N. 276 ORDINANZA 7 - 22 luglio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Matrimonio - Possibilita' che  persone  di  orientamento  omosessuale
  possano contrarre matrimonio  con  persone  dello  stesso  sesso  -
  Mancata previsione - Ritenuta lesione del diritto di sposarsi quale
  diritto fondamentale ed  inviolabile  della  persona,  riconosciuto
  anche  a  livello  sopranazionale  -  Questione   gia'   dichiarata
  inammissibile - Assenza di profili diversi o ulteriori -  Manifesta
  inammissibilita'. 
- Cod. civ., artt. 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis. 
- Costituzione,  art.  2;  Dichiarazione   universale   dei   diritti
  dell'uomo, artt. 12 e 16; Convenzione per la  salvaguardia  diritti
  dell'uomo e liberta' fondamentali (ratificata e resa esecutiva  con
  legge 4 agosto 1955, n. 848), artt.  8  e  12;  Carta  dei  diritti
  fondamentali dell'Unione Europea, artt. 7 e 9. 
Matrimonio - Possibilita' che  persone  di  orientamento  omosessuale
  possano contrarre matrimonio  con  persone  dello  stesso  sesso  -
  Mancata previsione - Ingiustificata discriminazione  in  danno  dei
  cittadini d'inclinazione omosessuale -  Disparita'  di  trattamento
  rispetto alle persone transessuali - Contrasto con la tutela  della
  famiglia come «realta' naturale» - Questione  gia'  dichiarata  non
  fondata - Manifesta infondatezza. 
- Cod. civ., artt. 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis. 
- Costituzione, artt. 3 e 29; Dichiarazione  universale  dei  diritti
  dell'uomo, artt. 12 e 16; Convenzione per la  salvaguardia  diritti
  dell'uomo e liberta' fondamentali (ratificata e resa esecutiva  con
  legge 4 agosto 1955, n. 848), artt.  8  e  12;  Carta  dei  diritti
  fondamentali dell'Unione Europea, artt. 7 e 9. 
(GU n.30 del 28-7-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  107,  108,
143, 143-bis e  156-bis  del  codice  civile,  promosso  dalla  Corte
d'appello di Firenze, nel procedimento vertente tra B. E. ed altro ed
il Sindaco del Comune di Firenze, con ordinanza del 3 dicembre  2009,
iscritta al n. 110 del registro ordinanze  2010  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  16, 1ª  serie   speciale,
dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 23  giugno  2010  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, la  Corte  di
appello di Firenze ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3  e
29 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli
articoli 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis  del  codice  civile,  nella
parte in cui non consentono il matrimonio tra  persone  del  medesimo
sesso; 
        che, come la Corte rimettente riferisce, l'ufficiale di stato
civile di Firenze ha respinto la richiesta di  B.  E.  e  di  R.  M.,
diretta  ad  ottenere  la  pubblicazione  di  matrimonio,  «ritenendo
l'istituto inaccessibile alle persone dello stesso sesso»; 
        che il Tribunale di Firenze, al quale gli  interessati  hanno
proposto tempestivo ricorso, ha confermato il diniego,  «considerando
la  decisione  dell'Ufficiale   di   stato   civile   coerente   alla
legislazione vigente e all'assetto costituzionale della Repubblica»; 
        che i  richiedenti  hanno  proposto  reclamo  alla  Corte  di
appello di Firenze, osservando quanto segue:  a)  non  e'  reperibile
nell'ordinamento alcuna  esplicita  definizione  del  matrimonio,  in
effetti mutuata per via esegetica dalla realta' sociale; b) non vi e'
una disposizione normativa diretta a  vietare  in  modo  espresso  il
matrimonio tra persone omosessuali;  c)  l'evoluzione  sociale  rende
pienamente accettabile l'unione coniugale tra  persone  dello  stesso
sesso; d) la possibilita' di  contrarre  matrimonio  con  la  persona
prescelta esprime  un  diritto  inalienabile  dell'essere  umano;  e)
nessuna  discriminazione  di  tipo  sessuale  puo'  comprimere   tale
diritto; f) l'autonomia privata non e' in  grado  di  sopperire  alla
disciplina pubblicistica del matrimonio, sia sotto il  profilo  delle
garanzie, sia  sotto  il  profilo  dei  vincoli;  g)  il  divieto  di
matrimonio  omosessuale  non  soltanto  e'  privo  di   valida   base
normativa, ma comprime un diritto fondamentale della persona, lede il
principio  di  uguaglianza  e  comporta  una  discriminazione  basata
sull'orientamento sessuale; 
        che, pertanto, i reclamanti hanno chiesto, in via principale,
la riforma del provvedimento impugnato,  con  l'ordine  di  procedere
alla pubblicazione del  matrimonio  sulla  base  dell'interpretazione
evolutiva e costituzionalmente orientata  della  legge  esistente,  o
comunque, in via subordinata, di sollevare questione di  legittimita'
costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis cod. civ.,
per contrasto con gli artt. 2, 3, 11, 13, 29 e 117 Cost.; 
        che il Procuratore  generale  della  Repubblica  ha  espresso
parere contrario all'accoglimento del reclamo; 
        che, ad avviso della Corte rimettente, la domanda  principale
non puo' essere accolta, in quanto l'art. 12 delle disposizioni sulla
legge in generale «impone d'interpretare le norme  senza  stravolgere
il  significato  delle  parole  attraverso  le  quali  si   manifesta
l'intenzione del legislatore e  non  v'e'  dubbio  che  nella  lingua
italiana  per  matrimonio  s'intenda  il  "rapporto   di   convivenza
dell'uomo  e  della  donna  in  accordo  con  la  prassi  civile   ed
eventualmente religiosa, diretta a garantire la  sussistenza  morale,
sociale e giuridica della famiglia" (dizionario Devoto-Oli)»; 
        che, del resto, il Tribunale ha posto in evidenza  i  plurimi
riferimenti normativi che, confermando l'analisi etimologica, portano
ad escludere la volonta' del legislatore di alludere con quel termine
a qualcosa di diverso, ed ha ricordato che non spetta al giudice dare
veste istituzionale, o comunque  rilevanza  giuridica,  ai  mutamenti
intervenuti nel costume e nella sensibilita' sociale, al  di  la'  di
quanto rientra nel ragionevole esercizio della funzione ermeneutica; 
        che, invece, secondo il giudice a quo, si deve dubitare della
legittimita' costituzionale del divieto di matrimonio omosessuale, in
base all'orientamento seguito dal Tribunale di Venezia  (ordinanza  3
aprile 2009) e dalla Corte di appello di Trento (ordinanza  9  luglio
2009) che, in casi del tutto analoghi, svolgendo argomenti  pregevoli
e di ampio respiro, hanno rimesso gli atti alla Corte  costituzionale
per lo scrutinio di legittimita' del menzionato divieto; 
        che, «rinviando in linea di massima alle corpose  motivazioni
dei giudici gia' remittenti», la Corte territoriale  considera  arduo
negare al diritto di sposarsi - non a caso divenuto uno  dei  cavalli
di battaglia delle militanze omosessuali  in  tutto  il  mondo  -  la
dignita'  di  diritto  fondamentale  della  persona,  richiamando  al
riguardo l'art.  2  Cost.,  nel  cui  ambito  l'unione  coniugale  va
ricondotta,  come  sodalizio  in  cui  si  esprime  la   personalita'
dell'individuo; 
        che l'istituto de quo esprimerebbe uno dei profili essenziali
in cui si manifesta la dignita' umana, come «riconosciuto dagli artt.
12 e 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo  del  10
dicembre 1948, nonche' dagli artt. 8 e 12 della  Convenzione  per  la
Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Liberta' Fondamentali  del
20 marzo 1952 e, infine, dagli artt. 7 e 9 della  Carta  dei  Diritti
Fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre  2000,  sicche'  ogni
interpretazione  riduttiva  della  prospettive  di  tutela  accennata
sembra del tutto insostenibile»; 
        che l'art. 3  Cost.  impedisce  che  l'inclinazione  sessuale
possa costituire motivo di discriminazione  tra  i  cittadini,  onde,
secondo il rimettente, bisogna ritenere garantita dall'ordinamento la
possibilita' di scegliere un coniuge dello stesso sesso, allo  stesso
modo in cui il principio  di  uguaglianza  assicura  la  liberta'  di
scegliere un coniuge di  una  certa  razza,  religione  o  condizione
personale; 
        che  «il  progresso  della  sensibilita'  comune   ha   ormai
felicemente emancipato l'omosessualita' dal ghetto di  emarginazione,
se non di  aperta  repressione,  in  cui  ideologie  autoritarie  del
passato l'avevano confinata, facendo comprendere  e  rispettare  alla
generalita' dei consociati "un modo d'essere" (per  usare  le  parole
spese da Corte Cost. n. 165/1985 per i transessuali) che  risponde  a
moti insindacabili dell'animo  umano,  di  cui  la  normativa  di  un
ordinamento  civile  non  puo'  che  prendere   atto   e   consentire
l'affermazione, evitando anzi ingerenze e sgombrando il campo da ogni
ostacolo  al  dispiegarsi  del  diritto  di   autodeterminazione   di
ciascuno»; 
        che, inoltre,  la  trasformazione  dei  costumi  ha  portato,
secondo il giudice a quo, al superamento del monopolio  detenuto  dal
modello della famiglia tradizionale cattolica nel  dettare  lo  stile
dei rapporti di convivenza ed offre esempi sempre piu'  frequenti  di
legami alternativi, che aspirano legittimamente ad ottenere  dignita'
e riconoscimento istituzionale; 
        che l'esclusione  degli  omosessuali  dalla  possibilita'  di
contrarre  tra  loro  il  vincolo  coniugale  non  puo'  fondatamente
discendere, secondo il rimettente, dal rilievo secondo cui l'art.  29
Cost. riconosce i  diritti  della  famiglia  come  societa'  naturale
fondata  sul  matrimonio,  «sia  perche'  la  tutela  della  famiglia
supposta  "naturale"  potrebbe  tranquillamente  estendersi  ad   una
famiglia "meno naturale" o "diversamente naturale" senza  per  questo
rinnegare se stessa, sia perche',  equiparando  aprioristicamente  la
"famiglia naturale" a quella composta da uomo e donna, si cade in una
petizione di principio che il giudice delle  leggi  potrebbe  a  buon
diritto scardinare, riconoscendo che nella societa' odierna il crisma
della "naturalita'" puo' essere  tranquillamente  riconosciuto  anche
alla convivenza omosessuale»; 
        che,  infatti,  volendo  definire  un  concetto   di   unione
coniugale  adatto  ai  tempi,  il  dato  di  natura  non  sarebbe  da
considerare immutabile, ma andrebbe filtrato e  desunto  dagli  esiti
concreti  dell'evoluzione  sociale,  come  sarebbe  desumibile  dalle
esperienze storiche nelle varie regioni del mondo; 
        che,  paradossalmente,  il  vero  limite  idoneo  a   frenare
l'allargamento  dell'istituto  coniugale  alle   coppie   omosessuali
starebbe nella considerazione per cui il «diritto» al matrimonio «non
reca  soltanto  benefici,  ma   trascina   una   nutrita   serie   di
controindicazioni, ammantando lo sposo  di  una  veste  intessuta  di
connotazioni largamente  coercitive»,  in  quanto  comporta  «pesanti
limitazioni nella sfera delle liberta' individuali,  quali  l'obbligo
di  coabitazione,  l'obbligo  di  assistenza  morale   e   materiale,
l'obbligo di fedelta' sessuale,  che  sarebbero  inconcepibili  senza
sottendere il perseguimento di una finalita' superiore»; 
        che questa  riflessione  smentisce  apertamente,  secondo  il
rimettente, la possibilita' per l'autonomia privata  di  supplire  in
modo adeguato alla disciplina matrimoniale, all'evidenza  pervasa  da
interessi pubblicistici, sicche' nessun contratto potrebbe  obbligare
alla coabitazione o alla fedelta' sessuale, ma soltanto il matrimonio
potrebbe  assicurare  agli  omosessuali  il  conseguimento  di   tale
risultato, peraltro non privo di costi che nella coppia eterosessuale
(almeno ab origine) trovano corrispettivo nella finalita' procreativa
e, quindi, si collegano «alla necessita' di saldare un nucleo stabile
iperprotettivo a fondamento della famiglia»; 
        che,  in  quest'ottica,  «il  divieto  del   matrimonio   tra
omosessuali perderebbe cosi' ogni sapore discriminatorio per assumere
una funzione addirittura di salvaguardia, nei confronti di  chi,  non
potendo  procreare,  verrebbe  messo  al  riparo   da   impegni   che
l'ordinamento considera altrimenti intollerabili»; 
        che, tuttavia, la finalita' procreativa, continua  ancora  il
giudice a  quo,  svolge  ormai  un  ruolo  soltanto  tendenziale  nel
giustificare l'instaurazione  del  matrimonio,  istituto  sicuramente
accessibile alle coppie eterosessuali sterili, «nel perseguimento  di
interessi solidaristici e morali che  sarebbe  palesemente  incongruo
precludere alle coppie omosessuali», avuto riguardo anche alle  nuove
tecniche di procreazione; 
        che,  pertanto,   «l'evocazione   dell'originaria   finalita'
procreativa alla radice dell'istituto matrimoniale si  rivela  quanto
meno azzardata allo scopo di  rendere  accettabile  sul  piano  della
legittimita' costituzionale la "protezione" degli  omosessuali  dalla
"schiavitu'" coniugale, sicche' il discorso non  riesce  a  dissipare
soddisfacentemente i dubbi in precedenza  avanzati  sulla  fisionomia
discriminatoria dell'esclusione»; 
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio con atto depositato l'11  maggio  2010,  sostenendo  che  la
questione sarebbe inammissibile e, comunque,  infondata  perche'  con
conterrebbe  alcun  elemento  di  sostanziale  novita'  o  diversita'
rispetto alle questioni gia' risolte da questa Corte con la  sentenza
n. 138 del 2010. 
    Considerato che la Corte di appello di Firenze,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe, dubita, in riferimento agli articoli 2, 3 e  29
della Costituzione, della legittimita' costituzionale degli  articoli
107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile,  «nella  parte  in
cui non consentono il matrimonio tra persone del medesimo sesso»; 
        che questa Corte, con la sentenza n. 138 del 2010,  emessa  a
seguito delle ordinanze  del  Tribunale  di  Venezia  e  della  Corte
d'appello di  Trento  menzionate  dall'attuale  rimettente,  ha  gia'
esaminato la questione di legittimita' costituzionale delle norme  in
questa sede censurate, in riferimento ai parametri costituzionali qui
richiamati, nonche' all'art. 117, primo comma, Cost.  (che  non  puo'
ritenersi evocato dalla Corte fiorentina mediante la generica relatio
ai citati provvedimenti del Tribunale di Venezia  e  della  Corte  di
appello di Trento); 
        che, in particolare, con la  sentenza  n.  138  del  2010  la
questione  sollevata  in  riferimento  all'art.  2  Cost.  e'   stata
dichiarata inammissibile, perche' diretta ad ottenere  una  pronunzia
additiva non costituzionalmente obbligata; 
        che con la medesima  sentenza  la  questione,  sollevata  con
riferimento ai parametri individuati negli artt. 3  e  29  Cost.,  e'
stata  dichiarata  non  fondata,  sia  perche'  l'art.  29  Cost.  si
riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile  come
unione tra  persone  di  sesso  diverso,  e  questo  significato  del
precetto costituzionale non puo' essere superato per via ermeneutica,
sia perche' (in ordine all'art. 3 Cost.) le  unioni  omosessuali  non
possono essere ritenute omogenee al matrimonio; 
        che non risultano qui allegati profili diversi  o  ulteriori,
idonei a superare gli argomenti addotti nella precedente pronuncia; 
        che, pertanto, la questione di  legittimita'  costituzionale,
sollevata con riferimento all'art. 2 Cost.,  deve  essere  dichiarata
manifestamente  inammissibile,   e   la   questione   sollevata   con
riferimento  agli  artt.  3  e  29  Cost.  deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata (ex plurimis: ordinanze n. 42, n. 34 e n. 16
del 2009). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    A) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale degli articoli 107,  108,  143,  143-bis,
156-bis del codice civile, sollevata, in riferimento  all'articolo  2
della Costituzione, dalla Corte di appello di Firenze con l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    B)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' costituzionale degli articoli sopra indicati del  codice
civile,  sollevata,  in  riferimento  agli  articoli  3  e  29  della
Costituzione, dalla Corte di  appello  di  Firenze  con  la  medesima
ordinanza. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 22 luglio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola