N. 452 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 luglio 2006
Ordinanza emessa il 4 luglio 2006 dal tribunale dei minorenni di Roma nel procedimento relativo alla minore V. M. A. Straniero - Espulsione amministrativa - Provvedimento espulsivo riguardante i genitori di un minore per il quale il Tribunale dei minorenni stia procedendo per accertare la sussistenza dello stato di abbandono - Richiesta da parte del Questore di previo nulla osta del Tribunale dei minorenni stesso - Mancata previsione - Incidenza su diritto fondamentale della persona - Violazione di obblighi internazionali - Incidenza sul diritto di difesa - Lesione del principio di tutela della famiglia - Violazione dei principi del giusto processo. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3, come sostituito dall'art. 12, comma 1, lett. a), della legge 30 luglio 2002, n. 189. - Costituzione, artt. 2, 10, 24, 30 e 111. Straniero - Espulsione amministrativa - Trattenimento nel centro di permanenza temporanea della madre di prole di eta' inferiore ai tre anni con lei convivente o, in subordine, della madre nel primo anno di vita del figlio - Esclusione - Mancata previsione - Violazione del principio di uguaglianza per ingiustificata deteriore disciplina rispetto all'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere di madre con prole di eta' inferiore ai tre anni per la quale debbono sussistere esigenze cautelari «di eccezionale rilevanza». - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14. - Costituzione, art. 3.(GU n.24 del 20-6-2007 )
IL TRIBUNALE Nella Camera di consiglio del 30 giugno 2006 ha pronunciato la presente ordinanza nel giudizio aperto d'ufficio in data 15 maggio 2006 ai sensi degli art. 8 e ss. della legge 4 maggio 1983 n. 184 e successive modifiche per accertare lo stato di abbandono della minore V. M. A., nata a Roma il 1° maggio 2006, figlia di V. D. e R. M., entrambi cittadini di nazionalita' romena, nati rispettivamente a Cugir il 13 giugno l972 il padre e a Tarnaveni il 22 settembre 1986 la madre; Premesso in fatto che veniva segnalata il giorno 12 maggio 2005 la presenza di M. R., con la figlia di pochi giorni in braccio, intenta, ormai da diverse ore e sotto il sole, a chiedere l'elemosina in piazza Argentina a Roma; entrambi i genitori venivano fermati e la neonata trasferita immediatamente in ospedale; al momento del ricovero in ospedale la bambina, che aveva appena dodici giorni, risultava affetta da una «crisi di apnea prolungata e cianosi», secondo quanto riportato nella relazione clinica del Dipartimento di Neonatologia dell'Ospedale Bambin Gesu'; a seguito del trasferimento in questura, il giorno 13 maggio 2005 ad entrambi i genitori e' stato notificato decreto di espulsione, mentre per la sola madre e' stato contestualmente disposto il trattenimento presso il centro di permanenza temporanea, dove tuttora si trova, ai sensi dell'art. 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), con la duplice motivazione della «necessita' di procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identita» e della «indisponibilita' del vettore o altro mezzo di trasporto idoneo»; con decreto presidenziale del 15 maggio 2005 veniva disposta l'apertura d'ufficio del giudizio per l'accertamento dello stato di abbandono della minore ai sensi dell'art. 8 e ss. della legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modifiche, sospesa la potesta' dei genitori e disposto il collocamento della minore in struttura idonea; con successiva nota l'Ufficio Immigrazione della Questura di Roma ha chiesto a questo tribunale di conoscere se «nulla osti all'espulsione della straniera o se, al contrario, si vogliano impartire diverse disposizioni»; con decreto emesso in data 19 maggio 2006 ai sensi dell' art. 10 comma quarto della legge 4 maggio 1983 il tribunale ha «confermato la sospensione dalla potesta' dei genitori e la nomina di tutore provvisorio, l'affidamento della minore al servizio sociale, precisando l'incarico al servizio affidatario di effettuare il collocamento in struttura idonea unitamente alla madre; nel corso del procedimento sono stati sentiti i genitori ed entrambi hanno chiesto di riprendere con se' la figlia per far ritorno con lei in Romania; e' stata data comunicazione al consolato della Romania della pendenza del presente giudizio; con atto del 15 giugno 2006 il p.m. ha formulato parere favorevole alla pronuncia «di non luogo a provvedere se il nucleo familiare dimostri la reale intenzione di far rientro in Romania ove dichiarano di poter usufruire di condizioni familiari migliori». Cio' premesso sugli elementi di fatto salienti della vicenda, ad esito della discussione nella Camera di consiglio del 30 giugno 2006 ritiene il tribunale che per le ragioni che seguono sussistano in primo luogo concorrenti profili di illegittimita' costituzionale, con riferimento agli artt. 2, 10, 24, 30 e 111 della Costituzione, del comma 3 dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 12 comma 1, lett. a) della legge 30 luglio 2002 n. 189, recante modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo, nella parte in cui non prevede che, prima di eseguire l'espulsione, il questore debba richiedere il nulla osta al tribunale per i minorenni quando destinatario del provvedimento espulsivo sia il genitore di un minore per il quale il tribunale sta procedendo per accertare la sussistenza dello stato di abbandono. Quanto alla rilevanza della eccezione di legittimita', osserva il Collegio che proprio in ragione della sequenza dei fatti descritta in precedenza, la mancata previsione della necessita' del nulla osta, con la conseguente impossibilita' per questo tribunale di disporre la provvisoria sospensione dell'esecuzione del provvedimento espulsivo in ragione delle esigenze processuali che originano dal giudizio per l'accertamento dell'abbandono della minore, determina conseguenze dirette ed attuali sul giudizio in corso, impedendo lo svolgimento degli approfondimenti istruttori indispensabili per pervenire ad un esito decisorio adeguatamente motivato. Solo la sospensione del provvedimento espulsivo infatti, ad avviso del Collegio, consentirebbe lo svolgimento, in un lasso temporale adeguato e con la necessaria partecipazione dei genitori, degli approfondimenti istruttori richiesti nel giudizio per l'accertamento dello stato di abbandono. Quanto invece alla non manifesta infondatezza della questione, va osservato che secondo l'attuale disciplina espressa dall'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 il provvedimento espulsivo e' sempre immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o a impugnativa da parte dell'interessato; l'unico parere attribuito all'autorita' giudiziaria di rilascio necessario del nulla osta, con conseguente sospensione dell'esecuzione del provvedimento espulsivo in caso di diniego, e' quello riferito al giudice penale,. quando ricorrano le concorrenti condizioni elencate al comma terzo della disposizione predetta. Per questo il nulla osta, pur di fatto richiesto in questa vicenda dall'Ufficio immigrazione della Questura di Roma, non puo' essere da questo tribunale negato, come sarebbe invece indispensabile fare in ragione delle esigenze processuali proprie del procedimento di accertamento dell'abbandono; infatti un provvedimento del genere sarebbe abnorme perche' pronunciato in assenza di qualsiasi previsione di legge. Altri motivi di sospensione dell'esecuzione del provvedimento espulsivo non sono previsti nella normativa attuale; anche il divieto di espulsione previsto dall'art. 19 comma secondo lett. d) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che secondo l'interpretazione di questa Corte costituisce non un divieto assoluto ma una temporanea sospensione del potere espulsivo (sentenza 12-27 luglio 2000 n. 376 ed ordinanza 11 maggio 2006, n. 192), non vale effettivamente a risolvere le questioni emerse in questo giudizio; in primo luogo perche', secondo l'insegnamento di questa corte, non e' operante nei confronti del padre che non e' coniugato con la R. in secondo luogo perche' comunque l'arco temporale del semestre successivo alla nascita costituisce un termine rigido non necessariamente adeguato a comprendere ed esaurire le esigenze processuali proprie del giudizio di accertamento dell'abbandono. Neppure appare risolutiva la facolta' di rientro in Italia prevista dall'art. 17 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 del conclusivo riferimento al giudizio penale, quando lo straniero espulso sia indagato o imputato, o persona offesa; il tenore letterale inequivoco della disposizione, unitamente alla sanzione penale che invece e' prevista dal comma 13 dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche, nel caso di reingresso non autorizzato, esclude qualsiasi interpretazione della disposizione tale da ricomprendere nell'ambito di operativita' anche la fattispecie in questione. Se la sospensione dell'esecuzione del provvedimento espulsivo dei genitori non e' in alcun modo prevista dalla normativa attuale, assumono rilevanza ad avviso del tribunale i profili di incostituzionalita' richiamati. L'impedimento alla partecipazione da parte dei genitori al giudizio di accertamento dello stato di abbandono della figlia, conseguente all'esecuzione del provvedimento espulsivo, appare al tribunale in violazione in primo luogo dell'art. 24 della Costituzione e del diritto di difeso garantito dal precetto costituzionale. Secondo l'interpretazione di questa corte, tenendo conto dell'attuale struttura bifasica del giudizio di accertamento dello stato di abbandono, tuttora vigente per l'ennesima proroga in atto delle riforma introdotta con la legge 28, marzo 2001, n. 149, «nell'una e nell'altra fase del procedimento e' sempre garantita ai genitori la possibilita' di partecipazione; mentre il fatto che la cognizione sia piena in quest'ultima fase e sommaria nella prima trova sufficiente giustificazione nell'esigenza di maggiore celerita' di quest'ultima al fine di provvedere rapidamente sulla situazione di abbandono del minore» (sentenza 8 - 10 maggio 1995, n. l60). Di questa partecipazione, sempre assicurata anche nella fase sommaria in cui il giudizio a quo si trova, sono estrinsecazione necessaria sia l'audizione dei genitori preliminare alla conferma dei provvedimenti provvisori prevista dal comma 5 dell' art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, sia la comunicazione dei provvedimenti stessi, sia la convocazione dinanzi al Presidente o al giudice delegato ai sensi dell'art. 12 seguente e le necessarie ricerche previste dall'art. 13 nel caso di irreperibilita' dei genitori. Per altro queste attivita' processuali non esauriscono i momenti in cui la partecipazione dei genitori appare assolutamente indispensabile ai fini di decidere, o la loro assenza comunque rilevante quando gli stessi godono della liberta' di autodeterminarsi, come desumibile dall'interpretazione dell'art. 15 comma primo lett. a) che attribuisce rilievo alla mancata comparizione dei genitori nell'udienza presidenziale solo quando «non si sono presentati senza giustificato motivo». In ogni caso, infatti, l'attivita' istruttoria prevista nella fase sommaria non puo' ritenersi esaurita prima che siano stati completati gli accertamenti «sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive al fine di verificare se sussiste lo stato di abbandono», come previsto dal comma primo dell'art. 10. Nel caso di specie queste attivita' processuali non sono state ancora compiutamente svolte, gli approfondimenti . sulle condizioni della minore nella relazione con i genitori neppure concretamente iniziati tenuto conto della immediata esecutivita' del decreto espulsivo nei confronti del padre e del trattenimento della madre presso il centro di permanenza temporanea, e divengono definitivamente impossibili non appena il provvedimento espulsivo venga eseguito, stante il divieto di reingresso nel paese a seguito dell'esecuzione dell'espulsione, penalmente sanzionato, previsto dal comma 14 dell'art. 13 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche, come sostituito dall'art. 12 comma 1 lett. h) della legge 30 luglio 2002, n. 189 che, anche nella misura piu' ridotta, comunque non puo' in ogni caso essere inferiore al quinquennio. Di qui il profilo di incostituzionalita' rilevato in riferimento all'art. 24 della Costituzione. Il diritto di partecipazione dei genitori deriva anche da precisi obblighi assunti dall'Italia,con la ratifica di alcune convenzioni internazionali, in primo, luogo la Convenzione europea sull'adozione dei minori, conclusa a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357, secondo la quale «L'autorita' competente pronuncia. adozione solo dopo adeguata istruttoria sull'adottante, l'adottando e la famiglia di questo»; nel caso in questione proprio quest'ultimo aspetto viene inevitabilmente compromesso. Inoltre la Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, prevede all'art. 9 che la separazione del fanciullo dai propri genitori possa avvenire solo se le autorita' competenti decidono che questa, decisione sia «necessaria nell'interesse preminente del fanciullo» (comma primo) ed in tale eventualita' «tutte le parti interessate devono avere la possibilita' di partecipare alle deliberazioni e far conoscere le loro opinioni» (comma secondo). L'impedimento alla partecipazione determinato dall' esecuzione dell' espulsione viene quindi ad integrare anche violazione degli obblighi assunti dall'Italia con la ratifica degli atti convenzionali citati; per questa ragione la mancata sospensione del provvedimento espulsivo comporta anche un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale con riferimento all'art. l0 della Costituzione. Per altro la partecipazione dei genitori al giudizio di accertamento assume anche diversa rilevanza: non solo e' espressione necessaria delle garanzie difensive che trovano fondamento nell'art. 24 della Costituzione, ma rappresenta anche il contenuto privilegiato e peculiare di questo giudizio nel quale occorre verificare non solo l'esistenza eventuale di condotte abbandoniche da parte dei genitori precedenti all'apertura del giudizio, ma anche la persistenza di queste condotte e l'indisponibilita' ad ovviarvi nonostante le prescrizioni impartite ad esito della convocazione presidenziale, come precisato anche nella sentenza 8-10 maggio 1995, n. 160 di questa corte gia' in precedenza richiamata. L'assenza dei genitori espulsi priva il giudizio di elementi indispensabili ai fini del decidere ed incide direttamente sulla condizione della minore e sulle relazioni della figlia con i genitori, oggetto della cognizione giudiziale in corso; impedisce infatti di valutare le condotte successive all'apertura del giudizio e di formulare in tal modo una prognosi attendibile e non eterocondizionata sulla reversibilita' di queste condotte. Per queste ragioni l'impedimento che ne deriva configura ad avviso del Tribunale anche la violazione degli artt. 2 e 30 commi primo e secondo e dell'art. 111 della Costituzione, poiche' viene ad incidere su diritti fondamentali della minore, in primo luogo quello a crescere ed essere educata in una famiglia, che trovano garanzia nei precetti costituzionali richiamati, e nel contempo costituisce un impedimento incompatibile con il regolare ed approfondito svolgimento dell'accertamento giudiziale richiesto. Ne' in assenza di queste valutazioni l'esito decisorio puo' comunque determinarsi con la pronuncia di non luogo a provvedere, che sempre presuppone l'accertata inesistenza della condizione di abbandono, nel caso di minori stranieri non diversamente da minori di nazionalita' italiana, essendo in questione valori fondamentali della persona che non soffrono restrizioni derivanti dalla cittadinanza del minore e dei genitori. Un esito del genere sarebbe allo stato immotivato ad avviso del tribunale: il breve periodo di vita della minore con i genitori, appena tredici giorni, e l'impossibilita' di valutare la relazione genitoriale nel periodo successivo non consente di ritenere sussistente la condotta abbandonica, neppure pero' consente con certezza di escluderla, emettendo pronuncia di non luogo a provvedere e autorizzando il rientro della minore nel paese con i genitori, tenuto conto della gravita' delle condizioni di salute della neonata accertate al momento del ricovero ospedaliero e dell'evidente incuria manifestata a quel momento dai genitori. A questa conclusione induce per altro anche l'art. 8 comma 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 che stabilisce la giurisdizione del tribunale che procede nel caso di minori che «si trovano» nel distretto del tribunale stesso, senza alcun riferimento o limitazione alla nazionalita' degli stessi e senza che al successivo art. 16 sia prevista una formula decisoria di non luogo a provvedere motivata dalla condizione di cittadino straniero del minore, che si tradurrebbe di fatto in una pronuncia declinatoria della giurisdizione non prevista dal sistema, essendo possibile questo esito solo quando sia «esaurita la procedura prevista nei precedenti articoli e qualora ritenga che non sussistano i presupposti per la pronuncia per lo stato di adottabilita». La condizione di cittadino straniero del minore e dei suoi genitori assume piuttosto una diversa rilevanza nel giudizio di accertamento dello stato di abbandono, richiedendo al tribunale, gia' nella fase sommaria dello stesso, di stabi1ire i necessari rapporti con le autorita' consolari del paese di provenienza, al fine di informare dell'esistenza della pendenza del giudizio ed assumere a sua volta informazioni sulle condizioni dei componenti del nucleo familiare eventualmente ancora residenti nel paese di origine. Allarga quindi il campo degli approfondimenti previsti dall'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 e rende per questa ragione piu' impegnative le attivita' istruttorie da svolgere, rafforzando cosi' proprio quelle esigenze processuali gia' esposte in precedenza che dall'espulsione dei genitori risultano compromesse. I motivi sin qui esposti inducono quindi il tribunale a dubitare della legittimita' costituzionale della disposizione esaminata. Per ragioni diverse, sulla base dell'esame della vicenda oggetto di questo giudizio, dubita il tribunale della legittimita' costituzionale dell'art. 14 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche, con riferimento all'art. 3 Costituzione, nella parte in cui non esclude il trattenimento nei centro di permanenza temporanea della madre di prole di eta' inferiore ai tre anni con lei convivente o, in subordine, della madre nel primo anno di vita del figlio. La questione rileva nel presente giudizio in quanto la madre della minore, che ha partorito il 1° maggio 2006, risulta dal 13 maggio successivo trattenuta nel centro di permanenza temporanea e questa decisione ha di fatto reso inefficace sino ad oggi il decreto con cui questo tribunale il successivo 19 maggio ha disposto il collocamento della minore con la madre presso struttura idonea, interrompendo cosi' da quel momento qualsiasi relazione tra la madre e la figlia neonata e rendendo impossibile l'osservazione diretta delle competenze genitoriali che nel procedimento di accertamento dello stato di abbandono costituisce un passaggio istruttorio essenziale. Quanto invece alla non manifesta infondatezza della questione, ad avviso del tribunale il raffronto tra la condizione della madre trattenuta nel centro di permanenza temporanea e quella della stessa persona sottoposta a misura di custodia cautelare in carcere o detenuta per espiazione pena, evidenzia possibili profili di incostituzionalita' dell'art. 14 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche in riferimento all'art. 3 Costituzione per la disparita' del trattamento in violazione del principio di uguaglianza. Va premesso, anche sotto questo profilo, che il divieto di espulsione previsto dal comma secondo lett. d) dell'art. 19 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 non e' risolutivo del dubbio di legittimita' costituzionale in esame; se infatti il divieto espresso dalla norma costituisce non un divieto assoluto ma una temporanea sospensione del potere espulsivo (sentenza 12 - 27 luglio 2000, n. 376 ed ordinanza 11 maggio 2006, n. 192), allora il contenuto del divieto non riguarda la possibilita' di emettere il decreto espulsivo, ma solo di darne immediatamente esecuzione. Per questo nel periodo intermedio che separa l'emissione del provvedimento d'espulsione dalla sua esecuzione resta possibile che la donna straniera sia trattenuta nel centro di permanenza temporanea, ogni volta che sia ritenuto sussistente uno dei motivi di cui al primo comma dell'art. 14 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Cio' premesso, va richiamato l'insegnamento della Corte secondo cui il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea costituisce misura incidente sulla liberta' personale, che non puo' essere adottata al di fuori delle garanzie dell'art. 13 della Costituzione, questo in quanto «Si determina nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalita' di assistenza, quella mortificazione della dignita' dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere e che e' indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera della liberta' personale» (sentenza 22 marzo - 10 aprile 2001, n. 105). Nel caso di trattenimento di una donna straniera, madre di minore in tenera eta', in questo caso appena neonata, la mortificazione della dignita' che necessariamente consegue all'assoggettamento al potere altrui (divieto assoluto per la straniera di allontanarsi dal centro, attribuzione al questore del potere di ripristinare la misura nel caso di allontanamento indebito ) si accompagna alla cesura completa di qualsiasi rapporto con la figlia in tenera eta'. Questa condizione, sia che il trattenimento sia raffrontato con l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, sia che invece sia posto a confronto con la condizione della madre detenuta per espiazione pena, risulta in entrambi i casi significativamente ed immotivatamente piu' afflittivo di quella applicato nelle diverse situazioni comparate. La violazione dell'art. 3 Costituzione risulta ad avviso del tribunale fondata ove si consideri che nel caso dell'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere a madre di prole di eta' inferiore ai tre anni debbono ricorrere, con le condizioni generali di applicabilita' previste dall'art. 273 c.p.p., anche le esigenza cautelari dell'art. 274 c.p.p., qualificate dal comma quarto dell'art. 275 c.p.p. come «di eccezionale rilevanza», a seguito della modifica introdotta dall'art. 1 lett. a) della legge 12 luglio 1999, n. 231. Invece nel caso del trattenimento nel centro di permanenza temporanea della donna in eguali condizioni nel rapporto genitoriale con il figlio, la privazione della liberta' personale non solo avviene in, assenza di qualsiasi elemento raffrontabile ai «gravi indizi di colpevolezza» di cui al comma primo dell'art. 273 c.p.p., dal momento che la privazione della liberta' personale determinata dalla detenzione amministrativa avviene senza che sussista alcuna ipotesi di reato, ma rappresenta anche la modalita' ordinaria e generalizzata adottata ogni volta che ricorrano le esigenze previste dal primo comma dell'art. 14 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e non piuttosto una misura incidente sulla liberta' personale legittima solo in casi eccezionali e per questa ragione residuale. A conclusioni ancor piu' nette si dovrebbe pervenire nel raffronto con la condizione della madre nel caso di espiazione della pena, poiche' in base all'art. 146 comma 2 c.p., come sostituito dall'art. 1 comma 1 della legge 8 marzo 2001, n. 40, l'esecuzione della pena viene differita obbligatoriamente sino al compimento del primo anno di vita del figlio, mentre, anche quaiido sussistesse l'abbandono del figlio, elemento questo che nel caso di specie non puo' certo ritenersi sussistente essendo invece ancora oggetto di accertamento giudiziale, comunque non potrebbe darsi luogo all'esecuzione nei due mesi successivi al parto. In questa vicenda invece la privazione della liberta' personale della madre e la conseguente censura completa dei rapporti con la figlia sta avvenendo ne due mesi successivi al parto senza che sia stata dichiarata la decadenza dalla potesta' del genitore ne' che sia stato giudizialmente accertato l'abbandono. Questa diversita' di trattamento induce a dubitare, ad avvio del Collegio, della legittimita' costituzionale della disposizione esaminata in relazione all'art. 3 della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma terzo dell'art. 13 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 per contrasto con gli artt. 2, 10, 24, 30 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che, prima di eseguire l'espulsione, il questore debba richiedere il nulla osta al Tribunale per i minorenni quando destinatario del provvedimento espulsivo sia il genitore di un minore per il quale il Tribunale sta procedendo per accertare la sussistenza dello stato di abbandono; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non esclude il trattenimento nel centro di permanenza temporanea della madre di prole di eta' inferiore ai tre anni con lei convivente o, in subordine, della madre nel primo anno di vita del figlio. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina ohe a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata ai sig. ri V. D. e R. M., genitori della minore V. M. A., al p.m., al tutore nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; Ordina a cura della cancelleria la comunicazione dell'ordinanza anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, il 30 giugno 2006 Il Presidente: Rivellese Il giudice estensore: Cottatellucci 07C0771