N. 175 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 2019

Ordinanza del 17 giugno 2019 della Corte di  cassazione  sul  ricorso
proposto da Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) contro
D. O.. 
 
Assistenza e solidarieta' sociale - Maternita' e infanzia - Straniero
  - Assegno per l'incentivazione della natalita' e  la  contribuzione
  alle spese per il suo sostegno - Requisiti per l'individuazione dei
  destinatari della prestazione -  Previsione,  per  i  cittadini  di
  Stati extracomunitari, della titolarita' del permesso di  soggiorno
  di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 (permesso di soggiorno
  UE per soggiornanti di lungo periodo), anziche'  della  titolarita'
  del permesso di soggiorno  e  di  lavoro  per  almeno  un  anno  in
  applicazione dell'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998. 
- Legge 23 dicembre 2014, n. 190 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge  di  stabilita'
  2015)"), art. 1, comma 125. 
(GU n.44 del 30-10-2019 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                           Sezione lavoro 
 
    composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
        dott. Antonio Manna - Presidente; 
        dott.ssa Enrica D'Antonio - consigliere; 
        dott. Umberto Berrino - rel. consigliere; 
        dott. Giulio Fernandes - consigliere; 
        dott.ssa Rossana Mancino - consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
3438-2018  proposto  da  I.N.P.S.  -  Istituto  nazionale  previdenza
sociale, in  persona  del  Presidente  e  legale  rappresentante  pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via  Cesare  Beccaria  n.
29,  presso  l'Avvocatura  centrale  dell'Istituto,  rappresentato  e
difeso dagli avvocati Antonietta Coretti, Vincenzo  Triolo,  Vincenzo
Stumpo, ricorrente; 
    contro D. O., elettivamente domiciliato in  Roma,  via  Agri,  1,
presso lo studio  dell'avv.  Massimo  Nappi,  che  lo  rappresenta  e
difende unitamente all'avv. Alberto Guariso, controricorrente; 
    avverso la sentenza n. 1463/2017 della Corte d'appello di Milano,
depositata il 19 luglio 2017 R.G.N. 9/2017; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
2 aprile 2019 dal consigliere dott. Umberto Berrino; 
    udito il pubblico ministero in persona del sostituto  procuratore
generale dott. Stefano Visona' che ha concluso per il  rigetto  e  in
subordine rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea; 
    udito l'avv. Antonietta Coretti; 
    udito l'avv. Alberto Guariso. 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    1. Il Tribunale di Milano dichiaro' con  ordinanza  il  carattere
discriminatorio  della  condotta  posta  in  essere   dall'Inps   nei
confronti di O. D.  per  aver  negato  a  quest'ultimo  l'assegno  di
natalita' di cui all'art. 1, comma 125, della legge 23 dicembre 2014,
n.  190  in  quanto  sprovvisto  della  carta  di  soggiorno  CE  per
soggiornanti  di   lungo   periodo   e,   conseguentemente,   ordino'
all'Istituto di previdenza di cessare tale condotta e  di  rimuoverne
gli effetti, riconoscendo al ricorrente, per il suddetto  titolo,  la
somma di euro 1440,00 maturata sino al 15  aprile  2016,  nonche'  le
ulteriori  quote  mensili  fino  alla   permanenza   delle   previste
condizioni reddituali, oltre gli interessi legali dalle  scadenze  al
saldo. 
    2. L'impugnazione proposta dall'Inps avverso  tale  ordinanza  e'
stata respinta dalla Corte  d'appello  di  Milano  (sentenza  del  19
luglio 2017). La Corte di merito ha sostanzialmente rilevato  che  la
lamentata discriminazione appare sussistente nella fattispecie, posto
che l'esclusione dall'erogazione del  beneficio  richiesto,  motivata
dalla nazionalita' del richiedente,  si  pone  in  contrasto  con  la
disciplina sovranazionale in  materia.  In  particolare,  secondo  la
Corte territoriale, tale contrasto si rende evidente con la direttiva
n. 2011/98/UE che all'art. 12 stabilisce che i lavoratori di  cui  al
paragrafo 1, lettere b) e c) - vale a  dire  i  cittadini  dei  Paesi
terzi ammessi in uno Stato membro ai fini  lavorativi  -  beneficiano
dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in
cui  soggiornano  per  quanto  concerne  i  settori  della  sicurezza
sociale, come definiti dal regolamento CE n. 883/2004, tra i quali e'
possibile annoverare la prestazione in esame,  in  quanto  diretta  a
tutelare  economicamente  la  maternita'  e  la  paternita'  in  modo
continuativo fino al compimento dei tre anni di eta' del bambino. 
    3. Per la Cassazione della sentenza ricorre l'Inps con un motivo,
cui resiste O. D. con controricorso. Le parti depositano  memoria  ai
sensi dell'art. 378 codice di procedura civile. 
    4. Con  l'unico  articolato  motivo  di  ricorso,  l'Inps  deduce
violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli
1, commi da 125 a 129, della legge n. 190 del 2014 e connesso decreto
del Presidente del Consiglio  dei  ministri  del  27  febbraio  2015,
articoli 4-bis, comma 1-bis, 5, commi  8.1.  e  8.2.,  9,  dodicesimo
comma, lettera c); articoli 43 e 44 del decreto  legislativo  n.  286
del 1998, anche in relazione all'art.  12  delle  disposizioni  sulla
legge in generale, all'art. 12 della direttiva  2011/98/UE,  recepita
con il  decreto  legislativo  n.  40  del  2014  ed  all'art.  3  del
regolamento  CE  n.  883/2004,  per  avere  la   sentenza   impugnata
riconosciuto il diritto della controparte, cittadino extracomunitario
titolare del c.d. «permesso unico di lavoro»  e,  quindi,  privo  del
permesso di lungo soggiorno, a percepire, per la figlia  nata  il  25
febbraio 2015, le somme richieste per il periodo indicato,  a  titolo
di assegno di natalita' previsto dall'art. 1, commi  da  125  a  129,
della legge n. 190 del 2014 in favore dei cittadini italiani o di uno
Stato membro dell'Unione europea o di cittadini  extracomunitari  con
permesso di soggiorno  di  lungo  periodo,  pur  in  assenza  di  una
previsione specifica al riguardo  da  parte  del  combinato  disposto
delle disposizioni sopra richiamate e  definendo  discriminatoria  la
condotta dell'Inps. 
    5. Ad avviso del ricorrente, dall'impianto  normativo  istitutivo
della prestazione  rivendicata,  e  segnatamente  dal  meccanismo  di
monitoraggio della spesa in relazione  al  numero  delle  domande  in
concreto  presentate  con  possibilita'  per  l'Inps  di  sospensione
dell'acquisizione delle domande in attesa  del  decreto  ministeriale
previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27
febbraio 2015, art.  6,  comma  2,  si  evincono  sia  la  natura  di
«premio»,  diretto  ad  incentivare  la  natalita'  nell'ambito   del
territorio nazionale a causa della notoria  flessione  delle  nascite
sia l'estraneita' di tale misura rispetto al sistema delle tutele  di
sicurezza sociale richiamate dal regolamento  CEE  883/2004;  in  tal
senso  il  ricorrente   richiama   quanto   affermato   dalla   Corte
costituzionale con la sentenza n. 141 del 2014 a  proposito  del  cd.
«bonus bebe'» previsto con legge della Regione Campania n. 4, art. 1,
comma  78,  del  2011,  disposizione   considerata   giustificata   e
razionale, come pure in casi analoghi era  avvenuto  da  parte  delle
sentenze della Corte costituzionale numeri 222, 178, 4 e 2 del  2013.
Gli inderogabili doveri di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost. e  le
misure di protezione della maternita' di  cui  all'art.  31,  secondo
comma, Cost. sono realizzati,  ad  avviso  dell'istituto  ricorrente,
dalla disposizione  contenuta  nell'art.  35,  comma  terzo,  decreto
legislativo n. 286 del 1998, la'  dove  e'  prevista  per  tutti  gli
stranieri, ancorche' non iscritti al Servizio sanitario nazionale, la
tutela della gravidanza e della maternita' a parita'  di  trattamento
con le cittadine italiane  e  la  tutela  della  salute  del  minore.
Peraltro, come riconosciuto da Corte costituzionale n. 222 del  2013,
il radicamento nel territorio nazionale derivante  dalla  titolarita'
del permesso di lungo soggiorno e' elemento valido a giustificare  il
riconoscimento di prestazioni sociali solo a  coloro  i  quali  hanno
conseguito tale permesso a fronte  della  limitatezza  delle  risorse
economiche disponibili e della discrezionalita' che  va  riconosciuta
al legislatore ove non si versi in  misure  appartenenti  ai  livelli
essenziali di assistenza. In ragione di tali considerazioni,  dunque,
la disposizione denunciata  quale  discriminatoria  e',  per  l'Inps,
misura del tutto estranea all'ambito della sicurezza sociale  oggetto
della previsione contenuta nell'art. 12 della direttiva UE 2011/98 e,
quindi all'oggetto  del  diritto  alla  parita'  di  trattamento  ivi
previsto, e conforme ai principi costituzionali di cui agli  articoli
2, 3, 31 e 38 della Costituzione. 
    6. Infine, l'Istituto  evidenzia  che  la  propria  tesi  non  e'
contraddetta dalla sentenza della Corte di giustizia  del  21  giugno
2017 C- 449/2016 in quanto l'assegno di natalita' di cui  alla  legge
n. 190 del 2014 e' destinato ad  incentivare  le  nascite  e  rientra
nella previsione dell'art. 70 del  citato  regolamento  quale  misura
retta dalla fiscalita' generale, a  differenza  dell'assegno  per  il
nucleo familiare erogato dai comuni di cui all'art. 65 della legge n.
448 del 1998, che e' un contributo pubblico  destinato  ad  alleviare
gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli. 
    7. Il controricorrente eccepisce l'inammissibilita'  del  ricorso
ai sensi dell'art. 366 codice di procedura civile  per  l'assenza  di
relazione tra la regola giuridica applicata dal giudice di  merito  e
la regola ritenuta corretta, con l'ulteriore elemento di  genericita'
costituito dall'aver affermato in modo apodittico  che  l'assegno  di
natalita'  in  oggetto  non  e'  prestazione  di  sicurezza  sociale,
contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata.  In  ogni
caso il controricorrente ribadisce l'infondatezza delle  affermazioni
sottese al motivo di ricorso, in  quanto  il  diritto  a  non  subire
disparita' di trattamento, fondato sull'art. 12  della  direttiva  UE
2011/98, deriva dalla inclusione della propria posizione di cittadino
titolare  di  permesso  di  soggiorno  che  consente  di  lavorare  -
paragrafo 1, lettera b) e c) della citata direttiva 2011/98 - e dalla
natura della prestazione rivendicata, che rientra nel  settore  della
sicurezza sociale definito dal regolamento  883  del  2004,  art.  3,
primo comma, lettera  b)  «prestazioni  di  maternita'  e  paternita'
assimilate» e lettera j) «prestazioni familiari», in quanto diretta a
tutelare la maternita' e la paternita'  ed  ad  alleviare  gli  oneri
familiari, come peraltro ribadito nella giurisprudenza europea  (CGUE
16 luglio 1992 in C. 78/91; CGUE 5 marzo 1998 in C-160/1996; CGUE  14
giugno 2016 C-308/2014; CGUE C- 21 giugno 2017 C-449/16). 
    8. Quanto, poi, al profilo relativo al vincolo di  spesa  annuale
imposto  all'Istituto  attraverso  il   monitoraggio   dell'andamento
dell'uscita  di  cassa,  il   controricorrente   osserva   che   tale
meccanismo, oltre a non poter evitare la necessaria applicazione  del
diritto euro-unitario, in concreto,  data  la  scadenza  del  termine
originariamente previsto per la fruizione del beneficio (31  dicembre
2017), e' semmai prova del fatto che il  riconoscimento  del  diritto
anche ai titolari  del  permesso  di  soggiorno  per  lavoro  non  ha
comportato alcuna conseguenza sui piano della  copertura  finanziaria
prevista. 
    9. Infine,  il  controricorrente  segnala  la  natura  del  tutto
apodittica dell'affermazione  dell'Inps  relativa  alla  contrarieta'
alla finalita' di incentivo alla natalita' del trattamento  richiesto
con una presenza solo temporanea dei titolari di  permesso  unico  di
lavoro, in quanto nulla in concreto puo' collegare  il  possesso  del
permesso unico di  soggiorno  alla  presunzione  di  permanenza  solo
temporanea sul territorio nazionale, soprattutto considerando che  il
permesso di lungo periodo di cui all'art. 9  decreto  legislativo  n.
286 del 1998 e' subordinato, oltre che alla residenza  effettiva  per
almeno cinque anni, anche al raggiungimento di un reddito  minimo  ed
alla fruizione di un alloggio idoneo e che la  direttiva  UE  2011/98
non ha scelto questo criterio  per  selezionare  i  soggetti  cui  va
assicurata la parita' di trattamento in materia di sicurezza sociale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Escluso che  il  ricorso  sia  inammissibile  per  difetto  di
specificita' del motivo in ragione della piena idoneita' dei vizi  di
violazione  di  legge  prospettati  ad  incrinare  la   ricostruzione
giuridica seguita dalla sentenza impugnata, questa Corte ritiene  che
la questione prospettata  importi  innanzi  tutto  la  necessita'  di
verificare la legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  125,
legge n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 3 Cost., 31 Cost. e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli articoli  20,
21, 24, 31 e 34 della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    Il testo dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del  2014  prevede:
«Al fine di incentivare la natalita' e contribuire alle spese per  il
suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 10 gennaio  2015
e il 31 dicembre 2017 e' riconosciuto un assegno di  importo  pari  a
960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita  o
adozione. L'assegno, che non concorre  alla  formazione  del  reddito
complessivo di cui all'art. 8 del testo unico di cui al  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e  successive
modificazioni, e' corrisposto fino al compimento del  terzo  anno  di
eta' ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito
dell'adozione, per i figli di  cittadini  italiani  o  di  uno  Stato
membro dell'Unione europea o di cittadini  di  Stati  extracomunitari
con permesso di soggiorno di cui all'art. 9  del  testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero, di cui al  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, residenti in  Italia
e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza  del  genitore
richiedente l'assegno sia in una condizione economica  corrispondente
a un valore dell'indicatore della  situazione  economica  equivalente
(ISEE), stabilito ai sensi del regolamento  di  cui  al  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013,  n.  159,  non
superiore a 25.000 euro annui. L'assegno di cui al presente comma  e'
corrisposto,  a  domanda,  dall'Inps,  che  provvede  alle   relative
attivita', nonche' a quelle del comma  127,  con  le  risorse  umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Qualora
il  nucleo  familiare  di  appartenenza  del   genitore   richiedente
l'assegno sia in una condizione economica corrispondente a un  valore
dell'ISEE, stabilito ai  sensi  del  citato  regolamento  di  cui  al
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159  del  2013,
non superiore a 7.000 euro annui, l'importo dell'assegno  di  cui  al
primo periodo del presente comma e' raddoppiato». 
    2. Rilevanza della questione di  costituzionalita'.  Il  presente
giudizio e' stato introdotto dall'attuale controricorrente  ai  sensi
dell'art. 44 decreto legislativo n.  286  del  1998,  denunciando  la
natura  oggettivamente  discriminatoria  della  negazione,  da  parte
dell'Inps, dell'assegno di natalita' di  cui  sopra  in  ragione  del
possesso del permesso unico di lavoro anziche'  di  quello  di  lungo
soggiorno  ex  art.  9  decreto  legislativo  n.  286  del  1998.  In
particolare, e' stato fatto valere il  diritto  a  beneficiare  dello
stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato italiano in cui
soggiorna  per  quanto  concerne  l'erogazione  dell'assegno  di  cui
all'art. 1, commi 125-129, legge n. 190 del 2014, in applicazione del
disposto dell'art. 12, paragrafo 1, lettera  e)  della  direttiva  UE
2011/98, con richiesta di' non applicazione del disposto della  norma
il cui testo, invece, la esclude, ritenendola  incompatibile  con  il
diritto europeo. 
    3. E' evidente che il chiaro tenore testuale dell'art.  1,  comma
125, legge n. 190 del 2014 dimostra che il carattere  in  se'  lesivo
del diritto a non subire disparita' di trattamento e'  da  verificare
innanzi tutto nella previsione di legge che ha  introdotto  l'assegno
di natalita', selezionando i  beneficiari  in  ragione  di  requisiti
diversi a seconda della nazionalita', essendo la  condotta  dell'Inps
solamente applicativa di tale disposto. 
    4.  Inoltre,  avendo  D.  O.  chiesto   la   condanna   dell'Inps
all'erogazione dell'assegno di natalita' quale concreta misura idonea
ad eliminare gli effetti della discriminazione ed avendo, in sede  di
legittimita', il ricorrente denunciato vizio di violazione  di  legge
incentrato  sulla   affermata   erronea   interpretazione   di   tale
disposizione in relazione alle previsioni della direttiva UE 2011/98,
la concreta rilevanza della questione di legittimita'  costituzionale
che la involge e' evidente, non potendo la Corte di cassazione fare a
meno di vagliare l'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014  al  fine
di risolvere la questione oggetto di giudizio. 
    5. Non vi  e'  dubbio,  inoltre,  che  qualora  si  dovesse  fare
applicazione  della  disposizione  appena  citata,  la  domanda   del
cittadino extracomunitario sarebbe rigettata perche' e' pacifico che,
pur essendo presenti gli ulteriori presupposti  richiesti,  l'odierno
controricorrente non e' titolare del permesso di lungo  soggiorno  ex
art. 9 decreto legislativo n.  286  del  1998.  Ne'  l'inequivocabile
tenore letterale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014 -  che
per i cittadini extracomunitari espressamente condiziona  il  diritto
all'assegno de quo, fra gli altri requisiti, al permesso di soggiorno
di cui all'art. 9 del decreto  legislativo  n.  286  del  1998  -  e'
suscettibile   di    estensione    in    via    di    interpretazione
costituzionalmente conforme (donde  la  necessita'  di  investire  il
giudice delle leggi). 
    6. Detta rilevanza, peraltro, non e' impedita dalla pur  concreta
possibilita'  di  procedere  alla  disamina  del  motivo  di  ricorso
privilegiando la finalita', perseguita dai giudici di merito, diretta
esclusivamente alla verifica di compatibilita' della norma denunciata
con la previsione  dell'art.  12,  paragrafo  1,  lettera  e),  della
direttiva UE 2011/98, che impone la parita' di trattamento in  favore
dei «lavoratori dei paesi terzi  di  cui  all'art.  3,  paragrafo  1,
lettera b) e c)» e che,  ove  l'incompatibilita'  si  evidenzi  anche
previo ricorso pregiudiziale alla CGUE, conduce  all'inapplicabilita'
alla fattispecie in esame del disposto dell'art. 1, comma 125,  legge
n. 190 del 2014 in ragione del principio di  prevalenza  del  diritto
euro-unitario sul diritto nazionale. 
    7. Va, infatti,  osservato  che  l'interpretazione  della  citata
disposizione, sollecitata, ancor prima che dal motivo di ricorso  per
cassazione, dalla stessa denuncia degli effetti discriminatori insiti
nella disposizione formulata dal ricorrente in primo  grado,  importa
la  necessaria  disamina  della  conformita'  a  Costituzione   della
disposizione in esame che richiama, testualmente,  l'art.  9  decreto
legislativo n. 286 del 1998  e,  quindi,  il  sistema  normativo  che
disciplina la  materia  dei  permessi  di  soggiorno  e  dei  diritti
riguardanti i cittadini stranieri delineato dal  citato  testo  unico
che, attraverso le modifiche apportate dai due articoli  del  decreto
legislativo n. 40 del 2014, ha pure recepito la direttiva UE 2011/98. 
    8. Nel caso di specie,  ritiene  il  Collegio  che  il  peculiare
meccanismo di funzionamento della non applicazione della disposizione
contenuta nell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del  2014,  ovviamente
limitato all'inciso che richiede per cittadini extra comunitari anche
il possesso di permesso di  lungo  soggiorno,  non  possa  realizzare
effetti   analoghi   a   quelli   derivanti   dalla   pronuncia    di
incostituzionalita' per violazione degli  articoli  agli  articoli  3
Cost., 31 Cost. e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in  relazione
agli  articoli  20,  21,  24,  31  e  34  della  Carta  dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE). 
    9. Solo in sede di giudizio costituzionale e' possibile, infatti,
valutare la ragionevolezza della  scelta  discrezionale  legislativa,
frutto di bilanciamento dei  contrapposti  interessi  e  considerare,
come si dira' piu' approfonditamente  in  sede  di  giudizio  di  non
manifesta infondatezza, gli indici  normativi  che  avrebbero  dovuto
condurre il legislatore a riconoscere quale unico criterio  selettivo
giustificato e ragionevole il possesso della carta di soggiorno o  di
permesso di soggiorno di durata non inferiore ad  un  anno,  previsto
dall'art. 41 decreto legislativo n. 286 del 1998 quale espressione di
un principio generale, al fine di riconoscere ai  titolari  la  piena
equiparazione ai cittadini italiani ai  fini  della  fruizione  delle
provvidenze e delle  prestazioni,  anche  economiche,  di  assistenza
sociale. 
    10. Ad avviso del Collegio, per tali ragioni legate  ai'  diversi
effetti  che  potrebbero  derivare  dalla   pronuncia   della   Corte
costituzionale rispetto al sistema  al  cui  interno  si  colloca  la
disposizione    sospettata    di    illegittimita'    costituzionale,
l'applicabilita' alla fattispecie  della  direttiva  UE  2011/98  non
determina l'irrilevanza della questione  di  costituzionalita'  e  la
stessa va subito sollevata. 
    11. Cio' e' in sintonia con quanto affermato dalla  piu'  recente
giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale n. 63 del  2019),
secondo la quale «[...] ove il giudice a quo ha inteso  formulare  in
termini chiari e definitivi  le  questioni  sottoposte  all'esame  di
questa Corte, occorre in questa sede  ribadire  -  sulla  scorta  dei
principi gia' affermati nelle sentenze n. 269 del 2017 e  n.  20  del
2019 - che a questa Corte non puo'  ritenersi  precluso  l'esame  nel
merito delle questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  con
riferimento sia a parametri interni, anche  mediati  dalla  normativa
interposta convenzionale, sia - per il tramite degli  articoli  11  e
117, primo comma, Cost. - alle norme corrispondenti della  Carta  che
tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti; e cio'  fermo  restando
il potere del giudice comune  di  procedere  egli  stesso  al  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia  UE,  anche  dopo  il  giudizio
incidentale  di  legittimita'  costituzionale,  e  -  ricorrendone  i
presupposti - di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta
al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto  con  i  diritti
sanciti dalla Carta [...]. Laddove pero' sia stato lo stesso  giudice
comune a sollevare una questione di legittimita'  costituzionale  che
coinvolga anche  le  norme  della  Carta,  questa  Corte  non  potra'
esimersi, eventualmente previo rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
giustizia UE, dal fornire una  risposta  a  tale  questione  con  gli
strumenti che le sono propri: strumenti tra i quali si annovera anche
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della  disposizione
ritenuta in contrasto con la Carta (e pertanto con gli articoli 11  e
117,   primo   comma,   Cost.),    con    conseguente    eliminazione
dall'ordinamento, con effetti erga omnes, di tale disposizione». 
    12. Non manifesta infondatezza. L'art. 1, comma 125, legge n. 190
del 2014, riferito ai nuovi nati o adottati tra il primo gennaio 2015
ed il 31 dicembre 2017, e' una  misura  che  concorre  a  formare  il
sistema  dei  sostegni  sociali  alla  genitorialita'.  Il  beneficio
consiste nell'erogazione di un assegno, da parte dell'Inps, nell'arco
dei primi tre anni di vita per ciascun  figlio  nato  o  adottato  da
genitori residenti sul territorio nazionale che abbiano  redditi  non
superiori ad euro 25000 secondo gli indicatori ISEE. Laddove,  pero',
i genitori siano cittadini extra comunitari, si richiede  l'ulteriore
requisito della titolarita' del permesso di lungo soggiorno ex art. 9
decreto legislativo n. 286  del  1998,  con  la  conseguenza  che  la
prestazione puo' essere erogata solo  ai  cittadini  extracomunitari,
che ai fini  dell'ottenimento  del  permesso  in  questione,  abbiano
dimostrato di disporre di' un reddito non inferiore all'importo annuo
dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai  familiari,
di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell'art.  29,
comma 3, lettera b) del decreto legislativo n. 286 del 1998,  nonche'
di un alloggio idoneo e di aver superato un test di conoscenza  della
lingua italiana. 
    13. L'onere finanziario relativo all'erogazione  dell'assegno  e'
esclusivamente a  carico  dello  Stato  e,  come  afferma  la  stessa
disposizione, la misura persegue  la  finalita'  di  «incentivare  la
natalita'» e di «contribuire alle  spese  per  il  suo  sostegno».  A
fronte di  cio',  e  segnatamente  della  limitazione  dei  possibili
beneficiari  in  ragione  della  fruizione  di  redditi   modesti   o
addirittura estremamente bassi, non pare seriamente dubitabile che si
tratti di misura soprattutto  tesa  al  sostegno  delle  famiglie  in
condizioni economiche non agiate (qualora non si superi il  tetto  di
25000 euro annui) o addirittura in stato di bisogno (per l'ipotesi di
redditi non superiori a 7000 euro annui). 
    14. Peraltro, l'art. 5 del decreto del Presidente  del  Consiglio
dei ministri 27 febbraio  2015,  emanato  per  dare  attuazione  alla
misura, prevede la decadenza dal beneficio in ragione della  perdita,
durante il triennio, dei requisiti economici posseduti al momento  di
presentazione della domanda, di decesso del figlio o di perdita della
responsabilita' genitoriale. 
    In altri termini si tratta di prestazione di  assistenza  sociale
di contenuto economico realizzante uno degli  interventi  finalizzati
alla valorizzazione ed al sostegno delle  responsabilita'  familiari,
cosi' come previsto,  in  applicazione  dei  principi  costituzionali
fissati dagli articoli 2 e 3 Cost., dalla  legge  n.  328  del  2000,
all'art. 16. La disposizione si caratterizza  per  l'adozione  di  un
criterio  di  selezione  dei  beneficiari  affidato  a   ragioni   di
nazionalita'   e   di   contemporanea    presenza    di    condizioni
economico-sociali peculiari  -  compendiate  nel  rinvio  all'art.  9
decreto legislativo n. 286 del 1998  -  relative  ai  soli  cittadini
extracomunitari,  essendo  invece  comuni  a  cittadini  europei   ed
extracomunitari  gli  ulteriori   requisiti   dell'attualita'   della
residenza in Italia e della percezione di redditi non superiori  alle
modeste soglie sopra indicate. 
    15. In sostanza, la fruizione dell'assegno risulta, per  testuale
previsione di legge e senza che possa  sperimentarsi  alcuna  diversa
interpretazione che  eviti  l'oggettiva  disparita'  di  trattamento,
esclusa nei confronti dei nati o degli adottati tra il primo  gennaio
2015 ed il 31 dicembre 2017 da genitori cittadini extracomunitari che
fruiscono di redditi non superiori ad euro 7000 o ad euro 25000, sono
legalmente  residenti  in  Italia  in  base  ad  idoneo  permesso  di
soggiorno e lavoro, ma non risultano titolari del permesso  di  lungo
soggiornanti di cui all'art. 9 decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    16. Inoltre, la disposizione in esame non si  raccorda  in  alcun
modo con la previsione contenuta nell'art. 41 del decreto legislativo
n. 286 del  1998  (disposizione  appartenente  all'insieme  di  norme
contenute nel testo unico che l'art. 1,  comma  4,  definisce  «norme
fondamentali di  riforma  economico-sociale  della  Repubblica»)  che
riconosce in linea  generale  parita'  di  trattamento,  rispetto  ai
cittadini italiani, in materia di  assistenza  sociale  ai  cittadini
extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro  validi
per almeno un anno. 
    17.  La  disposizione   suscita   il   dubbio   di   legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 3  Cost.,  sotto  il  profilo
della irragionevolezza e della disparita' di  trattamento,  dell'art.
31 Cost., dell'art. 117, primo comma Cost., quest'ultimo in relazione
agli  articoli  20,  21,  24,  31  e  34  della  Carta  dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea. 
    18. Thema decidendum. I profili della questione sono i seguenti. 
    Quanto alla possibile violazione dell'art. 3 della  Costituzione,
pare in  contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  prevedere
dapprima  -  e  correttamente  -  che  l'erogazione  dell'assegno  di
natalita' debba essere uguale a parita' di bisogno, e  poi  escludere
contraddittoriamente dalla medesima  prestazione  sociale,  rilevante
perche'  a  contenuto  economico,  intere  categorie   di   soggetti,
selezionati non in base all'entita' o alla natura del bisogno, ma  ad
un  criterio  privo  di  ogni  collegamento  con  questo,  quale   la
titolarita' del permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata
pregressa della residenza almeno quinquennale,  un  reddito  comunque
almeno pari all'importo dell'assegno sociale, un alloggio idoneo e la
conoscenza   della   lingua   italiana:   determinando,   con   cio',
l'esclusione di  chi  si  trova  in  situazione  di  maggior  bisogno
rispetto a tale categoria e disparita' di trattamento tra  situazioni
identiche o  analoghe,  con  conseguente  lesione  del  principio  di
eguaglianza. 
    19.  La  Corte  costituzionale  ha  gia'   ritenuto   illegittime
disposizioni  simili  a  quella  denunciata,  sul  rilievo  che   una
disciplina del tipo considerato introduce un elemento di  distinzione
arbitrario, proprio perche' non vi e' alcuna ragionevole correlazione
tra la residenza protratta nel tempo e i requisiti di  bisogno  e  di
disagio della persona che costituiscono il presupposto di fruibilita'
di una provvidenza sociale (sentenza n. 40 del 2011). 
    20.  Peraltro,  si  tratta  di  prestazione  sociale  erogata  in
occasione della nascita di un figlio o della sua adozione, da  fruire
nell'arco di tre anni e, quindi, relativa a  bisogni  essenziali  del
nucleo familiare da soddisfare nei limiti di durata contenuta in tale
arco temporale e destinata a non essere piu' erogata nell'ipotesi  in
cui venga meno qualcuno dei presupposti necessari durante il  decorso
del  triennio.  Sia  avendo  riguardo  alla  funzione  di   incentivo
all'incremento demografico che alla funzione di  sostegno  economico,
non si comprende in che relazione possano stare tali finalita' con le
circostanze di vita pregressa che  costituiscono  i  presupposti  per
ottenere il permesso di lungo soggiorno di  cui  all'art.  9  decreto
legislativo n. 286/1998. 
    21. Ne' a giustificare la pretesa giovano  considerazioni  legate
alla particolare finalita' di incentivare la natalita' nel territorio
nazionale che  legittimerebbe  l'imposizione  della  titolarita'  del
permesso di lungo  soggiorno,  quale  dimostrazione  del  particolare
radicamento  del  richiedente  nel  territorio  nazionale.   Infatti,
sebbene il permesso di lungo soggiorno dimostri  tale  radicamento  e
lasci  presagire  un  progetto  di  continuita'  in  tal  senso,   e'
altrettanto vero che tali considerazioni  non  risultano  logicamente
correlate con l'assegno di natalita' di cui si discute,  che  non  ha
solo  funzione  di   incentivo   all'innalzamento   demografico   ma,
soprattutto, riveste il ruolo di sostegno economico, limitato solo al
primo triennio di vita del bambino o del suo inserimento in  famiglia
in caso di adozione, alle famiglie meno agiate  i  cui  bisogni  sono
immediati ed indifferibili e certamente poco influenzati dai progetti
di vita a lungo termine. 
    22. Non e', dunque, rilevante in questa sede quanto ha  affermato
la Corte costituzionale a proposito della legittimita' costituzionale
di misure definite «assegni di natalita'» istituite da talune regioni
e  che  non  avevano  nessuna  funzione  di  sostegno  alle  famiglie
bisognose perche' erogate a prescindere da  limiti  reddituali  (vedi
Corte  costituzionale  n.  222  del  2013  in  relazione  alla  legge
regionale Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2011, art. 3). 
    23. Anzi, va ricordato che Corte costituzionale n. 141 del  2014,
nel giudicare la conformita'  all'art.  3  della  Costituzione  della
legge regionale della Campania n. 4 del 2011, istitutiva di un «bonus
bebe'» erogato a prescindere dal reddito familiare e solo sulla  base
della residenza biennale sul territorio regionale, ha affermato:  «La
questione - che, con riguardo al cosiddetto  «bonus  bebe'»,  investe
propriamente il solo prescritto requisito della  permanenza  biennale
sul  territorio  regionale  -  non  e'  fondata,   poiche'   non   e'
irragionevole la previsione regionale che si  limiti  a  favorire  la
natalita' in correlazione alla presenza stabile del nucleo  familiare
sul territorio,  senza  che  vengano  in  rilievo  ulteriori  criteri
selettivi concernenti situazioni di bisogno o disagio,  i  quali  non
tollerano di  per  se'  discriminazioni  (cosi',  tra  le  altre,  le
sentenze n. 222, n. 178, n. 4 e n. 2 del 2013)». 
    24. Va aggiunta l'ulteriore considerazione che neppure  rilevano,
in senso contrario, valutazioni relative alla necessita' di  limitare
l'erogazione di prestazioni  di  natura  economica  eccedenti  quelle
essenziali in ragione della limitatezza  delle  risorse  disponibili,
posto  che  cio'  non  esclude   «che   le   scelte   connesse   alla
individuazione dei beneficiari - necessariamente da circoscrivere  in
ragione della limitatezza delle risorse disponibili - debbano  essere
operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza»
come statuito da Corte costituzionale n. 40 del 2011  e  n.  432  del
2005. 
    25. A questo fine, la giurisprudenza  costituzionale,  sempre  in
materia di misure di assistenza sociale  da  garantire  ai  cittadini
extracomunitari in possesso di titoli  validi  di  soggiorno  ma  non
della carta  di  soggiorno,  ora  permesso  di  lungo  soggiorno,  ha
precisato  la  necessita'  che,  fermi  gli   ulteriori   presupposti
richiesti per la fruizione delle misure di assistenza sociale, «[...]
nell'ottica della  piu'  compatibile  integrazione  sociale  e  della
prevista equiparazione, per  scopi  assistenziali,  tra  cittadini  e
stranieri extracomunitari, di cui all'art. 41 del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero) -  il  soggiorno  di  questi  ultimi  risulti,  oltre  che
regolare, non episodico ne' occasionale»  (Corte  Cost.  n.  230  del
2015). 
    26. Neppure le considerazioni svolte nella recente sentenza della
Corte  costituzionale  n.  50  del  2019,  in  tema  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n.  388  del  2000
nella parte  in  cui  subordina  il  diritto  a  percepire  l'assegno
sociale, per gli stranieri extracomunitari,  alla  titolarita'  della
carta di soggiorno (ora  permesso  di  lungo  soggiorno)  pare  possa
risolvere il dubbio  di  costituzionalita'  relativo  alla  norma  in
esame. Infatti, il soddisfacimento di tale  condizione  per  il  solo
straniero extracomunitario e' stato  ritenuto  non  irragionevole  in
virtu' del fatto che l'assegno sociale e' misura che, rivolgendosi  a
chiunque abbia compiuto 65 anni di eta', persegue finalita' peculiari
e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate
a specifiche  esigenze  di  tutela  sociale  della  persona  che  non
tollerano  discriminazioni,   come   nel   caso   delle   invalidita'
psicofisiche. Ha, in particolare, affermato la Corte  costituzionale,
nella sentenza da ultimo citata, che «[...]  Tali  persone  ottengono
infatti, alle soglie dell'uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da
parte della collettivita' nella quale hanno operato (non  a  caso  il
legislatore esige in capo al cittadino stesso  una  residenza  almeno
decennale in Italia), che e' anche un corrispettivo solidaristico per
quanto doverosamente offerto  al  progresso  materiale  o  spirituale
della societa' (art. 4 Cost.)». 
    27.  Il  profilo  di  irragionevolezza  appena  illustrato  e  la
disparita' di trattamento che ne consegue, in definitiva,  dovrebbero
condurre alla declaratoria di incostituzionalita'  -  per  violazione
dell'art. 3 della Costituzione - dell'art. 1, comma 125, legge n. 190
del  2014,  nella  parte  in   cui   richiede   ai   soli   cittadini
extracomunitari ai fini  dell'erogazione  dell'assegno  di  natalita'
anche la titolarita' del permesso unico  di  soggiorno,  anziche'  la
titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un  anno
in applicazione della disposizione generale  contenuta  nell'art.  41
decreto  legislativo  n.  286  del  1998,   norma   che   rappresenta
l'equilibrato bilanciamento tra il diritto  dell'extracomunitario  di
godere, a parita' di trattamento  con  i  cittadini  italiani,  delle
misure di assistenza sociale e il riscontro  di  una  presenza  dello
stesso non temporanea ne' episodica sul territorio nazionale. 
    28. Altro  profilo  di  denuncia,  conseguente  a  quello  appena
illustrato,  e'  quello  relativo  all'art.  31  della  Costituzione,
giacche' l'irragionevole  disparita'  di  trattamento  ai  danni  dei
cittadini extracomunitari prodotta dalla norma  denunciata  determina
anche l'effetto di violare i  diritti  protetti  dall'art.  31  della
Costituzione, in forza del  quale  la  Repubblica  si  fa  carico  di
agevolare con misure economiche ed altre  provvidenze  la  formazione
della famiglia e di proteggere la maternita' e l'infanzia. 
    29. E' evidente, infatti, che la richiesta della titolarita'  del
permesso di lungo soggiorno per l'erogazione di un sostegno economico
finalizzato  ad  incentivare  le  nascite  e  ad  alleviare  il  peso
economico del mantenimento del  nuovo  nato  impedisce  di  fatto  ed
irrimediabilmente la realizzazione della garanzia costituzionale  per
quelle famiglie e per quei figli in cui nessuno dei  genitori  e'  in
possesso del permesso di lungo soggiorno, pur  trovandosi  le  stesse
famiglie in modo non episodico o temporaneo a risiedere in territorio
nazionale e vivendo  nelle  medesime,  se  non  peggiori,  condizioni
economiche. 
    30. L'effetto, inevitabile, pare essere quello di negare per tali
nuclei  familiari  e  per  i  loro   nuovi   nati,   in   radice   ed
irrimediabilmente,  la  realizzazione  del  diritto   sancito   dalla
Costituzione, con  effetti  disgreganti  del  tessuto  sociale  della
nazione nel nucleo originario ed essenziale della famiglia. 
    31. L'art. 1, comma 125, legge n. 190  del  2014,  inoltre,  pare
violare anche l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  agli
articoli 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che,  rispettivamente,  enunciano
il principio di uguaglianza ed il divieto di  discriminazioni,  anche
per cittadinanza, riconoscono il diritto dei bambini «alla protezione
e alle cure necessarie  per  il  loro  benessere»,  garantiscono  «la
protezione della famiglia sul piano giuridico, economico  e  sociale»
nonche' riconoscono  «il  diritto  di  accesso  alle  prestazioni  di
sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione». 
    32. Il diniego dell'assegno di natalita' di cui all'art. 1, comma
125,  legge  n.  190  del  2014,   pare   integrare,   difatti,   una
discriminazione a causa della nazionalita', come  pure  espressamente
vietato  dall'art.  12,   lettera   e),   della   direttiva   2011/98
(applicabile ai cittadini di Paesi terzi, titolari del permesso unico
di soggiorno come gli odierni contro ricorrenti),  che  espressamente
prevede il diritto dei lavoratori di cui  all'art.  3,  paragrafo  1,
lettere b) e c), di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai
cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne -
fra  l'altro  -  i  settori  della  sicurezza  sociale  definiti  nel
regolamento (CE) n. 883/2004. 
    33. In particolare, va ricordato che  la  giurisprudenza  europea
che ha avuto modo di esaminare la direttiva  in  questione  sotto  il
profilo dei diritti sociali  per  cui  va  garantita  la  parita'  di
trattamento (CGUE 21  giugno  2017  C-4491/2016)  ha  avuto  modo  di
precisare  che  «[...]  la  distinzione   fra   prestazioni   escluse
dall'ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni
che vi rientrano e' basata essenzialmente sugli elementi  costitutivi
di ciascuna prestazione, in particolare sulle  sue  finalita'  e  sui
presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa  sia  o
no qualificata come prestazione di sicurezza sociale da una normativa
nazionale (v., in tal senso, in particolare, sentenze del  16  luglio
1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 14; del 20 gennaio  2005,
Noteboom, C-101/04, EU:C:2005:51, punto 24, e del  24  ottobre  2013,
Lachheb, C-177/12, EU:C:2013:689, punto  28).  Una  prestazione  puo'
essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale  qualora
sia  attribuita  ai  beneficiari  prescindendo  da  ogni  valutazione
individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad
una situazione definita per legge, e si riferisca a  uno  dei  rischi
espressamente elencati nell'art. 3, paragrafo 1, del  regolamento  n.
883/2004 (v. in tal senso, in particolare,  sentenze  del  16  luglio
1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 15; del  15  marzo  2001,
Offermanns,  C-85/99,  EU:C:2001:166,  punto  28,  nonche'   del   19
settembre   2013,   Hliddal   e   Bornand,   C-216/12   e   C-217/12,
EU:C:2013:568, punto 48)». Inoltre, la stessa sentenza  ha  affermato
che «[...] l'espressione "compensare i carichi familiari" deve essere
interpretata nel senso che essa fa riferimento, in particolare, a  un
contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli
oneri derivanti  dal  mantenimento  dei  figli  (v.,  in  tal  senso,
sentenza del  19  settembre  2013,  Hliddal  e  Bornand,  C-216/12  e
C-217/12, EU:C:2013:568, punto 55 e giurisprudenza ivi citata)». 
    Pertanto, la sentenza ha concluso affermando che l'art. 12  della
direttiva  2011/98  prevede  «[...]  un  diritto  alla   parita'   di
trattamento, che costituisce la regola generale, ed elenca le deroghe
a tale diritto che gli Stati membri hanno la facolta'  di  istituire.
Tali deroghe possono dunque essere invocate solo qualora  gli  organi
competenti nello Stato membro interessato per  l'attuazione  di  tale
direttiva abbiano  chiaramente  espresso  l'intenzione  di  avvalersi
delle  stesse  (v.,  per  analogia,  sentenza  del  24  aprile  2012,
Kamberaj, C-571/10, EU:C:2012:233, punti 86 e 87)» e che  «l'art.  12
della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel senso  che  esso
osta a una normativa nazionale come quella oggetto  del  procedimento
principale, in base alla  quale  il  cittadino  di  un  paese  terzo,
titolare di un permesso unico ai sensi dell'art. 2,  lettera  c),  di
tale direttiva, non puo' beneficiare di una prestazione  come  l'ANF,
istituito dalla legge n. 448/1998». 
    34.  Alle  argomentazioni  sin  qui  svolte  consegue  che   deve
dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190  del
2014, in relazione agli articoli 3  Cost.,  31  Cost.  e  117,  primo
comma, Cost. quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24, 31 e
34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre  2007,  nella  parte  in  cui,   ai   fini   dell'erogazione
dell'assegno di natalita', richiede ai soli cittadini extracomunitari
anche la titolarita' del permesso unico  di  soggiorno,  anziche'  la
titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno,
in applicazione della disposizione generale  contenuta  nell'art.  41
decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87,  va  dichiarata
la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della  presente
ordinanza alle parti e al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e
alla comunicazione  della  stessa  ai  Presidenti  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte di cassazione,  visti  l'art.  134  della  Costituzione,
l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23
della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  dichiara  rilevante  e   non
manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014, in relazione agli art.
3 Cost., 31 Cost. e 117, primo comma, Cost. quest'ultimo in relazione
agli  articoli  20,  21,  24,  31  e  34  della  Carta  dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12  dicembre  2007,  nella
parte in cui richiede  ai  soli  cittadini  extracomunitari  ai  fini
dell'erogazione dell'assegno di natalita' anche  la  titolarita'  del
permesso unico di soggiorno, anziche' la titolarita' del permesso  di
soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione dell'art. 41
decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    Sospende il presente procedimento. 
    Manda la cancelleria per gli adempimenti previsti  dall'art.  23,
ultimo comma, legge 11  marzo  1953,  n.  87  e  dispone  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
      Cosi' deciso in Roma il 2 aprile 2019. 
 
                        Il Presidente: Manna