N. 78 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 novembre 1989
N. 78 Ordinanza emessa il 14 novembre 1989 dal tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Aleci Mario Reati militari - Insubordinazione con ingiuria e minaccia - Provocazione - Mancata previsione come esimente - Differenza rispetto al diritto penale comune ed alla disciplina dei reati in danno ai pubblici ufficiali - Irrazionalita' anche se in relazione al rapporto di gerarchia militare ed alla applicbilita' di tale esimente secondo che il reato sia o meno consumato in luogo militare. Reati militari - Insubordinazione con ingiuria e minaccia - Legittima difesa - Operativita' solo in presenza di violenza attuale ed ingiusta - Inapplicabilita' in caso di difesa di diritti diversi dalla vita e dall'integrita' fisica - Ingiustificato affievolimento dei diritti patrimoniali del militare nonche' dei diritti della personalita', all'integrita' morale e alla tranquillita' psichica - Differenza rispetto al diritto penale comune. (C.P.M., artt. 42, 228, secondo comma, 198, in relazione all'art. 52 del c.p.). (Cost., artt. 2, 3, 27 e 52).(GU n.9 del 28-2-1990 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro Aleci Mario, nato il 3 luglio 1969 a Marsala (Trapani), ivi residente in Contrada Paolini n. 180; celibe, licenza media, elettrauto, impossidente, incensurato, soldato nel 2 gruppo squadroni meccanizzato "Piemonte cavalleria" in Villa Opicina (Trieste); libero, imputato di insubordinazione con ingiuria ed insubordinazione con minaccia, aggravata e continuata (artt. 189, primo e secondo comma, del c.p.m.p.; 81 cpv. del c.p.) perche', soldato nel 2 gruppo squadroni meccanizzato "Piemonte cavalleria' in Villa Opicina (Trieste), il giorno 9 gennaio 1989 verso le ore 23 in una camerata della caserma sede del predetto reparto, con piu' azioni distinte ma esecutive di un medesimo disegno criminoso, in un primo momento offendeva il prestigio, l'onore e la dignita' del superiore c.le Momente' Gianluca in presenza di lui dicendogli: "Non mi rompere i coglioni, figlio di puttana"; subito dopo minacciava un ingiusto danno allo stesso superiore c.le Momente' Gianluca dicendo alla presenza di lui: "Ti spacco la testa, ti aspetto fuori". Con l'aggravante di aver commesso il fatto alla presenza di piu' di tre militari (art. 47, n. 4, del c.p.m.p.). FATTO E DIRITTO Sono comparsi dinanzi a questo tribunale militare il caporale Gualdi Damiano ed i soldati Criscenti Giorgio ed Aleci Mario, per rispondere il primo del reato di violenza contro inferiore continuata (artt. 81 cpv. del c.p.; 195, primo comma, del c.p.m.p.) posto in essere a danno del Criscenti e di altri militari, il secondo del reato di insubordinazione con minaccia (art. 189, primo comma, del c.p.m.p.) posto in essere a danno del Gualdi, ed il terzo del reato di insubordinazione con ingiuria e con minaccia continuata (artt. 81 del c.p.; 189, primo e scondo comma, del c.p.m.p.) posto in essere a danno del caporale Momente' Gianluca. Anteriormente all'apertura del dibattimento, il tribunale, su istanza dell'interessato e con il consenso del pubblico ministero, ha disposto il giudizio abbreviato e allo scopo disposto la separazione del procedimento nei confronti del Gualdi. A conclusione del dibattimento, con sentenza a parte viene assolto il soldato Criscenti, non essendo emerse a suo carico sufficienti prove di reita'. E' rimasto, invece, compiutamente provato il reato continuato attribuito al soldato Aleci. Piu' precisamente lo stesso, il 9 gennaio 1989 nella camerata dove era alloggiato in Villa Opicina, ha ingiuriato un caporale (il Momente' secondo il capo di imputazione, o il Gualdi come appare ppiu' probabile sulla scorta delle dichiarazioni acquisite nell'istruttoria dibattimentale) dicendogli "Non mi rompere i coglioni, figlio di puttana", e poi ha minacciato il medesimo con l'espressione "ti spacco la testa, ti aspetto fuori". Per la definizione del giudizio nei confronti del soldato Aleci, occorre tuttavia aver presenti la complessiva vicenda e le circostanze in cui queste ingiurie e minacce sono venute in essere. Nella nottata tra il 9 ed il 10 gennaio 1989 il Gualdi ed il Momente', militari relativamente anziani e per di piu' graduati, si erano dedicati, come da qualche tempo erano soliti fare, ad attivita' vessatorie nei confronti dei commilitoni dell'ultimo contingente, tra i quali l'Aleci ed il Criscenti. Prendendo a pretesto il fatto che nessuno dei piu' giovani si era offerto di fare la branda ad un anziano, erano di prepotenza entrati nella camerata delle reclute, ed avevano rovesciato delle brande facendo finire a terra quanti, alcuni dei quali gia' addormentati, vi erano stesi per il riposo notturno (c.d. sbrandamento). L'Aleci, che in branda non si era ancora addormentato, si era reso conto del pericolo che correva ed era riuscito a bloccare il tentativo del caporale di rovesciargli la branda e di farlo finire a terra. Proprio in questo frangente, esasperato dal tentativo che aveva poco prima sventato e dalle angherie subite anche nei giorni precedenti sin dal suo arrivo al reparto, e sentendo che i due graduati, non paghi di quanto stavano facendo, con il solito frasario militare ("state muti", "scoppierete", "piangerete", "dormite preoccupati" ecc.) spavaldamente promettevano che nella nottata e successivamente si sarebbero ripetute le molestie ed il trattamento vessatorio, non si era piu' controllato ed aveva pronunciato le espressioni ingiuriose e minacciose a danno del caporale. Dopo gli sbrandamenti, i due caporali avevano ancora costretto le reclute ad indossare le speciali calzature militari (c.d. anfibi) ed a pulire il pavimento del locale dei servizi igienici, che essi stessi in precedenza per maro divertimento avevano sporacato. Piu' tardi, contro il Criscenti, che dormiva in branda, avevano scagliato un sacchetto di plastica pieno d'acqua (c.d. gavettone). In definitiva, l'istruttoria dibattimentale ha chiarito che l'Aleci ha profferito le espressioni incriminate in stato d'ira subito dopo aver impedito al graduato di portare a termine lo sbrandamento, e inoltre a scopo difensivo, nel tentativo di indurre lo stesso superiore ad astenersi per il futuro da comportamenti del genere nei suoi confronti. Alla stregua della normativa penale comune, l'Aleci verrebbe senza dubbio assolto: da un canto l'ingiuria sarebbe non punibile a norma dell'art. 599, secondo comma, del c.p.; dall'altro la stessa ingiuria, e soprattutto la minaccia, dovrebbe qualificarsi legittima difesa a norma dell'art. 52 del c.p. Se poi i reati posti in essere dall'Aleci dovessero assimilarsi a quello comunque delineato dall'art. 341 del c.p. (in effetti di frequente il superiore offeso e' anche un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni), l'imputato verrebbe ugualmente assolto in applicazione dell'art. 4 d.leg. 14 settembre 1944, n. 288. Ben diverse, tuttavia, sono le conclusioni cui si perviene in applicazione della normativa penale militare. Come il pubblico ministero ha affermato nella sua requisitoria, l'Aleci ha posto in essere il reato di ingiuria configuarato dall'art. 189, secondo comma, del c.p.m.p. e pertanto non gli puo' essere accordata l'esimente della provocazione che l'art. 228, secondo comma, del c.p.m.p. stabilisce per i soli reati di ingiuria e di diffamazione configuarati, rispettivamente, dagli artt. 226 e 227 del c.p.m.p. Ed anzi, l'aver agito nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso, e' previsto dall'art. 198 del c.p.m.p. come circostanza attenuante ad efetto speciale per vari reati, compreso quello qui in argomento. Per quanto, poi, concerne la minaccia (art. 189, primo comma, del c.p.m.p.) e la problematica concernente la legittima difesa, occorre tener presente, come pure ha osservato il pubblico ministero, che l'art. 42 del c.p.m.p., applicabile per i reati militari in luogo dell'art. 52 del c.p., giustifica la difesa solo quando si tratti di respingere una violenza ingiusta ed attuale, o al massimo imminente, come ha stabilito la giurisprudenza e la stessa Corte costituzionale con la sentenza - interpretativa di rigetto - n. 225 del 1987; ma non di certo quando, come nella specie, essendosi esaurito il tentativo di violenza, l'agente abbia profferito minacce avendo presente solamente la probabilita' del ripetersi in futuro di plurimi atti di nonnismo a suo danno e non si sia quindi trovato nella necessita' di difendere i beni, la vita e l'integrita' fisica, che con la violenza sono aggredibili, ma piuttosto diritti personali di diversa natura, quali all'integrita' morale ed alla tranquillita' psicologica. D'altra parte, applicabilita' ai reati militari, come disposto dall'art. 22 della legge n. 382/1978, dell'esimente dell'esercizio del diritto, non puo' comportare la non punibilita' delle minacce poste in essere dall'Aleci, dal momento che non si tratta di comportamenti che dei diritti della personalita' costituiscano l'esercizio, ma piuttosto di una vera e propria difesa dei medesimi. Quest'ultima essendo la normativa applicabile nella spesie, ancora una volta il tribunale si trova a dubitare della legittimita' della speciale normativa penale militare. Non manca, ovviamente, chi puo' genericamente considerare che le descritte deroghe siano giustificate dalle esigenze del servizio, cui si riferisce l'art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione. Ma anche in questa materia dovrebbero rivelarsi decisivi l'esigenza che la regolamentazione per i reati militari ed il militare non sia senza valide ragioni diversa da quella posta per altre analoghe situazioni (art. 3 della Costituzione), e la specifica statuizione in tema di responsabilita' penale (art. 27, primo comma, della Costituzione), ed i principi di tutela delle prerogative e della dignita' della persona umana (artt. 2 e 52, ultimo comma, della Costituzione) che non possono non indicare un'inderogabile regola per lo stesso ordinamento militare. Con l'esimente della provocazione viene conferito il dovuto rilievo di scusante ad elementi inerenti alla soggettivita', vale a dire da un lato all'intenso stato d'ira da cui e' dominata la persona che sta subendo un fatto ingiusto, e dall'altro, come osserva parte della dottrina, alla circostanza che la conseguente estemporanea ed immediata reazione nei confronti del provocatore si sia esaurita in nient'altro che in un'ingiuria, un fatto si' obiettivamente delittuoso ma cosi' poco grave da non denotare alcuna capacita' a delinquere. Il misconoscimento di questa realta' soggettiva - il che per l'ingiuria di cui all'art. 189, secondo comma, avviene in forza del combinato disposto degli artt. 228, secondo comma, e 198 del c.p.m.p. - rappresenta una violazione degli artt. 2 e 52, ultimo comma, della Costituzione, nonche' del principio dell'art. 27, comma primo, della Costituzione, alla cui stregua la responsabilita' penale deve fondarsi su un giudizio di rimprovero che possa muoversi nei confronti dell'autore del fatto di reato. Per quanto, poi, riguarda il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3, e' chiaro che esso appare trasgredito sia se si raffronta la speciale normativa qui in esame con quella dettata dall'art. 559, comma primo, del c.p. per i reati di ingiuria e di diffamazione configurati dal codice penale comune o con quella, pur per certi aspetti particolare, stabilita dall'art. 4 del dlgt. 14 settembre 1944, n. 288, per i reati a danno di pubblici ufficiali delineati negli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 342 e 343 del c.p.; sia se il confronto viene istituito con la disciplina posta dall'art. 228, secondo comma, del c.p.m.p. per i reati di ingiuria e diffamazione configurati dagli artt. 226 e 227 del c.p.m.p. In sostanza, e' proprio un unicum l'esclusione dell'esimente della provocazione in riferimento al reato qui in esame, oltre che a quello analogo previsto dall'art. 196, secondo comma, del c.p.m.p. Ora, mentre questa singolarita' gia' puo' apparire come sufficiente indice della trasgressione del principio dell'art. 3 della Costituzione, non si deve pensare che la deroga acquisisca razionalita' per il fatto che con la norma incriminatrice dell'art. 189, secondo comma (oltre che con quella dell'art. 196, secondo comma) viene tutelato il rapporto di gerarchia militare. Da un lato, infatti, rimarrebbe pur sempre da spiegare la diversita' rispetto alla disciplina comune, peraltro piu' ampiamente favorevole all'imputato, concernente i reati pure posti in essere contro l'autorita' e le persone rivestite di pubbliche funzioni, categoria nel cui novero inoltre spesso rientra lo stesso superiore gerarchico militare; dall'altro, anche nel confronto con l'art. 226 si dovrebbe pur sempre dimostrare in che senso la diversita' di trattamento sia ascrivibile alle esigenze di tutela del rapporto gerarchico. Si rende necessaria, inoltre, una riflessione sui criteri di distinzione tra il fatto di reato configurato dall'art. 189, secondo comma e quello configurato dall'art. 226 del c.p.m.p. Alla stregua dell'art. 199 del c.p.m.p., l'ingiuria a danno del superiore non sempre costituisce il reato previsto dall'art. 189, secondo comma, e rientra invece nella previsione dell'art. 226 quando sia posta in essere "per cause estranee al servizio ed alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare o in luoghi militari". Pure senza potersi addentrare in ogni problematica al riguardo, e' abbastanza evidente una certa irrazionalita' dei cennati criteri distintivi tra il reato contro il rapporto di gerarchia e quello, pure compreso nel novero dei reati militari, contro la persona (art. 226). Basti considerare che non e' previsto come criterio la circostanza se il superiore offeso stia, o meno, svolgendo un servizio, e, per venire ad aspetti piu' direttamente concernenti la fattispecie qui in esame, che l'aver ingiuriato il superiore a causa dello stato d'ira determinato da un suo fatto ingiusto, e' elemento tale da negare rilievo ad un'eventuale sottostante causa attinente al servizio o alla disciplina. Ne puo' derivare, come del resto avviene per il fatto di reato posto in essere dall'Aleci, che la disposizione dell'art. 189, secondo comma, sia applicabile solo perche', circostanza relativamente insignificante, ci si trovi in luogo militate; e che, al contrario, quando ci si trovi al di fuori di questi luoghi, sia proprio la causa riportabile al fatto ingiusto del superiore a negare ogni rilevanza ad una situazione magari ben piu' coinvolgente il servizio o la disciplina militare. In quest'ultimo caso, evidentemente, l'aver agito nello stato d'ira determinato dal fatto ingiusto del superiore comporta addirittura un duplice effetto: prima rende inapplicabile le norma dell'art. 189, secondo comma, e poi determina la non punibilita', a norma dell'art. 228, secondo comma, del reato militare comune delineato dall'art. 226. Pertanto, mentre e' ancora da dimostrare che la diversita' di trattamento della provocazione possa comunque trovare giustificazione in una coerente tutela del rapporto di gerarchia, sono le stesse irrazionalita' contenute nella disposizione dell'art. 198 a determinare ulteriori e piu' specifiche violazioni del principio di uguaglianza, conseguenti alle varie circostanze in cui il militare pone in essere un'ingiuria a danno del superiore provocatore, tali da comportare in certi casi l'applicazione dell'esimente, ed in altri da escluderla. Ne', infine, va sottaciuto che la stessa Corte costituzionale, pronunciandosi sulla provocazione nell'ambito militare, peraltro pesa in considerazione come circostanza attenuante (sentenza n. 213/1984), non ha individuato alcuna valida giustificazione per mantenere in vita la norma dell'art. 49 del c.p.m.p. che, allo stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui negava, in deroga all'art. 62, n. 2, del c.p., nell'ambito dell'ordinamento penale militare quella rilevanza di carattere generale che esso invece da sempre ha nell'ordinamento penale comune. Per quanto, poi, concerne la legittima difesa configurata dall'art. 42 del c.p.m.p., appare illegittima, sempre per contrasto con gli artt. 2 e 52, ultimo comma, della Costituzione, che non sia in via di principio consentita la difesa di diritti diversi da quelli, alla vita ed all'integrita' fisica, aggredibili dall'altrui azione violenta. Ne risultano per questo ingiustificatamente affievoliti i diritti patrimoniali del militare, nonche' fondamentali diritti della personalita', quali all'integrita' morale ed alla tranquillita' psicologica, per l'appunto venuti in rilievo nel presente giudizio. Questa droga ai principi comuni, che trae origine dalla tradizionale concezione (ora parzialmente superata a seguito del gia' citato art. 22 della legge n. 382/1978), secondo cui il militare in via di massima non poteva considerarsi portatore di diritti nell'ambito dell'ordinamento militare, cui peraltro si aggiungeva un'altra esigenza, quella di non ammettere - come scrupolosamente riferiscono i lavori preparatori - che "il superiore che levasse la mano per colpire un inferiore ponga costui in stato di legittima difesa", evento "eccessivo ed incompatibile con la disciplina militare", appare inoltre in evidente contrasto con la norma dell'art. 3 della Costituzione. In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, debbono essere sollevate le questioni di legittimita' degli artt. 228, secondo comma, e 198 del c.p.m.p. in relazione agli artt. 2, 3, 27, primo comma, e 52, ultimo comma, della Costituzione, e dell'art. 42 del c.p.m.p., in riferimento all'art. 52 del c.p., in relazione agli artt. 2, 3 e 52, ultimo comma, della Costituzione.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondate e rilevanti le questioni di legittimita' dell'art. 42 del c.p.m.p., in riferimento all'art. 52 del c.p., in relazione agli artt. 2, 3 e 52, ultimo comma, della Costituzione, e degli artt. 228, secondo comma, e 198 del c.p.m.p., in relazione agli stessi artt. 2, 3 e 52, ultimo comma, nonche' all'art. 27, primo comma, della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che l'ordinanza sia notificata alle Parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Padova, addi' 14 novembre 1989 Il presidente estensore: ROSIN 90C0206