N. 641 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 giugno 1998
N. 641 Ordinanza emessa l'11 giugno 1998 dal pretore di Brescia nel procedimento civile vertente tra Sarabotani Serafina e l'I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni INPS - Rimborsi conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994 - Modalita' di pagamento - Estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della normativa impugnata - Incidenza sul diritto di difesa, sui principi del giudice naturale, dell'autonomia ed indipendenza della magistratura, della tutela giurisdizionale, della formazione della legge e della decadenza dei decreti-legge non convertiti entro sessanta giorni - Riproposizione di questioni gia' oggetto della ordinanza della Corte n. 130/1997. (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 181, 182 e 183, modificato dal d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140, art. 3-bis (recte: art. 3-bis, d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140). (Cost., artt. 1, 24, 25, 70, 72, 77, 94, 101, 102, 104, 113 e 136).(GU n.38 del 23-9-1998 )
IL PRETORE Nella causa in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, r.g. n. 3424/1995, promossa da Sarabotani Serafina, elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv. Luciano Nardino, il quale la rappresenta e difende in forza di procura a margine dell'atto introduttivo del giudizio ricorrente; Contro l'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Oreste Manzi, Alfonso Faienza e Gabriele Morreale, in forza di mandati alle liti a rogito del dott. Lupo, notaio in Roma, con domicilio eletto nel proprio ufficio di avvocatura in Brescia, via Cefalonia n. 49, convenuto; Visti gli atti difensivi delle parti; Vista l'ordinanza 7-9 maggio 1997, n. 130, della Corte costituzionale, con la quale e' stata disposta la restituzione degli atti a questo pretore per un nuovo esame delle censure formulate con l'ordinanza 13 dicembre 1995, pubblicata, con il n. 137 del registro ordinanze 1996, nella Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 9 del 28 febbraio 1996; Visto l'art. 1, commi 181, 182, 183 e 184, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonche' l'art. 3-bis (modifiche all'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662) della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, recante misure di riequilibrio della finanza pubblica; Visto l'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166, e la catena dei successivi decreti-legge di pura reiterazione, n. 295 del 27 maggio 1996, n. 396 del 26 luglio 1996 e n. 499 del 24 settembre 1996, tutti decaduti; Vista la gia' citata precedente ordinanza 7 dicembre 1995, emessa nel presente giudizio e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 9 del 28 febbraio 1996; Visto l'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903; Vista la sentenza 29-31 dicembre 1993, n. 495, della Corte costituzionale; Vista l'ordinanza 18-25 luglio 1977, n. 278, della Corte costituzionale; Vista l'ordinanza 9-16 aprile 1998, n. 130, della Corte costituzionale; Visti gli artt. 23 e 30, terzo comma, della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87; Visto l'art.1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; Visto l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; Visti gli artt. 1, 24, 25, 70, 72, 76, 77, 81, 94, 101, 102, 104, 113, 134, 136 e 137 della Costituzione; Nella pubblica udienza dell'11 giugno 1998, ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di nuove questioni di legittimita' costituzionale, rilevate d'ufficio, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87. 1. - Le deduzioni e conclusioni formulate dalle parti in causa: A) la ricorrente agisce per vedere affermato il proprio ad ottenere il ricalcolo della pensione superstiti di cui e' titolare sulla base del trattamento effettivamente goduto o spettante al dante causa, comprensivo anche dell'integrazione al minimo, con conseguente condanna dell'INPS alla ricostituzione di tale pensione nonche' alla corresponsione degli arretrati, con rivalutazione monetaria ed interessi legali e con il rimborso delle spese di lite da distarsi in favore del difensore antistatario. B) l'INPS, ha espresso le seguenti, riportate testualmente, graduate conclusioni: respingere il ricorso "in via preliminare, per carenza dei requisiti fattuali di cui alle premesse di fatto necessari". "Nel merito: respingere il ricorso siccome inammissibile per scadenza del termine di decadenza per agire in giudizio previsto dalle vigenti disposizioni". "In via subordinata: respingere la domanda per carenza di interesse in quanto il ricorrente gode di pensione di reversibilita' per importo integrato al minimo o superiore". "Respingere la domanda di riliquidazione della pensione di reversibilit a' rapportata al trattamento minimo del dante causa in quanto riferita a periodi anteriori alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale in materia". C) l'istituto resistente ha, inoltre, pur senza addurre argomenti di supporto, senza assumere conclusioni specifiche e senza sollevare formale eccezione di legittimita' costituzionale, sostenuto che l'interpretazione dell'art. 22, legge n. 903/1965 nei termini addittivi voluti dalla sentenza n. 495/1993 sarebbe, comunque, in contrasto con l'art. 81 della Costituzione. D) nessun ulteriore argomento difensivo e' stato proposto dalle parti in questa fase processuale, dopo la riassunzione del giudizio. 2. - La necessita' di procedere al riesame delle questioni di legittimita' costituzionale gia' rilevate d'ufficio nella propria ordinanza 7 dicembre 1995, pubblicata, al n. 134 del registro ordinanze 1996, sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 9 del 28 febbraio 1996. Con l'ordinanza 7 dicembre 1995, emessa nel corso di questo giudizio, questo pretore rilevava d'ufficio le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 22, legge 21 luglio 1965, n. 903, come modificato dalla sentenza 29-31 dicembre 1993, n. 495, della Corte costituzionale, per violazione dell'art. 136, primo comma, 101 e 104, primo comma, della Costituzione; b) dell'art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione dell'art. 136, primo comma, della Costituzione; c) dell'art. 22, legge 21 luglio 1965, n. 903, come modificato dalla sentenza 29-31 dicembre 1993, n. 495, della Corte costituzionale, per violazione dell'art 81, ultimo comma, della Costituzione; d) in via preliminare, rispetto alle questioni precedenti, dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ove prevede che "il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale" e limitatamente a tale parte, per violazione dell'art. 134, nonche' 101, 104, primo comma, e 111 della Costituzione; e) sempre in via preliminare e con gli stessi riferimenti indicati sub d), dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, nelle parti che stabiliscono condizioni e forme di proponibilita' dei giudizi di legittimita' costituzionale, come meglio precisato in motivazione, per palese violazione della riserva di legge costituzionale prevista dall'art. 137, primo comma, Costituzione. 2.a. - Tali questioni devono essere riconsiderate, a seguito dell'ordinanza n. 130 del 1997, con la quale la Corte costituzionale ha disposto la restituzione degli atti a questo pretore per un loro nuovo esame, "a prescindere dalle prospettate e del tutto ininfluenti questioni concernenti le norme sul funzionamento della Corte", alla luce della sopravvenuta normativa, costituita dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662, "la quale all'art. 1, comma 183, dichiara estinti con compensazione di spese i giudizi aventi ad oggetto l'accertamento dei diritti nascenti dalle due citate decisioni di questa Corte, come appunto i processi a quibus, disponendo altresi' al comma successivo la copertura finanziaria degli oneri conseguenti". 2.b. - Le questioni di cui alle lettere d) ed e), concernente l'art. 23 della legge ordinaria n. 87 del 1953, non possono essere riproposte, poiche' la Corte, in altro giudizio incidentale di costituzionalita', deciso con la recentissima ordinanza 9-16 aprile 1998, n. 130, ne ha gia' dichiarato la manifesta infondatezza. In assenza di ulteriori e realmente diverse ragioni di incostituzionalita', infatti, stante il divieto d'impugnazione delle decisioni della Corte, previsto dall'art. 137, terzo comma, della Costituzione, una nuova rimessione al giudice delle leggi di questioni gia' decise si appalesa, in concreto, coma forma vietata di impugnazione. 2.c. - Ne' si intende riproporre quella sub b), attinente l'art. 30 della legge ordinaria n. 87/1953, in adesione all'invito della Corte costituzionale di riesaminare le censure sollevate nell'ordinanza 13 dicembre 1995, pubblicata, con il n. 137 del registro ordinanze 1996, nella Gazzetta Ufficiale - 1 serie speciale - n. 9 del 28 febbraio 1996, "a prescindere dalle prospettate e del tutto ininfluenti questioni concernenti le norme sul funzionamento della Corte", perche', comunque (a prescindere, cioe', da quanto si dira' al punto 5), la stessa censura si trova espressa in molte altre ordinanze di questo pretore non ancora esaminate dalla Corte e, pertanto, la rinuncia ad essa in questa sede non ne determina l'estinzione definitiva. 2.d. - Occorre, dunque, seguendo le indicazioni del giudice delle leggi, riconsiderare le residue questioni, attinenti il merito della presente controversia, sollevate nell'ordinanza precedente, con la precisazione che, in realta', il riesame di quelle censure deve essere svolto, non solo alla luce delle disposizioni di legge indicate dalla Corte, ma anche (e soprattutto, per quanto riguarda la denunciata violazione dell'art. 81 Costituzione) con riferimento alla nuova formulazione dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, nel comma 181 (interamente sostituito) e, nel comma 182 (sostituito nel quarto periodo ed abrogato nell'ultimo), in forza dell'art. 3-bis (modifiche all'art. 1, legge n. 662/1996) della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, normativa questa entrata in vigore successivamente all'ordinanza della Corte costituzionale n. 130/1997. 3. - I vizi di legittimita' costituzionale della normativa sopravvenuta attualmente vigente e le relative questioni da rilevare d'ufficio in questa sede. Prima di riconsiderare alla luce della normativa sopravvenuta le questioni gia' portate all'attenzione della Corte nella precedente ordinanza emessa in questo stesso giudizio, devono essere rilevate d'ufficio nuove questioni di legittimita' costituzionale a carico della normativa attualmente vigente. 3.a. - Sin dall'epoca della emanazione del primo decreto-legge n. 166/1996 e con riferimento, poi, alle successive reiterazioni con i nn. 295, 396 e 499, questo giudice, in numerose (e' sufficiente qui ricordare solo le prime due, quelle emesse in data 1 aprile 1996, iscritte ai nn. 524 e 525 del registro ordinanze 1996, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale - 1 serie speciale - n. 25 del 19 giugno 1996) ordinanze di trasmissione al giudice delle leggi di questioni di legittimita' costituzionale a carico di tale serie di provvedimenti, aveva messo in risalto che mai si era verificato nella legislazione italiana, pur tormentata da un eccessivamente anomalo ricorso alla decretazione d'urgenza del Governo, un caso si' palesemente evidente di abuso di potere da parte del potere esecutivo con grave violazione del principio di legalita' e delle attribuzioni dei poteri legislativo e giudiziario. Dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, commi 181, 182, 183 e 184, legge 23 dicembre 1996, n. 662, rilevata l'idoneita' della normativa - identica a quella dei sopra ricordati decreti-legge decaduti - a sottrarre all'autorita' giudiziaria l'amministrazione della giustizia in nome del popolo, essendole precluso l'esercizio tipico della funzione giurisdizionale e cioe' quello di definire le controversie in corso con la decisione delle stesse mediante la pronuncia della sentenza, questo stesso giudice, con ordinanza del 28 gennaio 1997, proponeva ricorso, depositato il 1 febbraio 1997 ed iscritto al n. 70 del registro ammissibilita' conflitti, per conflitto di attribuzione nei confronti delle due Camere del Parlamento. In quella sede questo pretore denunciava l'invasione del potere legislativo nella sfera delle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente, in considerazione del fatto che nelle suddette disposizioni era (come tuttora e', anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79) prevista una soluzione legislativa delle controversie, all'evidenza sostitutiva della decisione del giudice competente, al quale restava (come resta) solo affidato il compito, decisamente atipico, di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge. Con ordinanza n. 278 del 18-25 luglio 1997 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - 1 serie speciale - 13 agosto 1997, n. 33) la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione sopra ricordato, cosi', testualmente, motivando: "considerato... che i commi 181 e 182 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996 - concernendo, il primo, le modalita' di pagamento delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995 sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza dell'applicazione delle sentenze di questa Corte n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994 e, il secondo, la titolarita' del diritto al pagamento delle somme anzidette nonche' l'esclusione dalla loro determinazione degli interessi e della rivalutazione monetaria - sono per il loro contenuto evidentemente inidonei a ledere la sfera delle attribuzioni costituzionali del giudice ricorrente, recando esclusivamente una disciplina sostanziale di diritti in materia pensionistica; che il comma 183 del medesimo art. 1 della legge n. 662 del 1996 - stabilendo che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge stessa, aventi a oggetto le questioni di cui ai commi 181 e 182, sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra le parti e che le sentenze non ancora passate in giudicato restano prive di effetti - contiene norme, disciplinanti direttamente l'esercizio della giurisdizione, di cui il giudice e' chiamato o puo' essere chiamato a fare applicazione per definire giudizi innanzi a se' pendenti; che, quindi, per l'eventualita' che il giudice stesso dubiti della legittimita' costituzionale delle norme medesime (anche sotto il profilo della possibile lesione della propria sfera di attribuzioni), l'ordinamento appresta un rimedio diverso dal conflitto, vale a dire la questione incidentale di legittimita' costituzionale, eventualmente sollevata dal giudice d'ufficio a norma degli articoli 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953; che le stesse considerazioni valgono anche per la parte in cui il conflitto e' proposto in relazione all'art. 1, comma 6, della legge n. 608 del 1996, norma di sanatoria degli effetti di precedenti decreti-legge non convertiti, aventi i medesimi contenuti dei contestati commi 181, 182 e 183 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996; che, d'altra parte, le ragioni che indussero questa Corte, nella sentenza n. 161 del 1995, ad ammettere che in casi eccezionali di "situazioni non piu' reversibili ne' sanabili" e in vista della tempestivita' della garanzia costituzionale di diritti fondamentali, il conflitto di attribuzioni possa affiancarsi al sindacato incidentale non valgono, all'evidenza nel caso in esame in cui si chiede di riconoscere al giudice il potere di adire la Corte tramite lo strumento previsto a tutela dell'integrita' dell'ambito delle sue competenze costituzionali, quando gia' dispone della possibilita' di attivare il giudizio incidentale sulla costituzionalita' della legge; che, pertanto, il conflitto in esame e' inammissibile". In considerazione della sopra riferita decisione della Corte - senza con cio' riconoscerne la fondatezza, ma avendo ben presente il divieto di cui all'art. 137 della Costituzione - risulta necessario trasformare i contenuti del conflitto dichiarato inammissibile in questioni di legittimita' costituzionale. Deve, cosi', rilevarsi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 181, 182, e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonche' dell'art. 3-bis (modifiche all'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662) della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, recante misure di riequilibrio della finanza pubblica, per violazione degli artt. 24, 25, 101, 102, 104 e 113 della Costituzione. 3.a.1. - La violazione dell'art. 113 Costituzione. Invero, qualunque sia il contenuto sostanziale dei commi 181 e 182 dell'art. 1 della legge n. 662/1996, e' di tutta evidenza che le relative norme determinano la lesione dell'art. 113 della Costituzione, essendo chiaro che, per quanto le domande dei ricorrenti nelle cause aventi ad oggetto la materia sottoposta alla vigenza dell'attuale formulazione dell'art. 1, commi 181, 182 e 183, legge n. 662/1996 non siano dirette ad ottenere una pronuncia dichiarativa dell'illegittimita' degli atti amministrativi dell'INPS che hanno in passato negato i diritti vantati nelle controversie in discorso, bensi' ad ottenere le prestazioni richieste, appare evidente che l'imposta estinzione dei giudizi in corso determina anche la violazione dell'art. 113, commi 1 e 2, della Costituzione, poiche' preclusiva della tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di diniego gia' emessi dall'INPS. L'art. 113 Cost., infatti, cosi' recita nei suoi primi due commi: "Contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa". "Tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti". La violazione dell'art. 113, come sopra individuata, determina anch'essa un invasione illecita della specifica attribuzione dell'organo di giurisdizione ordinaria (giudice del lavoro in sede di merito e di legittimita') competente a conoscere delle domande spiegate dai ricorrenti contro l'INPS nelle numerosissime cause delle quali si e' detto, poiche' preclude la tutela giurisdizionale contro tutti gli atti di diniego dell'INPS posti in essere nelle pregresse fasi amministrative. Tale esclusione della tutela giurisdizionale contro i predetti atti della pubblica amministrazione, e', non solo illegittima, ma anche tale da eliminare la specifica attribuzione costituzionale dell'autorita' giudiziaria prevista nell'art. 113, con la conseguente ulteriore violazione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione. 3.a.2. - La violazione degli artt. 101, 102, 103 e 104 della Costituzione. Inoltre, a causa della situazione di fatto eccezionale determinata, appunto, ai commi 181, 182 e 183 della legge n. 662/1996 sussiste un'ulteriore compromissione della funzione giurisdizionale, poiche' (si ripete qui quanto gia' prospettato nel citato ricorso per in sede di conflitto di attribuzione) "deve mettersi in risalto che, comunque e cioe' anche a non voler credere alla natura sostanziale di sentenza dell'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e' certo che tale disposizione ostacola la funzione giurisdizionale, poiche' determina il trasferimento del contenzioso giudiziario pendente, al quale risulta destinata la suddetta normativa, di nuovo nella sede amministrativa (ove si e' gia' in precedenza sviluppato con esito negativo), senza che la disposta estinzione d'ufficio dei giudizi in corso possa eliminarlo, essendo ipotizzabile un suo riaprirsi e rinnovarsi nei casi di decisioni amministrative di diniego, tali da costringere i pensionati (i loro eredi, senza dubbio) a cercare ancora una volta tutela in sede giudiziaria. Tale effetto e' certamente idoneo a creare turbativa (come gia' l'hanno determinata le identiche norme dei decreti-legge decaduti) in danno dell'amministrazione della giustizia, dando luogo ad inutili duplicazioni di attivita', con dilatazione enorme dei tempi processuali e con causazione di un aggravio ingiustificato ed ingiustificabile di lavoro a carico delle parti e dell'amministrazione stessa, senza parlare delle difficolta' giuridiche connesse alla definizione dei potenziali futuri giudizi per la carenza sostanziale di regole nelle disposizioni di riferimento da applicare". Con conseguente lesione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione. 3.a.3. - La violazione degli artt. 24 e 25 della Costituzione. Inoltre - cosi' come gia' e' stato messo in rilievo piu' volte e da molti dei giudici remittenti con riferimento alla decretazione d'urgenza del Governo, gia' ricordata - anche nei confronti dell'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge n. 662 del 1996 deve negarsi l'applicabilita' del princpio affermatosi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo il quale non sussiste(rebbe) violazione dell'art. 24 della Costituzione, quando la normativa sopravvenuta sia idonea a soddisfare, anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei giudizi per i quali e' imposta dalla legge l'estinzione, purche' risulti comunque arricchito l'ambito delle situazioni giuridiche di cui sono titolari gli interessati: la perdita del diritto all'azione, conseguente all'estinzione dei giudizi prevista nel comma 183, infatti, non trova nei commi precedenti quella misura di arricchimento degli interessati sufficiente a far ritenere insussistente la violazione dell'art. 24 della Costituzione, stante la (oggi parziale) esclusione degli accessori del credito per gli aventi diritti e l'esclusione degli eredi da ogni diritto e vantaggio. Peraltro, non puo' omettersi di far notare che il principio del quale si e' appena detto appare poco convincente, poiche' esso risulta privo di riscontro e conforto giuridico a livello costituzionale. Invero l'affermazione della legittimita' costituzionale della legge che privi gli interessati della tutela giurisdizionale solo sulla base della concessione di un vantaggio sufficiente, in assenza di totale riconoscimento del diritto, appare in contrasto con l'intero sistema costituzionale vigente, nel quale la garanzia della giurisdizione e' posta come essenziale per la tutela dei diritti e non sembra davvero confrontabile e "barattabile" con parziali riconoscimenti economici attribuiti dalla legge. Il diritto alla tutela giurisdizionale e' paragonabile al diritto di voto, alla liberta' di espressione, all'esercizio dei diritti politici, a tutti quei diritti, cioe', che danno concretezza di contenuto al concetto di "Stato di diritto" e che devono ritenersi intangibili ed insopprimibili: tenuto conto di quanto si e' appena detto, il principio qui sottoposto a critica sembra davvero frutto di una mancata visione globale degli interessi costituzionali sottesi al diritto alla tutela giurisdizionale. Ne' puo', inoltre, negarsi che il diritto all'azione non e' di una sola parte del giudizio, ma di tutte, cosicche' la tutela prevista nell'art. 24 della Costituzione e' diretta anche al convenuto/resistente e non solo all'attore/ricorrente, con la incontestabile conseguenza che nessuna soluzione legislativa diretta a soddisfare le ragioni del solo attore/ricorrente, senza dettare una nuova regola destinata ad essere applicata dal giudice nel processo per la decisione della controversia, puo' ritenersi legittima e conforme all'art. 24 della Costituzione. In sostanza non si comprende come possa essere considerata legittima rispetto all'art. 24 della Costituzione una legge che nel negare la tutela giurisdizionale a tutte le parti del processo, offra in cambio vantaggi (parziali, con violazione, dunque, del primo comma dell'art. 24 Cost.) alla sola parte ricorrente, respingendo ogni legittima domanda svolta da quella resistente (con palese violazione del secondo comma dell'art. 24 Cost.): e' cio' che si verifica nei giudizi in corso dinanzi a questo giudice per i quali risulta applicabile l'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge n. 662/1996, con l'aggravante che anche per taluni ricorrenti, quelli che agiscono a titolo ereditario, viene eliminata la tutela giurisdizionale. Che, poi, la denunciata privazione della tutela giurisdizionale, con violazione dell'art. 24 Cost., concretizzi anche una indebita ingerenza nell'ambito delle esclusive attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria appare di evidenza assoluta, quando (come nel caso in esame) la causa della lesione all'art. 24 sia da rinvenire nella sostituzione ex lege della decisione del giudice con una soluzione normativa, poiche' in tale situazione l'esclusione dell'azione determina senza dubbio alcuno la sottrazione della funzione giurisdizionale al "potere" al quale essa e' affidata. Ne' puo' ritenersi che l'estinzione a spese compensate dei giudizi pendenti... sia paragonabile nella sua sostanza ad una sentenza di cessazione della materia del contendere (come si e' affermato in precedenti simili ipotesi), poiche' nel caso specifico l'estinzione non opera come una cessazione della materia del contendere, giacche' non si puo' ravvisare nella soluzione prospettata dalla legge per i soggetti interessati (si badi bene: i soli ricorrenti dei giudizi pendenti, ai sensi dell'art. 183 della legge n. 662/1996) un vantaggio tale da far presumere in linea di fatto soddisfatti i diritti dedotti nelle cause da estinguere. Se poi si sposta l'indagine sulla posizione giuridica degli eredi, parlare di cessazione della materia del contendere in conseguenza di un sufficiente raggiungimento dei diritti da loro vantati appare francamente, se non umoristico, impossibile: per gli eredi l'estinzione delle cause in corso alla data di entrata in vigore della legge significa, seccamente, rigetto dei ricorsi dagli stessi proposti e null'altro. Quanto poi all'operativita' del comma 183 sui commi 181 e 182 e' evidente che il riferimento alle "questioni" non consente di escludere dai giudizi da estinguere quelli introdotti da eredi dei soggetti individuati nel comma 182 come aventi diritto ai pagamenti di cui al comma 181. La norma sul punto non lascia spazi aperti a soluzioni interpretative "costituzionalizzanti". 3.b. - Finora si sono riproposte le contestazioni gia' espressamente proposte, in altra sede, a carico degli artt. 181, 182, 183 della legge n. 662/1996 e gia' ben note alla Corte costituzionale, ma anche altre norme della Costituzione risultano direttamente violate dalla medesima normativa. 3.b.1. - La violazione degli artt. 1, 70, 72, 77, 94 e136 della Costituzione. Le questioni di legittimita' costituzionale che, nel corso di altri giudizi, sono state sollevate a carico della serie dei decreti-legge, nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996, del Governo, per violazione degli artt. 1, 70, 72, 77 e 136 della Costituzione, ben lungi dall'essere superate dall'intervenuto art. 1, commi 181, 182, 183 e 184, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, devono essere trasferite dai precedenti "contenitori" normativi a quello attuale (come insegna la giurisprudenza della Corte costituzionale), poiche' le censure rivolte alla decaduta disciplina "provvisoria" del Governo restano valide anche nei confronti della normativa approvata dal Parlamento, la quale non presenta reali modifiche di sostanza, rispetto a quella dei decreti-legge decaduti, neppure in relazione alla copertura finanziaria e cio' anche con riferimento all'attuale formulazione dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, nel comma 181 (interamente sostituito) e, nel comma 182 (sostituito nel quarto periodo ed abrogato nell'ultimo), in forza dell'art. 3-bis (modifiche all'art 1, legge n. 662/1996) della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, dal momento che, comunque, resta immutata la previsione di pagamento in ben sei rate annuali delle somme maturate in favore degli aventi diritto in applicazione delle sentenze n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994 della Corte costituzionale. In verita' le modifiche apportate con l'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140, risultano di scarso peso ai fini della copertura finanziaria della spesa, perche' nella sostanza, la previsione del pagamento in contanti agli aventi diritto, previa collocazione sul mercato dei titoli di Stato, rispetto al pagamento mediante assegnazione di titoli di Stato, non muta il fatto che il pagamento del debito nei confronti degli aventi diritto si realizza sempre con un nuovo indebitamento a carico del bilancio dello Stato. Permane, inoltre ed in particolare, assolutamente identica la previsione dell'estinzione d'ufficio dei processi pendenti, nonche' l'individuazione dei soggetti aventi diritto al pagamento delle somme di cui si e' gia' detto, mentre le modifiche apportate successivamente nei vari provvedimenti del Governo ed in quelli del Parlamento all'indicazione della copertura finanziaria (come si e' gia' detto) ed, altresi', al regime degli accessori del credito non costituiscono vere e reali, non marginali e non meramente formali e solo apparenti, modifiche, che diano luogo ad una sostanzialmente diversa regolamentazione rispetto a quella contenuta nel decreto-legge n. 166/1996. 3.b.2. - Deve essere riaffermato che l'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, la ragione e la logica impongono di escludere che le Camere possano procedere alla conversione in legge di decreti-legge iterati o reiterati, quando, rispetto al suo precedente, l'ultimo decreto non sia destinato a regolare un nuovo caso straordinario di necessita' ed urgenza e quando non contenga quel minimo livello di novita' e diversita' sostanziale, requisiti essenziali per consentire di affermarne l'autonoma esistenza. Quando il contenuto del decreto-legge di pura iterazione o reiterazione venga trasfuso in un provvedimento legislativo approvato dalle Camere, non ci si trova davanti ad una tipica e tempestiva legge di conversione, ma ad una legge di anomala e tardiva conversione, se emessa nel termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto di iterazione o reiterazione che viene convertito. Ci si trova invece dinanzi ad una legge, non solo di anomala e tardiva, ma anche di "occulta" conversione, quando il contenuto del decreto-legge iterato o reiterato, decaduto e non piu' riproposto, venga trasferito in una legge approvata dalle Camere, senza un esame dei presupposti costituzionali che legittimano l'adozione del provvedimento d'urgenza del Governo. In entrambi i casi la legge che adotta la normativa della decretazione provvisoria del Governo e' affetta da tutti i vizi, di forma e di sostanza, del provvedimento acquisito. 3.b.3. Era ben presente alla Corte costituzionale il problema appena sopra considerato derivante dal fenomeno illecito dei decreti-legge iterati e reiterati, e cioe' quello delle leggi di conversione o sanatoria di tale genere di decreti, tanto presente che la Corte, nella sentenza n. 360/1996, ha ritenuto di dover (senza necessita' ai fini della decisione) esprimere il seguente principio: "Restano, peraltro, salvi gli effetti dei decreti-legge iterati o reiterati gia' convertiti in legge o la cui conversione risulti attualmente in corso, ove la stessa intervenga nel termine fissato dalla Costituzione. A questo proposito va, infatti, considerato che il vizio di costituzionalita' derivante dall'iterazione o dalla reiterazione attiene, in senso lato, al procedimento di formazione del decreto-legge in quanto provvedimento provvisorio fondato su presupposti straordinari di necessita' e urgenza: la conseguenza e' che tale vizio puo' ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la legge di conversione (o di sanatoria) abbiano assunto come propri i contenuti (o gli effetti) della disciplina adottata dal Governo in sede di decretazione d'urgenza". Non si puo' negare che, nel riferito obiter dictum, la Corte affermi un principio esatto e condivisibile, perche' impone, quale condizione inderogabile, che le Camere assumano come propri i contenuti della disciplina adottata dal Governo in sede di decretazione d'urgenza e cioe' impone che quegli stessi contenuti acquisiti nella legge di conversione vengano dalle Camere approvati per autonoma elaborazione, nel pieno rispetto delle norme della Costituzione che disciplinano la formazione delle leggi, senza "interferenze" e senza "coartazione" del Governo nell'iter di formazione della legge di conversione ed, altresi', senza "condiscendenza" verso il potere esecutivo. Cosi' ulteriormente sviluppata (si ritiene nel rispetto del suo vero significato) la tesi della Corte comporta che, quando la legge di anomala e tardiva conversione di decreti-legge iterati o reiterati non risulti approvata nel piu' assoluto rispetto degli articoli 70 e seguenti della Costituzione e non costituisca espressione di autonoma e libera volonta' ed incondizionata determinazione delle due Camere del Parlamento, il vizio di costituzionalita' derivante dall'iterazione o dalla reiterazione non puo' in nessun caso ritenersi sanato e, conseguentemente, determina l'incostituzionalita' della legge di conversione, per effetto del trasferimento ad essa del vizio genetico del decreto-legge iterato o reiterato. La formazione delle leggi non e' stata lasciata al caso dal legislatore costituzionale, ma puntigliosamente regolamentata, nella forte coscienza del valore assoluto e determinante del momento creativo della legge per l'esistenza di un sistema giuridico fondato su valori di liberta' e democrazia come quelli sanciti nella prima parte della Costituzione: cosi' negli artt. 70 e seguenti si rinvengono le regole per la creazione delle regole. Alla luce di tali regole costituzionali deve affermarsi che e' vietata al Parlamento, sia la conversione dei decreti-legge di pura iterazione o reiterazione, in quanto privi dei requisiti essenziali della novita' ed autonomia assoluta rispetto ai decreti iterati o reiterati, sia, comunque, l'approvazione di leggi che acquisiscano le norme contenute nei decreti-legge non convertiti, anche se non iterati. Infatti la previsione dell'art. 77 Cost., ove si dispone nell'ultimo periodo del secondo comma che "le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti", impone di ritenere precluso allo stesso legislatore di recepire in legge le norme dei decreti-legge non convertiti. Se e' certamente vero che l'illegittima prassi della reiterazione incide sugli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di governo e l'attribuzione della funzione legislativa, e' altrettanto vero che deleteri effetti sull'attribuzione del potere legislativo vengono determinati dalla passivita' delle Camere che approvino leggi di anomala conversione (o comunque le si voglia denominare), acquisendo, senza propria autonoma elaborazione, le norme contenute nei decreti-legge iterati o reiterati ed in quelli non convertiti, perche' anche in questi casi le Camere vengono ancora una volta espropriate del potere legislativo, a nulla rilevando che cio' si verifichi per responsabilita' delle stesse Camere, perche' risulta nello steso modo violata la Costituzione. Non puo' bastare a modificare il pensiero sopra esplicitato il grande rispetto per l'autonomia del Parlamento e per la funzione ad esso attribuita dalla Costituzione, giacche' e' anzi proprio tale rispetto che deve condurre a confermare la validita' delle considerazioni sopra espresse: solo la piena fedelta' e conformita' dell'operato delle istituzioni dello Stato alla Costituzione, senza deviazioni le benche' minime, puo' mantenere in vita lo Stato di diritto. Il principio della separazione di poteri non e' nella nostra Costituzione un puro simulacro, un mero retaggio di passate scuole filosofiche: e' regola diretta a tutelare la democrazia e la liberta' dello Stato, poiche' finalizzata a precludere ogni possibile insorgere di situazioni di potere assoluto e senza vincoli. Quando un potere dello Stato perde la consapevolezza della propria funzione e del dovere di conservare intatte le proprie attribuzioni - e cio' e' tanto piu' grave quando si verifica nel Parlamento, a causa di una sua composizione che veda una forte prevalenza della maggioranza sull'opposizione -, giungendo ad accettare passivamente una condizione di suddittanza nei confronti di un altro potere (o piu' altri), conformando, anche solo in linea di fatto, il proprio agire istituzionale alla volonta' dell'altro potere, si pongono le condizioni per il rischio del verificarsi di un pericoloso mutamento del sistema democratico in qualcosa d'altro, difficile da preconizzare, ma sicuramente non in linea con i principi costituzionali. 3.b.4. - In forza delle superiori premesse, questo giudice rimettente nutre fortissime perplessita' sulla legittimita' costituzionale dell'intera legge 23 dicembre 1996, n. 662, perche' approvata dal Parlamento in dispregio delle norme della legge fondamentale dello Stato che regolano la produzione legislativa. La stessa struttura della legge n. 662/1996 viola l'art. 72, primo ed ultimo comma, della Costituzione, a causa della sua composizione in soli tre articoli, contenenti un coacervo indistinto di materie disomogenee, cosi' formulata dal Governo al solo fine di poter chiedere il voto di fiducia (con violazione autonoma dell'art. 94 della Costituzione) su pochi articoli, in modo tale da accelerare al massimo l'iter parlamentare per rispettare i tempi di approvazione della legge di bilancio e collegate, precludendo la discussione sugli (come sempre innumerevoli) emendamenti presentati dall'opposizione e cio' a causa delle norme dei regolamenti delle due Camere che non consentono (all'epoca ancor meno) tempi ristretti per giungere alla definitiva approvazione delle leggi. Tale realta', qui denunciata con riferimento alla legge n. 662/1996, non e' una novita' e non e' l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del Parlamento, "connivente" lo stesso Parlamento, ridotto a mero esecutore della volonta' del potere esecutivo, mediante l'uso improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta della fiducia da parte del Governo, previa strutturazione della legge in pochi, ipertrofici, articoli contenenti un numero enorme di commi, a loro volta distinti in piu' parti, destinati a regolare un coacervo incredibile di materie, estremamente diverse tra loro, in assoluta violazione degli artt. 70 e seguenti della Costituzione, con particolare riferimento all'art. 72. 3.b.5. - Limitando la disamina alle sole disposizioni applicabili nel presente giudizio e cioe' a quelle sole norme rilevanti ai fini della decisione, questo pretore dubita della legittimita' costituzionale, in particolare, dell'art. 1, commi 181, 182, 183, della legge n. 662/1996, direttamente derivante dal fatto che tale articolo, nei suddetti commi si rappresenta come puro clone delle corrispondenti disposizioni contenute nella decaduta decretazione d'urgenza del Governo, espressa nei decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996, giacche' non apporta alcuna modifica sostanziale, ne' alcuna elaborazione originale delle due Camere del Parlamento alla disciplina introdotta dal Governo, atteggiandosi, nella realta', come tardiva forma di "conversione occulta" dei citati decreti-legge "seriali", dei quali, si deve ribadire, costituisce ennesima mera donazione. Puo', invero, ritenersi che il Parlamento assuma come propri i contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo in sede di decretazione d'urgenza solo quando le Camere approvino una legge in tutto e per tutto conforme alle regole costituzionali sulla formazione delle leggi, senza che possa rilevarsi una minima coercizione da parte del Governo sulla maggioranza che lo sostiene. Nel caso in esame non si ravvisa la possibilita' di ritenere che le Camere abbiano assunto come propri, nella legge n. 662/1996 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), i contenuti dell'art. 1, commi 1, 2, e 3, dei decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 decaduti, poiche': a) le relative norme non sono state neppure esaminate in sede di approvazione di uno specifico articolo di legge, a causa del loro inserimento in un "mostruoso" art. 1, sotto i commi numeri 181, 182 e 183; b) il mancato esame ed approvazione in un articolato normativo coerente (con la manifesta violazione dell'art. 72, commi 1 e 4, della Costituzione) e' stato voluto dal Governo, al fine unico di rendere rapida l'approvazione complessiva della legge stessa, mediante tre sole votazioni sulla mozione di fiducia presentata dallo stesso Governo su ogni singolo articolo della legge n. 662/1996. E' chiaro che il mancato dibattito parlamentare sulle disposizioni che qui interessano (e su tutte le altre della legge n. 662/1996) esclude la (piena) riferibilita' al Parlamento del contenuto della disciplina in discorso e, dunque, nega la sussistenza di quel requisito che la Corte cotituzionale ha affermato dover essere presente, perche' il vizio di legittimita' costituzionale derivante dall'iterazione o dalla reiterazione dei decreti-legge, (attinente, in senso lato, al procedimento di formazione del decreto-legge in quanto provvedimento provvisorio fondato su presupposti straordinari di necessita' e urgenza) possa ritenersi sanato. Tale realta', qui denunciata con riferimento alla legge n. 662/1996, non e' una novita' e non e' l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del Parlamento, "connivente" lo stesso Parlamento, ridotto a mero esecutore della volonta' del potere esecutivo, mediante l'uso improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta della fiducia da parte del Governo, soprattutto (ed e' la situazione piu' grave) in sede di approvazione di bilanci e consuntivi, previa strutturazione delle relative leggi in pochi, ipertrofici, articoli contenenti un numero enorme di commi, a loro volta distinti in piu' parti, destinati a regolare un coacervo incredibile di materie, estremamente diverse tra loro, in assoluta violazione degli artt. 70 e seguenti della Costituzione, come gia' si e' detto. Quanto qui sostenuto trova chiara conferma nel quarto comma dell'art. 94 della Costituzione, poiche' e' chiaro che alla luce di tale disposizione, in forza della quale "il voto contrario di una o entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni", e' implicitamente esclusa la possibilita' di una richiesta del voto di fiducia da esprimere contestualmente al voto su articoli di legge in corso di approvazione. 3.b.6. - Deve essere, pertanto, rilevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dei commi 181, 182 e 183, nella loro interezza ed in ogni singola parte e parola e norma nei medesimi espressa, dell'art. 1 della legge n. 662/1996, per violazione, degli artt. 1, 70, 72, 77, 94 e 136 della Costituzione. 4. - Sui requisiti della rilevanza in causa e della non manifesta infondatezza delle nuove questioni di legittimita' costituzionale sopra rilevate. Le questioni di legittimita' costituzionale sopra sviluppate non sono manifestamente infondate e sono anche rilevanti, poiche' il presente giudizio non puo' "essere definito indipendentemente" dalla loro risoluzione: la dichiarazione della illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che ha, in modo del tutto anomalo, tardivamente ed "occultamente" convertito in legge l'art. 1 della serie di decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996, nonche' dell'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140, avrebbe, infatti, l'effetto di restituire integra a questa autorita' giudiziaria, non piu' costretta nella sua attivita' di amministrazione della giustizia al solo compito di dichiarare estinti d'ufficio i processi pendenti, la sua funzione e, cosi', il potere-dovere di individuare e definire la normativa da applicare al caso concreto portato al suo esame, dovendosi valutare se la perdita di efficacia delle disposizioni di legge in discorso conduca necessariamente al ripristino della vigenza della normativa precedente, ovvero se altra normativa possa essere applicata in via di interpretazione estensiva o per analogia, secondo le regole fissate dall'ordinamento giuridico per l'interpretazione della legge. 5. - Il riesame delle precedenti questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge n. 903 del 1965, come manipolato dalla sentenza Corte costituzionale n. 495 del 1993. Definite nei termini sopra chiariti le questioni di legittimita' costituzionale a carico della normativa sopravvenuta, e' giunto il momento di riesaminare le censure rivolte, nell'ordinanza del 7 dicembre 1995, all'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, come modificato dalla sentenza 29-31 dicembre 1993, n. 495, della Corte costituzionale, per violazione degi artt. 81, 136, primo comma, 101 e 104, primo comma, della Costituzione. Tali questioni non possono essere riproposte, perche', alla luce della sopravvenuta normativa, devono ritenersi non rilevanti nel giudizio a quo: l'art. 22 della legge n. 903 del 1965, come "adeguato" dalla sentenza n. 495/1993 del giudice delle leggi, deve, infatti, ritenersi implicitamente abrogato dall'art. 1, commi 181 e 182, della legge n. 662/1996, nel testo conseguente alle modifiche apportate dall'art. 3-bis della legge n. 140/1997. In verita' questo giudice deve riconoscere di essere giunto a tale conclusione solo grazie allo studio dell'ordinanza 18-25 luglio 1997, n. 278 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 33, prima serie speciale, dell'anno 1997) - con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'inammissibilita' del conflitto di attribuzione proposto da questa autorita' giudiziaria nei confronti del Parlamento -, poiche' solo partendo dalla considerazione del fatto che, comunque, i commi 181 e 182 contengono "una disciplina sostanziale di diritti in materia pensionistica" (come appunto precisato dal giudice delle leggi) questo pretore e' pervenuto a concludere per l'avvenuta abrogazione della norma "virtuale" creata dalla sentenza n. 495/1993 della Corte costituzionale. Il richiamo, disapplicante, della sentenza n. 495 del 1993 (per quanto qui interessa, ma il discorso vale anche per la sentenza n. 240 del 1994) operato nel testo attualmente vigente dell'art. 1, commi 181 e 182, della legge n. 662/1996, regolando gli effetti della medesima sentenza sull'art. 22 della legge n. 903/1965, determina l'abrogazione della norma "virtuale" - costituita dalla decisione "additiva" della Corte integrata (secondo la teoria dominante che costituisce "diritto vivente") nella stessa disposizione -, poiche' definisce l'ambito di applicabilita' della stessa norma "virtuale" in modo tale da non consentire alla stessa di esplicare in modo diverso i propri potenziali effetti. Ritiene questo giudice di non poter riproporre le censure di costituzionalita' rivolte alla norma "virtuale" in discorso, neppure come ipotesi consequenziale correlata alla previa contestazione della legittimita' costituzionale dei commi 181, 182 e 183 dell'art. 1 della legge n. 662/1996, poiche' la prospettiva giuridica conseguente all'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' dei detti commi non e' necessariamente quella del risorgere della vigenza della disposizione "virtuale" abrogata. L'incertezza giuridica sull'esito delle questioni di legittimita' costituzionale all'esame del giudice delle leggi e' assoluta, anche in considerazione del fatto che i numerosissimi profili di incostituzionalita', sollevati a carico della normativa contenuta prima nei decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996 e poi trasfusa nei commi 181, 182 e 183 della legge n. 662 del 1996, non sono univoci e, dunque, non conducono ad un medesimo risultato sulle conseguenze interpretative di una eventuale dichiarazione d'incostituzionalita' di una o piu' delle norme impugnate, con riferimento alle disposizioni di legge previgenti. 5.a. - E' doveroso, altresi', ancora aggiungere che, in particolare (ma non solo), risulta irrilevante la questione inerente la violazione degli artt. 136, primo comma, 101 e 104, primo comma, della Costituzione, poiche' questo giudice ha modificato il proprio orientamento sulle sentenze "legislative" della Corte costituzionale, in modo tale da rendere inammissibile una riproposizione della stessa questione, poiche' essa si porrebbe come richiesta di parere alla Corte. Con la sentenza n. 368, emessa in data 27 aprile 1998, nelle cause riunite r.g. nn. 3424/1993 e 82/1998, promosse da Tarchi Aldo contro l'INPS, nelle quali il ricorrente chiedeva, tra l'altro, l'applicazione in proprio favore della sentenza "additiva" n. 822 del 1988 della Corte costituzionale, questo giudice ha, infatti, corretto in parte la propria giurisprudenza (risalente alla fine dell'anno 1994) che affermava, in modo perentorio ed assoluto, la non conformita' all'art. 136 della Costituzione di tutte le decisioni del giudice delle leggi che vengono di solito definite "additive" (ma anche "manipolative", "adeguatrici" e, da questo pretore, "legislative"), traendone la conseguenza della loro inefficacia e, dunque, la non vincolativita' per l'autorita' giudiziaria. In forza di considerazioni che appare superfluo qui richiamare questo pretore e' pervenuto a ritenere: a) che le sentenze "additive" del giudice delle leggi devono essere interpretate dall'autorita' giudiziaria, al fine di accertare se esse siano realmente dirette a caducare una norma di legge, o se, invece, il loro fine sia esclusivamente quello di integrare una disposizione, dettando una regola scelta dalla Corte, previa strumentale dichiarazione di incostituzionalita' di una norma che la Corte, pero', non vuole in nessun modo rendere inefficace, ne' in tutto, ne' in parte; b) che le sentenze "additive" sono pienamente efficaci, ma esclusivamente nella loro parte dichiarativa dell'incostituzionalita' delle norme ed atti aventi forza di legge, qualora risulti chiara la volonta' di giungere all'effetto previsto dall'art. 136 della Costituzione, cioe' quello di determinare la cessazione dell'efficacia delle norme ritenute e dichiarate incostituzionali; c) che le stesse sentenze, nella loro parte propriamente "additiva", destinata a ricostruire il contenuto della norma in senso conforme alla Costituzione, in nessun caso possono essere ritenute vincolanti ed idonee a sostituire, integrare o modificare le parti dichiarate illegittime, ma senza efficacia caducatoria, delle disposizioni di legge; d) che resta nella esclusiva funzione del legislatore il potere di dettare nuove norme per sostituire quelle caducate dalle sentenze del giudice delle leggi, ovvero di disciplinare in modo conforme alla Costituzione, eventualmente seguendo l'ipotesi "adeguatrice" della Corte, le norme dichiarate incostituzionali in sentenze del giudice delle leggi inidonee a raggiungere gli effetti tipici previsti nell'art. 136 della Costituzione; e) che appartiene all'utorita' giudiziaria la funzione di interpretazione, nei termini previsti dalla legge, del sistema di diritto positivo, al fine anche di riempire i vuoti normativi determinati dalle sentenze caducatorie, ivi comprese anche quelle "additive" aventi tale efficacia, della Corte costituzionale. In tal modo nessuna attribuzione costituzionale viene sottratta agli organi titolari, restando integre le funzioni del legislatore, della Corte costituzionale e dell'autorita' giudiziaria, senza spazio per un conflitto tra i tre organi dello Stato. Poiche' tale revisione della propria giurisprudenza non conduce piu' necessariamente alle conseguenze di quella precedente, e' chiaro che non sussistono piu' le condizioni per riproporre al giudice delle leggi la questione di legittimita' costituzionale a carico dell'art. 22 della legge n. 903/1965, come "modificato" dalla sentenza n. 495/1993, per violazione degli artt. 101 e 104, primo comma, e 136 della Costituzione. 6. - Ai sensi dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, questo giudizio deve essere sospeso e deve ordinarsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
P. Q. M. Dichiara non manifestamente infondate e rilevanti in causa e, pertanto, rileva d'ufficio le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: a) dell'art 1, commi 181, 182 e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, come modificato dall'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, recante misure di' riequilibrio della finanza pubblica, per violazione degli artt. 24, 25, 101, 102, 104 e 113 della Costituzione; b) dei commi 181, 182 e 183, nella loro interezza, ed in ogni singola parte e parola e norma nei medesimi espressa, dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996 n. 662, come modificato dall'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, per violazione, degli artt. 1, 70, 72, 77, 94 e 136 della Costituzione; Sospende il giudizio; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, disponendo la notifica al Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Manda alla cancelleria per l'esecuzione. Brescia, addi' 11 giugno 1998 Il pretore: Onni 98C1041