N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 gennaio 1990
N. 209 Ordinanza emessa il 10 gennaio 1990 dal tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Cortellazzi Luciano Reati militari - Furto d'uso - Non configurabilita' del reato di furto d'uso, bensi' del furto ordinario in caso di mancata restituzione della cosa anche per caso fortuito o forza maggiore - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al furto d'uso comune, configurabile, per effetto della sentenza della Corte n. 1085/1988 nel caso di mancata restituzione della cosa per caso fortuito o forza maggiore - Violazione del principio della personalita' della responsabilita' penale per la mancata valutazione, ai fini del giudizio di rimprovero, della colpevolezza del reo. (C.P.M., art. 233, n. 1, in relazione all'art. 626, n. 1, del c.p.p. 1988). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.19 del 9-5-1990 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza, nella causa contro Cortellazzi Luciano, nato il 24 aprile 1968 a Cremona, atto di nascita n. 722/IA, ivi residente in via S. Predengo n. 7, celibe, diplomato perito agrario, impiegato tecnico, impossidente, incensurato, caporal maggiore in congedo, gia' in servizio presso il 13 battaglione logistico "Aquileia" in Portogruaro (Venezia), libero, imputato di furto militare aggravato (art. 230, primo e secondo comma, del c.p.m.p.) perche', caporal maggiore nel 13 battaglione logistico "Aquileia" in Portogruaro (Venezia), il giorno 10 settembre 1989, all'interno della caserma sede del predetto reparto, si impossessava, al fine di trarne profitto, di un martinetto idraulico, sottraendolo all'amministrazione militare che lo deteneva; con l'ulteriore aggravante di essere un militare rivestito di un grado (art. 47, n. 2, del c.p.m.p.). FATTO E DIRITTO 1. - Il caporalmaggiore Cortellazzi Luciano, chiamato a rispondere dinanzi a questo tribunale militare del reato di furto militare aggravato (art. 230, primo e secondo comma, del c.p.m.p.), si e' all'odierno dibattimento discolpato ribadendo quanto gia' dichiarato nel corso dell'istruttoria: egli, nella caserma sede del reparto di appartenenza in Portogruaro, il 10 settembre 1989, notando un martinetto idraulico posto accanto alle ruote di un automezzo militare, se ne impossessava allo scopo di studiarne le caratteristiche tecniche, con l'intenzione di restituirlo subito dopo aver soddisfatto tale esigenza. Tuttavia, il 12 settembre 1989 verso le ore 14,30, nel corso di una periodica "rivista al corredo", determinata da generiche esigenze di controllo da parte dell'autorita' militare, il suddetto oggetto veniva rivenuto nell'armadietto del graduato da parte dei superiori gerarchici e riconosciuto come appartenente all'amministrazione militare. Cio' detto, le giustificazioni dell'imputato in ordine al proposito da lui avuto di mira, sin dal momento dell'impossessamento, di restituire la cosa, non appaiono infondate, sia in quanto astrattamente compatibili con l'allegato interesse per la meccanica (nella vita civile, il giovane risulta essere impiegato tecnico), sia in quanto il breve lasso di tempo intercorrente tra l'impossessamento da parte dell'agente e il rinvenimento del citato attrezzo ad opera dell'autorita' militare, non smentisce l'intenzione di restituzione (si consideri anche l'impegno profuso dal soggetto nel contempo in servizi di caserma e quindi la saltuarieta' dell'applicazione nei confronti dell'oggetto) sia, infine, alla luce della circostanza che, avendo il giovane fruito di libera uscita la sera dell'11 settembre 1989 ed essendo le "ispezioni" al corredo abituali e programmate, ben avrebbe avuto egli la possibilita' di trasferire l'attrezzo fuori dalla caserma senza dover temere aventuali controlli, qualora la sua intenzione non fosse stata quella di restituire la cosa. Da quanto sopra esposto, si ricava il convincimento che, potendosi ritenere provato che l'impossessamento fu sorretto, oltre che dal dolo generico del reato di furto militare, dalla specifica intenzione di restituire l'attrezzo subito dopo l'uso, e che fino al momento del rinvenimento di esso da parte dell'autorita' militare non intervenne alcun mutamento di volonta', il fatto sarebbe riconducibile nell'ambito di applicazione della norma di cui all'art. 233, primo comma, n. 1, del c.p.m.p. (furto militare d'uso), della quale ricorrerebbero tutti gli estremi, ad eccezione di quello oggettivo della restituzione della cosa, non avvenuta, per causa di forza maggiore (intervento dell'autorita' militare). Dottrina e giurisprudenza sono infatti dell'avviso che la mancata restituzione della cosa per caso fortuito e forza maggiore, imponga l'applicazione della normativa del furto militare (art. 230 del c.p.m.p.) in virtu' del principio secondo cui: qui in re illecita versatur tenutur etiam pro casu, ed in base al quale sarebbe sufficiente il dolo della sottrazione e l'ompossessamento della cosa mobile altrui per addebitare al soggetto anche eventi (quale, nella specie, la mancata restituzione dovuta ad intervento dell'autorita') indipendenti ed estranei alla volonta' di quest'ultimo. Ne' si ritiene di poter in via meramente interpretativa superare il citato orientamento dottrinale e giurisprudenziale, pervenendosi alla conclusione dell'irrilevanza della restituzione qualora sia provata l'originaria e non successivamente mutata intenzione dell'agente di effettuarla: non puo' infatti trascurarsi di considerare che, in relazione alla stessa fattispecie di diritto penale comune di furto d'uso (art. 626, primo comma, del c.p.), la Corte costituzionale (sentenza n. 1085/1988), pur confutando l'orientamento della citata dottrina e giurisprudenza in tema di applicazione a detta norma del ricordato brocardo, ha attribuito ad esso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 626, primo comma, n. 1, del c.p. nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore della cosa sottratta, una rilevanza che non consente, de iure condito, di concludere in via interpretativa che l'analoga fattispecie di cui all'art. 233, primo comma, n. 1, del c.p.m.p. sia applicabile anche alle ipotesi in cui in relazione alla mancata restituzione non possa addebitarsi alcun rimprovero all'agente. Ne consegue che questo collegio non puo' senz'altro modificare l'originaria imputazione di furto militare (art. 230, primo e secondo comma, del c.p.m.p.) in furto militare d'uso (art. 233, primo comma, n. 1 del c.p.m.p.), norma che pur apparirebbe attagliarsi meglio alla specie, in quanto non puo' prescindersi dal requisito oggettivo della restituzione della cosa sottratta ed e' irrilevante che tale evento non si sia verificato per caso fortuito o forza maggiore. Cio' tuttavia non esime questo giudicante dal sollevare un dubbio di legittimita' costituzionale di detto art. 233, primo comma n. 1, del c.p.m.p. in riferimento agli artt. 27 e 3 della Costituzione. 2. - In relazione al primo dei citati parametri costituzionali (art. 27 della Costituzione), il Giudice delle leggi ha gia' ampiamente chiarito, pronunciandosi sulla norma penale "parallela" di cui all'art. 626, primo comma n. 1, del c.p., di uguale testuale formulazione, che la regola di rimproverabilita' contenuta nell'art. 27, primo comma, della Costituzione, impone che, in sede di valutazione della colpevolezza, i singoli elementi che costituiscono la pur unitaria fattispecie penale debbano essere singolarmente valutati ai fini del giudizio di rimprovero, che, solo se sussiste in relazione a ciascuno di essi, soddisfa il requisito della personalita' della responsabilita' penale. In particolare, se l'impossessamento della cosa e' elemento comune ad entrambe le fattispecie di furto militare e furto militare d'uso, e' solo l'avvenuta restituzione a determinare l'applicazione del piu' mite trattamento sanzionatorio previsto da tale ultima fattispecie criminosa. E' quindi evidente che non puo' prescindersi, anche in ordine a tale evento, discriminante i due reati, da un'indagine sull'elemento subiettivo comportante il rimprovero ex art. 27, primo comma, della Costituzione. Esso, d'altro canto, non puo' apoditticamente farsi risalire a quello relativo al dolo dell'impossessamento della cosa mobile altrui, come sostenuto finora da dottrina e giurisprudenza secondo le quali il fondamento dell'addebitabilita' al soggetto della mancata restituzione dovuta a caso fortuito a forza maggiore risiederebbe proprio nel valore negativo dell'atteggiamento psicologico iniziale, integrante di per se' il requisito soggettivo di rimproverabilita': l'art. 27, primo comma della Costituzione esige invero che "tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all'agente (siano, cioe', investiti dal dolo o dalla colpa) ed e' altresi' indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioe' anche soggettivamente disapprovati" (Corte costituzionale, sent. cit.). Si aggiunga, inoltre, che la normativa penale militare attualmente vigente, prevedendo in caso di mancata restituzione, per caso fortuito o forza maggiore, della cosa momentaneamente sottratta l'inquadrabilita' del fatto nella norma penale del furto militare (art. 230 del c.p.m.p.), comporta ope legis l'applicazione della pena accessoria della rimozione, non operante invece in relazione alla fattispecie attenuata di cui all'art. 233 del c.p.m.p.: un'ulteriore e non trascurabile effetto gravatorio viene posto a carico dell'agente militare, come nel caso di specie, per la sola circostanza oggetiva della mancata restituzione e senza che acquisisca rilievo l'atteggiamento psicologico del soggetto in relazione a tale evento. 3. - Quanto al principio costituzionale di cui all'art. 3 che si assume violato, non puo' non sottolinearsi l'evidente disparita' di trattamento venutasi a creare, a seguito della piu' volte citata sentenza n. 1085/1988 della Corte costituzionale, tra il civile ed il militare che, impossessatisi della cosa mobile altrui con l'intenzione di usarla momentaneamente ed operare la restituzione, non riescano, poi per caso fortuito o forza maggiore, a realizzare tale proprio intento: premesso infatti che le fattispecie criminose di furto, sia comune che d'uso, si differenziano nel diritto penale militare rispetto a quello comune solo per taluni secondari requisiti, il civile viene, de iure condito, nel caso citato sottoposto al piu' mite trattamento sanzionatorio previsto dalla norma del furto d'uso (art. 626, primo comma, n. 1, del c.p.), mentre il militare sottosta alla piu' rigorosa normativa penale prevista per il furto militare (art. 230, primo comma, del c.p.m.p.). Il contrasto con l'art. 3 della costituzione diviene, ancor piu' evidente qualora si consideri poi che lo stesso civile, qualora concorra con un militare nell'impossessamento in luogo militare di cosa mobile appartenente ad altro militare o all'a.m., con l'intenzione, non realizzatasi per caso fortuito o forza maggiore, di restituirla, rispondere di furto militare (art. 230 del c.p.m.p.) e non di furto militare d'uso (art. 233, primo comma, n. 1, del c.p.m.p.): viceversa la fattispecie criminosa "parallela" a quest'ultima (art. 626, primo comma, n. 1, del c.p.) gli verrebbe addebitata in caso di concorso con altro soggetto non avente la qualita' di militare o qualora il fatto avvenga anche in concorso con un militare ma non in luogo militare. Da tali dati secondari e accidentali consegue pertanto l'inquadrabilita' del fatto in una fattispecie criminosa piu' grave o meno grave, senza che appaia sussistente alcuna esigenza propria del consorzio militare tale da rendere razionale e giustificabile la diversificazione del disvalore del fatto compiuto dal militare (o dal concorrente) in luogo militare ed a danno di militare o dall'amministrazione militare, rispetto a quello compiuto da qualsiasi soggetto in mancanza di ulteriori connotazioni relative al luogo ed al soggetto passivo. 4. - Per le ragioni esposte, apparendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 233, primo comma, n. 1 del c.p.m.p. in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione, se ne rimette l'esame alla Corte costituzionale, previa sospensione del procedimento in corso.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la quesione di legittimita' costituzionale dell'art. 233, n. 1, del c.p.m.p. in riferimento all'art. 626, n. 1, del c.p. in relazione agli artt. 3 e 27, primo comma, della Costituzione; Ordina la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Padova, addi' 10 gennaio 1990 Il presidente: ROSIN Il giudice estensore: BLOCK Il segretario g.m.: DARIO 90C0502