N. 103 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 giugno 2006
Ordinanza emessa il 13 giugno 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il 9 febbraio 2007) dalla Corte di appello di Cagliari - Sezione distaccata di Sassari, nel procedimento penale a carico di Falconi Antonello ed altro Processo penale - Appello - Modifiche normative - Previsione di limiti al potere d'appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento nel giudizio ordinario e nel giudizio abbreviato - Disparita' di trattamento tra la parte pubblica e le parti private - Violazione del principio di parita' delle parti nel processo - Contrasto con i principi dell'obbligatorieta' dell'azione penale e della finalita' rieducativa della pena. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, artt. 1 (sostitutivo dell'art. 593 del codice di procedura penale), 2 (modificativo dell'art. 443 del codice di procedura penale) e 10. - Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, 111 e 112.(GU n.11 del 14-3-2007 )
LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza nel giudizio d'appello a carico di Antonello Falconi, nato a Fonni il 10 maggio 1968, ivi residente in c.so V. Emanuele 53, e Pietro Salvatore Masuni, nato a Nuoro il 16 aprile 1973, residente a Fonni in via S. Matteo 4, imputati, Entrambi: A) del delitto di cui agli artt. 110, 628, primo e terzo comma nn. 1 e 2 c.p. per essersi, in concorso tra loro, riuniti con altra persona non identificata, impossessati con la minaccia delle armi e con violenza esercitata nei confronti di Pili Sebastiano e Delogu Domenico che legavano alla portiera, di un furgone Fiat Ducato tg. Roma 37609R di proprieta' dell'amministrazione postale, al fine di sottrarre valori al momento non trasportati da detto furgone; B) del delitto di cui agli artt. 110, 635 c.p.v. n. 1 c.p. per avere, in concorso tra loro e con persona allo stato non identificata, danneggiato con violenza e minaccia il furgone di cui al capo A), forandone una gomma; C) del delitto di cui agli artt. 110, 648 c.p. per avere, in concorso tra loro e con persona allo stato non identificata, al fine di commettere il delitto previsto al capo A), con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico due pistole e un mitra di tipo e calibro imprecisati; D) del delitto di cui agli artt. 110, 648 c.p. per avere, in concorso tra loro e con persona allo stato non identificata, al fine di trarne profitto, acquistato o comunque ricevuto un mitra d'illecita provenienza perche' non commerciabile; E) del reato di cui agli artt. 81 c.p.v., 697 e 703 c.p. per avere, in concorso tra loro e con persona allo stato non identificata, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusivamente detenuto le munizioni destinate alle armi descritte ai capi precedenti ed esploso un colpo d'arma da fuoco lungo la pubblica via. Falconi Antonello: F) del delitto di cui agli artt. 61 n. 2, 367 c.p. per avere, al fine di commettere il delitto descritto al capo A), affermato falsamente con denuncia ai Carabinieri di Fonni di avere subito il furto dell'autovettura Alfa 75 tg CA/582446 di sua proprieta' usata per compiere la rapina descritta al precedente capo A). In Fonni, il 14 agosto 1992 e in agro di Fonni, loc. Goroneo, il 14 agosto 1992. Considerato che, con sentenza n. 509/05 in data 7 giugno 2005 del Tribunale penale collegiale di Nuoro Falconi e Masuri sono stati assolti dai reati loro contestati, e rilevato che contro questa decisione ha interposto appello il pubblico ministero che ha chiesto l'affermazione di responsabilita' degli imputati e la loro condanna a pena di giustizia; Rilevato, altresi', che in udienza il p.g. ha osservato (richiamando integralmente il contenuto di memoria scritta) che, a seguito della entrata in vigore della legge 20 febbraio 2006 n. 46, applicabile, a norma dell'art. 10 di essa, anche ai procedimenti in corso, il proposto gravame dovrebbe essere, con ordinanza inoppugnabile giusta l'art. 10.2 della legge citata, dichiarato inammissibile avendo l'art. 1 della medesima legge reso inappellabili le sentenze di assoluzione, e che tuttavia, essendo ravvisabile contrasto fra gli articoli 1, 2, 10 e 12 della legge n. 46/2006 e gli artt. 3 e 111 della Costituzione, la corte dovrebbe rimettere gli atti alla corte costituzionale; Sentite le parti, O s s e r v a I profili di incostituzionalita' proposti dal procuratore generale sono non manifestamente infondati: l'art. 111 della Costituzione garantisce il principio della parita' delle parti nel processo, e questo principio, nella previsione costituzionale, non soffre di eccezioni di sorta (come invece puo' avvenire per altri principi, come quello della formazione della prova in contraddittorio pure stabilito dal medesimo articolo 111). L'esclusione della possibilita' che il pubblico ministero possa gravarsi contro le sentenze di proscioglimento con lo stesso mezzo riconosciuto all'imputato avverso le sentenze di condanna comporta l'introduzione nel sistema delle impugnazioni di una evidente irragionevole disparita' di trattamento che contrasta con il richiamato principio della parita' delle parti nello svolgimento del processo. Giustamente ha poi osservato il p.g. che questo enunciato non confligge con le ripetute pronunce negative della corte costituzionale chiamata ad esprimersi sulle limitazioni al potere d'appello del pubblico ministero stabilite dall'art. 443.3 c.p.p., essendo le disparita' derivanti da questa disposizione ragionevolmente giustificabili alla luce del risultato perseguito con il ricorso al rito abbreviato e delle peculiarita' di questo. Il risultato e' quello della rapida definizione dei processi penali conseguita attraverso la decisione del processo solo sulla base del materiale probatorio raccolto dalla parte pubblica fuori del contraddittorio, e pertanto con una correlativa rinuncia dell'imputato ad intervenire nel delicato momento della formazione della prova, in vista del miglior trattamento sanzionatorio a lui riservato in caso di affermazione di responsabilita'. E tuttavia, se in un quadro siffatto e' parso ragionevole limitare la facolta' di impugnazione del pubblico ministero quanto alle sentenze di condanna (e pertanto in relazione alla quantificazione della pena), altrettanto non pare proprio possa dirsi in relazione alle sentenze di assoluzione, pur pronunciate a seguito di rito abbreviato, stante il perdurante interesse della parte pubblica all'accertamento della verita' (e quindi della responsabilita' dell'imputato che dall'acclaramento della verita' possa risultare), come d'altro canto dimostra il fatto che e' stata conservata al p.m. la facolta' di appellarsi contro le sentenze di condanna che modifichino il titolo del reato. A proposito del generale interesse del p.m. a proporre appello contro le sentenze di proscioglimento conserva piena validita' il richiamo contenuto nel messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere la' dove si osserva che «la soppressione dell'appello delle sentenze di proscioglimento ... fa si' che la stessa posizione delle parti nel processo venga ad assumere una condizione di disparita' che supera quella compatibile con la diversita' delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo. Le asimmetrie tra accusa e difesa costituzionalmente compatibili non devono mai travalicare i limiti fissati dal secondo comma dell'art 111 della Costituzione». Degne di piena approvazione appaiono poi le notazioni svolte dal procuratore generale in risposta alle obbiezioni che potrebbero farsi alla sua tesi e secondo le quali la soppressione della facolta' d'appello del p.m. contro le sentenze di proscioglimento risponderebbe ad esigenze di celerita' del processo, e sarebbe per altro verso coerente con la presunzione di innocenza dell'imputato o con il precetto per il quale la colpevolezza deve essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. Quanto alla prima di tali osservazioni giustamente si e' ricordato che le esigenze di celerita' non hanno impedito la conservazione della facolta' di cui all'art. 443.3 c.p.p., e che, al contrario, saranno proprio le esigenze di celerita' ad essere sacrificate quando, nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione proposto dal p.m. contro la sentenza assolutoria, il processo ritornera' in primo grado con la prospettiva della celebrazione (anche) del giudizio d'appello in caso di condanna dell'imputato. Il principio di non colpevolezza implica soltanto il fatto che le conseguenze pratiche della condanna possano discendere solo dalla sentenza definitiva, e nessuna conseguenza puo' trarsi da esso circa l'iter per il quale si debba pervenire al giudicato. Quello per il quale la colpevolezza puo' essere affermata solo quando sia provata oltre ogni ragionevole dubbio sembra, invece, in questo caso, un principio di lettura equivoca, posto che se si sostiene la inappellabilita' della sentenza con la quale un giudice abbia pronunciato assoluzione poiche' l'eventuale successiva condanna non potrebbe essere pronunciata fuor di ogni ragionevole dubbio, potrebbe altrettanto legittimamente sostenersi che sarebbe del pari inutile un giudizio d'appello contro una sentenza di condanna che, ad esito di un processo celebrato in condizioni di parita' delle parti, sarebbe pronunciata sulla scorta di prove che dimostrino con la stessa sicurezza la colpevolezza. Che poi l'esclusione dell'appellabilita' delle sentenze di proscioglimento da parte della accusa pubblica sia coerente all'esplicazione dei diritti della difesa e' stato giustamente contestato dal procuratore generale osservandosi che insopprimibile funzione del processo penale e' quello dell'accertamento della verita', e tale prospettiva deve essere perseguita nel rispetto dei, piu' che giusti, diritti della difesa da far valere tuttavia nell'ambito del processo e non nel senso che il confronto fra le tesi debba essere evitato (in altri termini deve potersi esercitare la difesa nel processo e non gia' dal processo). Nessuno dubita che nel giudizio d'appello l'imputato debba poi godere del pieno dispiegamento dei diritti che la legge giustamente gli riconosce: ma non si vede in che cosa la celebrazione del secondo grado del giudizio di merito, sia pure ad istanza del p.m., possa compromettere il diritto di difesa (diverso sarebbe se ci si appellasse al principio del favor rei, che pero' vale nei soli casi in cui la legge faccia ad esso riferimento e non risulta essere stato ricompreso fra quelli garantiti dalla Costituzione). A tutte le notazioni svolte dal procuratore generale, che questa corte condivide e fa proprie, puo' aggiungersi che il contrasto delle disposizioni denunciate rispetto all'art. 111 (ed anche, a questo punto, all'art. 3) della Costituzione) apparira' ancor piu' evidente quando si osservi che nella stesura definitiva della legge 20 febbraio 2006 n. 46 alla parte civile e' stato invece conservato il diritto d'appello avverso le sentenze di assoluzione (la genesi della locuzione del secondo periodo dell'art. 576 c.p.p. alinea nell'attuale formulazione, unita alla mancata previsione di una disciplina transitoria per i pregressi appelli della parte civile - significativamente prevista, invece, per quelli dell'imputato e del p.m. dall'art. 10 della novella - persuade che l'impugnazione ivi menzionata consista nell'appello). Si deve constatare pertanto che alla parte pubblica, portatrice degli interessi rilevantissimi su cui, si tornera' tra breve, e' stato del tutto ingiustificatamente riservato un potere di impugnazione piu' ridotto che alle parti private e questo dato, indubitabile, non puo' che far risaltare in maniera ancor piu' evidente il vulnus subito, per effetto delle norme che vengono sottoposte al giudice delle leggi, dal principio della parita' delle parti. Oltre a tutto quanto sopra enunciato, partendo dalla constatazione che gli interessi tutelati dal pubblico ministero sono, in uno Stato di diritto, apprezzabili quanto quelli delle altre parti, compreso l'imputato (ed in realta', per quanto le ultime riforme in materia processuale abbiano avuto di mira soprattutto il riequilibrio della posizione dell'imputato rispetto a quella del p.m., mai l'importanza degli interessi tutelati attraverso l'azione di questo era stata reputata sottovalente rispetto a quella degli interessi delle altre parti), puo' ancora osservarsi che sottrarre al pubblico ministero il potere di appellarsi contro le sentenze di assoluzione o di proscioglimento significa rendere piu' difficoltosa l'attuazione della ricerca della verita' e, quindi dell'istanza di giustizia propria della collettivita', istanza che e' addirittura pregiuridica, posto che su di essa, si basa qualsiasi civile convivenza nella quale si voglia evitare che i consociati siano tentati di ricorrere a forme private di giustizia. Di questo primario interesse della collettivita' e' espressione la previsione dell'art. 112 della Costituzione e, in definitiva, anche quella circa l'emenda del condannato sancita dal comma terzo dell'art. 27 della stessa Costituzione: dalla lettura coordinata di queste due norme si ricava che l'ufficio del p.m. (parte pubblica, e quindi tenuta al rispetto di comportamenti ispirati a massima correttezza e moralita', oltre che onerata anche della ricerca degli elementi favorevoli all'imputato) non e' quello di ottuso persecutore degli incolpati, ma di soggetto che persegue il compito, della cui primaria importanza si e' detto, di far si' che i soggetti devianti vengano recuperati ad una convivenza civile e ordinata. E menomare i mezzi attraverso i quali l'azione del p.m., nel rispetto del principio di parita' delle parti, si deve esplicare significa in definitiva legiferare in contrasto, anche, con le due previsioni costituzionali ora richiamate. La corte, riconosciuta pertanto la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.g. e ritenuto di dovere sollevare d'ufficio l'ulteriore questione di legittimita' costituzionale sopra illustrata, riconosciuta la impossibilita' di addivenire alla decisione del processo sottoposto al suo giudizio indipendentemente dalla risoluzione delle cennate questioni (l'applicazione delle norme denunciate impedirebbe infatti la definizione del processo con il possibile ribaltamento della decisione di primo grado e la condanna dell'imputato), dispone la trasmissione degli atti alla corte costituzionale sospendendo il giudizio in corso.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale esposte in parte motiva, e, sospeso il processo in corso, ordina l'immediata trasmissione degli atti alla corte costituzionale perche' giudichi: della questione di legittimita' costituzionale circa il contrasto fra gli artt. 1, 2 e 10, legge 20 febbraio 2006, n. 46 e gli artt. 3 e 111 della Costituzione; della questione di legittimita' costituzionale circa il contrasto fra gli artt. 1, 2 e 10, legge 20 febbraio 2006, n. 46 e gli artt. 27, comma terzo e 112 della Costituzione. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Sassari, addi' 13 giugno 2006 Il Presidente: Tabasso 07C0278