N. 243 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 agosto 2016
Ordinanza del 9 agosto 2016 del Tribunale di Genova nel procedimento civile promosso da Campanella Agostino e Muratore Mariliana contro INPS. Previdenza e assistenza - Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 - Esclusione per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento integrale per i trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo INPS e in diverse misure percentuali per quelli compresi tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il minimo INPS, con riguardo alla rivalutazione prevista per il biennio 2011-2013, nella misura del 20 per cento negli anni 2014-2015 e del 50 per cento a decorrere dall'anno 2016. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, commi 25 e 25-bis, nel testo sostituito dall'art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR ), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109. In subordine: Previdenza e assistenza - Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2014-2018 - Riconoscimento nella misura del 50 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei medesimi trattamenti - Riconoscimento nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e del 45 per cento, per ciascuno degli anni del periodo compreso tra il 2015 e il 2018 per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS - Esclusione, per l'anno 2014, con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)"), art. 1, comma 483, lett. d) ed e), come modificato dall'art. 1, comma 286, lett. b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)").(GU n.48 del 30-11-2016 )
IL TRIBUNALE DI GENOVA Sezione Lavoro Il Giudice dott. Marcello Basilico, letti gli atti della causa introdotta con ricorso da Agostino Campanella e Mariliana Muratore - avv. M. Iacoviello e S. Santilli; Nei confronti dell'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale - INPS avv. C. Lo Scalzo, ha pronunciato la seguente ordinanza con ricorso depositato il 16 marzo 2016 Agostino Campanella e Mariliana Muratore hanno agito nei confronti dell'INPS per fare accertare il loro diritto alla perequazione automatica del rispettivo trattamento pensionistico per gli anni 2012 e 2013, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 70/2015 e comunque in applicazione della norma di cui all'art. 69, primo comma, legge n. 388/2000, con conseguente condanna dell'Istituto alla corresponsione degli importi cosi' maturati anche sui ratei arretrati oltre accessori. In presenza del divieto d'integrale perequazione posto dall'art. 1 decreto-legge n. 65/2015 (convertito in legge n. 109/2015) hanno chiesto che sia preliminarmente dichiarata l'illegittimita' costituzionale di tale norma nonche' dell'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011 (convertito in legge n. 214/2011) anche nel testo sostituito dallo stesso art. 1 decreto-legge n. 65/2015, previa sospensione del presente giudizio e rimessione della questione alla Corte costituzionale. Si e' costituito ritualmente l'INPS contestando le ragioni giuridiche dell'azione avversaria e chiedendone la reiezione. Cosi' com'e' pacifico tra le parti, entrambi i ricorrenti sono titolari di pensione (categoria VO) con decorrenza anteriore al 2011 (Campanella 2001, Muratore 2006) ed importo lordo mensile di valore superiore, al 31 dicembre 2011, ad € 1.405,05. Avevano percio' subito il blocco del meccanismo di perequazione automatica (ex art. 34, comma 1, legge n. 448/98) introdotto dall'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011 (convertito in legge n. 214/2011). Dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' di questa disposizione, il legislatore e' intervenuto nella materia con l'art. 1 decreto-legge n. 65/2015 (convertito nella legge n. 109/2015), rimodulando la perequazione per il biennio 2012/2013. I ricorrenti dubitano anche della legittimita' di tale nuovo disposto normativo. Sulla rilevanza della questione d'incostituzionalita'. L'art. 1, primo comma, decreto-legge n. 65/2015 (convertito nella legge n. 109/2015) ha stabilito quanto segue: «1. Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarieta' intergenerazionale, all'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono apportate le seguenti modificazioni»: 1) il comma 25 e' sostituito dal seguente: «25, La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta: [..]. d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori e cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; e) non e' riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento complessivo dei trattamenti medesimi». Al 31 dicembre 2011 il valore lordo mensile della pensione della ricorrente Muratore era di € 2.448,28, oltre cinque volte superiore al trattamento minimo; si collocava dunque nella fascia sub d) della norma. L'importo della pensione di Campanella era maggiore (€ 3.024,9 lordi), collocandosi nella fascia immediatamente superiore [all. 3 al ricorso e all. 1 alle memoria di costituzione]. Conseguentemente - anche tale elemento e' documentato dall'INPS - nell'agosto 2015 ciascuno di loro ha percepito, a titolo di arretrati dovuti per effetto della citata pronuncia n. 70/2015 della Corte costituzionale, un importo ridotto nella proporzione stabilita dalla norma anziche' l'ammontare integrale della rivalutazione maturata nel biennio 2012/2013: per la precisione, Muratore € 287,38 complessivi, corrispondenti quindi a € 6,21 al mese invece di € 112,23 spettanti per effetto della sentenza n. 70/2015; Campanella non ha percepito alcunche', mentre prima dell'intervento col decreto-legge n. 65/2015 gli sarebbero spettati € 159,56 in piu' al mese. Dai conteggi analitici depositati dalle parti ricorrenti (e non contestato dell'Istituto emerge che Muratore, per effetto della sentenza n. 70/2015, avrebbe dovuto percepire € 4.891,64 maturati complessivamente tra il 2012 ed il 2016 (in dettaglio, € 817,18 per il 2012, € 1.748,63 per il 2012, € 1.670,63 per il 2014 ed € 1.656,33 per il 2015) ed ha invece ricevuto € 299,99; a sua volta Campanella avrebbe invece avuto diritto a percepire € 7.187,83 (€ 968,89 per il 2012, € 2.072,33 per il 2013, € 2,072,33 per il 2014 ed € 2.074,26 per il 2015) [all. 3 ric.]. La disciplina tacciata d'incostituzionalita' ha dunque inciso sul valore del trattamento pensionistico goduto dai ricorrenti. Tale incidenza e' stata protratta ulteriormente nel tempo, dal legislatore, adottando percentuali riduttive diverse, per il triennio 2014/2016 in forza del comma 25-bis, lett. a) e b), che e' stato inserito nell'art. 24, decreto-legge n. 201/2011 dall'art. 1, secondo comma, decreto-legge n. 65/2015. Recita infatti tale ulteriore disposizione: «La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34. comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e' riconosciuta: a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento; b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento». La valutazione di legittimita' delle norme citate ha dunque rilevanza per la decisione della causa e l'accertamento del diritto dei ricorrenti all'integrale perequazione rivendicata. Sul meccanismo di blocco della rivalutazione delle pensioni L'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011 (convertito con modifiche nella legge n. 214/2011) aveva stabilito, «in considerazione della contingente situazione finanziaria», che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998; n. 448, fosse riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici d'importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Le pensioni di valore superiore a tre volte il trattamento minimo INPS non godevano pertanto di alcuna rivalutazione. Il blocco operava quindi per le pensioni d'importo superiore ad € 1.217,00 netti. Con sentenza n. 70 del 30 aprile 2015 a Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011, per contrasto con gli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., nella parte in cui ha previsto, per le ragioni anzidette, che la rivalutazione automatica fosse riconosciuta esclusivamente ai trattamenti pensionistici d'importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. La pronuncia ha avuto l'effetto di ripristinare l'integrale applicazione del meccanismo perequativo previsto dall'art. 34, primo comma, legge n. 448/98, non essendovi disposizione che - cosi' com'era invece avvenuto tra il 2001 ed il 2010 con l'art. 69, primo comma, legge n. 388/2000 e norme successive - per il biennio 2012/2013 ne limitasse l'operativita'. Esso vale per ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo di pensione in godimento ed e' attuato con una copertura decrescente in rapporto all'incremento del valore della prestazione; l'aumento per la rivalutazione automatica viene attribuito, su ciascun trattamento, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo. Ma con decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, convertito in legge 17 luglio 2015, n. 109 si e' stabilito quanto segue: 1. Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarieta' intergenerazionale, all'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono apportate le seguenti modificazioni: 1) il comma 25 e' sostituito dal seguente: «25. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta: a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumenta di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minino e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; e) non e' riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi; 2) dopo il comma 25 sono inseriti i seguenti: «25-bis. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e' riconosciuta: a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento; b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento; 25-ter. Resta fermo che gli importi di cui al comma 25-bis sono rivalutati, a decorrere dall'anno 2014, sulla base della normativa vigente.». 2. All'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' aggiunto, in fine il seguente periodo: «Ai fini dell'applicazione del meccanismo di rivalutazione si tiene conto altresi' dell'importo degli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi.». 3. Le somme arretrate dovute ai sensi del presente articolo sono corrisposte con effetto dal 1° agosto 2015» (art. 1). L'intervento ha reintrodotto dunque per gli stessi anni 2012/2013 un blocco della perequazione automatica delle pensioni seppure con misure graduate: ha confermato l'esenzione integrale dalla disattivazione per le sole pensioni d'importo superiore a tre volte il minimo; ha elevato la soglia dell'esclusione totale della rivalutazione da tre a sei volte il minimo; ha inserito fasce intermedie, identificate sempre mediante il rapporto di valore tra trattamento complessivo in godimento e pensione minima, cui applicare la perequazione in misura parziale (40% per quelli compresi tra tre e quattro volte la minima; 20% per quelli compresi tra quattro e cinque volte; 10% per quelli compresi tra cinque e sci volte); ha limitato l'operativita' della rivalutazione relativa al biennio al 20% per il biennio seguente, 2014/2015, ed al 50% per il 2016. Sulla non manifesta infondatezza dell'eccezione d'incostituzionalita' 1. - Cosi' com'e' stato ribadito dalla citata sentenza n. 70/2015, la perequazione automatica dei trattamenti di pensione e' uno strumento tecnico diretto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma, Cost., connesso al principio di sufficienza della retribuzione, di cui all'art. 36, primo comma, Cost., dovendosi intendere il trattamento di quiescenza come una retribuzione differita (su cui gia' Corte cost., 208/2014, 16/2013 nonche', con specifico riferimento alla dinamica retribuzione-pensione, 226/1993). Percio' «la tecnica della perequazione si impone, senza predefinirne le modalita', sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinare in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario». Su tale premessa le scelte legislative devono muoversi secondo finalita' ragionevoli, per perseguire un progetto di eguaglianza sostanziale (ex art. 3, secondo comma, Cost.) onde evitare che esse si risolvano in una disparita' di trattamento per alcune categorie di pensionati. Il Umile della ragionevolezza deve pertanto guidare il legislatore nell'individuare un «sopportabile scostamento» tra dinamica delle retribuzioni e quella delle pensioni (cfr. ancora Corte cost., 226/93), bilanciando le esigenze di rispetto delle risorse finanziarie disponibili con la salvaguardia «irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (Corte cost., 316/2010)». Su tali binari quel limite viene declinato in una lettura sistematica dei principi degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.: proporzionalita' e adeguatezza non solo devono sussistere al momento del collocamento a riposo, ma vanno «costantemente assicurati anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta»; se non e dovuta una coincidenza automatica ed integrale tra pensione ed ultima retribuzione (Corte cost., 316/2010), va comunque garantito il costante adeguamento della prima alla seconda (Corte cost., 501/88). Percio' una sospensione a tempo indeterminato della perequazione o la reiterazione frequente di misure dirette a paralizzarlo esporrebbero il sistema pensionistico a tensioni evidenti coi principi di proporzionalita' e adeguatezza. Questo «monito» - espresso dalla Corte costituzionale chiosando per il futuro la motivazione con cui aveva valutato legittima il blocco della rivalutazione disposto per il solo 2008 dall'art. 1, comma 19, legge n. 247/2007 (316/2010) - e' stato ripreso nel vaglio negativo dell'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011, per affermarne l'inosservanza. Il legislatore ha mancato di esercitare il corretto bilanciamento tra ragioni di spesa e tutela del potere di acquisto del trattamento pensionistico poiche' ha disatteso, nella genericita' del proprio richiamo alla «contingente situazione finanziaria», il vincolo di scopo ineludibile del sacrificio economico imposto ai pensionati. E' inevitabile osservare come anche nel nuovo testo dell'art. 24, decreto-legge n. 201/2011, cosi' come sostituite col decreto-legge n. 65/2015, l'intervento sulla rivalutazione sia motivato dal «rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica» e dalla «salvaguardia della solidarieta' intergenerazionale», cioe' da enunciazioni generiche e relative a finalita' gia' insite di per se' (ex articoli 81 e 38 Cost., rispettivamente) in ogni iniziativa legislativa adottata nella materia pensionistica. Tanto meno esso viene giustificato nella legge n. 109/2015 di conversione. Nella relazione illustrativa al disegno di legge le ragioni vengono espresse ponendo come unico riferimento i maggiori oneri finanziari che lo Stato sopporterebbe in via decrescente tra il 2012 ed il 2016 per effetto della riattivazione del meccanismo perequativo dell'art. 69, legge n. 388/2000 conseguente alla sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale. Manca qualsiasi accenno al perche' s'intenda comunque riequilibrare il disavanzo con l'intervento sul sistema pensionistico ed al perche' esso venga modulato con le specificita' dianzi esposte. Ben diverse erano le ragioni - compensare l'eliminazione, con un metodo piu' graduale e flessibile basato sul concorso di eta' anagrafica ed anzianita' contributiva, dell'innalzamento improvviso a 60 anni, dal 1° gennaio 2008, dell'eta' minima per l'accesso alla pensione di anzianita' - che presiedevano al blocco della perequazione automatica disposto con la norma gia' citata dell'art. 1, comma 19, legge n. 247/2007. Si trattava dunque d'una misura mirata a rifinanziare secondo principi solidaristici gl'interventi adottati per le pensioni di anzianita'. Essa valeva per il solo 2008 ed incideva sui trattamenti piu' elevati,.pari a otto volte quelli minimi INPS. La finalita' solidaristica contrapposta ad un incremento di spesa determinato dalla correzione del sistema pensionistico rendeva ragionevole, con riferimento all'art. 3 Cost., l'adozione d'una misura annuale che differenziava situazioni comunque obiettivamente diverse; il livello economico dei trattamenti incisi e l'effetto limitato al 2008 non scalfivano le esigenze minime di protezione della persona garantite, dall'art. 36 Cost.; per il loro importo piuttosto elevato le pensioni sacrificate avevano «margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo» che scongiuravano un conflitto col principio di adeguatezza dell'art. 38, secondo comma, Cost. (sent. 316/2010). Non altrettanto puo' dirsi per la norma in questione. Oltre a difettare delle precise ragioni solidaristiche e, piu' in generale, di ragioni tecniche puntuali che la giustifichino, il nuovo disposto dell'art. 24, comma 25, ha effetti distribuiti su piu' anni e destinati a divenire permanenti, poiche' non previsione di recupero futuro del mancato incremento rivalutativo della base di calcolo dei trattamenti pensionistici. Con un'unica disposizione si e' dunque realizzata di fatto una reiterazione annuale della paralisi del meccanismo perequativo, in contrasto col monito piu' volte ripetuto dalla Corte costituzionale. Vengono inoltre incise pensioni di valore economico inferiore alla meta' di quelle che la sentenza 316/2010 aveva ritenuto dotate di «margini di resistenza» alla perdita del potere d'acquisto: non solo risultano esclusi integralmente dalla rivalutazione trattamenti superiori a sei volte il minimo, ma vengono intaccati significativamente anche quelli di circa € 1.500,00 lordi, com'e' il caso dei ricorrenti. La modifica normativa adottata col decreto n. 65/2015 ed integrata con la legge di conversione n. 109/2015 ha introdotto cosi' uno strumento che eccede nell'opera di riequilibrio finanziario rispetto al fine dichiarato, senza garantire appieno la conservazione nel tempo del potere d'acquisto delle pensioni incise e sacrificando percio' in misura sproporzionata la tutela dei beneficiari di trattamenti previdenziali non elevati. Si manifesta in tale modo l'irragionevolezza delle disposizioni contenute nei commi 25 e 25-bis del nuovo testo dell'art. 24, decreto-legge n. 201/2011. Una conferma di questa conclusione si ha nella piu' recente decisione della Corte costituzionale in tema di contributo di solidarieta' pensionistico: si tratta d'una misura diversa, ma comunque connotata, come quella in esame, dall'eccezionalita' resa necessaria dal rispetto dei gia' richiamati principi di adeguatezza e proporzionalita' ex artt. 38, secondo comma, e 36, primo comma Cost.; nel caso di specie si e' vagliato la norma dell'art. 1. comma 486. legge n. 147/2013, che ha introdotto il contributo per il triennio 2014/2016 in misura crescente sui trattamenti pensionistici obbligatori superiori a 14 volte il trattamento minimo anche al fine di concorrere a finanziare le misure di salvaguardia pensionistica per i lavoratori definiti «esodati». La Corte costituzionale ne ha riconosciuto il rispetto dei criteri di ragionevolezza e proporzionalita', «sia pur al limite», per il fatto che l'intervento incide sulle pensioni piu' elevate ed opera all'interno del sistema complessivo della previdenza (Corte cost. 13 luglio 2016, n. 173). E' di tutta evidenza che caratteristiche siffatte, le quali hanno consentito all'art. 1, comma 486, legge n. 147/2013 di superare lo scrutinio di costituzionalita', difettano ancora una volta nelle disposizioni vigenti dell'art. 24, comma 25 e 25-bis, decreto-legge n. 201/2011. Anzi, a ben vedere queste sono prive d'un ulteriore elemento, che pure la Consulta non ha avuto modo di considerare: il contributo di solidarieta' e' infatti misura una tantum, sicche' alla scadenza del periodo di applicazione torna a ripristinarsi il valore originario della pensione, al contrario di quanto avviene, come s'e' detto, per effetto del blocco della perequazione. Va da ultimo ricordato come l'intervento del 2015 segua altre, seppure meno afflittive, misure di contenimento di questo meccanismo adottate dal legislatore dal 1992 in poi. In particolare nel piu' recente periodo vi sono state le disposizioni degli artt. 59, comma 13, legge n. 449/97, 1, comma 19, legge n. 247/2007 e 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011 che hanno pressoche' sistematicamente limitato la funzionalita' della perequazione col solo intervallo 2001/2007. Col decreto-legge n. 65/2015 si e quindi riprodotta quella «frequente reiterazione» (Corte cost., 316/2010) di misure capace di paralizzare per un lungo periodo l'adeguamento concepito per evitare la perdita di potere d'acquisto delle pensioni. Non puo' dirsi manifestamente infondata, dunque, l'eccezione d'illegittimita' delle norme predette rispetto ai parametri forniti dalla lettura sistematica degli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione. 2. - Cosi' com'e' stato rilevato nella discussione orale della causa, le norme del decreto-legge n. 65/2015 sono collegate alla rimodulazione applicativa delle percentuali di rivalutazione compiuta con l'art. 1, comma 483, legge n. 147/2013 (e successive modifiche). In particolare, per il triennio 2014/2016 la perequazione si applica nella misura del 100% per i trattamenti pensionistici d'importo fino a tre volte quello minimo, del 95% per quelli superiori a tre volte e pari od inferiori a quattro, del 75% per quelli superiori a quattro e pari od inferiori a cinque e del 50% per quelli superiori a cinque e pari od inferiori a sei. Per quelli di valore superiore a sei volte il trattamento minimo e' stato previsto il sostanziale azzeramento nel 2014 (salvo un incremento fisso di € 13,08) e la rivalutazione al 45% per gli anni successivi. Per effetto dell'estensione operata dall'art. 1, comma 286, lett. b), delle legge n. 208/2015, tale meccanismo e' destinato a perdurare fino al 31 dicembre 2018, dopo il quale tornerebbe ad applicarsi quello di cui all'art. 69, primo comma, legge n. 388/2000. L'eventuale giudizio di conformita' a Costituzione dell'art. 24, commi 25 e 25-bis, decreto-legge n. 2014/2011, nel testo introdotto dal decreto-legge n. 65/2011 e dalla sua legge di conversione, comporterebbe l'azzeramento della rivalutazione annuale delle pensioni d'importo sei volte superiore al trattamento minimo per un triennio ed un'applicazione successiva del meccanismo perequativo in misura inferiore alla meta' per un ulteriore triennio. Di questi effetti non si e' preoccupato il legislatore del 2015, omettendo di coordinare le diverse disposizioni. Poiche' la soglia del sestuplo del trattamento minimo INPS include pensioni di valore ben piu' modesto rispetto a quelle dotate dei margini di resistenza all'inflazione, secondo la Corte costituzionale (sent. 316/2010), il sacrificio che deriverebbe dall'applicazione combinata del doppio meccanismo risulterebbe sproporzionato e, di conseguenza, irragionevole. Pertanto, nel caso fosse ritenuta infondata la prima eccezione d'illegittimita', risulterebbe, non manifestamente infondata quella relativa all'art. 1, comma 483, lett. e), legge n. 147/2013 (e successive modifiche) in combinazione le norme vigenti dell'art. 24, commi 25 e 25-bis, decreto-legge n. 201/2011, alla stregua dei parametri costituzionali dianzi richiamati. 3. - Si e' avuto modo di constatare come la modifica apportata all'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011 dal decreto-legge n. 65/2011 abbia riproposto taluni dei vizi gia' rilevati dalla Corte costituzionale nel testo originario della norma: manca ugualmente il rispetto del vincolo di scopo, stante la genericita' delle giustificazioni poste a base del bilanciamento tra ragioni di spesa pubblica e tutela dei diritti dei pensionati; sono ancora una volta valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalita'; viene confermato il carattere definitivo del sacrificio economico, in difetto d'una norma che preveda meccanismi di recupero futuro del valore reale dei trattamenti incisi; per le pensioni superiori di sei volte al trattamento minimo viene riprodotto e prolungato nel tempo l'azzeramento della perequazione. Nonostante le varianti inserite e relative alle fasce di reddito pensionistico intermedie, dunque, il nuovo testo non pare adeguarsi alla dichiarata illegittimita' della norma originaria, ma, vanificandone la portata retroattiva, sembra quasi volerne aggirare la statuizione e neutralizzare i vantaggi economici prevalenti, che ne sarebbero derivati per i titolari delle pensioni incise col ritorno all'applicazione dell'art. 69, primo comma, legge n. 388/2000. Va ricordato che nel dibattito sull'estensione del giudicato costituzionale, la Corte pare avere di recente adottato decisamente l'indirizzo favorevole ad una nozione sostanziale. Dopo pronunce di vario segno (cfr. da un lato, Corte cost., 245/2012 e, prima ancora, 88/66; dall'altro Corte cost. 194/2002 e 262/2009), infatti, si' e' infatti censurata la norma che, «evidentemente priva di autonomia, si prefigge soltanto di ricostituire una base normativa per «effetti» e «rapporti» relativi a contratti che, in conseguenza della pronuncia di illegittimita'. costituzionale, ne sarebbero rimasti privi: ne' il carattere temporaneo della disposizione sembra risolvere il problema e nemmeno attenuarne la portata». Al riguardo, va rammentato come sin da epoca ormai risalente, la giurisprudenza costituzionale non abbia mancato di sottolineare il rigoroso significato della norma contenuta nell'art. 136 Cost.; su di essa - si e' detto - «poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima», senza possibilita' di «compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione» (sentenza n. 73 del 1963, che dichiaro' la illegittimita' di una legge, successiva alla pronuncia di illegittimita' costituzionale, con la quale il legislatore aveva dimostrato «alla evidenza» la volonta' di «non accettare la immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima, ma di prolungarne la vita sino all'entrata la vigore della nuova legge»; tra le altre pronunce risalenti, la sentenza n. 88 del 1966, ove si e' precisato che il precetto costituzionale, di cui si e' detto, sarebbe violato «non solo ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia», ma anche ove una legge, per il modo con cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, perseguisse e raggiungesse, «anche se indirettamente, lo stesso risultato»). Principi, quesiti, ripresi e ribaditi in numerose altre successive decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012; n. 354 del 2010; n. 922 del 1998; n. 223 del 1983). Se appare, infatti, evidente che una pronuncia di illegittimita' costituzionale non possa, in linea di principio, determinare, a svantaggio del legislatore, effetti corrispondenti a quelli di un «esproprio» della potesta' legislativa sul punto - tenuto anche conto che una declaratoria di illegittimita' ha contenuto, oggetto e occasione circoscritti dal «tema» normativo devoluto e dal «contesto» cui la pronuncia demolitoria e' chiamata ad iscriversi - e' del pari evidente, tuttavia, che questa non possa risultare pronunciata «inutilmente», come accadrebbe quando una accertata violazione della Costituzione potesse, una qualsiasi forma, inopinatamente riproporsi. E se, percio', certamente il legislatore resta titolare del potere di disciplinare, con un nuovo atto, la stessa materia, e' senz'altro da escludere che possa legittimamente farlo - come avvenuto nella specie - limitandosi a «salvare», e cioe' a «mantenere in vita», o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale, non sono piu' in grado di produrne. Il contrasto con l'art. 136 Cost. ha, in un simile frangente, portata addirittura letterale. In altri termini: nel mutato contesto di esperienza determinato da una pronuncia caducatoria, un conto sarebbe riproporre, per quanto discutibilmente, con un nuovo provvedimento, anche la stessa volonta' normativa censurata dalla Corte; un altro conto e' emanare un nuovo atto diretto esclusivamente a prolungare nel tempo, anche in via indiretta, l'efficacia di norme che «non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» (art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) (Corte cost., 16 luglio 2015, n. 169). L'indirizzo espresso da questa decisione trova conferma nella gia' citata sentenza 173/2016: pur escludendo nella fattispecie l'elusione del giudicato costituzionale (rappresentato dalla sentenza 116/2013), infatti, ne ha vagliato il rispetto anche con riferimento non solo al tenore testuale della norma successiva, ma anche i suoi «effetti» e finanche alle «finalita'». Nel caso in esame il legislatore del 2015 e' intervenuto disponendo anche per il passato e neutralizzando gli effetti della sentenza 70/2015 con una tecnica in parte gia' censurata dalla stessa decisione. Si e' cosi' impedito che la declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/211 producesse le conseguenze previste dall'art. 136 Cost., cioe' la cessazione di efficacia della norma dal giorno successivo alla pubblicazione della pronuncia. Il risultato elusivo della sentenza 70/2015 e' massimamente evidente per le pensioni di valore complessivo superiore a sei volte il trattamento minimo. Si pone di conseguenza, come non manifestamente infondata, la questione di legittimita' della disciplina esaminata anche alla stregua dell'art. 136 della Costituzione.
P.Q.M. Applicando gli artt. 134 Cost. e 23 legge 87/53; a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art. 24, commi 25 e 25-bis, decreto-legge n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011, nel testo sostituito dall'art. 1 decreto-legge n. 65/2015 (convertito in legge n. 109/2015 nella parte in cui prevedono che: «25. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta: [...] b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; [...] 25-bis. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, Secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e' riconosciuta: a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento; b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento», per violazione degli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo collima, della Costituzione; b) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art. 24, commi 25 e 25-bis, decreto-legge n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011, nel testo sostituito dall'art. 1 decreto-legge n. 65/2015 (convertito in legge n. 109/2015), nella parte indicate al capo a), per violazione dell'art. 136 della Costituzione; c) dichiara rilevante e non manifestamente infondata - nel caso siano ritenute conformi a Costituzione le disposizioni vigenti di cui all'art. 24, commi 25 e 25-bis, decreto-legge n. 201/2011 - la questione di legittimita' Costituzionale delle stesse disposizioni in collegamento con la norma dell'art. 1, comma 483, legge n. 147/2013, cosi' come infine modificata dall'art. 1, comma 286, lett. b), legge n. 208/2015, nella parte in cui prevede che: «per il periodo 2014/2018 fa rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: [...]; d) nella misura del 50 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; e) nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi e, per il solo anno 2014, non e' riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS»; Per violazione degli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione; Visti gli artt. 295 c.p.c. e 23 legge 87/53, sospende il presente procedimento ed ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza, letta in udienza, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Manda alla cancelleria per adempimenti di cui sopra. Genova, 9 agosto 2016 Il Giudice: Basilico