N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 novembre 1989

                                 N. 72
     Ordinanza emessa l'8 novembre 1989 dal tribunale di Napoli nel
  procedimento civile vertente tra Zarrelli Domenico e il Ministero di
                      grazia e giustizia ed altri
 Responsabilita' civile - Giudizio per responsabilita' di magistrati e
 funzionari  di  altre  amministrazioni  (carabinieri  e  polizia)   -
 Procedimento  contro lo Stato - Adizione del giudice territorialmente
 competente in contrasto con la competenza funzionale prevista per  il
 Ministero di grazia e giustizia Giudizio di inammissibilita' previsto
 solo per tale procedimento Inevitabile pronuncia di  separazione  dei
 giudizi   -   Mancato   previsto  spostamento  della  competenza  per
 connessione per le altre amministrazioni - Lamentata  violazione  del
 principio  di  economia  processuale  con  possibilita'  di giudicati
 contrastanti Menomazione del diritto di difesa per l'attore - Lesione
 del principio di indipendenza dei giudici.
 (Legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 4).
 (Cost., artt. 24, 25 e 101).
(GU n.9 del 28-2-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
 al n. 1490/1989 vertente tra Zarrelli Domenico rappresentato e difeso
 dall'avv. Mario Zarrelli con studio in Napoli alla piazza S. Domenico
 Maggiore  n.  9,  attore,  e  i  Ministeri  di  grazia  e  giustizia,
 dell'interno  e  della  difesa,  in  persona  dei rispettivi ministri
 pro-tempore, domiciliati per legge presso  l'avvocatura  distrettuale
 dello Stato di Napoli con sede alla via Diaz n. 11, convenuti.
    Premesso  che  Domenico Zarrelli, con citazione notificata in data
 17 gennaio 1989, ha convenuto in giudizio i  Ministeri  di  grazia  e
 giustizia, dell'interno e della difesa, deducendo che, per effetto di
 comportamenti dolosi e colposi che sarebbero stati posti in essere da
 magistrati,  dai  carabinieri  e  dalla  polizia - che si occuparono,
 nelle loro rispettive vesti, del procedimento penale  a  suo  carico,
 inizialmente  sfociato  in  una  sentenza  di  condanna  della  corte
 d'assise di Napoli, indi conclusosi con la  sentenza  di  assoluzione
 con  formula  piena  della  corte  d'assise  di  Potenza,  passata in
 giudicato il 18  marzo  1985  -  ha  riportato  danni  valutabili  in
 cinquanta miliardi di lire;
      che  il  predetto ha chiesto quindi che il tribunale condanni le
 indicate amministrazioni, in solido tra loro, per la  responsabilita'
 dei  rispettivi funzionari e dipendenti, al relativo risarcimento dei
 danni;
      che il g.i., con ordinanza in data 28 luglio 1989, ha rimesso la
 causa innanzi al collegio in camera di consiglio ai sensi dell'art. 5
 della  legge  13 aprile 1988, n. 117, ritenendo che nella fattispecie
 sia  applicabile  la  nuova  normativa  sulla   responsabilita'   dei
 magistrati  e  che  pertanto,  pregiudizialmente,  il tribunale della
 deliberare sulla ammissibilita' della domanda;
    In  esito  alla  discussione  in  camera di consiglio, svoltasi su
 istanza concorde delle parti all'udienza dell'11 ottobre 1989;
                             O S S E R V A
    I  comportamenti  dolosi  e  colposi che, stando all'assunto dello
 Zarrelli, sarebbero stati commessi da  magistrati  e  dai  funzionari
 dipendenti  delle  altre  amministrazioni,  si  riferiscono  a  epoca
 antecedente alla entrata in vigore della legge n.  117/1988,  che  ha
 introdotto  la  nuova  disciplina  sulla  responsabilita'  civile dei
 magistrati. In base al sistema operante prima della entrata in vigore
 della  nuova  normativa  il  cittadino  poteva agire per risarcimento
 danni   direttamente   nei   confronti   del    magistrato,    previa
 autorizzazione  del Ministro di grazia e giustizia, ma soltanto nelle
 ipotesi di dolo, frode e concussione, nonche' per rifiuto,  omissione
 o  ritardo,  preceduti dalla messa in mora, giusta le disposizioni di
 cui all'art. 55 del c.p.c.
    Poteva  inoltre agire per responsabilita' diretta anche e soltanto
 nei confronti della p.a. di appartenenza del magistrato, e quindi nei
 confronti  dell'amministrazione  di  grazia  e  giustizia,  ai  sensi
 dell'art. 28 della Costituzione.
    La  legge 13 aprile 1988, n. 117, susseguente alla abrogazione del
 referendum popolare, ha introdotto una nuova  disciplina  in  materia
 che ha radicalmente trasformato il sistema previgente, dettando norme
 non soltanto sulla responsabilita' del magistrato (artt. 2  e  3)  ma
 anche  in  ordine  alla  responsabilita' della p.a. di appartenenza e
 alla relazione esistente  tra  detta  responsabilita'  e  quella  del
 magistrato.  Per  quanto  concerne questo ultimo specifico profilo ha
 stabilito infatti che il cittadino possa esercitare soltanto l'azione
 diretta  nei  confronti  della  p.a.,  escludendo quindi l'azione nei
 confronti del magistrato, e ha statuito che la domanda  -  che  e'  e
 rimane   ovviamente  sempre  l'azione  prevista  dall'art.  28  della
 Costituzione, non abrogabile da una previsione di legge  ordinaria  -
 debba pero' essere indirizzata contro il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, il quale potra' - nelle ipotesi indicate - agire in via  di
 rivalsa  contro il magistrato. Per l'azione nei confronti dello Stato
 la legge ha fissato criteri particolari  in  ordine  alla  competenza
 (art.  4)  e  un  iter che prevede, tra l'altro, l'espletamento di un
 preventivo giudizio di ammissibilita'  da  parte  del  tribunale,  in
 camera di consiglio.
    La   nuova   legge   contiene   cioe'  disposizioni  di  carattere
 sostanziale e processuale,  che  debbono  essere  qui  esaminate,  in
 particolare  sotto  il  profilo della successione di leggi, essendosi
 sopra dimostrato che l'azione oggi proposta dallo Zarrelli altro  non
 e' che l'azione di cui all'art. 28 della Costituzione.
    Sul  punto  in  esame  la  legge  prevede  una  sola disposizione:
 all'art. 19 recita "la presente  legge  entra  in  vigore  il  giorno
 successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
 La presente legge non si applica ai fatti illeciti  posti  in  essere
 dal  magistrato,  nei  casi previsti dagli artt. 2 e 3, anteriormente
 alla sua entrata in vigore". La norma e' di  chiara  interpretazione.
 L'inciso  "nei casi previsti dagli artt. 2 e 3" sta a indicare che la
 norma ha inteso richiamare il principio di legalita' per  le  ipotesi
 di responsabilita', in quanto queste previste appunto dagli artt. 2 e
 3, e soltanto per queste. La nuova legge non  si  applica  quindi  ai
 fatti  precedenti  alla entrata in vigore i quali, pur non rientrando
 nelle ipotesi di cui all'art. 55 del  c.p.c.,  rientrerebbero  invece
 nei  casi  disciplinati  oggi  dagli  artt. 2 e 3. In buona sostanza,
 poiche' il nuovo regime contiene un  ambito  di  efficacia  ben  piu'
 ampio  di  quello  precedente, con il secondo comma il legislatore ha
 inteso evitare contenziosi risarcitori promossi per fatti precedenti,
 che  non  integravano  i  presupposti  di  cui all'art. 55 del c.p.c.
 abrogato, bensi' quelli di cui agli artt. 2 e 3 della nuova legge. Il
 chiaro  ed  esclusivo riferimento agli artt. 2 e 3 evidenzia comunque
 che la norma ha tenuto del tutto  al  di  fuori  le  disposizioni  di
 carattere  processuale,  per  la  cui  operativita' non esiste quindi
 alcuna previsione specifica. In assenza di queste, vale il  principio
 pacifico   tempus  regit  actum.  Ne  consegue  che  le  disposizioni
 processuali della legge n. 117/1988 devono essere seguite  per  tutte
 le  azioni  che siano proposte successivamente alla entrata in vigore
 della stessa, anche se riferentisi a fatti commessi  antecedentemente
 al 16 aprile 1988.
    Una  diversa interpretazione dell'art. 19, diretta a sostenere che
 la norma abbia inteso escludere in toto l'applicabilita' di tutte  le
 disposizioni   della  legge,  sostanziali  e  processuali,  ai  fatti
 commessi  in  epoca  antecedente   alla   entrata   in   vigore,   e'
 assolutamente  inaccoglibile,  atteso  che,  se il legislatore avesse
 voluto statuire in  tal  senso,  non  avrebbe  inserito  nella  norma
 l'inciso  "nei  casi  previsti  dagli  artt. 2 e 3", ma avrebbe detto
 soltanto: "La presente legge non si applica ai fatti posti in  essere
 dal magistrato anteriormente alla sua entrata in vigore".
    Con   tale   interpretazione,  d'altronde,  concorda  la  migliore
 dottrina e collimano anche, per quello  che  puo'  valere,  i  lavori
 parlamentari,  atteso  che  nella  seduta della commissione giustizia
 della Camera dell'11 aprile 1988 (sede deliberante) fu precisato che:
 "Dal  combinato  disposto  dal  primo  e  secondo  comma dell'art. 19
 risulta che, per quanto riguarda la disciplina sostanziale  contenuta
 nella  nuova  legge, essa sara' applicabile ai fatti commessi dopo la
 sua entrata in vigore, mentre per quanto riguarda le norme di  natura
 processuale  in  essa  contenuta,  vale la regola generale del tempus
 regit actum, nel senso che tutti i procedimenti che saranno attivati,
 anche  per  fatti  commessi anteriormente all'entrata in vigore della
 nuova legge, verranno da essa regolati". (Cosi' l'intervento dell'on.
 Violante, vedi Bollettino comm. n. 160, p. 10).
    Pertanto  la  domanda  proposta contro la p.a. di appartenenza dei
 magistrati, in quanto  disciplinata  dalle  disposizioni  processuali
 della  nuova  legge,  innanzitutto - come esattamente prospettato dal
 g.i. - deve essere sottoposta al giudizio di ammissibilita'  previsto
 dall'art.  5,  che  comporta il riscontro dei presupposti di cui agli
 artt. 2, 3 e 4 della legge, dei quali il primo in  ordine  logico  ad
 essere  esaminato  e', ovviamente, quello della competenza. Sul punto
 va osservato che l'azione, ai sensi dell'art. 4, deve essere proposta
 innanzi  al  "tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello piu'
 vicina a quella in cui e' compreso  l'ufficio  giudiziario  al  quale
 apparteneva  il  magistrato".  Trattasi di una previsione legislativa
 che tende innanzitutto a garantire l'attore, assicurandogli, anche se
 con un meccanismo diverso da quello di cui all'art. 56 del c.p.c., la
 imparzialita' del magistrato  che  dovra'  giudicare  dell'operato  e
 della condotta di altro giudice.
    L'attore  ha adito invece il tribunale di Napoli, che e' l'ufficio
 giudiziario presso cui fu istruito, e celebrato in  primo  e  secondo
 grado, il procedimento penale a suo carico, il che dovrebbe portare a
 una pronunzia di inammissiblita' della domanda, per  quanto  proposta
 contro  la  p.a.  di  appartenenza  dei magistrati. Ma lo Zarrelli ha
 agito  anche  contro  i  Ministri  dell'interno   e   della   difesa,
 prospettando  in  citazione  fatti  che  sarebbero stati commessi dai
 dipendenti di queste altre  amministrazioni  in  stretta  connessione
 ovvero in concorso con i magistrati.
    Al riguardo e' utile evidenziare gli episodi piu' rilevanti.
     A)  Il  p.m., a seguito dell'infedele rapporto dei carabinieri in
 data 14 novembre 1975, si sarebbe  deliberatamente  trasferito  nella
 caserma  Morgantini "al fine di gestire a modo suo" l'istruttoria, in
 cio' "assecondato" dai carabinieri (paragrafo 7 della citazione);
      il  p.m.  non  avrebbe  negli  atti  ufficiali  dato  atto delle
 indagini da egli stesso ordinate, ed eseguite, sulle  impronte  delle
 scarpe all'interno dell'abitazione in via Caravaggio, dal maresciallo
 Matrullo, in quanto queste non apportavano elementi  a  carico  dello
 Zarrelli,  anzi  lo  scagionavano;  e  a  sua  volta  il  maresciallo
 Matrullo, in evidente concorso con il  giudice,  non  avrebbe  a  sua
 volta  verbalizzato  le  indagini  (pag.  29  dell'atto introduttivo,
 paragrafo 9);
      il  p.m.,  in  concorso  con  il  cancelliere,  con "un illecito
 collegato all'operato del maresciallo Razzano", avrebbe contribuito a
 dare  luogo  alla  soppressione  del  verbale  di perquisizione della
 borsetta della convivente  dello  Zarrelli,  Sandra  Maria  Thompson,
 perquisizione  effettivamente svolta dal suddetto maresciallo; e cio'
 allo specifico fine di "inficiare l'alibi dello Zarrelli per la  sera
 del  30  ottobre  1975",  in  quanto,  altrimenti, il verbale avrebbe
 dovuto attestare il rinvenimento di biglietti ferroviari sulla  linea
 Napoli-Roma  e Napoli-Firenze, nel periodo 27 ottobre-4 novembre 1975
 (paragrafi 10 e 17, lett. C) della citazione);
      il  p.m.  avrebbe  consentito al De Laurentis di telefonare alla
 moglie  per  avvertirla  che  di  li'  a  poco  si   sarebbe   recato
 nell'abitazione  dei  due  il  maresciallo Mormile per sequestrare le
 scarpe, il tutto evidentemente in concorso con il maresciallo Mormile
 (paragrafo II);
      il  p.m.  avrebbe  fatto  approntare dal maresciallo Razzano una
 relazione di servizio falsa  circa  i  movimenti,  nell'ultimo  mese,
 dello  Zarrelli  e  della Thompson, onde far risultare in particolare
 che i due, anche per tutto il mese di gennaio, si erano recati due  o
 tre  volte alla settimana a casa dell'avv.to Zarrelli, laddove invece
 risultava, dalle indagini svolte presso i tassisti, che  la  Thompson
 era   stata   accompagnata  il  23  dicembre  1975  all'aeroporto  di
 Capodichino per andarsene in Inghilterra.
     B)  Sempre  stando  all'assunto  dell'attore il g.i. poi avrebbe,
 insieme con i carabinieri,  compiuto  una  illegittima  perquisizione
 nell'appartamento  delle vittime, durata piu' giorni, a seguito della
 quale si verifico'  la  sparizione  della  statuetta  della  "Fortuna
 Bendata".   Sottrazione  che  era  finalizzata  per  poter  sostenere
 nell'accusa che le lesioni riportate dallo Zarrelli sulle mani  erano
 state  causate  da  un  corpo  contundente  impugnato  per colpire le
 vittime: tesi che poteva accreditarsi solo se si fosse appunto  fatta
 scomparire  la  predetta  statuetta, che non presentava invece alcuna
 asperita' sulla testina a fusione metallica (vedi in particolare pag.
 48  della  citazione).  A  proposito  di tale episodio l'attore parla
 ripetutamente di "frode processuale" commessa dal giudice (pagg. 51 e
 52 paragrafo 17, lett. B);
      il  g.i. avrebbe partecipato, insieme con i marescialli Iannotti
 e Razzano, a una  "macchinazione",  cosi'  esprimendosi  testualmente
 l'attore nel riferire dell'episodio dell'approntamento della busta. A
 tal uopo sostiene in buona sostanza lo Zarrelli che, su  accordo  del
 g.i.  e  della  p.g.,  sarebbe  stato  fatto falsamente risultare che
 nell'immondizia nei pressi del  palazzo  di  via  Caravaggio  sarebbe
 stata  ritrovata copia di una querela della Canname contro il nipote,
 querela  poi  trasmessa  alla  p.g.  dall'anonimo   rinvenitore.   Al
 contrario  - sostiene l'attore - tutto cio' non sarebbe mai avvenuto,
 la busta sarebbe stata  approntata  dai  carabinieri  e  l'operazione
 sarebbe stata posta in essere al fine di annullare definitivamente la
 pista alternativa De Laurentis (pag. 53) e creare un  falso  elemento
 di prova a carico dello Zarrelli (paragrafo 18);
      il  g.i. avrebbe inoltre preteso e ottenuto, dal dott. Lonardo e
 dal maresciallo Cuoco, false dichiarazioni di  comodo  per  riscontro
 alla  sua tesi accusatoria, come "prezzo" per non incriminarli per il
 reato di malversazione, in relazione alla sostituzione del  brillante
 sull'anello (pagg. 90 e 91 della citazione, paragrafo 21);
      il g.i. avrebbe intimorito il vice-questore Mariano Barrea, gia'
 inquisito per essersi ricevuto  copie  di  documenti  dalla  famiglia
 Zarrelli,  al  punto  tale  da  far  si'  che il predetto, a un certo
 momento della istruttoria formale, trovo' conveniente assecondare  il
 g.i.   nella  sua  direttiva  accusatoria,  al  fine  di  non  essere
 denunziato dal giudice per il reato di interesse privato in  atti  di
 ufficio.
    Cio'  posto, poiche' l'art. 4 della legge n. 117/1988 testualmente
 stabilisce soltanto una competenza funzionale per le domande relative
 ai comportamenti dei magistrati ma non prevede, a differenza di altre
 disposizioni (art. 11 nuovo c.p.p.), alcuna vis actractiva per  fatti
 connessi,  e  in  particolare  non  prevede quindi analoga competenza
 funzionale in relazione alle domande proposte per fatti  commessi  da
 altri  soggetti,  ma intimamente connessi, ovvero per i comportamenti
 posti in essere da altri soggetti in concorso con  i  magistrati,  la
 domanda  dovrebbe  allora  essere dichiarata inammissibile per quanto
 proposta nei confronti della p.a.  di  appartenenza  dei  magistrati,
 mentre  dovrebbe  in  ipotesi,  trovare  ingresso  - e senza che alla
 stessa possa applicarsi il giudizio di ammissibilita'  -  per  quanto
 proposta  nei  confronti  delle  altre  amministrazioni.  Ma una tale
 soluzione   comporterebbe   l'insorgenza   di   piu'   questioni   di
 illegittimita'    costituzionale,   che   si   palesano   tutte   non
 manifestamente infondate.
   Invero,  come  s'e'  gia'  detto,  se  si considera innanzitutto la
 posizione del cittadino che agisce per il risarcimento dei danni, non
 e'   a   dubitarsi  che  il  legislatore,  stabilendo  la  competenza
 funzionale  ex  art.  4,  abbia  essenzialmente  inteso  tutelare  la
 imparzialita'   del   giudizio,   evitando   cioe'  -  nell'interesse
 dell'attore - che le domande  di  danno  vadano  proposte  innanzi  a
 giudici  appartenenti  alla stessa corte d'appello del magistrato del
 cui operato si discute. La norma cioe' in buona sostanza  fissa  come
 giudice  naturale della domanda ex art. 4 il tribunale ove ha sede la
 corte d'appello piu' vicina. Ne consegue che, se le domande per fatti
 intimamente  connessi,  o  commessi da altri soggetti in concorso con
 magistrati, dovessero essere  giudicate  dal  tribunale  della  corte
 d'appello  cui  appartiene  il giudice della cui condotta si discute,
 attesa la strettissima  interdipendenza  esistente  tra  le  condotte
 degli  altri  soggetti e quelle dei magistrati, non scindibili le une
 dalle altre, inevitabilmente il  tribunale  verrebbe  a  valutare  le
 condotte   dei   colleghi  della  stessa  corte  d'appello.  In  tale
 situazione  di  palesa  costituzionalmente  illegittimo,  perche'  in
 contrasto  con l'art. 25 della Costituzione, l'art. 4 in esame, nella
 parte in cui non prevede che il giudice ivi indicato  sia  competente
 anche  per  le domande relative a fatti commessi da altri soggetti in
 concorso con magistrati ovvero per le domande relative a fatti  posti
 in  essere  da altri soggetti, e intimamente connessi con le condotte
 dei magistrati.  E  invero,  poiche'  l'art.  25  della  Costituzione
 stabilisce  che  nessuno  puo'  essere  distolto dal giudice naturale
 precostituito per legge, in buona sostanza si verificherebbe, per via
 indiretta,  una  sottrazione  al giudice ex art. 4 della competenza a
 giudicare  dei  comportamenti  illeciti  dei  magistrati,  dei  quali
 verrebbe  ad occuparsi appunto un magistrato appartenente alla stessa
 corte d'appello del giudice della cui condotta si discute. Il che  il
 legislatore   ha   voluto  evitare  innanzitutto  nell'interesse  del
 cittadino attore in giudizio. Ne' si dica che tale valutazione  tutto
 sommato sarebbe effettuata soltanto incidenter tantum: sembra infatti
 evidente che, li' dove per ragioni di imparzialita',  il  legislatore
 ha stabilito una particolare competenza funzionale, anche il giudizio
 incidenter tantum e' precluso, essendosi  in  buona  sostanza  voluto
 evitare  un qualsiasi esercizio di attivita' giurisdizionale da parte
 del giudice appartenente alla stessa corte d'appello.
    Del  tutto  irrilevante poi e' il fatto che la disposizione di cui
 all'art. 4 non preveda una competenza di ordine generale,  in  quanto
 la   nozione   di   giudice   naturale   non  si  cristallizza  nella
 determinazione legislativa di una competenza generale,  ma  si  forma
 anche  in  relazione  a tutte quelle disposizioni le quali derogano a
 tale competenza sulla base di criteri che  razionalmente  valutano  i
 disparati interessi posti in gioco dal processo (Corte costituzionale
 27 giugno 1972, n. 117).
    Ma   sussiste   comunque   violazione  anche  dell'art.  24  della
 Costituzione, secondo cui la difesa e' diritto  inviolabile  in  ogni
 stato  e  grado  del  procedimento,  in  quanto avendo il legislatore
 sottratto le cause di danni ex art. 4 alla competenza del giudice  ex
 artt.  19  e  20  del  c.p.c.  proprio  per  garantire  la  posizione
 dell'attore, venendo le domande in questione ad essere sottoposte  al
 giudice ex artt. 19 e 20 del c.p.c., verrebbe indubbiamente ad essere
 menomato in misura sensibile il diritto di difesa.
    Per altro verso, considerando la posizione dell'organo giudicante,
 poiche' alla  base  dei  mutamenti  di  competenza  nei  procedimenti
 riguardanti  magistrati - giusta la giurisprudenza della stessa Corte
 costituzionale (cfr. sentenza n. 109 del 22  giugno  1963)  -  esiste
 anche  il  principio  dell'indipendenza dei giudici fissato dall'art.
 101 della Costituzione,  verrebbe  ad  essere  violata  anche  questa
 ulteriore norma.
    Al   di  la'  delle  questioni  di  illegittimita'  costituzionale
 indicate, e' da rilevare poi, sul piano strettamente processuale, che
 una   eventuale  separazione  delle  domande  contrasterebbe  con  il
 principio di economia processuale  e  potrebbe  comportare  il  serio
 pericolo  di  giudicati  contrastanti.  Nel  caso  di  specie  poi si
 determinerebbe in particolare una questione di difficile soluzione in
 quanto,  essendo stata proposta una querela di falso (episodio di cui
 al paragrafo 18), di certo non scindibile, non si  riesce  davvero  a
 comprendere quale giudice sarebbe competente a giudicare.
    Le  indicate  questioni di legittimita' costituzionale, investendo
 la stessa competenza del tribunale, sono rilevanti in quanto tali  da
 rendere  impossibile  le  definizione  del  procedimento. La causa va
 pertanto sospesa ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.
 87,  e  gli  atti  vanno  trasmessi  alla Corte costituzionale per il
 relativo giudizio.
                                P. Q. M.
    Solleva  le questioni di legittimita' costituzionale, in relazione
 agli artt. 24, 25 e 101 della Costituzione, dell'art. 4  della  legge
 13  aprile  1988,  n. 117, nella parte in cui detta norma non prevede
 che il giudice ivi indicato, funzionalmente  competente  a  giudicare
 delle   domande  di  risarcimento  contro  lo  Stato  per  fatti  dei
 magistrati, sia funzionalmente competente  anche  in  relazione  alle
 domande  relative  a fatti commessi da altri soggetti in concorso con
 magistrati,  ovvero  relative  a  fatti  posti  in  essere  da  altri
 soggetti, ma intimamente connessi con le condotte dei magistrati;
    Sospende   il   procedimento   in  corso  e  ordina  la  immediata
 trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale  per  il  relativo
 giudizio;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata alle  parti  in  causa  e  al  p.m.  -  sede,  nonche'  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti
 delle due camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Napoli, addi' 8 novembre 1989.
                   Il presidente: (firma illeggibile)

 90C0182