N. 18 SENTENZA 30 gennaio - 10 febbraio 1997

 
 
 Giudizio sulla ammissibilita' della richiesta di referendum popolare.
 
 Costituzione della Repubblica italiana - Referendum - Amministrazione
 pubblica - Esercizio da parte dello Stato della funzione di indirizzo
 e   coordinamento   delle   attivita'   delle   regioni  -  Modalita'
 procedimentali  di  esercizio  -  Richiesta  incidente  su  atti   di
 legislazione  ordinaria ma a contenuto vincolato dalla Costituzione -
 Riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia (cfr. sentenza
 n. 16/1978 e n. 26/1981) - Inammmissibilita'.
 
 (Legge 22 luglio 1975, n. 382; d.P.R. 24 luglio 1977, n.  616;  legge
 23 agosto 1988, n. 400; legge 12 gennaio 1991, n. 13).
 
(GU n.7 del 12-2-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: dott. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,
 dott. Cesare RUPERTO,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,     prof.  Valerio
 ONIDA,    prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,  prof. Guido
 NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di ammissibilita', ai sensi dell'art.  2,  primo  comma,
 della  legge  costituzionale  11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
 referendum popolare per l'abrogazione degli articoli:
     3 della legge 22 luglio  1975,  n.  382  (Norme  sull'ordinamento
 regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione);
     4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio
 1977,  n.  616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge
 22 luglio 1975, n. 382), limitatamente alle parole: "la  funzione  di
 indirizzo  e  coordinamento nei limiti, nelle forme e nelle modalita'
 previste dall'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382";
     2, comma 3, lettera d),  della  legge  23  agosto  1988,  n.  400
 (Disciplina  dell'attivita' di governo e ordinamento della Presidenza
 del Consiglio dei Ministri), limitatamente alle parole: "gli atti  di
 indirizzo e coordinamento dell'attivita' amministrativa delle regioni
 e,  nel  rispetto  delle  disposizioni  statutarie,  delle  regioni a
 statuto speciale e delle provincie autonome di Trento e Bolzano;";
     13, comma 1, lettera e), della legge  23  agosto  1988,  n.  400,
 limitatamente  alle  parole:  "anche  per quanto concerne le funzioni
 statali di indirizzo e coordinamento";
     1, comma 1, lettera hh), della  legge  12  gennaio  1991,  n.  13
 (Determinazione  degli  atti  amministrativi da adottarsi nella forma
 del decreto del  Presidente  della  Repubblica),  limitatamente  alle
 parole:   "atti   di   indirizzo   e   coordinamento   dell'attivita'
 amministrativa delle  regioni  e,  nel  rispetto  delle  disposizioni
 statutarie,  delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle provincie
 autonome  di  Trento  e  Bolzano,  previsti dall'articolo 2, comma 3,
 lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400;", iscritto al  n.  86
 del registro referendum;
    Vista  l'ordinanza  del 26-27 novembre 1996 con la quale l'Ufficio
 centrale per il referendum costituito presso la Corte  di  cassazione
 ha dichiarato legittima la richiesta;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'8 gennaio 1997 il giudice
 relatore Valerio Onida;
    Udito l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per i delegati  dei
 Consigli   regionali  della  Lombardia,  del  Piemonte,  della  Valle
 d'Aosta, della Calabria, del Veneto e della Puglia.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza del 26-27 novembre 1996 l'Ufficio  centrale  per
 il   referendum,   costituito  presso  la  Corte  di  cassazione,  ha
 dichiarato legittima la richiesta di referendum  popolare  abrogativo
 presentata  dai consigli regionali delle regioni Calabria, Lombardia,
 Piemonte, Puglia, Valle d'Aosta, Veneto, sul seguente quesito:
   "Volete voi che siano abrogati:
     l'articolo  3  della  legge  22  luglio  1975,  n.   382   "Norme
 sull'ordinamento  regionale  e  sulla  organizzazione  della pubblica
 amministrazione";
     l'articolo  4,  comma  1,  del  decreto  del   Presidente   della
 Repubblica  24  luglio  1977,  n. 616 "Attuazione della delega di cui
 all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n.  382",  limitatamente  alle
 parole  "la  funzione  di indirizzo e coordinamento nei limiti, nelle
 forme e nelle modalita' previste dall'art. 3 della  legge  22  luglio
 1975, n. 382";
     l'articolo 2, comma 3, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n.
 400   "Disciplina  dell'attivita'  di  governo  e  ordinamento  della
 Presidenza del Consiglio dei  Ministri",  limitatamente  alle  parole
 "gli  atti di indirizzo e coordinamento dell'attivita' amministrativa
 delle Regioni e, nel rispetto delle  disposizioni  statutarie,  delle
 Regioni  a  statuto  speciale  e  delle province autonome di Trento e
 Bolzano";
     l'articolo 13, comma 1, lettera e), della legge 23  agosto  1988,
 n.  400,  "Disciplina  dell'attivita'  di governo e ordinamento della
 Presidenza del Consiglio dei ministri",  limitatamente  alle  parole:
 "anche  per  quanto  concerne  le  funzioni  statali  di  indirizzo e
 coordinamento";
     l'articolo 1, comma 1, lettera hh), della legge 12 gennaio  1991,
 n.  13  "Determinazione  degli atti amministrativi da adottarsi nella
 forma del decreto del  Presidente  della  Repubblica",  limitatamente
 alle   parole  "atti  di  indirizzo  e  coordinamento  dell'attivita'
 amministrativa delle  Regioni  e,  nel  rispetto  delle  disposizioni
 statutarie,  delle  Regioni  a  statuto  speciale  e  delle  province
 autonome di Trento e Bolzano, previsti dall'art. 2, comma 3,  lettera
 d) della legge 23 agosto 1988, n. 400"?".
   2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa
 Corte  ha  fissato  per  la  conseguente  deliberazione  la camera di
 consiglio  dell'8  gennaio  1997,  disponendo  che  ne   fosse   data
 comunicazione  ai  presentatori  della  richiesta e al Presidente del
 Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo  comma,  della
 legge n. 352 del 1970.
   Si  sono  avvalsi  della  facolta'  di presentare memorie, prevista
 dall'art. 33, terzo comma, della legge citata, i  presentatori  della
 richiesta.
   Essi  sottolineano  anzitutto  che  il  quesito  include  tutte  le
 disposizioni  generali  -  sia  di  principio  che  procedimentali  -
 attributive   allo   Stato-persona   e   ai  suoi  organi  decentrati
 (Commissario di governo) dei poteri  di  indirizzo  e  coordinamento,
 mentre  non  sono stati inclusi l'art. 17, lettera a), della legge n.
 281 del 1970 e le norme conseguenti dei decreti delegati  emanati  su
 quella  base, in quanto superati ed esplicitamente abrogati dall'art.
 3, terzo comma, della legge n.   382 del 1975,  ne'  le  disposizioni
 delle  leggi  di  settore  ricognitive  dell'esistenza  dei poteri di
 indirizzo  e  coordinamento,  che   non   costituiscono   presupposto
 legislativo  autonomo e autosufficiente rispetto alle norme generali,
 di principio e procedimentali.
   L'abrogazione richiesta farebbe venir meno la funzione di indirizzo
 e coordinamento "nella sua sostanziale unitarieta'", onde le  singole
 norme  di  settore  cadrebbero  in via conseguenziale, ne' potrebbero
 essere considerate comunque  come  normative  speciali  in  grado  di
 resistere all'abrogazione della normativa generale.
   I   presentatori  sostengono  che  proprio  l'esigenza  di  massima
 chiarezza possibile del quesito avrebbe richiesto di includervi  solo
 le disposizioni generali, di principio e procedimentali.
    La   difesa  dei  presentatori  contesta  poi  che  si  tratti  di
 disposizioni legislative a contenuto costituzionalmente  vincolato  o
 costituzionalmente   obbligatorie.   In   proposito   nega   che   la
 giurisprudenza di questa Corte, pur avendo riconosciuto  nell'art.  5
 della   Costituzione  la  norma  di  copertura  costituzionale  della
 previsione, da  parte  della  legislazione  ordinaria,  dei  suddetti
 poteri  statali,  abbia mai inteso affermare che essa costituisse non
 solo  il  fondamento  essenziale  della  funzione  di   indirizzo   e
 coordinamento,  bensi'  anche  la fonte in grado di precostituire gli
 aspetti  formali  e  sostanziali  della  funzione  medesima  "siccome
 costituzionalmente obbligatori, nel suo esserci, nelle sue procedure,
 nei  suoi  contenuti".  La concreta previsione di tale potere statale
 costituirebbe, allo stato attuale, una scelta legislativa a contenuto
 discrezionale non incompatibile con le norme  costituzionali,  dunque
 soggetta a possibilita' di abrogazione referendaria.
   I  presentatori  non  negano  l'esistenza  di esigenze di carattere
 unitario che giustificano la necessita' di una qualche  attivita'  di
 indirizzo  e  coordinamento, ma affermano che cio' che viene posto in
 contestazione  e'  che  tali  esigenze  e  tale   attivita'   debbano
 costituire  l'oggetto  di  un'autonoma  funzione  che  possa  tenersi
 distinta, di volta in volta, dalla funzione legislativa o  da  quella
 amministrativa.  Cio' che non si vorrebbe piu' consentire e' che tale
 attivita'  possa  essere  esercitata  anche  mediante  atti di natura
 amministrativa,  fuori  dei  casi  in  cui  si  provveda   con   atto
 legislativo.  D'altra  parte  -  argomentano  i  presentatori - se si
 dovesse considerare l'attuale disciplina  legislativa  dell'attivita'
 statale   di   indirizzo   e   coordinamento   come  direttamente  ed
 immediatamente riconducibile, nei suoi attuali e concreti  contenuti,
 alla  norma  di  principio  di  cui all'art. 5 della Costituzione, ne
 discenderebbe  che  la  modifica  di  tale  disciplina  comporterebbe
 un'incidenza  sugli  stessi principi fondamentali della Costituzione,
 onde  potrebbe  non  essere  sufficiente  allo   scopo   nemmeno   il
 procedimento di revisione costituzionale.
   Negato   poi   che   sussistano   nella   specie  ulteriori  limiti
 all'ammissibilita' del referendum, e rilevato che l'abrogazione delle
 stesse disposizioni oggetto del quesito e' prevista da un disegno  di
 legge  del  Governo,  che  peraltro  introduce  una  nuova disciplina
 procedimentale in  base  alla  quale  l'esercizio  dell'attivita'  di
 indirizzo   e   coordinamento   in   via   amministrativa  diverrebbe
 addirittura  la   regola,   i   presentatori   concludono   ribadendo
 l'ammissibilita' della richiesta di referendum.
   3. - Ad integrazione del contraddittorio sono stati uditi in camera
 di  consiglio  i  legali  dei  Consigli  regionali presentatori della
 richiesta, che hanno insistito per la dichiarazione di ammissibilita'
 della stessa.
                         Considerato in diritto
   1. - La richiesta investe la disposizione, contenuta nell'art.    3
 della  legge n. 382 del 1975, che definisce la "funzione di indirizzo
 e  coordinamento  delle  attivita'  delle  Regioni",  ne  afferma  la
 spettanza  allo Stato, e ne stabilisce le modalita' procedimentali di
 esercizio quando "non si provveda con legge o con atto con  forza  di
 legge";  la  disposizione,  contenuta  nell'art.  4, primo comma, del
 d.P.R. n.  616 del 1977, ai cui sensi,  nelle  materie  definite  dal
 decreto  medesimo,  lo  Stato  esercita  la  funzione  di indirizzo e
 coordinamento in conformita' al citato art. 3 della legge n. 382  del
 1975;  le  disposizioni della legge n. 400 del 1988 (art. 2, comma 3,
 lettera d, e art. 13,  comma  1,  lettera  e),  che  stabiliscono  la
 competenza del Consiglio dei ministri per la deliberazione degli atti
 di  indirizzo  e  coordinamento,  e  attribuiscono al Commissario del
 governo il compito di proporre iniziative al Presidente del Consiglio
 dei Ministri per quanto concerne le funzioni statali di  indirizzo  e
 coordinamento;  infine  la disposizione dell'art. 1, comma 1, lettera
 hh, della legge n. 13 del 1991, che prescrive la  forma  del  decreto
 del  Presidente  della  Repubblica  per  l'emanazione  degli  atti di
 indirizzo e coordinamento.
   2. - La richiesta e'  inammissibile,  poiche'  coinvolge  nel  loro
 insieme norme espresse bensi' in atti di legislazione ordinaria, ma a
 contenuto - sia pure parzialmente - vincolato dalla Costituzione.
   Il  quesito  non  si  limita  ad investire (cio' che non troverebbe
 ostacoli di ordine costituzionale) norme  disciplinanti  modalita'  o
 ipotesi  concrete  di  esercizio  o di abilitazione all'esercizio del
 potere  statale  di  indirizzo   e   coordinamento,   stabilite   dal
 legislatore  ordinario  e  dal  medesimo disponibili, ma coinvolge il
 potere   medesimo   in   se',   nella   sua   esistenza   e   quindi,
 necessariamente,   nel  suo  fondamento,  che  risiede  nella  stessa
 Costituzione.
   La natura costituzionale dell'autonomia regionale  comporta  invero
 che  solo  alla  Costituzione  e alla legge costituzionale spetta "il
 compito  di  fissare,  in  termini  conclusi,  le  stesse  dimensioni
 dell'autonomia,  cioe'  i  suoi  contenuti  e i suoi confini", con la
 conseguenza  che  "ad  ogni  potere  di   intervento   dello   Stato,
 suscettibile  di incidere su tale sfera costituzionalmente garantita,
 in modo da condizionarne in concreto (...) la misura  e  la  portata,
 non  potra'  non  corrispondere  un fondamento specifico nella stessa
 disciplina costituzionale" (sentenza n. 229 del 1989).
   Nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, il potere statale di
 indirizzo  e  coordinamento  e'  stato  configurato  non gia' come un
 limite ulteriore all'autonomia delle Regioni, che si  aggiunga  (cio'
 che  non  potrebbe  avvenire ad opera della legge ordinaria) a quelli
 espressamente sanciti  dalla  Costituzione,  ma  come  espressione  o
 manifestazione  dei  limiti  costituzionalmente fissati (cfr., fra le
 molte, sentenze n. 39 del 1971, n. 340 del 1983, n. 177 del 1988,  n.
 242 del 1989).
   Che  il fondamento normativo sulla cui base si riconosce allo Stato
 la possibilita' di disciplinare - con adeguate previsioni legislative
 - l'esercizio di poteri di indirizzo nei confronti delle  regioni  si
 rinvenga  nella  Costituzione e' confermato dal fatto che la Corte ha
 ammesso che siffatte previsioni, e gli  atti  di  concreto  esercizio
 dell'indirizzo  e  coordinamento,  possano  legittimamente rivolgersi
 anche alle regioni a statuto speciale, pur quando i loro  statuti,  e
 le  relative  norme  di  attuazione,  non  menzionano in alcun modo i
 poteri medesimi (sentenza n. 340 del 1983). Si e' ritenuto,  infatti,
 che   in   realta'  sono  le  "esigenze  unitarie  insuscettibili  di
 frazionamento o di localizzazione territoriale",  sottese  ai  limiti
 costituzionalmente    fissati    alle   competenze   regionali,   che
 "autorizzano lo Stato a  esercitare  nei  confronti  delle  autonomie
 regionali   (o   provinciali)   una   funzione   di  indirizzo  e  di
 coordinamento" (sentenza n. 242 del 1989).
   In effetti, cio' che si ricava  dalla  Costituzione,  e  che  forma
 l'essenza  della cosi' detta "funzione" di indirizzo e coordinamento,
 non e' tanto una autonoma potesta' statale esercitabile nei confronti
 delle Regioni, quanto il principio secondo cui  allo  Stato  centrale
 non  possono essere negati i poteri necessari per la soddisfazione di
 esigenze unitarie non  suscettibili  di  frazionamento  territoriale.
 Tali  poteri,  nella  fase  storica  di  avvio  dell'esperienza delle
 Regioni ordinarie, hanno trovato  espressione  nella  definizione  di
 detta  "funzione",  in  correlazione  con l'intento dichiarato di non
 porre a  priori  limiti  di  materia  al  trasferimento  di  funzioni
 amministrative   nei   settori   costituzionalmente  attribuiti  alla
 competenza delle regioni. Le  stesse  esigenze  possono  ben  trovare
 espressione,  ad opera del legislatore ordinario, anche con modalita'
 e contenuti diversi, non necessariamente improntati ad una logica  di
 sovraordinazione  e  di  vincolo,  invece che ad una di cooperazione,
 promossa e guidata dal centro (come per esempio  e'  implicito  nella
 previsione  dell'art.  3  del  d.lgs.  16  marzo 1992, n. 266, ove si
 configurano gli atti di indirizzo emanati dal Governo  centrale  come
 efficaci  nei  confronti  della  regione  Trentino-Alto Adige e delle
 province autonome di Trento e  Bolzano  solo  "se  e  per  quanto  lo
 statuto  speciale  e  le relative norme di attuazione non prescrivono
 specifici procedimenti per il coordinamento tra funzioni e  interessi
 dello   Stato  e  rispettivamente  della  regione  o  delle  province
 autonome").
   In  ogni  caso,  oggetto  di   determinazioni   discrezionali   del
 legislatore  ordinario,  dallo stesso disponibili, non e' l'esistenza
 di tali poteri  in  se',  ma  sono  solo  le  concrete  condizioni  e
 modalita' del loro esercizio.
   3.  -  Il  quesito  abrogativo  proposto  non  investe alcuna delle
 numerose disposizioni legislative vigenti, che prevedono in  concreto
 l'esercizio  di  poteri  di  indirizzo e coordinamento, delimitando i
 contenuti dei relativi atti, ma solo  un  gruppo  di  disposizioni  a
 carattere   del   tutto   generale,   di   natura   esclusivamente  o
 prevalentemente ricognitiva.
   La Corte ha chiarito come sia l'art. 3 della legge n. 382 del  1975
 (cfr.  sentenza  n. 150 del 1982), sia l'art. 2, comma 3, lettera d),
 della legge n. 400 del 1988 (cfr. sentenze n. 242 del 1989, n. 30 del
 1992) - entrambe cioe' le  disposizioni  a  carattere  piu'  generale
 investite  dal  quesito - non valgono in alcun modo a giustificare in
 concreto l'esercizio del potere e l'emanazione dei relativi atti, non
 riguardando e non  delimitando  il  possibile  contenuto  sostanziale
 degli  atti di indirizzo; e che lo stesso carattere e' da attribuirsi
 anche  ad  altre  disposizioni  -  non  incluse  nel  quesito  -  che
 ribadiscono  in via generale l'astratta possibilita' di esercizio del
 potere in singoli settori o materie (cosi', per es., l'art. 4,  comma
 1,  lettera  f),  della  legge  18 maggio 1989, n. 183, in materia di
 difesa del suolo, su cui cfr. la sentenza n. 85 del 1990;  l'art.  5,
 comma  2,  del  d.lgs.  6  settembre 1989, n. 322, in tema di sistema
 statistico nazionale, su cui cfr. la sentenza n. 139 del 1990).
   E la stessa Corte ha chiarito altresi'  come,  affinche'  i  poteri
 medesimi  possano  essere  legittimamente esercitati, occorra in ogni
 caso  una   disposizione   legislativa   "la   quale,   in   apposita
 considerazione  della  materia,  che volta a volta esige l'intervento
 degli organi centrali, vincoli e diriga la scelta del Governo,  prima
 che  questo  possa,  dal  canto  suo,  indirizzare  e  coordinare  lo
 svolgimento di poteri di autonomia" (sentenza n. 150 del 1982; e cfr.
 anche, ad es., sentenze n. 338 del 1989, n. 30 del 1992).
   4. - La tesi dei promotori del referendum, secondo cui  l'eventuale
 abrogazione   delle   norme   incluse   nel   quesito   comporterebbe
 l'inoperativita' di tutte le altre  norme  legislative  (molte  delle
 quali   non   richiamano  affatto  dette  norme  generali,  e  spesso
 contengono   un'autonoma   disciplina   anche   sotto   il    profilo
 procedimentale),    che   concretamente   prevedono   e   autorizzano
 l'esercizio di poteri di indirizzo e coordinamento,  non  e'  esatta.
 Essa   presuppone  infatti  che  detti  poteri  siano  fondati  sulle
 disposizioni di legge  ordinaria  di  cui  si  chiede  l'abrogazione,
 mentre  essi  sono,  come si e' detto, fondati sulla Costituzione. La
 stessa tesi, configurando le norme che si  vorrebbero  abrogare  come
 condizione  necessaria  di  applicabilita'  di  altre  norme  di pari
 livello legislativo, presuppone ancora che si attribuisca ad esse  un
 valore superlegislativo, che le stesse non hanno ne' possono avere.
   Sicche',   se  veramente  la  richiesta  abrogativa  fosse  diretta
 esclusivamente a smentire scelte  del  legislatore  ordinario,  senza
 intaccare  il  quadro  costituzionale, ne deriverebbe paradossalmente
 che si tratterebbe di un referendum  inutile,  poiche',  come  si  e'
 detto,  l'eventuale  abrogazione  non  avrebbe  alcun  effetto  sulla
 vigenza e sull'applicabilita' delle norme di legge  che  prevedono  e
 disciplinano  in  concreto  l'esercizio  di  poteri  di  indirizzo  e
 coordinamento, senza richiamarsi alle disposizioni generali di cui si
 discute.
   5. - Ne' si potrebbe fondatamente sostenere  che  la  richiesta  di
 abrogazione  investa  solo  la  facolta'  di  esercitare il potere di
 indirizzo con atti non legislativi, restando salva la possibilita'  -
 richiamata dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975 - che "si provveda
 con  legge  o con atto avente forza di legge"; ovvero che investa gli
 aspetti procedurali dell'esercizio del potere in via non legislativa,
 vale  a dire la previsione - contenuta nell'art. 3 della legge n. 382
 del 1975 e ribadita dall'art. 2, comma 3, lettera d, della  legge  n.
 400  del  1988 - dell'esercizio attraverso delibere del Consiglio dei
 ministri ovvero, per delega, da parte del CIPE o del  Presidente  del
 consiglio,  nonche'  la  previsione - contenuta nell'art. 1, comma 1,
 lettera hh, della legge n. 13 del 1991 - dell'emanazione  degli  atti
 di  indirizzo  e  coordinamento mediante decreti del Presidente della
 Repubblica.
   Invero il quesito investe nella sua interezza l'art. 3 della  legge
 n. 382 del 1975, la' dove esso afferma anzitutto, in via ricognitiva,
 che  la  funzione di indirizzo e coordinamento "spetta allo Stato", e
 non sembra dunque possibile intenderlo in alcun senso riduttivo.
   Peraltro si configura un vero potere di indirizzo e  coordinamento,
 cosi' come e' stato inteso nella giurisprudenza di questa Corte, solo
 quando  se ne preveda - da parte del legislatore - l'esercizio in via
 non legislativa, e cioe' con  atti  del  Governo,  poiche'  l'ipotesi
 dell'esercizio attraverso atti legislativi si confonde con il diverso
 problema  della possibilita' e dei limiti dell'intervento legislativo
 statale nelle materie di competenza  regionale,  ai  sensi  dell'art.
 117  della  Costituzione  e  delle corrispondenti norme degli statuti
 speciali. In ogni caso, cio' che trova fondamento nella  Costituzione
 e'  proprio  il riconoscimento in via di principio della possibilita'
 che la legge attribuisca  al  Governo  il  potere  di  indirizzare  e
 coordinare  l'attivita'  amministrativa  delle  Regioni  in  forza di
 esigenze   unitarie,   non   frazionabili   e    non    localizzabili
 territorialmente.
   Cosi'  che sottoporre a referendum abrogativo l'esistenza di questa
 possibilita', senza  invece  sottoporvi  le  norme  che  in  concreto
 abilitano  il  Governo ad adottare atti di indirizzo e coordinamento,
 equivarrebbe a sottoporre a referendum una norma costituzionale.
   6. - Quanto poi all'ipotesi che siano oggetto  della  richiesta  di
 abrogazione  solo  le prescrizioni procedimentali, vale osservare che
 in realta' le modalita' previste nelle  norme  generali  incluse  nel
 quesito  -  e  sostanzialmente  identificantisi con la competenza del
 Governo nella sua sede collegiale -  coincidono  con  quelle  che  la
 Corte  ha indicato come garanzie minime costituzionalmente necessarie
 affinche'  l'esercizio  del  potere  governativo   non   si   traduca
 nell'indebita  sovrapposizione di un'amministrazione statale a quelle
 regionali, nelle materie di competenza delle Regioni  (cfr.  sentenze
 n.  338  del 1989, n. 453 del 1991, n. 124 del 1994). Onde ancora una
 volta si tratterebbe  di  incidere  su  norme  o  su  principi  della
 Costituzione.
   In   realta',   come   si   e'  detto,  come  e'  confermato  dalla
 denominazione attribuita al quesito, e come del  resto  e'  affermato
 dagli  stessi  promotori,  la  domanda  abrogativa  non  e'  volta  a
 contrastare questa o quella modalita' procedimentale di esercizio del
 potere,  ma  l'esistenza  stessa  del  potere  medesimo,   e   dunque
 inevitabilmente  incide  sulla  Costituzione:  cio'  che,  secondo la
 costante giurisprudenza di questa Corte, non e' ammesso (cfr. gia' la
 sentenza n. 16 del 1978, nonche', fra le altre, la sentenza n. 26 del
 1981).
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile  la  richiesta  di  referendum popolare per
 l'abrogazione, nelle parti  indicate  in  epigrafe,  della  legge  22
 luglio  1975,  n.  382  (Norme  sull'ordinamento  regionale  e  sulla
 organizzazione  della  pubblica  amministrazione);  del  decreto  del
 Presidente  della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della
 delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n.  382);  della
 legge  23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di governo e
 ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri); della legge
 12 gennaio 1991, n. 13 (Determinazione degli atti  amministrativi  da
 adottarsi  nella  forma del decreto del Presidente della Repubblica),
 richiesta dichiarata legittima,  con  ordinanza  del  26-27  novembre
 1996,  dall'Ufficio  centrale  per il referendum costituito presso la
 Corte di cassazione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.
                         Il presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.
                 Il direttore di cancelleria: Di Paola
 97C0147