N. 320 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 1998- 17 maggio 1999
N. 320 Ordinanza emessa il 12 novembre 1998 (pervenuta alla Corte costituzionale il 17 maggio 1999) dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Standa S.p.a. ed altra contro il comune di Grugliasco ed altri. Giustizia amministrativa - Giudizio dinanzi al t.a.r. - Facolta' delle parti di scelta del foro competente territorialmente - Rilevabilita' d'ufficio dell'incompetenza per territorio - Esclusione - Incidenza sul principio del giudice naturale - Violazione del principio della competenza territoriale a base regionale del t.a.r. (Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 31, primo, quarto e nono comma). (Cost., artt. 25, primo comma, e 125, secondo comma).(GU n.23 del 9-6-1999 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi nn. 7408/98 e 9908/98 rispettivamente proposti da Standa S.p.a., in persona dell'amministratore delegato e legale rappresentante pro-tempore dott. Stefano Ferro, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Siniscalco, Giuseppe Sala e Luigi Medugno ed elett.te domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Panama n. 12; Contro il comune di Grugliasco, in persona del sindaco pro-tempore rappresentanto e difeso dall'avv. Francesco Paolo Videtta presso il cui studio in Roma, piazza Campo de' Fiori n. 24 e' elettivamente domiciliato e il Ministero dei lavori pubblici, in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso il quale e' ex-lege domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12 per la declaratoria, dell'inesistenza a carico della societa' ricorrente dell'obbligazione per il pagamento delle somme pretese dal comune di Grugliasco con provvedimento in data 31 marzo 1998 (notificato il successivo 7 aprile 1998), asseritamente dovute a conguaglio dell'importo gia' versato a titolo di contributo commisurato al costo di costruzione per il conseguimento delle concessione edilizie di cui infra; nonche' per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, del provvedimento prot. 8075 del 31 marzo 1998 (notificato il successivo 7 aprile 1998), con il quale il dirigente del settore urbanistica del comune di Grugliasco ha invitato la societa' ricorrente a pagare l'importo di L. 9.739.865.901 a conguaglio del contributo commisurato al costo di costruzione versato per il conseguimento delle concessioni edilizie specificate in narrativa; nonche' per l'annullamento del decreto ministeriale 10 maggio 1977, n. 801; e di tutti gli ulteriori atti, anteriori, ovvero comunque coordinati e/o connessi a quelli sopra indicati e Shopville Le Gru S.p.a., in persona del procuratore speciale dott. Ermanno Niccoli; rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni Gerbi e Ludovico Villani e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Clodio n. 12; Contro il comune di Grugliasco, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Paolo Videtta presso il cui studio in Roma, p.zza Campo de' Fiori 24, e' elettivamente domiciliato, e la regione Piemonte, in persona del Presidente della giunta regionale pro-tempore e il Ministero dei lavori pubblici, in persona del Ministro pro-tempore, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato presso la cui sede in Roma, via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati e nei confronti della Societa' Galileo S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, per l'accertamento, ai sensi dell'art. 16, legge 28 gennaio 1977, n. 10 della non doverosita' (oggettiva e comunque soggettiva) del "contributo commisurato al costo di costruzione" quantificato e preteso dal comune di Grugliasco con nota dell'assessore delegato arch. Guido Lagana' 2 luglio 1996, prot. n. 4642.X.19.I.A, per la declaratoria della non doverosita' di tale conguaglio e comunque della non doverosita' di un conguaglio nella misura indicata con nota sopra indicata ed in ogni caso della non doverosita' da parte della ricorrente Shopville Le Gru S.p.a., per l'annullamento in una con la indicata nota assessorile 2 luglio 1996, di qualunque direttiva, tabella o circolare, regionale o ministeriale che il comune di Grugliasco possa aver applicato con tale nota e cosi', in particolare, della deliberazione del Consiglio regionale piemontese 27 luglio 1982 n. 320-6862 e del decreto ministeriale 10 maggio 1977, n. 801 oltre che della deliberazione del Consiglio comunale di Grugliasco, se ed in quanto esistente, con la quale sia stato stabilito il costo di costruzione ai sensi dell'art. 10, legge n. 10/1997; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostengo delle rispettive difese; Visti gli atti tutti delle cause; Relatore, alla pubblica udienza del 12 novembre 1998 il cons. Carlo Visciola e uditi, per le parti, gli avv.ti Gerbi, Molino (su delega), Medugno e Videtta; nessuno comparso per le amministrazioni statali resistenti. F a t t o In data 6 aprile 1998 e, dunque, in pendenza del ricorso (n. 3356/1997) gia' proposto dalla Standa S.p.a. e davanti a questo tribunale, veniva notificata alla Standa stessa la nota n. 8075 prot. del 31 marzo 1998, con la quale il dirigente del settore urbanistica del comune di Grugliasco la invitava a pagare l'importo di L. 9.739.865.901 a conguaglio degli importi dovuti a titolo di contributo commisurato al costo di costruzione relativi alle concessioni edilizie afferenti i fabbricati realizzati nell'area urbanistica "T". Tale identico importo era gia' stato richiesto da comune di Grugliasco, con nota assessorile n. 4642 in data 2 luglio 1996, alle societa' Shopville Le Gru, Atena S.p.a. e Ikea Italia S.p.a., che avverso le stesse proponevano gravame giurisdizionale tuttora pendente dinanzi al t.a.r. del Piemonte. Avverso l'indicata nota dirigenziale n. 8075/1998 prot. insorgeva la Standa chiedendone a questo t.a.r. l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, unitamente alle altre statuizioni di cui in epigrafe, con ricorso (n. 7408/1998) notificato il 1 giugno 1998 e depositato il giorno 10 successivo, a sostegno del quale deduceva: 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 10 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti; 2) violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 10 della legge n. 10/1977; eccesso di potere per carenza assoluta di legittimazione passiva; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 28 della legge 24 novembre 1981 n. 689; eccesso di potere per travisamento, carenza assoluta di presupposti, difetto di istruttoria e di adeguata motivazione. 4) violazione e falsa applicazione dell'art. 10 della legge n. 10/1977 in combinato disposto con le norme di cui al decreto ministeriale n. 801/1977. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e segg. della legge n. 241/1990; eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto assoluto di istruttoria e di adeguata motivazione; 5) eccesso di potere per difetto di istruttoria e adeguata motivazione; 6) violazione e falsa applicazione dell'art. 11.2 della legge n. 10/1977. Si costituiva in giudizio il Ministero intimato, con atto depositato il 24 giugno 1998. Si costituiva in giudizio anche il comune intimato, con controricorso depositato in data 8 giugno 1998 e, puntualmente controdeducendo alle censure avversarie, ne sosteneva l'infondatezza, chiedendo il rigetto del ricorso e dell'istanza cautelare. Con memoria depositata il 30 giugno 1998, il comune insisteva per il rigetto, dell'istanza cautelare. Alla C.d.C. del 2 luglio 1998 la pronuncia sulla domanda cautelare veniva rinviata al merito. Con ricorso (n. 9908/1998) notificato il 20 luglio 1998 e depositato il 21 luglio 1998, si rivolgeva a questo tribunale amministrativo anche la soc. Shopville Le Gru S.p.a., rappresentando di aver a suo tempo ricevuta la notifica della nota assessorile 2 luglio 1996 (n. 4662 prot.), di cui si e' gia' detto, a seguito della quale aveva inviata al comune la raccomandata 25 luglio 1996, contestando la doverosita' di alcun conguaglio. Sosteneva la Shopville Le Gru S.p.a. di aver fatto ricorso a questo tribunale, pur in difetto di ulteriori iniziative comunali, "per puro scrupolo", al fine di ottenere una pronuncia dichiarativa dell'inesistenza del credito vantato dal comune. A sostengo del gravame cosi' proposto, deduceva: 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 10, legge 28 gennaio 1977, n. 10 e dell'art. 52, legge regionale piemontese 5 dicembre 1977, n. 56 e successive modificazioni, travisamento, difetto di motivazione; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 10, legge n. 10/1977 e dell'art. 52 legge regionale n. 56/1977 sotto diverso profilo; illogicita', difetto di motivazione sotto altro profilo; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 10, legge n. 10/1977 in relazione alla violazione e falsa applicazione dell'art. 3, legge n. 47/1985; 4) violazione dell'art. 10 legge n. 10/1977 e dell'art. 52 legge regionale n. 56/1077 sotto altro profilo; travisamento, difetto di presupposto, difetto di motivazione; 5) violazione e falsa applicazione dell'art. 3, legge n. 47/1985 sotto altro profilo; 6) violazione e falsa applicazione dei principi generali sull'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi e sugli effetti retroattivi (recte: retrodatati) dell'annullamento, violazione dell'art. 35, legge n. 47/1985; difetto assoluto di presupposto, difetto di motivazione; 7) violazione e falsa applicazione dell'art. 10, legge n. 10/1977 in relazione ai precedenti artt. 3 e 4; 8) prescrizione dell'eventuale credito del comune a titolo di sanzione (artt. 12 e 28, legge n. 689/1981); 9) violazione dell'art. 3, legge n. 241/1990; 10) violazione dell'art. 7, legge n. 241/1990; 11) violazione e falsa applicazione dell'art. 11.2. della legge n. 10/1977; 12) violazione e falsa applicazione dell'art. 10 legge n. 10/1977 e dell'art. 52, legge regionale n. 56/1977, difetto di legittimazione passiva, indebito soggettivo. Si costituiva in giudizio l'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 12 settembre 1998, per conto del Ministero dei lavori pubblici e della regione Piemonte. Si costituiva in giudizio anche il comune intimato, con atto depositato il 17 ottobre 1998, chiedendo il rigetto del riorso. Con memoria depositata il 29 ottobre 1998, la societa' ricorrente insisteva per l'accoglimento delle proprie conclusioni. Con identiche memorie depositate in entrambi i fascicoli di causa il 30 ottobre 1998, la difesa del comune resistente, dopo aver analiticamente riassunto i fatti e la cronologia degli avvenimenti, controdeduceva a tutte le censure avversarie, sostenendone l'infondatezza e concludendo per il rigetto dei ricorsi. Dopo la discussione orale dei ricorsi, svoltasi congiuntamente dalla pubblica udienza del 12 novembre 1988, i ricorsi stessi venivano trattenuti in decisione. D i r i t t o I due ricorsi in epigrafe possono essere preliminarmente riuniti, perche' vengono congiuntamente esaminati e decisi, risultandone evidenti dalla narrativa che precede le ragioni di oggettiva connessione. Le societa' Standa S.p.a. e Shopville Le Gru S.p.a. contestano entrambe, infatti, la debenza del "versamento a conguaglio degli importi dovuti a titolo di contributo commisurato al costo di costruzione" loro richiesto con note di identico contenuto - rispettivamente in data 31 marzo 1998 (n. 8075/prot.) e 2 luglio 1996 (n. 4642/prot.) dal comune di Grugliasco e, comunque la misura del contribuito stesso come quantificata nelle note indicate e chiedono a questo tribunale amministrativo regionale la relativa declaratoria. In funzione strumentale a tale declaratoria hanno chiesto, altresi', a questo tribunale l'annullamento, "ove occorra", delle note stesse e degli atti comunali e regionali indicati in epigrafe, nonche' del decreto ministeriale 10 maggio 1997 n. 801. Le contestazioni circa "l'an" e/o il "quantum" del contributo commisurato al costo di costruzione richiesto a conguaglio dal comune, appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 16 della legge n. 10 del 1977 e 35 diciassettesimo comma, della legge n. 47 del 1985, anche ove la richiesta di conguaglio debba considerarsi estesa alla "...domanda di condono presentata ai sensi dell'art. 33 della legge n. 724/1994...", cui fanno riferimento le note comunali impugnate. In entrambi i casi i giudizi, proposti per l'accertamento negativo di contributi urbanistici - o, in subordine, della sua esatta quantificazione - comportano l'accertamento della sussistenza o meno dell'obbligazione pecuniaria e sono, pertanto, attratti nell'orbita della giurisdizione esclusiva di questo giudice. Gli atti di determinazione degli importi pretesi a conguaglio a titolo di contributo commisurato al costo di costruzione, in questa sede contestati, riguardano concessioni edilizie assentite dal comune di Grugliasco - comune della Provincia di Torino - per la realizzazione di fabbricati realizzati nell'area "T" di quel territorio e risultano quantificati sulla base di parametri normativi e comunali prefissati. La competenza a conoscere dei ricorsi in esame sarebbe stata quindi, in via astratta, del tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con sede in Torino - la cui circoscrizione territoriale a base regionale comprende tutte le province della regione Piemonte - ai sensi degli artt. 1, 3 e 4 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. A tale tribunale, infatti, si e' rivolta altra societa' destinataria - unitamente alle attuali ricorrenti - della medesima richiesta di conguaglio, con autonomo ricorso (n. 2380/36) tuttora pendente presso quell'organo giudiziario, che si e' anche pronunciato in sede cautelare (con ordinanza n. 1442 del 13 dicembre 1936) sul ricorso medesimo. La circostanza che con i ricorsi in esame sia stato richiesto a questo, tribunale - in funzione, come si e' sottolineato, meramente strumentale alla pretesa declaratoria - anche l'annullamento "ove occorra" del decreto ministeriale 10 maggio 1977 n. 801, non puo' certo valere a radicare, ex se la competenza di questo t.a.r. del Lazio ai sensi dello stesso art. 3, terzo comma della legge n. 1034 del 1971. La giurisprudenza del giudice amministrativo d'appello ha affermato che la mera contestualita' dell'impugnazione di un atto generale emanato da autorita' centrali e di un atto applicativo non e' di per se' sufficiente per determinare lo spostamento della competenza dal t.a.r. locale a quello del Lazio, occorrendo che tra i vari atti contestati sussista un collegamento obiettivo, che si sostanzia in un nesso di conseguenzialita' necessaria (tra le altre: C.d.S. IV sez. 2 aprile 1984, n. 218; VI, sez. 10 giugno 1987, n. 375; 9 giugno 1986, n. 407 e 17 ottobre 1988, n. 1121; idem V sez 26 maggio 1990 n. 464). Di tale collegamento obiettivo dubitano per prime, nel caso concreto, proprio le societa' ricorrenti. La societa' Standa S.p.a., invero, sostiene l'illegittimita' del decreto ministeriale n. 801/1977 per avere lo stesso completamente omessa, a suo avviso, la determinazione delle modalita' di calcolo da seguire per la quantificazione del contributo concessorio afferente costruzioni non residenziali, pur avendo in precedenza sostenuto - con evidente contraddizione - che il comune non si sarebbe attenuto alle disposizioni di massima introdotte con tale decreto (pagg. 18 e 21 del ricorso introduttivo). La societa' Shopville Le Gru, a sua volta, ha sostenuto che il decreto ministeriale in questione andrebbe annullato - unitamente alle deliberazioni comunali e regionali contestualmente impugnate - solo nel caso che "... disponessero nel senso (o dovessero essere interpretati nel senso) che ai fini della quantificazione del contributo dovuto occorra avere riguardo anche alle finiture (ed al loro costo)" pag. 10 ricorso introduttivo. Nell'ambito della giurisdizione esclusiva, inoltre, al giudice amministrativo devono riconoscersi gli stessi poteri di disapplicazione spettanti, ex art. 51, 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, al giudice ordinario (in senso conforme: t.a.r. Lombardia - MI - 2 aprile 1997, n. 354), sicche' ben potrebbe il tribunale amministrativo competente a conoscere della controversia in via principale, disapplicare l'impugnato decreto ministeriale considerandolo, ove riconosciuto effettivamente illegittimo, tamquam non esset. Cio' peraltro, viene riconosciuto dalla stessa societa' ricorrente Shopville Le Gru allorche' sostiene, correttamente (a pag. 10 del ricorso introduttivo) che le deliberazioni comunale e regionale ed decreto ministeriale 10 maggio 1977, n. 801, "... andrebbero annullati (o meramente disapplicati; trattandosi, di materia affidata alla giurisdizione esclusiva e di atti incidenti su posizioni di diritto soggettivo perfetto)". In materia di diritti patrimoniali azionati in giudizio, - come nelle fattispecie in esame - invero, gli stessi provvedimenti applicativi impugnati rivestono natura di "atti paritetici", in quanto tali non abbisognevoli di impugnazione in senso tecnico, ai fini della declaratoria del diritto richiesta dalle societa' ricorrenti (C.d.S., IV sez., ord. 3 febbraio 1992, n. 144; A.P. 14 ottobre 1992, n. 13). E' quanto meno dubbio, percio', che in materia di diritti patrimoniali e quindi di giurisdizione esclusiva, l'impugnazione in via subordinata e/o meramente tuzioristica di atti di autorita' centrali statali aventi efficacia generale sia senz'altro idonea a radicare la competenza del t.a.r. per il Lazio con sede a Roma. I due ricorsi sono stati radicati, invece presso questo tribunale amministrativo regionale il quale, ai sensi dell'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non puo' eccepire la propria incompetenza territoriale, ne' rivolgersi al giudice di tale competenza - cioe' al Consiglio di Stato - e dovrebbe, dunque, decidere le controversie sottoposte al suo esame in sede di giurisdizione esclusiva. A tenore di tale art. 31, infatti, l'incompetenza territoriale puo' essere eccepita dal resistente o da qualsiasi interveniente, attraverso l'apposita istanza di regolamento di competenza, ma "... non e' rilevabile d'ufficio". La giurisprudenza amministrativa ha pacificamente ritenuto che tale non rilevabilita' d'ufficio riguardi anche le questioni sulla discriminazione di competenza tra il t.a.r. rispetto agli atti degli organi centrali, allorche' lo stesso t.a.r. del Lazio sia investito della controversia in ragione della posizione differenziata attribuitagli dall'art. 3, comma terzo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (per tutte: C.d.S., A.P. 14 ottobre 1992, n. 13 e IV sez. 2 luglio 1976, e n. 286, VI sez. 17 dicembre 1976, n. 451; IV sez. 6 giugno 1978, n. 529). Tale posizione differenziata, infatti, concretizzerebbe pur sempre un'ipotesi di competenza territoriale non funzionale, sicche' la relativa questione non potrebbe essere decisa dal t.a.r. adi'to ma dovrebbe essere eccepita dalla parte resistente o da qualsiasi interveniente con apposito ricorso al Consiglio di Stato nel rispetto delle forme del procedimento previsto dall'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (in tal senso, fra le numerose pronunce t.a.r. Friuli-Venezia Giulia, 14 dicembre 1978, n. 260, t.a.r. Toscana, 20 dicembre 1978, n. 718; t.a.r. Piemonte, 3 giugno 1980, n. 413; t.a.r. Emilia-Romagna 12 febbraio 1981, n. 67; t.a.r. Liguria, II sez. 27 novembre 1937, n. 384; C.d.S. IV sez. 20 febbraio 1988, n. 320; t.a.r. Lombardia - BS, 23 gennaio 1997 ecc. ecc.). Il Collegio ritiene che il citato art. 31 della legge n. 1034 del 1971 sia in contrasto con gli artt. 25, primo comma e 125, secondo comma della Costituzione, quantomeno dove consente alle parti del processo di derogare, di comune accordo, alla competenza territoriale dei t.a.r. mentre non consente al giudice adito e, in particolare, al tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma, anche allorche' giudica in sede di giurisdizione esclusiva, di rilevare d'ufficio la proprio incompetenza, ne' di chiedere al Consiglio di Stato una previa decisione sulla competenza stessa, neppure nei casi in cui l'impugnativa di atti di autorita' centrali appaia palesemente strumentale e finalizzata esclusivamente a radicare la competenza presso il t.a.r. "scelto" dalle parti medesime e comunque risulti irrilevante ai fini della pretesa dedotta in giudizio. L'art. 25, primo comma, della Costituzione, dispone testualmente che "Nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge". L'art. 125, secondo comma della Costituzione recita che "nella regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della regione". Le due norme costituzionali ad avviso di questo giudice remittente, non possono che essere lette congiuntamente. L'esigenza di istituire organi di giustizia amministrativa di primo grado presso le regioni, in conformita' al teste' citato precetto costituzionale e, quindi, di distribuire la giurisdizione amministrativa di primo grado fra diversi organi con differente posizione geografica, ha comportato la necessita' di determinare la competenza del giudice amministrativo in funzione del territorio. A cio' il legislatore ordinario ha provveduto, rispettivamente, con le norme degli artt. 2 e 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (che individuano i criteri per la determinazione della competenza territoriale). Sembra al Collegio che una volta istituiti i suddetti organi di giustizia amministrativa di primo grado, le cui circoscrizioni sono regionali e comprendono le province facenti parte delle singole regioni e stabiliti con carattere di generalita' i criteri di competenza dei tribunali medesimi, non possa poi essere consentito, senza violare la spirito e la lettera dell'art. 25, primo comma, della Costituzione, rimettere alla mera volonta' delle parti l'individuazione del tribunale da investire della soluzione delle controversie concrete, in tal modo scegliendo il giudice amministrativo che piu' loro aggrada, secondo criteri di convenienza e di preferenza che nulla hanno a che vedere con l'esigenza posta a fondamento del principio costituzionale consacrato nella norma in questione. E' pur vero che cio' puo' avvenire solo di comune accordo tra le parti, avendo quella non consenziente a propria disposizione lo strumento del ricorso (al Consiglio di Stato) per regolamento di competenza, previsto dall'art. 31, primo comma, della legge n. 1074/1971. Ma tale accordo puo' essere realizzato cripticamente e tacitamente senza neppure ricorrere al procedimento previsto dalla norma stessa, facendo solo infruttuosamente decorrere i termini fissati a pena di decadenza del secondo comma dello stesso art. 31. Vale la pena ricordare, peraltro, che il potere della parti di disporre deroghe alla competenza stabilita' dalla legge, nell'ampiezza in cui e' attualmente ammesso, non era nel disegno originario del legislatore, ma e' stato introdotto durante l'elaborazione del progetto in sede parlamentare (vedasi G. Morbidelli, Cronaca parlamentare della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, in Riv. trim. in diritto pubblico 1372 pag. 2080). Tale potere non trova corrispondenza nel processo civile, a somiglianza del quale e' modellato, specie in materia di giurisdizione esclusiva, quello amministrativo, processo nel quale il codice di procedura civile riconosce si' alle parti un potere di derogare alla competenza territoriale stabilita dalla legge, ma circoscritto entro precisi limiti, che il giudice ha il potere dovere di sindacare e nel quale, comunque, la competenza giurisdizionale non e' organizzata esclusivamente su base territoriale, come avviene per il processo amministrativo, esistendo anche una competenza per materia o valore (artt. 7 e segg c.p.c.) ed una competenza c.d. "funzionale" (nei vari casi indicati nell'art. 38 c.p.c.) inderogabile per accordo delle parti. Il sistema delineato dall'art. 31 della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, quale risulta in particolare dai commi primo, quarto e nono della legge n. 1034 del 1971, non prevede fori facoltativi ed alternativi, consentendo alle parti di derogare alla competenza territoriale stabilita dalla legge stessa con una liberta' ed un'ampiezza che non hanno l'eguale nel processo civile mentre nega, come si e detto, al giudice adito, il potere di pronunciare in materia di competenza o, quanto meno, di richiedere anch'esso al Consiglio di Stato una decisione sulla competenza, sostanzialmente rimettendo alle parti, anziche' al legislatore, l'individuazione del giudice amministrativo di primo grado territorialmente competente. Il tribunale amministrativo regionale, dunque, caso unico del nostro ordinamento giuridico, non puo' giudicare della propria competenza ne' d'ufficio, ne' su istanza di parte e non puo' neppure rivolgersi al Consiglio di Stato per ottenere una pronuncia sulla competenza che tenga conto, in particolare nei casi impugnative proposte davanti a questo t.a.r. del Lazio con sede in Roma, della natura della controversia e dell'eventuale strumentalita' di impugnativa di atti di autorita' centrali al solo fine di radicare la competenza del t.a.r. medesimo. Non ignora il Collegio la giurisprudenza costituzionale - a quanto risulta, pero', mai pronunciatasi con riferimento all'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 - secondo la quale essendo le norme disciplinatrici della competenza territoriale dirette a stabilire in anticipo i criteri di individuazione del giudice, non e' configurabile al riguardo violazione dell'art. 25 della Costituzione (sentenza 11-12 maggio 1977, n. 77). Proprio tale giurisprudenza rafforza, pero', il convincimento del Collegio circa la non costituzionalita' dell'art. 31 in discorso. Una volta, infatti, che il legislatore ha puntualmente ed eusaustivamente predeterminati, come si e' detto, con le norme degli artt. 2 e 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, i criteri per la determinazione della competenza territoriale, con riferimento a dati obiettivi ed obiettivamente accertabili - quali la sede dell'ente e dell'organo che ha emesso l'atto impugnato, la sede di servizio del ricorrente pubblico impiegato, l'efficacia ultraregionale o infraregionale dell'atto dell'Organo centrale dello Stato che viene impugnato - non puo', poi, consentire alle parti di travolgere e disattendere "ad libitum" tali criteri, posti anche in attuazione dell'art. 125 della costituzione, costruendosi "su misura" la competenza territoriale che loro piu' aggrada, rivolgendosi indifferentemente all'uno o all'altro tribunale amministrativo regionale o, come nel caso concreto, a quello con sede in Roma, ed impedendo anche al giudice adito di rilevare d'ufficio la propria incompetenza territoriale. Ne', a giustificare la discrezionalita' del legislatore nell'impedire al giudicante di rilevare d'ufficio la propria incompetenza o, quanto meno, di richiedere al giudice regolatore della competenza una pronuncia in merito alla stessa, ricorrono nel processo amministrativo quelle serie, concrete ed obiettive ragioni di speditezza e di celerita' del processo che hanno indotto codesta Corte a riconoscere, in talune circostanziate ipotesi legislative, la legittimita' costituzionali di siffatta discrezionalita' (ad esempio ordinanza 19-30 dicembre 1991 n. 521). A tacere d'ogni altra considerazione circa supposte esigenze di speditezza, osserva il Collegio che nessuna norma vieta al giudice investito di una competenza territoriale - che in ipotesi non gli appartenga ma che egli non puo' rilevare d'ufficio, ne' far altrimenti valere con lo strumento del regolamento di competenza - di adottare pronunce istruttorie che sospendono, comunque, la decisione della controversia. E tali esigenze istruttorie possono palesarsi maggiori e piu' frequenti proprio in relazione a controversie radicate presso un giudice diverso e distante da quello che sarebbe competente a conoscerne in via generale, secondo i criteri di competenza territoriale all'uopo stabiliti dalla legge n. 1034 del 1971. Il fondamento di tale criteri va ricercato, infatti, sia nella presumibile migliore esplicazione del potere cognitorio del giudice su vicende che gli sono vicine e delle quali puo' avere, occorrendo, percezione e visione diretta - non a caso, infatti, l'art. 26 della legge 27 aprile 1982, n. 186 prescrive l'obbligo di residenza dei magistrati amministrativi in un comune dove ha sede l'ufficio presso il quale esercitano le loro funzioni -, che nella maggiore possibilita' di tutela di interessi estranei ai soggetti della lite, che possono essere coinvolti nel processo. Interessi che, in taluni casi, possono trascendere quelli delle parti in lite ed assumere valenza di interesse generale e che restano privi di tutela attesa la mancanza, come e' noto, di un pubblico ministero nel processo amministrativo e la difficolta', per l'Avvocatura di Stato - che nel caso concreto non ha ritenuto neppure di dover partecipare alla discussione dei ricorsi; - di rappresentare sempre ed adeguatamente tali interessi davanti al giudice amministrativo. A cio' aggiungasi che la possibilita' offerta alle parti del processo amministrativo, dall'art. 31 della legge n. 2034 del 1971, di derogare espressamente o tacitamente dal competente foro territoriale, rivolgendosi ad un qualsiasi tribunale amministrativo regionale della Repubblica comporta, sul piano processuale, effetti che incidono sicuramente su presunte esigenze di celerita' del processo stesso non avendo il legislatore provveduto a garantire l'unita' del giudizio quando, su controversie in tutto od in parte uguali, siano stati promossi procedimenti diversi presso distinte sedi giudiziarie. Il giudice amministrativo non puo' certo ignorare gli istituti della "litispendenza", della "continenza" e della "connessione" di cause e dovrebbe far ricorso a principi ed alle norme del codice di procedura civile, sia pure adattandoli alle caratteristiche e alle esigenze del processo amministrativo, allorche' si verifichino le situazioni alle quali tali istituti si riferiscono. Cio', in particolare, in sede di giurisdizione esclusiva nella quale la giurisprudenza ha gia' riconosciuto, si pure con riferimento agli istituti del cumulo oggettivo di domande e del litisconsorzio facoltativo, l'applicabilita' in via tendenziale della normativa processuale comune - di cui agli artt. 103 e segg. c.p.c. -, in luogo dei piu' restrittivi principi vigenti in materia di giurisdizione generale di legittimita' (C.d.S., sez. V, 13 giugno 1998, n. 828). E non vi e' ragione, ad avviso del Collegio, per escludere l'applicabilita' al processo amministrativo, almeno in sede di giurisdizione esclusiva, anche, della disciplina processuale comune di cui agli artt. 39 e 40 c.p.c. Sicche', quando si verifichi, in particolare, una situazione equivalente a quella prevista dall'art. 39, primo comma, c.p.c., vale a dire una situazione di litispendenza il giudice amministrativo deve comunque risolverla, in conformita' alla norma processuale in questione, ed ai principi dell'ordinamento giuridico, che prevedono la promozione di un unico processo per la medesima controversia. Se, al contrario, uno dei giudici delle cause pendenti fosse incompetente e potesse rilevare d'ufficio tale incompetenza o almeno, farla valere, davanti al giudice della competenza previsto dall'art. 31 della legge 1034 del 1971, la decisione sulla competenza, comunque provocata, farebbe cessare la situazione di litispendenza, spogliando della causa il giudice competente e realizzando, in tal modo, anche quelle esigenze acceleratorie del processo cui si faceva poc'anzi riferimento ed alle quali non appare sicuramente rispondere la disciplina processuale introdotta con l'art. 31 in discorso. Puo', dunque, conclusivamente affermarsi in estrema sintesi che, a parere del Collegio, la previsione della non rilevabilita' d'ufficio della incompetenza per territorio e la facolta', rimessa alle parti, della scelta del foro competente a decidere - anche in deroga ai criteri di competenza stabiliti e predeterminati in astratto dal legislatore -, contenute nell'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, minano ed elidono senza plausibile e ragionevole giustificazione il criterio di certezza nell'individuazione del giudice competente e si pongono, in tal modo, in aperto contrasto con il principio della precostituzione del giudice sancito dall'art 25, primo comma, della Costituzione, siccome interpretato dalla giurisprudenza di codesta Corte costituzionale. La deroga a tale precostituzione del giudice non puo' spingersi, ad avviso del Collegio, fino ad affidare in concreto alle parti e senza alcuna forma di controllo del giudice investito della controversia o, quanto meno, del giudice della competenza, il potere di disporre della competenza che il richiamato principio costituzionale esige fissata in anticipo e non gia' in vista di determinate controversie e/o di interessi delle parti del processo, interessi che possono restare inconfessati ed ignoti attesa la possibilita', dianzi sottolineata, conferita alle parti medesime, di accodarsi anche tacitamente per adire un tribunale amministrativo diverso da quello indicato dalla legge. Secondo il Collegio un cosi' esteso ed incontrollato potere dispositivo delle parti e la correlativa impossibilita' di rilevare d'ufficio l'incompetenza territoriale, violano anche l'art. 125 u.c. della Costituzione. Tale norma sembrerebbe aver predeterminato essa stessa, con carattere vincolante ed inderogabile anche per il legislatore ordinario, la competenza territoriale degli organi di giustizia amministrativa di primo grado. La norma, cioe', oltre ad aver costituzionalizzato il principio cosi' detto del doppio grado di giurisdizione in tema di giustizia amministrativa - giusta l'interpretazione avallata da codesta Corte costituzionale nella sentenza n. 61 del 1975 -, ha anche vincolato il legislatore ordinario ad istituire organi di giurisdizione amministrativa di primo grado in ogni regione, distribuendo la giurisdizione amministrativa tra i diversi uffici giudiziari con differente posizione geografica. Una volta che, in esecuzione ed attuazione del dettato costituzionale, il legislatore ordinario abbia operato, come concretamente ha fatto con le norme di cui al titolo I della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, siffatta distribuzione di competenza giurisdizionale in funzione del territorio, secondo precisi e predeterminati criteri di competenza territoriale dei vari organi di giustizia amministrativa di primo grado - i tribunali amministrativi regionali, appunto -, non puo' poi, senza violare l'indicata norma costituzionale, consentire di stravolgere ed ignorare tali criteri, conferendo alle parti un ampio ed incontrollato potere dispositivo della competenza e contestualmente inibendo al giudice adito di pronunciare in materia o di rivolgersi, a sua volta, al giudice della competenza. Il che, invece, e' proprio quanto ha fatto il legislatore con l'art. 31 della legge n. 1034 del 1971, sospettato anche sotto tale profilo di incostituzionalita', in pratica introducendo nell'ordinamento giuridico una sorta di "fungibilita'" dei tribunali amministrativi regionali, cosi' svuotando di reale contenuto la norma costituzionale in discorso. Tale degradazione di competenza territoriale, affidata all'illimitato ed incontrollato potere dispositivo delle parti - al di la' degli inconvenienti pratici che puo' produrre, tra l'altro, in presenza di situazioni di litispendenza di cause - potrebbe, peraltro, portare in taluni casi a conseguenza aberranti, che non sembra al Collegio siano state adeguatamente e sufficientemente valutate dal legislatore ordinario. Un orientamento giurisprudenziale particolarmente severo e rigoroso in talune materie - (ad esempio proprio quella relativa ad abusi urbanistici-edilizi -) da parte di un determinato tribunale amministrativo regionale potrebbe spingere le parti - i cui interessi sostanziali potrebbero risultare coincidenti per ragioni varie - a rivolgersi ad altro tribunale amministrativo, magari situato all'estremo opposto della penisola, la cui giurisprudenza venga ritenuta meno rigorosa e comunque piu' gradita alle parti stesse. In tal modo ai tribunali amministrativi regionali competenti verrebbero sottratte consistenti "fette" di giurisdizione, per essere attribuite alla competenza di altro tribunale non gia' sulla base di precostituiti criteri legislativi stabiliti prima dell'insorgere della controversia giudiziaria o in virtu' di concorrenti principi costituzionali o di prevalenti ed obiettive esigenze di carattere pubblicistico, ma "asservendo" il processo, anche sotto tale aspetto, all'ampio potere dispositivo delle parti. Cosi' esse diventano libere di scegliere il giudice amministrativo che loro meglio aggrada (in tal senso Mario Nigro, in "Giustizia amministrativa" ed. il Mulino pag. 359), incidendo una competenza territoriale a base regionale insuscettibile, in virtu' della cogente direttiva di decentramento contenuta nell'art. 125, u.c. della Costituzione, di essere tanto apertamente ed ingiustificatamente derogata dall'insindacabile accordo delle parti. Il Collegio confida di aver dimostrato, attraverso le argomentazioni svolte, la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata d'ufficio. Quanto alla rilevanza della questione nel giudizio a quo, la stessa risiede nel fatto che la presente controversia, almeno in via preliminare, non puo' essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale cosi' come sollevata, dovendo questo giudice ritenersi senz'altro competente (oppure no) a conoscere della controversia sottopostagli, a seconda che la norma denunziata sia dichiarata o meno incostituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 solleva, in relazione agli artt. 25, primo comma, e 125, secondo comma della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 31, commi primo, quarto e nono, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; Sospende, quindi, il giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Roma, nella camera di Consiglio del 12 novembre 1998. Il presidente: Bianchi Il consigliere est.: Visciola 99C0553