti esige, "il giudice di pace fa redigere processo verbale"): la parte convenuta si costituira' cosi' "depositando in cancelleria" (oltre agli altri atti espressamente previsti dal primo comma dell'art. 319 c.p.c.) anche la "comparsa di risposta" o il "processo verbale", oppure "presentando" il tutto "al giudice in udienza" (come per prassi normalmente accade). Ma il convenuto (come e' gia' stato piu' sopra ricordato) ha pure la facolta' di "costituirsi in udienza mediante la proposizione anche orale delle proprie difese e di eventuali domande riconvenzionali" (cosi' testualmente codesta Corte). Comunque sia, le domande riconvenzionali risulteranno sempre e necessariamente nel primo atto difensivo, chiamato di volta in volta "comparsa di risposta" o "processo verbale" redatto fuori udienza o "processo verbale" di prima udienza: atti questi, tutti assolutamente congruenti (quantomeno ai fini della applicabilita' della decadenza di cui all'art. 167 c.p.c. secondo comma). Potra' anche accadere pero' che il convenuto (non "avvertito"), che non abbia proposto le eventuali domande riconvenzionali ne' nella "comparsa di risposta" ne' nel "processo verbale" ex art. 316 c.p.c. secondo comma, non possa poi proporle neanche oralmente in udienza (quella "fissa" di cui all'art. 316 c.p.c. primo comma) e farle trascrivere nel relativo "processo verbale", con conseguente decadenza dal diritto di proporle successivamente. E questo accadra': sia nel caso in cui, "decorsa l'ora dall'apertura dell'udienza", questa sia stata chiusa con la "dichiarazione di (sua) contumacia fatta dal giudice di pace a norma dell'art. 171, ultimo comma, c.p.c." (art. 59 disp. att. c.p.c.), o per non essere il convenuto comparso o, pur comparso, per non essersi "formalmente" costituito (nei modi di cui all'art. 319 c.p.c. primo comma), o ancora, pur comparso e pur avendo i "documenti" necessari e sufficienti per la sua costituzione, non sia stato autorizzato a stare in giudizio di persona (art. 82 c.p.c. secondo comma); sia nel caso in cui la "udienza fissa" di cui al primo comma dell'art. 316 c.p.c. non sia tenuta e nessuna delle parti si sia costituita in cancelleria, disponendo l'art. 56 delle disp. att. c.p.c. che la causa e' rinviata d'ufficio alla prima udienza del magistrato designato "dopo la costituzione delle parti" e dovendo il giudice in tal caso "disporre la cancellazione della causa dal ruolo, come sancito dal primo comma dell'art. 171 e dal primo comma dell'art. 307 c.p.c." (cosi' anche Cass. 96/11205). Comunque sia, parita' fra le parti esige (anche nel procedimento davanti al giudice di pace) che, come l'attore e' obbligato ovviamente a proporre la sua domanda nel suo primo atto scritto (non importa ovviamente se chiamato "citazione" o processo verbale") da comunicare alla controparte, cosi' anche il convenuto e' obbligato a sua volta a proporre tempestivamente le eventuali domande riconvenzionali nel suo primo scritto (e anche qui non importa se chiamato "comparsa di risposta" o "processo verbale", redatto che sia fuori udienza o anche in prima udienza), su cui l'attore venga reso in qualche modo edotto: se contumace, mediante notificazione appunto della "comparsa (o "processo verbale") contenente la domanda riconvenzionale" (art. 292 c.p.c., richiamato dall'art. 311, anche se come modificato dall'art. 316 c.p.c. secondo comma). E cosi', mentre nel rito davanti al tribunale e' espressamente previsto che il convenuto deve proporre le eventuali domande riconvenzionali in un solo modo ed e' espressamente avvertito della decadenza cui va incontro se non lo fa tempestivamente; nel rito davanti al giudice di pace invece, non essendovi previsioni espresse, il convenuto non e' espressamente avvertito, ne' della decadenza cui va incontro se non si costituisce tempestivamente e non propone nel suo primo atto difensivo le eventuali domande riconvenzionali, ne' di quali rischi di decadenza corre a scegliere un modo piuttosto che un altro di costituzione e proposizione della sua domanda, ne' del fatto che addirittura corre maggiori rischi di decadenza se sceglie il modo apparentemente meno informale. Come si vede dunque, la mitizzata "massima semplificazione delle forme" e la decantata facolta' di "costituirsi in udienza mediante la proposizione anche orale delle proprie difese e di eventuali domande riconvenzionali", non solo sono del tutto virtuali, ma sono anche oltremodo ingannevoli: in realta', la domanda riconvenzionale deve sempre essere proposta a pena di decadenza, dal convenuto costituitosi tempestivamente, nel primo "atto difensivo" (quale che sia il nome dato alla forma scritta che in ogni caso la proposizione viene necessariamente prima o dopo ad assumere), anche se presentato" oralmente "al giudice in udienza". Ma, anche a ritenere non convincente quanto sopra evidenziato, e' pur sempre da considerare che, oltre ai principi di "massima semplificazione delle forme" e di "incompatibilita' del regime di preclusioni e decadenze con la struttura semplificata del rito in esame", codesta Corte ha di recente anche affermato (con sent. 18-23 luglio 1997) il "principio ispiratore della riforma che si richiama alla immediatezza e alla concentrazione del processo e che rappresenta l'in se' della novella", talche', "una volta che si sia definitivamente delineato il thema decidendum" con la costituzione tempestiva delle parti, non sono consentiti "ampliamenti che potrebbero pregiudicare la sollecita definizione del processo, cosi' come voluta dal legislatore". E non e' contestabile che "la piena attuazione dell'indicato principio di immediatezza e concentrazione" e' portato addirittura alla esasperazione dall'art. 320 c.p.c., per espressa previsione del quale peraltro il giudice soltanto "invita le parti a precisare definitivamente i fatti" (gia' prima esposti). Tanto che c'e' chi ha gia' affermato, sia che "lo sbarramento" (di preclusioni e decadenze) predisposto dal legislatore per il rito davanti al giudice di pace e' "piu rigoroso di quello previsto per il rito davanti al tribunale"; sia che "il regime preclusivo (davanti al giudice di pace) ... appare (rectius: e') addirittura piu' severo di quello previsto per il processo davanti al tribunale"; sia che "il mito della concentrazione processuale e' inseguito al prezzo di inaccettabili compromessi della garanzia del contraddittorio". A questo punto, non si puo' non ravvisare una violazione dei precetti costituzionali di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e inviolabilita' del diritto di difesa in ogni fase e grado del procedimento (art. 24 della Costituzione, secondo comma), e dunque chiedere venga emessa sentenza additiva che dichiari la illegittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 319 c.p.c. nella parte in cui non prevede espressamente che il convenuto, costituendosi in giudizio entro l'udienza di comparizione fissata a norma dell'art. 316 c.p.c. (anzi, entro "l'ora dall'apertura" eventuale della stessa), deve proporre a pena di decadenza nel suo primo atto difensivo le eventuali domande riconvenzionali. 4. - Ma (come e' gia' stato evidenziato sopra nel n. 1) l'atto con il quale l'opponente a decreto ingiuntivo insorge contro la pretesa avversaria, facendo valere le sue eccezioni e difese, e' sostanzialmente una vera e propria risposta alla domanda contenuta nel ricorso: con l'opposizione, solo apparentemente si invertono le posizioni processuali delle parti, giacche' attore resta sempre il ricorrente e convenuto l'opponente. Ne consegue che l'opponente, "formalmente e sostanzialmente parte convenuta" (cosi' ancora da ultimo Cass. 95/393 in motivazione), deve proporre a pena di decadenza nell'opposizione le eventuali domande riconvenzionali. E questo anche perche', soltanto il ricorrente-attore che sia convenuto in riconvenzione ha la facolta' di "costituirsi in udienza mediante la proposizione anche orale delle proprie difese e di eventuali domande riconvenzionali" (in reconventio reconventionis). Ne consegue, parallelamente alla dimostrata illegittimita' dell'art. 319 c.p.c. primo comma (nella parte in cui non prevede espressamente che il convenuto deve proporre a pena di decadenza nel primo atto difensivo le eventuali domande riconvenzionali), la illegittimita' costituzionale, sempre in riferimento agli art. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 645 c.p.c., nella parte in cui non prevede espressamente che l'opponente deve a pena di decadenza proporre nell'atto di opposizione le eventuali domande riconvenzionali. 5. - A questo punto, non si puo' non ravvisare una violazione dei precetti costituzionali di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e inviolabilita' del diritto di difesa in ogni fase e grado del procedimento (art. 24 della Costituzione, secondo comma), anche allorquando il convenuto nel giudizio davanti al giudice di pace e l'opponente a decreto ingiuntivo, contrariamente a quanto previsto per il convenuto nel procedimento ordinario di cognizione introdotto con citazione davanti al tribunale, non siano avvertiti che debbono proporre a pena di decadenza le eventuali domande riconvenzionali, rispettivamente, il primo costituendosi in giudizio entro l'udienza di comparizione fissata a norma dell'art. 316 c.p.c. (anzi, entro "l'ora dall'apertura" eventuale della stessa) e il secondo con l'atto di opposizione al decreto ingiuntivo. E' vero che codesta Corte (con sent. 22 aprile 1980 n. 61) ebbe gia' a dichiarare infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 415 e 416, nella parte in cui non prevedono l'obbligo di portare a conoscenza del convenuto, con la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio (ricorso e decreto), che dieci giorni prima dell'udienza egli deve costituirsi mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva, nella quale devono essere proposte a pena di decadenza anche le eventuali domande riconvenzionali; questo perche' (ad avviso di codesta Corte) la disapplicazione del principio della legale conoscenza della norma legislativa nulla ha a che vedere con il principio di uguaglianza e con la tutela del diritto di difesa". Ma e' altrettanto vero che questa motivazione ha perso ogni valenza di fronte alle espresse previsioni legislative analizzate sopra al n. 3, che hanno superato (almeno in questo) il troppo rigido e formalistico concetto della presunzione della conoscenza della legge e del principio dispositivo. Sanzionando ora (con la novella) la mancanza dell'avvertimento addirittura con nullita' rilevabile d'ufficio, il legislatore ha riconosciuto evidentemente l'opportunita' (ancor piu' pressante nel procedimento davanti al giudice di pace per la tutela della effettivita' del diritto di difesa) che il convenuto e dunque anche l'opponente (normalmente privi ovviamente, anche se autorizzati dalla legge o dal giudice a stare in giudizio personalmente, di cognizioni tecniche sulle preclusioni collegate alla loro costituzione) vengano edotti con lo stesso atto introduttivo (ricorso e decreto) dell'onere di proporre tempestivamente le eventuali domande riconvenzionali: qui, con la piu' attenta dottrina, si puo' apprezzare che "il monito generico, la facolta' genericamente sancita dal precetto astratto della legge viene fatta conoscere direttamente al singolo interessato, per facilitargli la decisione della condotta da seguire, con naturale aumento di efficacia". D'altra parte, lo scopo e' lo stesso che il legislatore ha inteso perseguire con la prescrizione che nel decreto ingiuntivo devono essere contenuti la indicazione del termine e "l'espresso avvertimento", sia della proponibilita' dell'opposizione che delle conseguenze della non proposizione di questa. Anche qui dunque si chiede che venga rimediata (ma con sentenza additiva vincolante) la illegittimita' costituzionale delle norme che, soprattutto nei processi nei quali l'assistenza legale e' sempre facoltativa, non impongono espressamente un preciso obbligo di informazione e di istruzione alle parti: in particolare, si chiede venga dichiarata la illegittimita' costituzionale, per violazione dei precetti costituzionali di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e inviolabilita' del diritto di difesa in ogni fase e grado del procedimento (art. 24 della Costituzione, secondo comma): dell'art 318 c.p.c nella parte in cui non prevede espressamente che la domanda, comunque proposta, deve contenere l'invito al convenuto a costituirsi entro l'udienza indicata (anzi, entro "l'ora dall'apertura" eventuale della stessa), con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica la decadenza dal diritto di proporre le eventuali domande riconvenzionali; dei primi commi degli art. 638 e 641 c.p.c. nella parte in cui non prevedono l'espresso avvertimento che nell'atto di opposizione devono essere proposte a pena di decadenza le eventuali domande riconvenzionali.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge il marzo 1953 n. 87; Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione: del primo comma dell'art. 319 c.p.c, nella parte in cui non prevede espressamente che il convenuto costituendosi deve, a pena di decadenza, proporre con il suo primo atto difensivo le eventuali domande riconvenzionali; del primo comma dell'art 318 cp.c. nella parte in cui non prevede espressamente che la domanda, comunque proposta, deve contenere anche l'invito al convenuto a costituirsi entro l'udienza indicata (anzi, entro "l'ora dall'apertura" eventuale della stessa), con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica la decadenza dal diritto di proporre le eventuali domande riconvenzionali; del primo comma dell'art. 645 c.p.c: nella parte in cui non prevede espressamente che l'opponente deve proporre, a pena di decadenza, nell'atto di opposizione le eventuali domande riconvenzionali; dei primi commi degli artt. 638 e 641 c.p.c. nella parte in cui non prevedono l'avvertimento che l'opponente deve proporre a pena di decadenza nell'atto di opposizione le eventuali domande riconvenzionali; Sospende il procedimento ordinario in corso; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria questa ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. In Stradella, il giorno 10 novembre 1997 Il giudice di pace: Magaldi 98C0018