N. 36 SENTENZA 30 gennaio - 10 febbraio 1997

 
 
 Giudizio sulla ammissibilita' della richiesta di referendum popolare.
 
 Costituzione    della    Repubblica    italiana    -   Referendum   -
 Radiocomunicazioni - Disciplina dei messaggi pubblicitari sulle  reti
 radiofoniche  e  televisive  della concessionaria pubblica - Funzioni
 della  commissione  parlamentare  per  l'indirizzo  generale   e   la
 vigilanza   dei   servizi   radiotelevisivi  in  ordine  ai  messaggi
 pubblicitari - Limitazioni orarie  delle  trasmissioni  dei  messaggi
 pubblicitari  -  Domanda  referendaria  finalizzata  ad  innovare  il
 sistema delle norme e alla sua sostituzione -  Non  conformita'  alla
 logica  dell'istituto referendario avente natura meramente ablativo -
 Riferimento alle  sentenze  della  Corte  nn.  16/1978  e  28/1987  -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge 6 agosto 1990, n. 223).
(GU n.7 del 12-2-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,    prof. Gustavo ZAGREBELSKY,   prof. Valerio
 ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,   prof.  Guido
 NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, comma primo,
 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.  1  della  richiesta  di
 referendum  popolare  per l'abrogazione della legge 6 agosto 1990, n.
 223  recante  "Disciplina  del  sistema  radiotelevisivo  pubblico  e
 privato"   limitatamente  alle  seguenti  parti:  art.  8,  comma  6,
 limitatamente alle parole: "4 per cento  dell'orario  settimanale  di
 programmazione   ed  il  12  per  cento  di  ogni  ora;  un'eventuale
 eccedenza, comunque non superiore al" ed alle  parole:  "deve  essere
 recuperata nell'ora antecedente o successiva", iscritto al n. 104 del
 registro referendum.
   Vista  l'ordinanza  in  data  11-13  dicembre  1996  con  la  quale
 l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
 dichiarato legittima la richiesta;
   Udito nella camera di consiglio  dell'8  gennaio  1997  il  giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti;
   Udito  l'avvocato Giovanni Motzo per i presentatori Bernardini Rita
 e Sabatano Mauro.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  L'Ufficio centrale del referendum, costituito presso la Corte
 di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352,  e
 successive  modificazioni,  ha  esaminato  la richiesta di referendum
 popolare presentata il 5 gennaio  1996  dai  signori  Sergio  Augusto
 Stanzani  Ghedini,  Lorenzo  Strik  Lievers,  Rita  Bernardini, Mauro
 Sabatano e Fiorella Mancuso, sul seguente quesito:
     "Volete voi che sia abrogata la legge  6  agosto  1990,  n.  223,
 recante ''Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato''
 limitatamente  alle  seguenti  parti:  art. 8, comma 6, limitatamente
 alle parole: ''4 per cento dell'orario settimanale di  programmazione
 ed  il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non
 superiore al'' ed alle  parole:  ''deve  essere  recuperata  nell'ora
 antecedente o successiva''?".
   2. - L'Ufficio centrale, verificata la regolarita' della richiesta,
 ne  ha  dichiarato la legittimita' con ordinanza del 13 dicembre 1996
 nella quale ha ritenuto tuttora vigente la disposizione  oggetto  del
 quesito referendario.
   3.   -   Ricevuta   la  comunicazione  dell'ordinanza  dell'Ufficio
 centrale, il presidente di questa Corte, con decreto del 18  dicembre
 1996,  ha  fissato  il  giorno  8  gennaio  1997  per  la conseguente
 deliberazione, dandone regolare comunicazione.
   4. - Con memoria depositata nei termini, i promotori del referendum
 hanno  insistito  per  l'ammissibilita'   dell'iniziativa   rilevando
 l'assoluta  univocita'  ed  inequivocita'  del  quesito referendario.
 Questo, infatti, nei suoi termini "scheletrici"  mira  chiaramente  a
 ridurre   il   tetto   del   tempo   destinabile   alle  trasmissioni
 pubblicitarie,   consentendo   all'elettorato  di  avere  una  chiara
 percezione del significato e delle conseguenze del proprio voto.
   Altrettanto  chiara  e'  la  normativa  conseguente  alla  proposta
 abrogazione:    essa  riguarda  l'esercizio  di  poteri  politici  di
 indirizzo e garanzia, l'individuazione di obblighi di  documentazione
 contabile  nei  confronti  dell'autorita' pubblica, secondo termini e
 procedure attualmente vigenti che possono restare invariati.
   Ne', infine, l'effetto abrogativo puo' comportare  implicazioni  di
 alcun  genere con la vigente disciplina comunitaria in materia di cui
 alla direttiva del Consiglio 89/552/CEE.
   Nel merito, rilevano i promotori  che  il  rilievo  della  missione
 pubblica  conferita  alla  concessionaria pubblica e' tale da esigere
 che essa venga sottratta - entro certi limiti  -  ai  condizionamenti
 dipendenti da un accesso, sia pure contenuto, alle risorse private.
   Nel  chiaro  intento di favorire il deflusso di una larga quantita'
 di risorse private dal sistema di finanziamento  pubblicitario  della
 concessione  pubblica  verso l'iniziativa commerciale privata e verso
 l'editoria in genere, i promotori sono dell'avviso  che  il  servizio
 pubblico vada alimentato "mediante il canone-imposta, ovvero mediante
 proventi di carattere anche non impositivo finalizzati al sostegno di
 attivita'  rispondenti  alla missione pubblica, culturali, educative,
 scientifiche destinate  eventualmente  ad  un  pubblico  minoritario,
 indipendentemente  e  preventivamente  programmate".  Del  resto,  le
 ultime  relazioni  annuali  del  Garante  per  la  radiodiffusione  e
 l'editoria  indicano  che  alla diminuzione delle risorse provenienti
 dagli introiti pubblicitari potrebbe agevolmente farsi fronte con  un
 aumento del canone attuale non superiore ad un terzo.
   5.  -  Non  v'e'  stato intervento del Presidente del Consiglio dei
 Ministri.
   6. - Nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 l'avv.  Giovanni
 Motzo,  per  i  presentatori  Rita  Bernardini  e  Mauro Sabatano, ha
 insistito per l'ammissibilita' della richiesta.
                         Considerato in diritto
   1.  -     La  richiesta  di  referendum   abrogativo,   sulla   cui
 ammissibilita'  la Corte e' chiamata a pronunciarsi, investe il comma
 6 dell'art.  8 della legge 6 agosto  1990,  n.  223  (Disciplina  del
 sistema  radiotelevisivo  pubblico e privato). Il quesito e' limitato
 all'abrogazione di alcune parti testuali del  comma  in  oggetto.  Ed
 infatti  -  mentre  il  testo  del predetto comma 6 cosi' recita: "La
 trasmissione dei messaggi pubblicitari da parte della  concessionaria
 pubblica  non puo' eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di
 programmazione  ed  il  12  per  cento  di  ogni  ora;   un'eventuale
 eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora,
 deve  essere  recuperata  nell'ora  antecedente  o  successiva"  - la
 proposta referendaria mira - mediante l'abrogazione delle parole:  "4
 per  cento  dell'orario  settimanale  di  programmazione ed il 12 per
 cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al"
 e delle  parole:  "deve  essere  recuperata  nell'ora  antecedente  o
 successiva"  - a modificare il testo stesso nei seguenti termini: "La
 trasmissione di messaggi pubblicitari da parte  della  concessionaria
 pubblica non puo' eccedere il 2 per cento nel corso di un'ora".
   2.  -  Cio'  premesso,  va  rilevato  che  la  disposizione oggetto
 dell'iniziativa referendaria non rientra in alcuna delle categorie di
 leggi espressamente sottratte al  referendum  dall'art.  75,  secondo
 comma, della Costituzione.
   In  proposito,  si  deve,  in  particolare,  considerare  che  tale
 disposizione non integra la fattispecie di "norme la cui esistenza ed
 il cui contenuto  siano  imposti  da  obblighi  assunti  dallo  Stato
 italiano  per  effetto  di  trattati  internazionali  che non lascino
 alcuno spazio per scelte discrezionali riguardanti l'attuazione,  si'
 che    l'abrogazione    di    esse   comporti   necessariamente   una
 responsabilita'  dello  Stato  italiano  nei  confronti  degli  altri
 contraenti per violazione del trattato" (sentenza n. 28 del 1993). E'
 evidente infatti, in base agli "indici di affollamento" adottati, che
 la   disposizione  in  oggetto,  anche  nella  formulazione  emendata
 risultante   dall'eventuale   esito   favorevole   della    votazione
 referendaria,  sarebbe  compatibile  con  le  prescrizioni  sia della
 direttiva del Consiglio delle Comunita' europee n. 89/552/CEE  del  3
 ottobre   1989,  sia  della  Convenzione  europea  sulla  televisione
 transfrontaliera del 5  maggio  1989  (resa  esecutiva  con  legge  5
 ottobre  1991,  n. 327), poiche' in entrambi gli atti e' riconosciuta
 agli Stati la facolta' di  stabilire  regole  piu'  rigorose  o  piu'
 dettagliate in materia (cfr. sentenza n. 8 del 1995).
   3.  -  E'  altresi'  chiaro  e  non contraddittorio il quesito, che
 propone,  secondo  quanto  posto  in   luce   anche   nella   memoria
 illustrativa  dei  promotori,  di  "ridurre al massimo la pubblicita'
 televisiva e radiofonica dalle reti della  concessionaria  pubblica".
 Questo  scopo  invero  appare  piu' circoscritto rispetto a quello di
 "eliminare la pubblicita' televisiva e radiofonica dalle  reti  della
 concessionaria  pubblica", che caratterizzava, secondo i promotori di
 allora, la domanda referendaria del  1994,  incidente,  tra  l'altro,
 sulla  stessa  norma  e  dichiarata inammissibile dalla Corte, con la
 sentenza n. 1 del 1995, "in quanto non appare univocamente diretta al
 fine, propugnato  dai  promotori,  di  impedire  che  le  reti  della
 concessionaria pubblica trasmettano messaggi pubblicitari".
   4.  -  Tutto cio' premesso, nel presente giudizio, la Corte ritiene
 peraltro che  occorra,  in  relazione  alla  struttura  del  quesito,
 accertare  "se  non  s'impongono  altre  ragioni,  costituzionalmente
 rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere  il
 ricorso  al  corpo  elettorale,  ad integrazione delle ipotesi che la
 Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed  espressa"  (sentenza
 n. 16 del 1978).
   In  questa  ottica, si rileva che il fine oggettivato nella domanda
 referendaria appare  perseguito  in  modo  inammissibile,  in  quanto
 contrario  alla  logica  dell'istituto,  giacche'  si  adotta non una
 proposta  referendaria  puramente  ablativa,  bensi'   innovativa   e
 sostitutiva di norme.
   Ed invero, va rilevato che il quesito referendario in esame propone
 l'eliminazione  totale sia della norma relativa al limite dell'orario
 settimanale, sia delle norme che  consentono,  entro  certi  termini,
 un'eventuale  eccedenza  oraria  ed  il connesso periodo di recupero.
 Contestualmente, si propone anche, attraverso il prospettato ritaglio
 di parole da cancellare, la sostituzione dell'originario tetto orario
 del 12 per cento con il nuovo e diverso limite del 2 per  cento,  che
 peraltro  figura  in  tutt'altro  contesto  normativo,  inerente alla
 disciplina delle eventuali eccedenze dal prescritto tetto orario.
   Si  potra'  anche  dire  che,  da  un  punto  di vista strettamente
 semantico, si determina comunque, attraverso l'ipotizzata "saldatura"
 tra due frammenti lessicali appartenenti a  due  norme  completamente
 diverse,  un effetto di riduzione quantitativa dell'attuale contenuto
 dispositivo, ma non si produce certo,  come  invece  richiesto  dalla
 disciplina  sul referendum abrogativo, un effetto di ablazione puro e
 semplice: non si verificherebbe, quindi, il proprium  del  referendum
 abrogativo, che e' essenziale per l'istituto. In realta', nel caso di
 specie,  si  propone  una  norma,  con un effetto di rideterminazione
 quantitativa del tetto  orario,  che  sicuramente  non  deriva  dalla
 fisiologica espansione delle norme residue, o dai consueti criteri di
 autointegrazione  dell'ordinamento,  bensi' dalla particolare tecnica
 di ritaglio adottata, che espressamente estrae  dal  testo  il  nuovo
 limite  del  2  per  cento,  in luogo di quello originario del 12 per
 cento.
   In  definitiva,  l'abrogazione  parziale  chiesta  con  il  quesito
 referendario si risolve sostanzialmente in una proposta all'elettore,
 attraverso  l'operazione  di  ritaglio  sulle parole e il conseguente
 stravolgimento dell'originaria ratio e struttura della  disposizione,
 di   introdurre   una   nuova   statuizione,  non  ricavabile  ex  se
 dall'ordinamento, ma anzi del tutto estranea al  contesto  normativo.
 Per  di  piu',  con  effetti  di sistema rilevanti, se e' vero che la
 disciplina del limite quantitativo degli introiti pubblicitari  della
 concessionaria  pubblica  e'  accuratamente modulata sia in relazione
 all'ammontare del canone di abbonamento, sia in relazione ai proventi
 pubblicitari riservati alle altre concessionarie  radiotelevisive  e,
 piu' in generale, agli altri mezzi di comunicazione di massa.
   L'individuazione  allora,  nella  struttura del quesito, accanto al
 profilo  di  soppressione  di  mere   locuzioni   verbali,   peraltro
 inespressive  di  qualsiasi  significato  normativo,  del  profilo di
 sostituzione della norma abroganda con altra  assolutamente  diversa,
 non  derivante  direttamente  dall'estensione di preesistenti norme o
 dal ricorso a  forme  autointegrative,  ma  costruita  attraverso  la
 saldatura   di  frammenti  lessicali  eterogenei,  pone  in  luce  il
 carattere  propositivo  del  quesito  stesso.  Ma  se  cosi'  e',  si
 fuoriesce  dallo  schema  tipo  dell'abrogazione  "parziale", proprio
 perche' non si propone tanto al corpo elettorale una  sottrazione  di
 contenuto   normativo,  ma  si  propone  piuttosto  una  nuova  norma
 direttamente costruita.
   La Corte ritiene che proprio  i  prospettati  caratteri  di  questa
 domanda   referendaria  pongono  in  risalto  che  "in  tal  modo  si
 verrebbero a produrre  nell'ordinamento,  in  caso  di  approvazione,
 innovazioni  non consentite al referendum abrogativo" (sentenza n. 28
 del 1987).
   In  questo  quadro,  la   particolare   struttura   della   domanda
 referendaria  pone  quindi  in luce l'impossibilita' di ricondurre il
 referendum in esame entro lo schema dell'art. 75 della  Costituzione,
 che  "non  implica  affatto  l'ammissibilita'  di  richieste comunque
 strutturate, comprese quelle eccedenti i limiti  esterni  ed  estremi
 delle  previsioni  costituzionali,  che conservino soltanto il nome e
 non la sostanza del referendum abrogativo" (sentenza n. 16 del 1978).
   5.  -  Difettano  pertanto  i  presupposti  per  una  pronuncia  di
 ammissibilita' della richiesta referendaria al vaglio della Corte.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile  la  richiesta  di  referendum popolare per
 l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della legge 6 agosto
 1990, n. 223  (Disciplina  del  sistema  radiotelevisivo  pubblico  e
 privato),  richiesta dichiarata legittima con ordinanza in data 11-13
 dicembre 1996 dall'Ufficio  centrale  per  il  referendum  costituito
 presso la Corte di cassazione.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Capotosti
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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