N. 113 SENTENZA 27 maggio - 12 giugno 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Permessi premio - Termine per il  reclamo
  avverso  i  provvedimenti  del   magistrato   di   sorveglianza   -
  Ventiquattro ore dalla comunicazione, anziche'  quindici  giorni  -
  Irragionevolezza,  violazione  del  diritto  di  difesa   e   della
  finalita' rieducativa della pena - Illegittimita' costituzionale in
  parte qua. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter, comma 7. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 27, terzo comma, e 111. 
(GU n.25 del 17-6-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  30-bis,
comma 3, in relazione al successivo art. 30-ter, comma 7, della legge
26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla
esecuzione delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'),
promosso  dalla  Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,  nel
procedimento di sorveglianza nei confronti di G.  V.,  con  ordinanza
del 13 novembre 2019, iscritta al n. 239 del registro ordinanze  2019
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  2,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Udito il Giudice  relatore  Francesco  Vigano'  nella  camera  di
consiglio del 26 maggio 2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 27 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 novembre 2019 la  Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,  24,
27 e 111 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 30-bis, comma 3, in relazione al  successivo  art.  30-ter,
comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), «nella parte in  cui  prevede  che  il  termine  per
proporre  reclamo  avverso  il  provvedimento   del   Magistrato   di
sorveglianza in tema di permesso premio e' pari a 24 ore». 
    1.1.- La Sezione rimettente e' investita di  un  ricorso  avverso
l'ordinanza  del  Tribunale  di  sorveglianza  di  Bologna   che   ha
dichiarato inammissibile, in quanto tardivo, il reclamo presentato da
un  detenuto  contro  il  provvedimento  con  cui  il  magistrato  di
sorveglianza aveva rigettato una sua richiesta di permesso premio. 
    Il giudice a quo rileva che, effettivamente, il reclamo era stato
proposto dal detenuto oltre il termine di ventiquattro ore  stabilito
dall'art. 30-bis,  comma  3,  ordin.  penit.,  applicabile  anche  in
materia di permessi premio in forza  del  richiamo  di  cui  all'art.
30-ter,  comma  7,  ordin.  penit.;   ma,   in   accoglimento   della
corrispondente eccezione del ricorrente,  dubita  della  legittimita'
costituzionale di un termine cosi' breve. 
    1.2.-  Le  questioni,  osserva  la   Sezione   rimettente,   sono
rilevanti, dal momento che  -  ove  fossero  ritenute  fondate  -  il
ricorso dovrebbe essere accolto e gli atti dovrebbero essere rinviati
al tribunale di sorveglianza, affinche' proceda a valutare nel merito
l'originario reclamo. 
    1.3.- In punto di non manifesta infondatezza delle questioni,  il
giudice a quo richiama anzitutto la sentenza di questa Corte  n.  235
del 1996, la quale - pur dichiarando inammissibile una  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 30-bis, comma 3, ordin.  penit.
- gia' aveva  rilevato  l'irragionevolezza  della  previsione  di  un
termine identico, e particolarmente breve, per il reclamo in  materia
di  permessi  di  necessita'  e  di   permessi   premio,   anche   in
considerazione   della   funzione   essenziale   riconosciuta   dalla
giurisprudenza costituzionale a questi ultimi rispetto  all'obiettivo
della rieducazione perseguito dalla pena. 
    L'irragionevole equiparazione del termine per le due tipologie di
permessi, secondo quanto gia' ritenuto dalla citata sentenza  n.  235
del 1996, si risolverebbe allora in una violazione dell'art. 3 Cost.,
«perche' la  norma  equipara,  quanto  al  termine  concesso  per  il
reclamo, situazioni profondamente diverse». 
    L'eccessiva brevita'  del  termine  in  questione  determinerebbe
altresi' una violazione dell'art. 27  Cost.,  e  in  particolare  del
principio rieducativo della pena, «perche' ostacola  un  effettivo  e
serio  controllo  sul  provvedimento  adottato  dal   Magistrato   di
sorveglianza  relativo  ad  "uno  strumento  cruciale  ai  fini   del
trattamento",  momento  iniziale  della  progressivita'  premiale  in
esplicazione di una importante funzione  "pedagogico-propulsiva"  che
da' modo di saggiare, quale primo esperimento, "la  risocializzazione
in ambito extramurario"» (sono citate le sentenze di questa Corte  n.
188 del 1990 e n. 227 del 1995). 
    La   Sezione   rimettente   osserva   inoltre    che    all'epoca
dell'introduzione dell'art. 30-bis ordin. penit.,  l'impugnazione  si
proponeva con mera dichiarazione, mentre i motivi  dell'impugnazione,
pur  potendo  essere  contestualmente  enunciati,   dovevano   essere
presentati per iscritto entro un termine diverso  e  piu'  ampio.  La
disciplina generale delle impugnazioni del nuovo codice di  procedura
penale, considerata dalla  costante  giurisprudenza  di  legittimita'
applicabile anche al procedimento di reclamo avverso le decisioni del
magistrato di sorveglianza sui permessi premio, impone invece ora,  a
pena di inammissibilita', l'articolazione di  specifici  motivi  gia'
nella dichiarazione di impugnazione. Il termine di  ventiquattro  ore
qui in esame pregiudicherebbe conseguentemente  anche  l'effettivita'
del diritto di difesa  di  cui  all'art.  24  Cost.,  sub  specie  di
«diritto  delle  parti  di  rappresentare  compiutamente  le  proprie
ragioni al giudice del controllo». 
    Infine, la disciplina censurata violerebbe l'art. 111  Cost.,  in
ragione dello squilibrio da essa realizzato tra  le  opportunita'  di
impugnazione riservate alla parte pubblica e al  detenuto,  il  quale
necessiterebbe dell'assistenza di un difensore per  poter  articolare
compiutamente le proprie doglianze nel reclamo, onde non incorrere in
una pronuncia di inammissibilita'; assistenza che pero',  proprio  in
ragione della spiccata brevita' del  termine,  sarebbe  difficile  da
ottenere in concreto. 
    1.4.- Rammenta infine la Sezione rimettente  che  con  la  citata
sentenza n. 235 del 1996  questa  Corte  dichiaro'  inammissibile  la
questione ora proposta in ragione  dell'assenza  nell'ordinamento  di
un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, tale  da  consentire
alla Corte stessa di porre rimedio al vulnus riscontrato; e per  tale
ragione  auspico'  un  rapido  intervento  legislativo  in  grado  di
contemperare «la tutela del diritto di  difesa  con  le  esigenze  di
speditezza della procedura». 
    Nella perdurante assenza di intervento da parte del  legislatore,
il sistema offrirebbe oggi  «un  ben  preciso  punto  di  riferimento
idoneo, nella prospettiva di una pronuncia additiva,  ad  evitare  un
vuoto» di disciplina, rappresentato in particolare dalla  previsione,
da parte dell'art 35-bis ordin. penit., di  un  termine  di  quindici
giorni per la  proposizione  del  reclamo  contro  la  decisione  del
magistrato di sorveglianza. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
nel giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di  cassazione,
sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,  24,
27 e 111 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 30-bis, comma 3, in relazione al  successivo  art.  30-ter,
comma  7,  della  legge  del  26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), «nella parte in  cui  prevede
che il termine per proporre  reclamo  avverso  il  provvedimento  del
Magistrato di sorveglianza in tema di permesso premio e'  pari  a  24
ore». 
    Secondo la Sezione rimettente, la disciplina censurata: 
    - equiparerebbe  irragionevolmente  il  termine  per  il  reclamo
contro i permessi di necessita' e i permessi  premio,  nonostante  la
profonda diversita' tra i due istituti,  con  conseguente  violazione
dell'art. 3 Cost.; 
    - si risolverebbe in un ostacolo alla funzione rieducativa  della
pena di cui all'art. 27 Cost., cui l'istituto dei permessi premio  e'
funzionale; 
    - pregiudicherebbe l'effettivita' del diritto di  difesa  di  cui
all'art. 24 Cost., in ragione della necessita'  per  il  detenuto  di
articolare compiutamente i motivi di impugnazione nell'arco  di  sole
ventiquattro ore; e 
    - violerebbe il principio della parita' tra accusa e  difesa,  di
cui all'art. 111 Cost., in  ragione  dello  squilibrio  realizzato  a
pregiudizio del  detenuto  che  da  un  lato  non  disporrebbe  delle
conoscenze  tecniche  necessarie  per  esercitare  compiutamente   il
proprio  diritto  di  difesa,  e  dall'altro  non  avrebbe  il  tempo
necessario per ottenere l'assistenza tecnica di un  difensore  in  un
cosi' breve lasso di tempo. 
    2.- Dal tenore complessivo dell'ordinanza di rimessione si evince
che oggetto delle censure del giudice a quo e' unicamente il  termine
di ventiquattro ore  per  la  proposizione  del  reclamo  avverso  le
decisioni in materia di permessi premio,  che  risulta  dal  richiamo
operato dall'art. 30-ter, comma 7, ordin. penit. alle  «procedure  di
cui all'art. 30-bis» ordin. penit., e in particolare al  comma  3  di
tale disposizione; mentre resta estraneo a tali censure  il  medesimo
termine di ventiquattro ore, previsto dallo stesso art. 30-bis, comma
3, ordin. penit.,  per  i  reclami  contro  i  permessi  disciplinati
dall'art. 30 ordin. penit. (i cosiddetti permessi "di necessita'"). 
    Le questioni sollevate dal giudice a  quo  devono  dunque  essere
rettamente intese come riferite al solo art. 30-ter, comma 7,  ordin.
penit., nella parte in cui - richiamando le procedure di cui all'art.
30-bis ordin. penit. - prevede un termine di ventiquattro  ore  anche
per il reclamo contro le decisioni del magistrato di sorveglianza  in
materia di permessi premio. 
    3.- Le questioni sono fondate in riferimento agli artt. 3,  24  e
27, terzo comma, Cost. 
    3.1.- La sola tipologia di permessi per  i  detenuti  contemplata
dalla  legge  sull'ordinamento  penitenziario,  nella  sua   versione
originaria, era quella di cui all'art. 30, che disciplina i  permessi
cosiddetti "di  necessita'",  i  quali  possono  essere  concessi  al
detenuto nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o  di
un convivente, nonche' - in via eccezionale -  per  altri  eventi  di
particolare gravita'. L'art. 30-bis ordin. penit.,  introdotto  dalla
legge 20 luglio 1977, n. 450 (Modifiche al  regime  dei  permessi  ai
detenuti ed agli internati  previsto  dall'art.  30  della  legge  26
luglio 1975, n. 354), disciplina il procedimento applicativo di  tale
beneficio, disponendo in particolare al comma 3 che tanto il detenuto
quanto il pubblico ministero possono, entro  ventiquattro  ore  dalla
comunicazione  del  provvedimento  del  magistrato  di  sorveglianza,
proporre reclamo al tribunale  di  sorveglianza  (ovvero  alla  corte
d'appello, se il provvedimento e' stato adottato da altro organo). 
    Come e' noto, la legge 10 ottobre 1986, n.  663  (Modifiche  alla
legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle  misure
privative  e  limitative  della  liberta')  -  la  cosiddetta  "legge
Gozzini" - introdusse nella legge sull'ordinamento  penitenziario  il
nuovo istituto dei permessi premio, disciplinato all'art. 30-ter,  il
cui  comma  7  -  in  questa  sede  censurato  -  dispone  che  «[i]l
provvedimento relativo ai permessi premio e' soggetto  a  reclamo  al
tribunale di sorveglianza,  secondo  le  procedure  di  cui  all'art.
30-bis». 
    In forza di tale richiamo, il termine per proporre reclamo contro
la decisione del magistrato di sorveglianza in  materia  di  permessi
premio e' il medesimo indicato  dall'art.  30-bis,  comma  3,  ordin.
penit. per il reclamo contro il provvedimento  relativo  ai  permessi
"di necessita'", ed e' dunque  pari  a  ventiquattro  ore  dalla  sua
comunicazione. 
    3.2.- La sentenza n. 235 del 1996  di  questa  Corte,  richiamata
dalla Sezione rimettente, ha gia' esaminato questioni di legittimita'
costituzionale aventi a oggetto l'eccessiva brevita' di tale termine,
formulate - allora - sotto il concorrente profilo degli artt. 3, 25 e
27 Cost. 
    Questa  Corte  aveva   sottolineato,   in   quell'occasione,   la
funzionalita'  del  permesso  premio  alla  finalita'   di   graduale
reinserimento sociale del condannato nella societa', definendolo anzi
come uno «strumento cruciale ai fini del  trattamento»;  e  ne  aveva
evidenziato la «profonda distinzione» rispetto al permesso cosiddetto
di necessita' previsto dall'art. 30 ordin. penit., «istituto peraltro
non connaturato alla esecuzione della pena», potendo essere  concesso
anche prima del passaggio in giudicato della sentenza. 
    La  Corte  non  aveva  potuto  non  rilevare,  allora,  «che   la
fissazione di un identico termine per il reclamo  nei  confronti  dei
provvedimenti concernenti i permessi di necessita' ed il reclamo  nei
confronti dei provvedimenti concernenti i permessi premio si rivel[a]
non ragionevole, rispondendo ciascuno dei due provvedimenti reclamati
a presupposti e  finalita'  diverse»;  e  che  la  stessa  disciplina
dell'art. 30-ter,  comma  7,  non  poteva  non  suscitare  «dubbi  di
ragionevolezza, potendo apparire non del tutto congruo il termine  di
ventiquattro ore per censurare un  provvedimento  che  incide  su  un
regime che e' parte integrante  del  trattamento  e  da  cui  possono
discendere conseguenze dirette anche al fine dell'applicazione  delle
misure alternative alla detenzione». 
    Tuttavia, la Corte aveva ritenuto  di  doversi  arrestare  a  una
pronuncia  di  inammissibilita'  delle  questioni  prospettate,   non
riuscendo   a    rintracciare    nell'ordinamento    una    soluzione
costituzionalmente  obbligata  che  potesse   consentire   di   porre
direttamente rimedio alla  pur  riscontrata  eccessiva  brevita'  del
termine in esame. 
    Un tale compito non poteva, secondo la  Corte,  che  spettare  al
legislatore, il quale era stato cosi' invitato a «provvedere,  quanto
piu' rapidamente, alla fissazione di un nuovo termine che  contemperi
la tutela del diritto di difesa con le esigenze di  speditezza  della
procedura». 
    3.3.- A ventiquattro anni di distanza  da  quel  monito,  rimasto
inascoltato, questa Corte non puo' che  ribadire  la  valutazione  di
contrarieta' alle norme costituzionali del  termine  in  esame,  gia'
espressa in sostanza nella sentenza n. 235 del 1996. 
    Irragionevole al metro dell'art. 3 Cost.  appare,  anzitutto,  la
previsione di un unico termine di ventiquattro ore sia per il reclamo
avverso il provvedimento  relativo  ai  permessi  "di  necessita'"  -
rispetto  ai  quali  la  brevita'  del  termine   appare   correlata,
nell'ottica del legislatore,  alla  situazione  di  urgenza  allegata
dall'interessato a fondamento della propria richiesta -, sia  per  il
reclamo contro la decisione sui permessi premio, rispetto alla  quale
tali ragioni di urgenza certamente non sussistono. 
    Ingiustificatamente pregiudizievole rispetto all'effettivita' del
diritto di difesa di cui all'art. 24  Cost.  e',  d'altra  parte,  un
termine cosi' breve rispetto alla necessita', per  l'interessato,  di
articolare  compiutamente   nello   stesso   reclamo,   a   pena   di
inammissibilita', gli specifici motivi in  fatto  e  in  diritto  sui
quali il tribunale  di  sorveglianza  dovra'  esercitare  il  proprio
controllo  sulla  decisione  del  primo  giudice.  E  cio'  anche  in
relazione alla oggettiva difficolta', per il detenuto, di ottenere in
un cosi' breve lasso di tempo l'assistenza tecnica di  un  difensore,
che pure e' - in via generale  -  parte  integrante  del  diritto  di
difesa in ogni stato e grado del procedimento (sentenze  n.  143  del
2013, n. 120 del 2002, n. 175 del 1996, e  ulteriori  precedenti  ivi
richiamati). 
    Tali ostacoli alla possibilita' di far  valere  efficacemente  le
proprie  ragioni  avverso  una  decisione   su   un   istituto   gia'
riconosciuto dalla sentenza n. 235 del 1996 come  «cruciale  ai  fini
del trattamento», e di cui la costante giurisprudenza di questa Corte
ha  riconosciuto   l'essenziale   «funzione   "pedagogico-propulsiva"
(sentenze n. 504 del 1995, poi sentenze n. 445 del 1997 e n. 257  del
2006)  [che]  permette  l'osservazione  da  parte   degli   operatori
penitenziari degli effetti sul condannato del temporaneo  ritorno  in
liberta' (sentenza n. 227 del 1995)»  (sentenza  n.  253  del  2019),
determinano  infine  un  indebito  ostacolo  alla   stessa   funzione
rieducativa della  pena  di  cui  all'art.  27,  terzo  comma,  Cost.
nell'eventualita'   di   decisioni   erronee   del   magistrato    di
sorveglianza,  che  l'interessato  non  abbia  la   possibilita'   di
contestare efficacemente avanti al tribunale di sorveglianza  proprio
per effetto dell'eccessiva brevita' del termine  concessogli  per  il
reclamo. 
    3.4.- D'altra parte, l'introduzione, ad opera dell'art. 3,  comma
1, lettera b), del decreto-legge 23 dicembre  2013,  n.  146  (Misure
urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e  di
riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito,  con
modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, della  disciplina
di cui all'art. 35-bis  ordin.  penit.  sul  reclamo  giurisdizionale
avverso le decisioni delle autorita' penitenziarie che riguardano  il
detenuto, fornisce oggi - come giustamente rileva il giudice a quo  -
un «precis[o] punto di riferimento, gia'  rinvenibil[e]  nel  sistema
legislativo» (sentenza n. 236 del 2016) idoneo a eliminare il  vulnus
riscontrato,   ancorche'   non    costituente    l'unica    soluzione
costituzionalmente obbligata (sentenze n. 242, n.  99  e  n.  40  del
2019, nonche' n. 233 e n. 222 del 2018). 
    Il comma 4 del  menzionato  art.  35-bis  ordin.  penit.  prevede
nell'ambito di quel procedimento - che disciplina in via generale  il
controllo giurisdizionale su tutte  le  decisioni  che  incidono  sui
diritti del detenuto - il termine di quindici giorni per  il  reclamo
innanzi al tribunale di sorveglianza, decorrente dalla  notificazione
o  comunicazione  dell'avviso  di  deposito   della   decisione   del
magistrato di sorveglianza. Tale termine - che peraltro coincide  con
quello previsto in via generale dall'art. 585  cod.  proc.  pen.  per
l'impugnazione dei provvedimenti emessi  all'esito  della  camera  di
consiglio - costituisce  dunque  una  soluzione  gia'  esistente  nel
sistema, che si  presta  naturalmente  a  essere  estesa  al  reclamo
avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza concernenti  i
permessi  premio,   da   presentare   parimenti   al   tribunale   di
sorveglianza.  E  cio'  ferma  restando  la   possibilita'   per   il
legislatore di individuare - nel rispetto dei principi costituzionali
sopra richiamati - altro termine, se ritenuto piu'  congruo,  per  lo
specifico reclamo in esame. 
    3.5.- L'art. 30-ter, comma 7, ordin. penit. deve pertanto  essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede,
mediante rinvio al  precedente  art.  30-bis,  che  il  provvedimento
relativo ai permessi premio e' soggetto a  reclamo  al  tribunale  di
sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziche'
prevedere a tal  fine  il  termine  di  quindici  giorni,  tanto  per
l'interessato quanto per il pubblico  ministero,  restando  fermo  il
rinvio alle procedure di cui all'art. 30-bis ordin. penit.  per  ogni
profilo diverso dal termine per il reclamo. 
    4.-  Resta  assorbita  la  questione  formulata  con  riferimento
all'art. 111 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 30-ter,  comma
7, della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), nella parte  in  cui  prevede,  mediante  rinvio  al
precedente art. 30-bis, che il  provvedimento  relativo  ai  permessi
premio e' soggetto a  reclamo  al  tribunale  di  sorveglianza  entro
ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziche'  prevedere  a  tal
fine il termine di quindici giorni. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 maggio 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 giugno 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA