N. 389 ORDINANZA 19 - 23 novembre 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Parlamento   -   Immunita'   e   prerogative   -  Intercettazioni  di
  conversazioni  o comunicazioni alle quali hanno preso parte persone
  divenute  successivamente  membri  del  Parlamento,  effettuate nel
  corso  di  procedimenti  penali  riguardanti  le  stesse  o terzi -
  Ritenuta  utilizzabilita' subordinatamente all'autorizzazione della
  Camera  di  appartenenza  -  Lamentata  violazione del principio di
  parita'  di  trattamento  rispetto  alla giurisdizione, del diritto
  alla  difesa  e  del  diritto alla prova - Dedotto contrasto con il
  principio   di   parita'  tra  le  parti  e  con  il  principio  di
  obbligatorieta'   dell'esercizio  dell'azione  penale  -  Questione
  sollevata  sulla  base  di  un erroneo presupposto interpretativo -
  Manifesta infondatezza.
- Legge 20 giugno 2003, n. 140, artt. 4 e 6.
- Costituzione,  artt. 3, 24, 68, secondo e terzo comma, 111, secondo
  e terzo comma, e 112.
(GU n.46 del 28-11-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli articoli 4 e 6
della  legge  20  giugno 2003  n. 140  (Disposizioni per l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei confronti delle alte cariche dello Stato), promosso con ordinanza
del  15 ottobre  2004  dal  Giudice  per  le indagini preliminari del
Tribunale  di  Siracusa  nel procedimento penale a carico di G. G. ed
altri,  iscritta  al  n. 54  del registro ordinanze 2005 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 8, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 24 ottobre 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che,  con  l'ordinanza indicata in epigrafe, il giudice
per  le  indagini preliminari del Tribunale di Siracusa ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt. 3,  24,  68,  secondo e terzo comma, 101
(recte:  111),  secondo  e  terzo  comma,  e  112 della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
artt. 4  e  6  della  legge  20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per
l'attuazione  dell'art. 68  della  Costituzione nonche' in materia di
processi  penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), nella
parte  in cui - secondo l'interpretazione accolta dal giudice a quo -
stabilisce  che,  ai fini dell'utilizzazione delle conversazioni alle
quali  hanno  preso  parte  membri  del  Parlamento,  intercettate in
qualsiasi   forma  sia  nell'ambito  di  procedimenti  nei  quali  il
parlamentare  e' indagato che nell'ambito di procedimenti riguardanti
terzi,  e'  necessaria  l'autorizzazione della Camera di appartenenza
del  parlamentare  anche quando quest'ultimo ha acquisito la qualita'
di  membro  del  Parlamento in data successiva a quella di esecuzione
delle operazioni;
        che  il  rimettente  riferisce  che,  nel procedimento a quo,
erano  state eseguite intercettazioni telefoniche su utenze intestate
o  in  uso  alla  persona  sottoposta alle indagini G. G., nonche' su
utenze intestate o in uso ad altri soggetti, i quali, nel corso delle
conversazioni,  avevano riferito di condotte poste in essere da detta
persona;
        che,   all'esito  delle  indagini  preliminari,  il  pubblico
ministero  aveva  ritenuto  di dover procedere nei confronti di detto
indagato  e  di altre persone per i reati di cui agli artt. 319 e 326
del  codice  penale  e  all'art. 96  del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361
(Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi  recanti  norme per la
elezione della Camera dei deputati);
        che,  peraltro,  avendo  l'indagato  acquisito la qualita' di
parlamentare   -   in  quanto  eletto  alla  Camera  dei  deputati  -
successivamente  alle  intercettazioni,  il  pubblico ministero aveva
fatto  istanza al giudice a quo, affinche' richiedesse alla Camera di
appartenenza  del predetto l'autorizzazione ad utilizzare i risultati
delle  intercettazioni  stesse,  ai sensi dell'art. 6, comma 2, della
legge n. 140 del 2003;
        che,  al  riguardo,  il  rimettente  dichiara  di condividere
l'interpretazione  posta  a  base  dell'istanza, stando alla quale la
disciplina   dettata   dagli  artt. 4  e  6  della  citata  legge  si
applicherebbe  non  solo  alle intercettazioni di conversazioni della
persona  che  abbia  gia'  la qualifica di parlamentare al momento di
esecuzione  delle  operazioni;  ma  anche alle intercettazioni di chi
acquisisca   tale  qualifica  solo  successivamente,  nel  corso  del
procedimento:  e  cio'  a  prescindere  dal  fatto  che  si tratti di
intercettazioni  «dirette» (eseguite, cioe', su utenza telefonica del
parlamentare),  ovvero  «indirette»  (effettuate, cioe', su utenze di
altri  soggetti,  quando  il  parlamentare  partecipi  comunque  alla
conversazione);
        che  detta  interpretazione  -  «condivisa  incidentalmente»,
secondo  il  giudice  a  quo,  dalla  stessa Camera dei deputati, nel
pronunciarsi   su   una   precedente   richiesta  di  autorizzazione,
erroneamente   avanzata   dal   pubblico   ministero   nel   medesimo
procedimento  ai  sensi  dell'art. 4  della  legge  n. 140 del 2003 -
sarebbe,   infatti,  «l'unica  possibile  alla  stregua  dei  criteri
ermeneutici  dettati  dall'ordinamento»: risultando «illuminanti», in
proposito,  sia  le osservazioni contenute nell'ordinanza della Corte
di  cassazione 4  febbraio-9 marzo  2004,  n. 10772  (con la quale e'
stata  sollevata una diversa questione di legittimita' costituzionale
della  disciplina  dettata  dalla  legge  n. 140  del  2003);  sia le
indicazioni   ricavabili   dai  lavori  preparatori  della  legge  in
questione;
        che  nella  predetta lettura, tuttavia, il combinato disposto
degli  artt. 4  e  6  della legge n. 140 del 2003 verrebbe a porsi in
contrasto con plurimi parametri costituzionali;
        che  sarebbe violato, anzitutto, l'art. 68, secondo e terzo e
comma, Cost., il quale - richiedendo l'autorizzazione della Camera di
appartenenza  del parlamentare solo per il compimento di alcuni atti,
tassativamente  elencati  -  mirerebbe a tutelare non gia' la persona
fisica,  il  prestigio  o  il  «buon  nome» dei singoli parlamentari;
quanto  piuttosto  la  funzione  costituzionale  da essi svolta, onde
evitare  che  la  medesima venga condizionata, controllata o limitata
dall'espletamento di atti di indagine invasivi;
        che,  per contro, le disposizioni impugnate - con l'estendere
la  predetta  tutela, di carattere eccezionale e derogatorio di altri
principi  costituzionali,  anche  alle conversazioni di persona priva
della  qualifica  di  parlamentare  al  momento  di  esecuzione delle
intercettazioni  - non tutelerebbero piu' la funzione, non essendo le
conversazioni  in  parola riferibili all'attivita' di un soggetto che
riveste un ruolo di rilievo costituzionale;
        che  le  medesime  norme  -  interpretate  nei termini dianzi
indicati  - violerebbero, altresi', l'art. 3 Cost., il quale sancisce
il  principio  di parita' di trattamento dei cittadini anche rispetto
alla  giurisdizione,  esigendo  che le eventuali diversita' di regime
stabilite  dalla  legge ordinaria trovino fondamento nella necessita'
di tutela di valori sopraordinati o, comunque, di pari rango;
        che   nella   specie,  per  contro,  il  diverso  trattamento
riservato  ai  membri del Parlamento - quanto all'utilizzazione delle
intercettazioni  telefoniche eseguite prima della loro elezione - non
potrebbe  trovare  giustificazione  nella  specialita' delle funzioni
svolte,  ma  sarebbe diretto unicamente a tutelare beni non garantiti
ne'  esplicitamente  ne'  implicitamente dalla Costituzione: quali il
prestigio  del parlamentare o l'interesse ad evitare che quest'ultimo
«utilizzi   parte   del   suo  tempo  per  partecipare  all'attivita'
giurisdizionale come qualunque altro cittadino»;
        che sarebbero lesi, ancora, il diritto di difesa e il diritto
alla  prova  delle parti del processo, riconosciuti, rispettivamente,
dagli  artt. 24  e  101  (recte:  111),  terzo  comma,  in  relazione
all'art. 3 Cost.;
        che  la  disciplina  di cui all'art. 6 della legge n. 140 del
2003  - la quale prevede l'immediata distruzione della documentazione
delle   operazioni,   nel  caso  di  diniego  dell'autorizzazione,  e
l'inutilizzabilita'   delle  registrazioni  di  comunicazioni  e  dei
verbali  acquisiti in violazione del disposto del medesimo articolo -
introdurrebbe,  infatti, una ingiustificata disparita' di trattamento
tra  le parti processuali e limiti insuperabili al diritto di difesa:
e  cio'  con riferimento non soltanto alle eventuali parti civili, ma
anche   alle   altre   persone   indagate  nell'ambito  del  medesimo
procedimento,  le  quali  abbiano  interesse  all'utilizzazione delle
conversazioni,  in  quanto contenenti elementi decisivi ai fini della
dimostrazione della propria innocenza;
        che  -  coeteris  paribus  - la perseguibilita' e la condanna
della  persona  sottoposta  a  procedimento  penale,  cosi'  come  il
conseguimento  del  risarcimento  del  danno  e  delle restituzioni a
favore  della parte civile, verrebbero quindi a dipendere da un fatto
puramente  casuale:  quale la presenza o meno, tra le fonti di prova,
dell'intercettazione  di  comunicazioni o conversazioni cui ha «preso
parte» una persona che, al momento della raccolta del mezzo di prova,
non  aveva alcuna qualifica pubblicistica di rango costituzionale, ma
ha acquisito tale qualifica nel corso del procedimento;
        che    sarebbero   compromessi,   infine,   i   principi   di
obbligatorieta'  dell'azione  penale e di uguaglianza delle parti del
processo, previsti dagli artt. 112 e 101 (recte: 111), secondo comma,
Cost.:  e  cio'  perche'  le previsioni degli artt. 4 e 6 della legge
n. 140  del  2003  -  lette  nei  sensi  in  precedenza  precisati  -
comprimerebbero   l'obbligo  del  pubblico  ministero  di  esercitare
l'azione  penale  non  solo  e non tanto nei confronti del membro del
Parlamento,  il  quale abbia preso parte a conversazioni intercettate
prima  della  sua  elezione,  ma anche nei confronti degli indagati o
coindagati  nel  procedimento  in cui sono state raccolte le fonti di
prova  tutelate; questi ultimi verrebbero dunque a beneficiare di una
vera  e  propria  «immunita»,  non potendo essere utilizzati nei loro
confronti i risultati di prove ordinariamente utilizzabili in tutti i
procedimenti penali;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    Considerato  che  la  premessa  interpretativa  posta dal giudice
rimettente a base dei propri dubbi di costituzionalita' - vale a dire
la  asserita applicabilita' della disciplina, di cui agli artt. 4 e 6
della  legge 20 giugno 2003, n. 140, anche alle intercettazioni delle
conversazioni  di  persona che acquisisca la qualita' di parlamentare
solo  in epoca successiva all'espletamento del mezzo di ricerca della
prova - si presenta priva di ogni argomento di supporto;
        che  il giudice a quo qualifica, difatti, l'anzidetta esegesi
come  «l'unica possibile alla stregua dei criteri ermeneutici dettati
dall'ordinamento»,  senza  fornire  altra giustificazione del proprio
assunto che un generico riferimento alle «osservazioni» contenute, in
tesi,  in  una  pronuncia  della  Corte  di cassazione (l'ordinanza 4
febbraio-9 marzo 2004, n. 10772) e nei lavori preparatori della legge
n. 140 del 2003;
        che,  per contro, la Corte di cassazione ha sollevato, con la
citata  ordinanza,  una  questione di legittimita' costituzionale del
tutto  distinta  da  quella odierna (questione dichiarata tra l'altro
inammissibile  da  questa Corte per essere la motivazione in punto di
rilevanza  fondata su una premessa interpretativa non condivisibile e
contraddittoria:  sentenza  n. 163  del  2005);  e, d'altra parte, il
rimettente  non  ha  indicato  a  quali  specifici passaggi dell'iter
parlamentare della legge de qua intenda riferirsi;
        che,   in   fatto,  l'interpretazione  in  parola  non  trova
riscontro  nel  testo  delle norme censurate, le quali individuano le
conversazioni  «protette»  con  formule  che,  di  per  se',  evocano
l'attualita'  della  qualifica parlamentare del soggetto intercettato
(«quando  occorre  eseguire nei confronti di un membro del Parlamento
[...]   intercettazioni,   in   qualsiasi  forma»;  «conversazioni  o
comunicazioni  intercettate in qualsiasi forma [...] alle quali hanno
preso  parte  membri  del  Parlamento»):  rilievo, questo, tanto piu'
significativo,  in  quanto  si discute di una tutela che - secondo lo
stesso  giudice  a  quo  - ha «carattere eccezionale e derogatorio di
altri  principi  costituzionali»;  cosi'  da  rendere le norme che la
contemplano di stretta interpretazione;
        che,  d'altro  canto,  con  particolare  riguardo all'ipotesi
regolata  dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003 - la quale prevede,
relativamente     alle    cosiddette    intercettazioni    «dirette»,
un'autorizzazione di tipo preventivo (condizionante, cioe', la stessa
esecuzione  dell'atto)  -  e'  del  tutto  evidente  come  una simile
autorizzazione  non sia concepibile, anche sul piano logico, rispetto
alle conversazioni di persona che sia divenuta parlamentare solo dopo
l'esecuzione delle operazioni;
        che,  se  cosi'  e',  la  medesima  soluzione  vale anche per
l'ipotesi  regolata  dall'art. 6,  che  contempla - per le cosiddette
intercettazioni    «indirette»    -    un'autorizzazione   successiva
(condizionante,  cioe',  non  l'esecuzione,  ma  l'utilizzazione  dei
risultati  delle  intercettazioni);  non  potendosi presumere, fino a
quando  non  consti  una  espressa  indicazione  normativa  di  segno
contrario,   che   il   legislatore   abbia   inteso  accordare  alle
intercettazioni  «indirette»  una  protezione piu' incisiva di quella
prefigurata per le intercettazioni «dirette»;
        che,  a tale proposito, l'art. 6, comma 2, della legge n. 140
del 2003 - nel prevedere che l'autorizzazione all'utilizzazione delle
intercettazioni  «indirette»  e'  data  dalla  Camera  alla  quale il
parlamentare   «appartiene  o  apparteneva»  al  momento  in  cui  le
conversazioni  o  le  comunicazioni  sono  state  intercettate - puo'
ritenersi  riferito all'ipotesi inversa a quella oggetto del giudizio
a  quo:  vale  a dire al caso del parlamentare che, dopo l'esecuzione
delle intercettazioni, abbia perso tale qualita';
        che il giudice a quo accenna, sotto diverso profilo, al fatto
che  l'interpretazione  di  cui  si  discute sarebbe stata «condivisa
incidentalmente»  dalla  Camera  di  deputati, in sede di esame della
richiesta  di autorizzazione all'utilizzazione delle intercettazioni,
in  precedenza  erroneamente  presentata dal pubblico ministero nello
stesso  procedimento,  ai  sensi  dell'art. 4  della legge n. 140 del
2003;
        che   l'affermazione   non   trova   riscontro   negli   atti
parlamentari  relativi  a tale richiesta di autorizzazione (relazione
della   Giunta  per  le  autorizzazioni  e  dibattito  in  Aula);  al
contrario,  la  Camera  dei  deputati  ha  posto  in evidenza - quale
profilo  pregiudiziale  ostativo all'esame del merito della domanda -
la  circostanza  che,  nel  caso  di specie, le intercettazioni erano
state eseguite prima della proclamazione del deputato intercettato;
        che  l'impossibilita'  di estendere la normativa in questione
alle   intercettazioni  di  persone  ancora  prive  dello  status  di
parlamentare  e'  stata confermata, altresi', dalla successiva prassi
parlamentare  in  tema di autorizzazioni (si veda, in particolare, la
relazione  della  Giunta  per  le  autorizzazioni  della  Camera  dei
deputati  presentata  alla  Presidenza  il  25 luglio  2007, doc. IV,
n. 9-A);
        che,  pertanto,  a  prescindere da ogni ulteriore rilievo, la
questione va dichiarata manifestamente infondata, in quanto basata su
un erroneo presupposto interpretativo.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'   costituzionale   degli   artt. 4   e   6  della  legge
20 giugno 2003,  n. 140  (Disposizioni  per l'attuazione dell'art. 68
della   Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei
confronti  delle alte cariche dello Stato), sollevata, in riferimento
agli  artt. 3,  24,  68,  secondo e terzo comma, 111, secondo e terzo
comma,  e  112  della  Costituzione,  dal  Giudice  per  le  indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Siracusa con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2007.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 23 novembre 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
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