N. 693 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 settembre 1990

                                 N. 693
   Ordinanza emessa il 25 settembre 1990 dal tribunale di Cosenza nel
       procedimento penale a carico di Iannuzzi Settimio ed altro
 Processo  penale - Misure coercitive - Richiesta di scarcerazione per
 preteso mancato  rispetto  del  termine  dell'interrogatorio  -  Atti
 preliminari  al  dibattimento - Trasmissione degli atti del fascicolo
 del p.m. - Omessa previsione  -  Conseguente  impossibilita'  per  il
 giudice,   in   tale  fase  del  giudizio,  di  disporre  degli  atti
 indispensabili ai fini di tale decisione  Disparita'  di  trattamento
 tra  imputati a seconda dello stato del procedimento - Ingiustificata
 compressione del diritto alla liberta' personale  e  del  diritto  di
 difesa.
 (C.P.P.  1988,  artt.  279 e 299; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art.
 91).
 (Cost., artt. 3, 13 e 24).
(GU n.45 del 14-11-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Letta  l'istanza  nell'interesse  di  Iannuzzi  Settimio e Gervasi
 Giuseppe, imputati in stato di custodia cautelare in carcere  con  la
 quale  si  chiede che gli stesi vengano scarcerati ai sensi dell'art.
 302 del c.p.p. per il mancato rispetto del termine  di  cui  all'art.
 294  del  c.p.p.  entro  il  quale  deve  procersi all'interrogatorio
 dell'imputato che si trovi in custodia cautelare;
    Letti gli atti;
                             O S S E R V A
    Con  l'istanza  di cui all'epigrafe si lamenta il mancato rispetto
 del termine di cui all'art. 294 del c.p.p. e su  questa  premessa  di
 fatto  si  invoca l'applicazione dell'art. 302 del c.p.p. il quale fa
 discendere   dall'annesso,   interrogatorio    entro    il    termine
 sopraindicato la "perdita di efficacia della custodia cautelare.
    In  particolare la difesa degli imputati evidenzia che gli stessi,
 tratti in arresto il 14 gennaio 1990, furono interrogati solo  il  23
 gennaio 1990, vale a dire quanto erano abbondantemente decorsi cinque
 giorni  dal  momento  della  privazione  della  liberta'   personale,
 dovendosi  a  tale momento (nel caso di breve arresto) e non a quello
 dell'adozione dell'ordinanza in  tema  di  custodia  cautelare  farsi
 riferimento  ai  fini del computo del termine di cui all'art. 294 del
 c.p.p.
    Questo  in  sintesi,  il  contenuto della richiesta sulla quale il
 tribunale e' chiamato a pronunciarsi. E'  evidente  come  preliminare
 rispetto  alla risoluzione della questione prospettata si appalesi la
 disponibilita' da parte del giudice chiamato a risolverla,  di  tutti
 gli elementi di fatto per cui la stessa si fonda.
    La  verifica  del  rispetto  del  termine  di cui all'art. 294 del
 c.p.p. nel caso di specie; quale che sia  la  strada  che  si  voglia
 seguire  per  individuare  il  momento  iniziale della sua decorrenza
 (arresto  o  adozione  della  ordinanza  che  dispone   la   custodia
 cautelare),  non puo' prescindere dalla conoscenza di dati essenziali
 che ne rappresentano l'indefettibile presupposto.
   In sostanza, il collegio deve essere in condizione di conoscere: a)
 il momento dell'arresto;  b)  il  momento  in  cui  e'  stata  emessa
 l'ordinanza   cautelare;  c)  il  momento  dell'interrogatoriocui  il
 giudice per l'indagini preliminari ha proceduto  a'  sensi  dell'art.
 294 del c.p.p. siffatta conoscenza non puo' che essere realizzata per
 il tramite  della  visione  degli  atti  in  cui  quei  momenti  sono
 consacrati  e  cioe'  del verbale di arresto dell'ordinanza (sub b) e
 del verbale d'interrogatorio.
    Ebbene,  nel caso in esame come in casi analoghi il giudice, negli
 atti preliminari al dibattimento si trova, invece, secondo il sistema
 del  codice  attualmente  vigente,  a dover decidere su un'istanza di
 partecipazione ex art. 302 del c.p.p. senza gli atti  (rectius  tutti
 gli  atti)  sopra  elencati,  il  che  si  troduce,  in  concreto, in
 un'oggettiva impossibilita' di decidere.
    La  disciplina  normativa  contenuta,  negli  artt.  431 e 432 nel
 c.p.p. in ordine agli atti che devono essere inseriti  nel  fascicolo
 del  dibattimento,  a  quegli atti, cioe' di cui il tribunale dispone
 nella fase  degli  atti  preliminari,  rappresenta,  in  realta',  un
 insuperabile  sbarramento rispetto all'adozione di decisioni del tipo
 di quella che occupa.
    All'indefettibile,  inserimento  nel fascicolo per il dibattimento
 del "provvedimento che abbia disposto misure cautelari  in  corso  di
 esecuzione"  (art.  432  del  c.p.p.) fa da contrappunto negativo (ai
 fini che qui occupano) la mancanza del verbale d'interrogatorio  reso
 al  giudice  per  le  indagini  preliminari  atto che non rientra fra
 quelli che devono essere trasmessi  al  Tribunale  ex  art.  431  del
 c.p.p.
    Quando  al verbale di arresto, il contrasto sorto fra i giudici di
 merito circa la sua riconducibilita' nella categoria  degli  atti  di
 cui  all'art.  431  lett. b) rende in concreto meramente eventuale la
 sua presenza nel fascicolo per il dibattimento  (nel  caso  di  spese
 l'atto non e' stato inserto).
    D'altra  parte,  pure  in  presenza  di  un sicuro inserimento del
 verbale di arresto la mancanza del verbale  d'interrogatorio  ex-art.
 294  del  c.p.p. imposta dal sistema dei fascicoli rende comunque non
 verificabile da parte del tribunale in questa fase  il  rispetto  dei
 termini  per  l'interrogatorio  e  gli inibisce di disporre eventuale
 scarcerazioni ex art. 304 del c.p.p.
      Il  sistema  sopra delineato, d'altra parte non puo' significare
 che il legislatore abbia voluto negare la possibilita'  di  decisioni
 in  materia  di  misure  cautelari  (quale  e' quella ex art. 302 del
 c.p.p.)  nella  fase  degli   atti   preliminari   al   dibattimento.
 L'ammissibilita'  di  siffatti  giudizi  in detta fase processuale si
 ricava univocamente dalla  normativa  del  codice  la  quale  prevede
 decisioni sulla liberta' sia su istanza di parte che d'ufficio.
    Depongono in questo senso:
       a)  l'art.  91  d. leg. 28 luglio 1989, n. 271 "nel corso degli
 atti preliminari  al  dibattimento  i  provvedimenti  concernenti  le
 misure   cautelari"  (quindi  anche  il  provvedimento  invocato  con
 l'istanza in  esame,  in  tema  di  percenzione  delle  misure)  sono
 adottati,   secondo   la  rispettiva  competenza,  dal  pretore,  dal
 tribunale, dalla corte di assise;
       b)  l'art.  279  del  c.p.p.: "Sull'applicazione e sulla revoca
 delle misure, nonche' sulla modifica delle loro  modalita'  esecutive
 provvede il giudice che procede";
       c)  l'art.  299,  primo  e  terzo  comma  del c.p.p. "Le misure
 coercitive  ed  interdittive  sono  immediatamente  revocate   quando
 risultino  mancanti  anche  per  fatti  sopravvenuti le condizioni di
 applicabilita' previste dal'art. 273 o  dalle  disposizioni  relative
 alle  singole misure del sistema ex artt. 294 e 302 del c.p.p. per la
 custodia cautelare) ovvero il giudice provvede anche d'ufficio quando
 procede  al giudizio" (fase - quest'ultima - comprensiva, nel sistema
 del codice degli atti preliminari al dibattimento,  v.  intitolazione
 del  libro  VII,  che  contiene  al titolo I gli "Atti preliminari al
 dibattimento").  Tuttavia,  mentre  il  giudice   per   le   indagini
 preliminari,  quando  deve  decidere  sulla liberta' conosce gli atti
 cosi' come avvenne per il giudice del  dibattimento  di  primo  e  di
 secondo  grado  dopo la chiusura della istruttoria dibattimentale, il
 giudice  degli  atti  preliminari  al  dibattimento  non  ha   questa
 conoscenza.  Ne' e' previsto ai fini della conoscebilita', un sistema
 analogo a quello vigente, in  materia  di  impugnazioni  (artt.  309,
 quinto  comma,  310  secondo  comma del c.p.p. e 100 d.lgs. 28 luglio
 1989, n. 271).
    Manca,  peraltro  nel sistema, qualsiasi altro mezzo attraverso il
 quale  sia  consentito  al  giudice   degli   atti   preliminari   al
 dibattimento di conoscere, ai fini di decisioni, in materia di misure
 cautelari, atti che non siano ricompresi  nel  novero  di  quelli  ex
 artt. 431 e 432 del c.p.p.
    Non  si  puo'  infatti  a  tal  fine  farsi ricorso alla procedura
 camerala ex art. 127 del c.p.p.  la  quale  e'  applicabile  solo  ad
 ipotesi tassative normativamente previste e non a tutti i casi in cui
 si deve decidere in camera di consiglio.
    Ne'  puo'  farsi  rircorso  alla procedura di mettere la parte non
 richiedente nella condizione di interloquiare  tramite  "avviso"  del
 giudice circa il deposito di un'istanza in materia di liberta'.
    Tanto, per piu' ordini di ragioni.
   In  primo  luogo,  perche'  manca una norma che fondi siffatto iter
 procedimentale.
    Poi  perche'  un  tale  procedere impedirebbe comunque, al giudice
 nella fase  degli  atti  preliminari  al  dibattimento,  di  decidere
 d'ufficio,  in  ordine  alle misure cautelari, laddove tale potere e'
 previsto dal codice (v. art. 299 del c.p.p.).
    Infine,  perche'  un  sistema  di  questo  tipo ha per presupposto
 l'attivarsi delle parti nel produrre gli atti del  fascicolo  di  cui
 all'art.  433  del c.p.p. mentre un tale obbligo non e' previsto, ne'
 il giudice ha un potere di  richiederli  (come  avvenne,  invece  nel
 sistema  delle  impugnazioni,  artt.  309  310 del c.p.p. e 100 delle
 risp. att.).
    D'altra parte, un onere di produzione degli atti necessari ai fini
 del decidere a carico dell'istante non puo'  farsi  dipendere  da  un
 interpretazione  a  contraris  della disciplina delle impugnazioni in
 materia di liberta'.
    Non puo' cioe' sostenersi che il sistema di di cui agli artt. 309,
 310 del c.p.p. e 110 delle disp. att.  presuppone,  indefettibilmente
 una  parte  (l'indagato)  che  non  e'  in  condizione  di  avere  la
 disponibilita' di tutti gli atti processuali.
    Del che discenderebbe l'obbligo di trasmissione da parte dell'a.g.
 procedente (art. 100  delle  disposioni  attuative)  laddove  invece,
 nella  fase  degli  atti  preliminari al dibattimento la norma di cui
 all'art. 433, secondo comma del c.p.p. ("i difensori  hanno  facolta'
 di  prendere  visione ed estrarre copia nella segreteria del pubblico
 ministero degli atti raccolti nel fascicolo formato a norma del primo
 comma")  nel mettere la parte privata in condizione di procurarsi gli
 atti cosicche'  l'obbligo  di  eventualmente  allegarli  in  sede  di
 presentazione  di  istanze  sulla  liberta'  ricadrebbe sull'imputato
 istante.
    Il  ragionamento,  non  puo'  esser  condiviso  per  due ordini di
 ragione.
    Innanzitutto perche' il sistema delencato dagli artt. 309, 310 del
 c.p.p. e 100 delle disposizioni attuative non e'  riferibile  in  via
 esclusiva  alla  fase  in  cui il fascicolo del p.m. non e' formato e
 depositato,  giacche'  (a  prescindere  dalla  possibilita',  in  via
 generale,  di impugnazione delle decisioni sulla liberta' adottate da
 organi collegiali, su cui  vi  e'  per  il  momento  contrasto)  sono
 previste  espletamente casi di impugnazione di ordinanze emesse, dopo
 la chiusura della fase  delle  indagini  preliminari  nel  corso  del
 giudizio  (v.  ordinanze  ex  art.  304  del  c.p.p.), quando cioe' i
 difensori sarebbero nelle condizioni di procurarsi gli  atti  di  cui
 all'art. 433 del c.p.p.
    Anche in questi casi tuttavia il regime delle impugnazioni e' tale
 da escludere un obbligo di allegazione.
    In  secondo luogo perche' la facolta' di cui all'art. 433, secondo
 comma del c.p.p. non puo'  essere  trasformata,  in  assenza  di  una
 esplicita  norma  in  un  obbligo  di  produrre  gli  atti cui quella
 facolta' si riferisce.
    Il  quadro  normativo sin qui delineato, dunque mentre prevede che
 il giudice possa, negli atti preliminari  al  dibattimento,  adottare
 decisioni  sulla  liberta'  (fra cui quella ex art. 302 del c.p.p. in
 questa sede invocata), non gli consente tuttavia  di  poter  disporre
 degli atti indispensabili ai fini di siffatte decisioni.
    Si  pone  percio'  secondo il Collegio, una questione di contrasto
 degli artt. 279 e 299 del c.p.p. 91 d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271, con
 gli  artt.  3, 13 e 24 della Costituzione nella parte in cui essi non
 dispongano che nella fase degli atti preliminari al  dibattimento  di
 primo grado, il p.m. avvisato dal giudice di un'istanza in materia di
 liberta' presentata  dall'imputato  sottoposto  a  misure  cautelare,
 debba  trasmettere  al  giudice, ai fini del giudizio sulla liberta',
 gli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 433 del c.p.p.
    Detto contrasto si evidenza:
       a)  con  l'art. 3 della Costituzione che sancisce l'uguaglianza
 dei cittadini davanti alla legge, mentre il sistema  sopra  delineato
 con  riferimento  ad  istanze  sulla liberta', crea una disparita' di
 trattamento (che non si  giustifica  per  la  diversita'  delle  fasi
 processuali) tra imputati il cui processo penda nella fase degli atti
 preliminari al dibattimento di primo grado e per i quali  il  giudice
 conosce  solo gli atti consentiti dagli artt. 431 e 432 ed i soggetti
 sottoposti ad indagini ed imputati nella fase dalla conclusione della
 istruttoria  dibattimentale  in  piu'  per i quali, invece il giudice
 competente a decidere sulla libera' personale dispone degli atti  sui
 quali si fonda la misura o degli atti concernenti, comunque, l'intera
 vicenda processuale, per come acquisita.
       b)  con l'art. 13 della Costituzione nella parte in cui dispone
 che "non e' ammessa forma alcuna  di  detenzione.....  ne'  qualsiasi
 altra  restrizione delle liberta' personale, se non per atto motivato
 dell'autorita' giudiziaria...", mentre una decisione  sulla  liberta'
 personale fondata sui gli atti di cui agli artt. 431 e 432 del c.p.p.
 si risolverebbe in un giudizio ed in una motivazione impossibili.
       c)  con  l'art.  24  della  Costituzione,  nella  parte  in cui
 sancisce l'involabilita' del diritto di difesa in ogni stato e  grado
 del  procedimento,  laddove  il sistema processuale vigente, per come
 descritto, esclude il diritto di difesa  della  liberta'  nella  fase
 degli  atti preliminari al dibattimento, ingiustificatamente rispetto
 ad  altre  fasi  (indagini  preliminari  e   fase   successiva   alla
 conclusione dell'istruttoria dibattimentale di primo grado).
    D'altra   parte,   i   termini   di  risoluzione  della  questione
 d'incostituzionalita' prospettati dal tribunale (obbligo del p.m.  di
 trasmettere  gli  atti  di cui all'art. 433 del c.p.p.) si appalesano
 conformi al sistema.
    Invero,  nel  codice e' previsto un sistema, analogo in materia di
 impugnazioni (artt. 309, quinto comma, 310, secondo comma del  c.p.p.
 e  100  delle  disposizioni  attuative).  Ne'  per come detto vi sono
 ragioni per ritenere che un sistema  del  genere  non  possa  trovare
 ingresso nella fase degli atti preliminari al dibattimento.
    Inoltre,  l'art.  431  del c.p.p., nel restringere il novero degli
 atti da trasmettersi al giudice di primo grado, parla  di  "fascicolo
 per   il   dibattimento",   ossia  di  fascicolo  funzionale  ad  una
 determinata fase del giudizio non a "fascicolo per il giudizio".
    Infine  la  conoscenza  di  atti  diversi da quelli previsti dagli
 artt.  431  e  432  del  c.p.p.  da  parte  del  giudice  degli  atti
 preliminari  al  dibattimento che sia, personalmente, il medesimo del
 dibattimento,  e'  dato  irrilevante,  perche'  la  disciplina  delle
 acquisizioni   probatorie   dibattimentali  si  risolve  nel  momento
 oggettivo  della  utilizzabilita'  degli  atti.   Cosicche'   nessuna
 compromissione   puo'   derivare   dal   fatto  che  il  giudice  del
 dibattimento conosca (ad altri fini) gli atti di cui all'art. 433 del
 c.p.p..
    La   questione,   che   il   tribunale   solleva   d'ufficio   non
 manifestamente infondata e' altresi' rilevante  nel  caso  di  specie
 perche'  dalla  sua  decisione  discende  il  modo  di  procedere per
 decidere sull'istanza di scarcerazione avanzata dall'imputato.
                                P. Q. M.
    Letto  l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87, dispone
 l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e
 sospende il giudizio.
    Ordina che a cura della Cancelleria copia della presente ordinanza
 sia notificata gli imputati Iannuzzi e Gervasi, ai suoi difensori  al
 p.m. presso questo tribunale, nonche' al Presidente del Consiglio dei
 Ministri.
    Ordina   che   copia  della  presente  ordinanza  sia  comunicata,
 altresi', a cura della Cancelleria ai Presidenti delle due Camere del
 Parlamento.
      Cosenza, addi' 25 settembre 1990
                         Il presidente: MOZANO
                                                    L'estensore: TERZI
 90C1339