N. 116 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2017
Ordinanza del 2 maggio 2017 del Magistrato di sorveglianza di Napoli nel giudizio di responsabilita' amministrativa promosso dalla V.P.. Misure di sicurezza - Liberta' vigilata - Trasgressione degli obblighi imposti - Competenza del magistrato di sorveglianza. - Codice penale, art. 231, comma secondo; codice di procedura penale, artt. 676, comma 1, e 679, comma 1.(GU n.37 del 13-9-2017 )
UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI NAPOLI il magistrato di sorveglianza Visto la proposta di aggravamento per trasgressione obblighi misura di sicurezza ex art. 231 c.p., relativa a V. P., nato a ...... il ...... Rilevato che con ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Spoleto del 24 febbraio 2015, il predetto veniva sottoposto alla liberta' vigilata per anni tre, in riferimento alla sent. Corte D'Appello Napoli del 15 luglio 2011, confluita in cumulo PG NA del 12 novembre 2014, con esecuzione dal 13 luglio 2015 e riesame al 13 luglio 2018; Considerato che all'odierna udienza veniva fissato il procedimento per l'eventuale aggravamento della misura di sicurezza, ai sensi dell'art. 231 c.p.; Ritenuto che ai sensi dell'art. 203 c.p. e' socialmente pericolosa la persona che ha commesso un fatto previsto dalla legge come reato ed e' probabile che ne commetta di nuovi; tale qualita' si desume dalle circostanze indicate nell'art. 133 c.p., vale a dire: gravita' del reato commesso, intensita' del dolo, motivi a delinquere precedenti penali e giudiziari; condotta del reo antecedente e susseguente al reato, condizioni di vita familiare e sociale; nell'ambito del giudizio di riesame all'esito della sottoposizione alla misura di sicurezza, acquista particolare rilevanza la condotta osservata dal reo ed il rispetto degli obblighi imposti; Rilevato che dall'espletata istruttoria e' emerso che il predetto annovera a suo carico numerosi precedenti per detenzione illegale di armi e munizioni continuato del 1991 e 1998; appropriazione indebita del 1990; ricettazione 1991: 416-bis dal 1994 al 2008 e che non risultano precedenti penali pendenti; Preso atto che dalle informazioni in atti risultano reiterate violazioni della misura di sicurezza della liberta' vigilata in numerose occasioni non ottemperava all'obbligo di firma, fornendo asserite certificazioni mediche non comprovate (la piu' recente in data 11 aprile 2017); piu' volte controllato con pregiudicati (15 febbraio 2017; 28 dicembre 2016; 19 maggio 2016; 16 maggio 2016; 4 aprile 2016); Rilevato che a seguito delle molteplici violazioni il V. veniva diffidato al puntuale rispetto delle prescrizioni sia in data 18 settembre 2015 che in data 2 dicembre 2015; Atteso che dall'istruttoria espletata emerge che il V. risulta essere persona di pessima condotta morale e civile, solito accompagnarsi a pregiudicati, persistendo nell'inottemperanza alle prescrizioni e agli obblighi derivanti dalla misura di sicurezza cui e' sottoposto e che non svolge alcuna attivita' lavorativa, circostanza questa, che fa presumere che il predetto tragga il suo sostentamento dalla commissione dei reati. Ancora che il V. continui a mantenere: «una condotta antigiuridica senza mostrare alcun senno di ravvedimento, piuttosto dando segni di una radicata inclinazione a delinquere ed a frequentare ambienti malavitosi strettamente legati alla criminalita' organizzata operante su questo rione Sanita'». (Cfr. P.S. San Carlo Arena del 19 maggio 2016). Rilevato che nel procedimento per l'aggravamento della misura di sicurezza della liberta' vigilata ex art. 231 c.p., fissato all'udienza odierna nei confronti di V. P., la difesa chiedeva l'applicazione della misura di sicurezza patrimoniale della confisca in sostituzione della misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro. La domanda non puo' trovare accoglimento alla luce della normativa vigente. L'art. 231 c.p. testualmente prescrive che «... quando la persona in stato di liberta' vigilata trasgredisce agli obblighi imposti, il giudice puo' aggiungere alla liberta' vigilata la cauzione di buona condotta. Avuto riguardo alla particolare gravita' della trasgressione o al ripetersi della medesima, ovvero qualora il trasgressore non presti la cauzione il giudice puo' sostituire alla liberta' vigilata l'assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro, ovvero, se si tratta di un minore, il ricovero in un riformatorio giudiziario». Il giudice di cui all'articolo e' il Magistrato di sorveglianza che, alla luce della normativa vigente, ha competenza su tutte le misure di sicurezza, eccetto la confisca. E' evidente che gli aggravamenti indicati nella disposizione normativa non conseguono necessariamente alle trasgressioni commesse in costanza della liberta' vigilata, attesa la necessita' di una circostanziata valutazione della gravita' della violazione, ma resta altrettanto evidente che, laddove ritenuta la «particolare gravita' della trasgressione o il ripetersi della medesima», sussista la obbligatorieta' dell'applicazione della misura restrittiva, stante la discrezionalita' vincolata che caratterizza la giurisdizione di sorveglianza. Doveroso appare un brevissimo cenno storico. Tutto ha inizio dalla relazione del Guardasigilli Rocco del 1929 al Progetto preliminare del Codice di procedura penale: «Posto che il Progetto del Codice penale esige che l'esecuzione della pena detentiva sia vigilata dal giudice, il quale delibera circa le modalita' dell'isolamento diurno, l'ammissione al lavoro all'aperto, l'assegnazione a determinati stabilimenti di pena e da' parere sull'ammissione alla liberazione condizionale, era necessario stabilire quale debba essere questo giudice. Ora, tenuto conto che molte volte i condannati a pena detentiva non espiano la pena nel luogo in cui fu pronunziata la sentenza di condanna, non si potevano affidare le predette funzioni al giudice dell'esecuzione. Ho pensato percio' di istituire presso ciascun tribunale, e negli altri luoghi designati con decreto del Ministro della giustizia, un giudice di sorveglianza, coadiuvato, ove occorra, da uno o piu' giudice aggiunti, ai quali tutti sia riconosciuta particolare cultura e attitudine alle materie penali. E cio' e' tanto piu' necessario, in quanto il nuovo codice penale affida al giudice non solo le funzioni sopra indicate, altresi' quelle relative alle misure di sicurezza». Dal 1930 il giudice di sorveglianza ha competenza sulle misure di sicurezza. Il progetto preliminare al Codice penale del 1930 prevedeva all'art. 245 la confisca speciale quale profitto del reato, sempre obbligatoria. A sua volta, il progetto preliminare al Codice di procedura penale del 1930 prevedeva all'art. 666 la pronuncia del provvedimento di confisca anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, qualora la confisca non fosse stata disposta nella sentenza di condanna o di proscioglimento: in tal caso si poteva provvedere d'urgenza al sequestro delle cose da confiscare, con sequestro disposto quindi dopo la sentenza di condanna. Tale norma, in effetti, corrispondeva, anche se non del tutto, a quella dettata dall'art. 612 del c.p.p. del 1913; la novita' e' quella del sequestro dopo la sentenza di condanna. Nella relazione al progetto preliminare del Codice di procedura penale il presidente spiegava che la confisca speciale «viene ordinata normalmente nell'istruzione (con la sentenza di proscioglimento) o nel giudizio (con la sentenza di condanna o di proscioglimento); ma se tale ordine sia stato omesso si deve provvedere in sede di esecuzione e, in tale caso, la competenza deve spettare, ancorche' si tratti di una misura di sicurezza, al giudice dell'esecuzione (e non al giudice di sorveglianza) perche' il provvedimento ha carattere meramente oggettivo e perche' di regola le cose da confiscare si trovano nella sede di quel giudice». Quindi nel lontano 1930 si derogava alla competenza del giudice di sorveglianza sia per il carattere meramente oggettivo del provvedimento sia per motivi di economia processuale: la materiale ubicazione delle cose oggetto del sequestro, che di regola si trovano nella sede del giudice della condanna, attrae la competenza del giudice dell'esecuzione. Da qui, la scaturigine dell'art. 240 del c.p. e del combinato disposto degli artt. 635 e 655 c.p.p.; per cui, ex art. 635 c.p.p. «i provvedimenti con i quali fuori dal giudizio si applicano, si modificano, sostituiscono o si revocano le misure di sicurezza...sono di competenza del giudice di sorveglianza...quando la legge non stabilisce la competenza di altro giudice» e ex art. 655 c.p.p. «quando non si e' provveduto con la sentenza di condanna o di proscioglimento alla confisca...provvede il giudice della esecuzione..». Tutto cio' fino al 1988. In evoluzione, dopo il 1988, si legge, all'art. 679, comma 1 c.p.p., che «Quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca e' stata ordinata con sentenza ....o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accetta se l'interessato e' persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti..». Sulla scia, l'art. 676 c.p.p. attribuisce al giudice dell'esecuzione la competenza a decidere in ordine alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate: «Il giudice dell'esecuzione e' competente a decidere in ordine all'estinzione del reato dopo la condanna...alla confisca....». Sul versante dell'ordinamento penitenziario, d'altro canto, si ritrova che fino al 1975 il magistrato di sorveglianza svolge tutte le funzioni attribuite dal Codice penale e di procedura penale al giudice di sorveglianza. Nel 1975, con la legge 354/1975, il magistrato di sorveglianza ex art. 69 «...sovraintende all'esecuzione delle misure di sicurezza personali non detentive». Nel 1986, con la legge 11. novembre 1986, la legge Gozzini, nel nuovo art. 69, fermo il comma 3 quanto alla competenza sulla gestione delle misure di sicurezza personali, al comma 4, si legge che il Magistrato di sorveglianza «... provvede al riesame della pericolosita' ...nonche' all'applicazione, esecuzione, trasformazione e revoca delle misure di sicurezza». Una formulazione generica e ampia, che lascia spazio ad una interpretazione estesa a tutte le misure di sicurezza, sia detentive che non detentive, sia personali che patrimoniali. Resta, pero', sempre in vigore l'art. 679, comma 1 c.p.p., che riserva la confisca al giudice della esecuzione. Tutte le innovazioni legislative intervenute dal 1930 ad oggi non hanno apportato alcuna modifica sull'argomento che qui rileva, non hanno mai attenzionato il settore «competenza», neppure sul piano delle motivazioni; nulla che emerga dai lavori preparatori, nulla che si rilevi dalla dottrina o dalla giurisprudenza. La normativa indicata e' rimasta invariata nonostante l'evoluzione culturale e giurisdizionale che ha interessato sia la figura del magistrato di sorveglianza sia la misura di sicurezza patrimoniale della confisca. Quanto al magistrato di sorveglianza la giurisprudenza costituzionale prima e il legislatore poi hanno individuato nello stesso la figura di unico garante dei diritti del condannato, sulla strada maestra indicata da una parte, in primis dalla sent. 26/1999 Corte cost., dall'altra dalla legge Simeone-Saraceni, la legge 165/1998. Quanto alla confisca, misura di sicurezza patrimoniale, cosi come regolamentata dall'art. 240 c.p., essa va delineata nelle varie accezioni che le successive modifiche normative e la giurisprudenza costante hanno dato alla stessa. Infatti, negli anni piu' recenti e' stata sempre piu' nettamente sottolineata la diretta correlazione tra beni confiscabili e attivita' delittuosa del soggetto, riconoscendo che ha ritrovato consolidato orientamento giurisprudenziale una concezione della confisca caratterizzata da una forte spinta alla valorizzazione della funzione, preventiva-repressiva dell'istituto, come tale protesa a dilatare gli ambiti applicativi risultanti dalle valutazioni legalmente tipizzate della pericolosita' sociale indotta nel reo dalla perdurante disponibilita' dei beni astrattamente suscettibili di confisca; confisca dei beni del condannato perche' sempre piu' strumento e fine della continuita' criminosa delinquenziale, da quegli stessi beni assicurata, per cui si aggredisce il patrimonio del soggetto per neutralizzare la sua capacita' criminale in una alla sua pericolosita' sociale. (ex multis, Corte cost. sentenza n. 68 del 2017; Corte cass.pen. sez. 2, sent. n. 32273/2010). Sembra abbastanza sbiadito se non proprio evanescente il carattere della oggettivita' del provvedimento della confisca, che aveva motivato il dettato dell'art. 655 c.p.p. del 1930. E questo a non dire dell'altra circostanza, che aveva dato origine all'art. 655 c.p.p. del 1930, ossia la materiale ubicazione delle cose da confiscare presso la sede del giudice della condanna. Ne', peraltro, puo' ritenersi la lettera attuale della legge sistemica ad un impianto normativo nettamente distinto tra misure di sicurezza patrimoniali e misure sicurezza personali, da cui far derivare la riserva al magistrato di sorveglianza della competenza a decidere sulle misure di sicurezza personali con preclusione all'accesso alle misure di sicurezza patrimoniali, come pur nei desiderata di qualcuno. Osta a tale configurazione la lettera dell'art. 231 c.p. che, al comma 1, dispone: «...quando la persona in stato di liberta' vigilata trasgredisce agii obblighi imposti, giudice puo' aggiungere alla liberta' vigilata la cauzione di buona condotta». Il giudice indicato e' sempre il magistrato di sorveglianza e la cauzione di buona condotta e' pur sempre, ai sensi dell'art. 236, comma 1 n. 1, una misura di sicurezza patrimoniale. Razionalita' giuridica e esigenze di ordine sistemico-procedurale avrebbero voluto che, conseguenzialmente, in caso di ripetitivita' delle trasgressioni o di trasgressione particolarmente grave ovvero nel caso di mancata prestazione della cauzione, ai sensi dell'art. 231, comma 2, c.p.p.. fosse lo stesso magistrato di sorveglianza ad aggravare la misura con l'applicazione della confisca. In caso di una violazione o di violazione di non rilevante gravita', si puo' applicare la cauzione di buona condotta; nel caso di piu' violazioni o violazione di rilevante gravita' si dovrebbe poter applicare la confisca, misura di sicurezza patrimoniale succedanea alla cauzione di buona condotta in ordine di gravita'. Appare ragionevolmente discutibile un sistema penal-processuale-penitenziario, in cui il magistrato di sorveglianza si ritrova ad aver competenza su tutte le misure di sicurezza detentive e non detentive, personali e patrimoniali, eccetto la confisca. Ed invece, se tale e' la normativa richiamata e tale l'interpretazione delle norme, che ne' la giurisprudenza costituzionale, ne' quella di legittimita' hanno mai intaccato, nel caso in esame, ex art. 231, comma 2, c.p., in presenza di una trasgressione di indubbia rilevante gravita', o di ripetute trasgressioni, non e' possibile sottrarsi al dettato normativo che impone l'aggravamento della misura della liberta' vigilata nella misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro o colonia agricola. Si ritiene, pertanto, doveroso sollevare eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 231, comma 2, c.p., alla luce del disposto degli artt. 676, comma 1, c.p.p. e 679, comma 1, c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, 13, commi 1 e 2 , e 24 Cost., nella parte in cui la disciplina di legge ancora la scelta del giudice all'applicare la misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro, stante la impossibilita' dell'adozione della misura di sicurezza patrimoniale della confisca, per carenza di competenza. La rigidita' dei criteri di cui all'art. 231, contrita 2, c.p., imposti dalla legge per l'assegnazione alla misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro e la conseguente impossibilita' di ricorrere ad altre misure, come la confisca, verosimilmente di pari o superiore efficacia, rappresenta una scelta non confortata da alcun supporto scientifico ne' logico, non sistemica e gratuitamente lesiva della liberta' personale. Siamo in presenza, ancora una volta, di una disciplina assolutamente inadeguata e apparentemente irragionevole nel momento in cui, superata la necessaria «attualizzazione» della pericolosita' sociale alla luce della gravita' della trasgressione, impedisce l'adozione di misure non detentive, pur esistenti nell'ordinamento, e di per se' idonee a difendere la collettivita' e insieme contrastare la pericolosita' sociale del prevenuto, imponendo la misura totalitaria dell'assegnazione ad una casa di lavoro. L'obbligatorieta' del ricorso alla misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro o della colonia agricola e' sufficiente a metter in dubbio la legittimita' costituzionale di una disciplina normativa oggettivamente e soggettivamente obsoleta. E' pur vero che la pericolosita' sociale emergente dalle ripetute trasgressioni della liberta' vigilata, o dalla trasgressione di particolare gravita', richiede misure atte a contenere tale specifica manifestazione e a tutelare la collettivita' da ulteriori condotte pregiudizievoli, ma e' altrettanto vero che l'obbligatorieta' del ricorso a misure detentive appare del tutto sproporzionata e non giustificabile, in presenza di misure altrettanto idonee alla tutela della collettivita' e tali da non arrecare danni alla liberta' personale, quali la confisca, certamente meno invasiva e non segregante, che solo per motivi non sufficientemente idonei ne' ragionevolmente rilevabili, resta preclusa nella sua applicazione al magistrato di sorveglianza. Assolutamente non superfluo appare richiamare l'art. 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della liberta' personale, alla luce della costante interpretazione costituzionale. Il principio di inviolabilita' della liberta' personale trova, infatti, da sempre assoluta tutela nella costante giurisprudenza costituzionale, (ex multis, sent. 265/2010 Corte cost.) Mutatis Mutandis, resta sempre valido, seppur in materia di misure di sicurezza, che «Ulteriore indefettibile corollario dei principi costituzionali di riferimento e' che la disciplina della materia debba essere ispirata al criterio del «minore sacrificio necessario»: la compressione della liberta' personale va contenuta, cioe', entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze (della tutela della collettivita') riconoscibili nel caso concreto. Sul versante della «qualita'» delle misure, ne consegue che il ricorso alle forme di restrizione piu' intense - e particolarmente a quella «massima» della detenzione - deve ritenersi consentito solo quando le esigenze processuali o extraprocessuali non possano essere soddisfatte tramite misure di minore incisivita'. Questo principio e' stato affermato in termini netti anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo la quale, in riferimento alla previsione dell'art. 5, paragrafo 3, della Convenzione, la detenzione «deve apparire come la soluzione estrema che si giustifica solamente allorche' tutte le altre opzioni disponibili si rivelino insufficienti, (sentenze 2 luglio 2009, Vafiadis contro Grecia, e 8 novembre 2007, Lelievre contro Belgio). Il criterio del «minore sacrificio necessario» impegna, dunque, in linea di massima, il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema secondo il modello della «pluralita' graduata», predisponendo una gamma alternativa di misure, connotate da differenti gradi di incidenza sulla liberta' personale; dall'altra, a prefigurare meccanismi «individualizzati» di selezione del trattamento, parametrati sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete." E' di tutta evidenza come proprio nel rispetto del criterio di adeguatezza, correlato alla «gamma» graduata delle misure, trovi espressione il principio - implicato dal quadro costituzionale di riferimento - del «minore sacrificio necessario»: entro il «ventaglio» delle alternative prefigurate dalla legge, il giudice deve infatti prescegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari nel caso concreto, in modo da ridurre al minimo indispensabile la lesivita' determinata dalla coercizione endoprocedimentale ed extra procedimentale. Si tratta, invero, di riprendere i principi ispiratori cardini della Carta Costituzionale, nonche' della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ed applicarli anche in materia di misure di sicurezza, riaffermando la natura residuale-eceezionale, ovvero di extrema ratio, della misura di sicurezza detentiva, allorche', come nel caso in esame, venga imposta dalla normativa vigente in dispregio del paradigma costituzionale preclusivo di qualunque forma di automatismo e presunzione legale. A determinare i rilevati vulnera e', infatti, carattere assoluto della disposizione, che implica una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del «minore sacrificio necessario». Non si richiede, nel caso in esame, la semplice eliminazione di una misura di sicurezza per indubbi requisiti di incostituzionalita'. La posta in gioco riguarda la denuncia del rigido «automatismo» della regola legale che impone al giudice, nel caso di trasgressione degli obblighi della liberta' vigilata, di ordinare l'assegnazione del prevenuto ad una casa di lavoro o colonia agricola per il periodo minimo di anni uno, o due, se trattasi di delinquente abituale, senza consentirgli di disporre, in alternativa, di misure di sicurezza diverse, pur quando in concreto, tali misure restrittive e segreganti appaiano non adeguate al caso in esame. E questo a non voler considerare che, anche se oggi dopo l'entrata in vigore del d.l. 52 del 2014 tutte le misure di sicurezza detentive hanno una durata massima, resta pur vero che la misura di sicurezza della casa di lavoro non ha una durata predeterminata, ma dipende dal perdurare della pericolosita' dell'internato, come ricordato nella sentenza recente della Corte Costituzionale n. 83 del 2017; nel caso di specie in caso di interruzione colpevole, la misura di sicurezza della casa di lavoro ricomincia a decorrere ex novo, ai sensi dell'art. 214, comma 1, c.p. L'incostituzionalita' travolge vincolo rigido imposto al giudice di sorveglianza di disporre comunque la misura di sicurezza detentiva, casa di lavoro o colonia agricola, anche quando una misura meno drastica e non segregante, come la confisca, appaia capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di controllo della sua pericolosita' sociale ed insieme di tutela della collettivita' e della liberta' personale della persona interessata. La legge impone un'unica scelta, l'applicazione della misura di sicurezza detentiva, in concreto certamente lesiva della liberta' personale della persona interessata, su cui si viene ad incidere in maniera assolutamente gratuita, irragionevole e in contrasto con il principio del necessario equilibrio tra le diverse esigenze, che deve caratterizzare questo tipo di fattispecie. La Corte ha, inoltre, piu' volte rilevato che, l'individuazione della misura da applicare puo' essere effettuata anche in via astratta dal legislatore purche' «nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti». Non sono poche, invero, le ipotesi nelle quali la Corte Costituzionale e' dovuta intervenire a correggere od eliminare automatismi di tal genere, nelle quali l'apprezzamento da parte del giudice della situazione concreta e la possibilita' per il giudice stesso di adottare diverse determinazioni nell'ambito delle previsioni legali, e' apparso l'unico modo per realizzare il bilanciamento di diverse esigenze costituzionali (cfr. sentenze Corte Costituzionale n. 253 del 2003, n. 306 del 1993, n. 186 del 1995...). L'automatismo, una volta accertata la particolare gravita' della trasgressione o la ripetitivita' della stessa, di una misura segregante e totale, come la misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro o della colonia agricola, imposta pur quando appaia in concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di ragionevolezza e protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla liberta' personale, di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione. Si richiede, per gli effetti, a codesta Corte di eliminare l'accennato automatismo, consentendo che il magistrato di sorveglianza possa adottare, fra le misure che l'ordinamento prevede, anche la confisca, misura che in concreto appare piu' idonea, nel caso di specie, a soddisfare le esigenze di tutela della liberta' personale dell'interessato, da un lato, e di contenimento e controllo della sua pericolosita' sociale, dall'altro lato. E tutto questo a non dire del vulnus apportato al diritto difesa, di cui all'art. 24 Cost., alla luce della inutilita' di azionare qualunque strumento difensivo quanto alla individuazione della misura di sicurezza da applicare, una volta attualizzata la pericolosita' sociale a seguito alla gravita' della trasgressione commessa. Quanto alla rilevanza della questione essa non puo' trarsi in dubbio alla luce della evidente differenza tra le due misure di sicurezza richiamate, l'una patrimoniale, l'altra personale e l'indiscutibile ostacolo normativo, che vieta di accogliere la domanda dell'interessato. Ne' appare possibile addivenire a diversa risoluzione all'esito combinato dell'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, in presenza di un dettato legislativo inequivoco e ineludibile. Come ribadito dalla Corte Costituzionale nella sentenza ultima n. 83 del 2017: « ... l'obbligo di addivenire ad un'interpretazione conforme alla Costituzione cede il passo all'incidente di legittimita' costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione e si rilevi del tutto eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la disposizione si colloca ...L'interpretazione secondo Costituzione e' doverosa ed ha un'indubbia priorita' su ogni altra ...ma appartiene pur sempre alla famiglia delle tecniche esegetiche, poste a disposizione del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale, che hanno carattere dichiarativo. Ove, percio', sulla base di tali tecniche, non sia possibile trarre dalla disposizione alcuna norma conforme alla Costituzione..il dubbio di costituzionalita' non potra' essere risolto in via ermeneutica». Rebus sic stantibus, va tratta la doverosa conseguenza che le norme censurate violino gli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione. In conclusione, pertanto, questo giudice ritiene doveroso eccepire la illegittimita' costituzionale dell'art. 231, comma 2, c.p., alla luce del disposto degli art. 676, comma 1, c.p.p. e 679, comma 1, c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, 13, commi 1 e 2, e 24 Cost. nella parte in cui, in caso di trasgressioni degli obblighi imposti dalla liberta' vigilata, non consente al magistrato di sorveglianza di applicare la misura di sicurezza patrimoniale della confisca imponendo, invece, l'applicazione della misura di sicurezza detentiva con assegnazione a una casa di lavoro o ad una colonia agricola. Sentito il conforme parere del PM;
P. Q. M. Letti gli artt. 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata per violazione degli artt. 3, 13, comma 1 e 2, e 24, comma 2, Cost. la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 231, comma 2, c.p. alla luce del disposto degli artt. 676, comma 1, c.p.p. e 679, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non consentono l'applicazione della misura di sicurezza patrimoniale della confisca in sede di aggravamento della misura di sicurezza personale della liberta' vigilata, imponendo l'applicazione della misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro o della colonia agricola, per carenza di competenza. Sospende la procedura e ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito. Napoli, 5 aprile 2017 Il Magistrato di sorveglianza: Di Giovanni