N. 67 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 febbraio 2018
Ordinanza del 6 febbraio 2018 del Tribunale di Torino nel procedimento civile promosso da D.G. A. contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'interno. Circolazione stradale - Patente di guida - Requisiti morali per ottenere il rilascio - Applicazione dei commi 1 e 2 dell'art. 120 del decreto legislativo n. 285 del 1992 nei confronti delle persone condannate per reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009 - Applicazione delle misure del diniego e della revoca della patente di guida quale conseguenza automatica di una condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990. - Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), art. 120, come sostituito dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).(GU n.18 del 2-5-2018 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO Prima Sezione Civile Nel procedimento cautelare iscritto al n. r.g. 27601/2017 promosso da: A. D.G. (c.f. ...) elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. Marchioni Paolo che lo rappresenta e difende in forza di procura depositata telematicamente in allegato al ricorso, ricorrente; Contro: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Ufficio della motorizzazione di Novara (c.f. 97532760580) domiciliato in via Arsenale n. 21 - 10121 Torino presso l'Avvocatura dello Stato Torino; Ministero dell'interno - Ufficio territoriale del Governo di Novara (c.f. 97149560589) domiciliato in via Arsenale n. 21 - 10121 Torino presso l'Avvocatura dello Stato Torino, resistenti. Il Giudice dott. Marco Ciccarelli, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 24 gennaio 2018, ha pronunciato la seguente ordinanza. Premesso. A. D.G. allega che: a) in data 7 giugno 2017 ha presentato domanda per ottenere il rilascio di nuova patente di guida, a seguito di esame; b) dopo il superamento della prova scritta, ha ricevuto la notifica, in data 13 settembre 2017, del provvedimento del direttore della Motorizzazione civile di Novara con cui si disponeva il diniego al rilascio della patente (e la conseguente non ammissione del D. G. alla prova pratica d'esame) per la «non sussistenza dei requisiti morali di cui all'art. 120, comma 1 C.d.S.»; c) l'art. 120 C.d.S., nel testo modificato dalla legge n. 94/2009, prevede che non possano conseguire la patente - fra l'altro - le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 testo unico n. 309/1990; d) il D.G. e' stato condannato a 5 anni di reclusione e € 16.523,62 di multa, con sentenza della Corte d'appello di Torino dell'11 maggio 1993, per due fattispecie di violazione dell'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, commesse rispettivamente il 9 e il 19 novembre 1991; la pena detentiva e' stata integralmente scontata il 6 luglio 1996 e la pena pecuniaria e' stata pagata il 12 marzo 2001; e) l'impossibilita' di conseguire la patente e' suscettibile di arrecare al ricorrente un danno grave e irreparabile, non soltanto per le ricadute sulla sua liberta' di circolazione, ma perche' gli preclude di accettare la proposta di lavoro formulata dalla ditta di autotrasporti Italseccia di Pero (Ml), che intenderebbe assumere il D.G. come autista di furgoni. Il ricorrente sostiene che il divieto di conseguire la patente previsto dal (nuovo testo del) l'art. 120 C.d.S. costituisce una vera e propria sanzione accessoria penale (secondo l'accezione fatta propria dall'art. 7 CEDU). La sua applicazione a fatti commessi prima dell'entrata in vigore della norma (cioe' il diniego di rilascio della patente a coloro che abbiano commesso i reati di cui agli articoli 73 e 74 testo unico n. 309/90 in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge n. 94/09) si pone in contrasto con il divieto costituzionale di applicazione retroattiva delle sanzioni penali (art. 25 Cost.). Sotto diverso profilo, il ricorrente censura di incostituzionalita' l'art. 120 C.d.S. per violazione degli articoli 3, 16, 25 e 111 Cost.; sostiene infatti che sussista una «irragionevole discrasia» fra la norma in esame e l'art. 85 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, che permette al giudice, con la sentenza di condanna per uno dei fatti di cui agli articoli 73, 74, 79 e 82, di disporre il ritiro della patente di guida per un periodo non superiore a tre anni. E' infatti irragionevole la previsione di' una revoca/inibizione della patente disposta in via amministrativa e automatica per tutti i casi di condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74, laddove la normativa speciale, proprio in relazione a questi reati, prevede che sia il giudice penale (con provvedimento necessariamente motivato) a decidere se applicare o meno la pena accessoria del ritiro della patente. Conclude affinche' il Tribunale «sospenda o disapplichi», con provvedimento d'urgenza, il provvedimento della Motorizzazione di Novara del 13 settembre 2017. In via incidentale, chiede che il giudice, ritenendo rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale come sopra formulate, rimetta gli atti alla Corte costituzionale perche' si pronunci sulla legittimita' dell'art. 120 C.d.S. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Prefettura di Novara: non contestano le circostanze di fatto allegate dal ricorrente (lettere a-e); contestano la fondatezza delle argomentazioni in diritto a supporto della domanda, negando che le misure previste dall'art. 120 C.d.S. costituiscano sanzioni accessorie penali; infatti il provvedimento di diniego di rilascio (al pari di quello di revoca) «deriva dalla mera constatazione, da parte delle Amministrazioni competenti, dell'insussistenza (originaria o sopravvenuta) dei requisiti morali prescritti per il conseguimento del titolo di abilitazione alla guida»; questa norma dunque, tenuto conto del potenziale utilizzo della patente di guida per agevolare o commettere reati (o in condizioni tali da mettere in pericolo la sicurezza e l'incolumita' delle persone), seleziona diverse ipotesi in presenza delle quali il legislatore, secondo una valutazione ex ante, ritiene venga meno l'affidabilita' morale di chi aspira a conseguire (o a riconseguire) il predetto titolo; con riferimento al dedotto periculum in mora, pur non negando che la mancanza della patente possa arrecare «disagi» al ricorrente, ritengono che questi siano la conseguenza della ponderazione, da parte del legislatore, dei vari interessi coinvolti, e della prevalenza accordata all'interesse pubblico a che determinati soggetti non possano condurre veicoli. Concludono per il rigetto del ricorso. Osserva 1. La vicenda oggetto del giudizio. Il sig. D.G. e' stato condannato per reati di spaccio di sostanze stupefacenti commessi nel novembre del 1991. La sentenza di condanna e' stata pronunciata dalla Corte d'appello di Torino in data 11 maggio 1993 e la pena detentiva e' stata interamente scontata il 6 luglio 1996; nel marzo 2001 e' stata pagata la sanzione pecuniaria irrogata in relazione ai medesimi reati. L'Ufficio motorizzazione di Novara, con provvedimento del 13 settembre 2017 (di cui si chiede in questa sede la sospensione cautelare), ha negato il rilascio della patente al sig. D.G. per la «non sussistenza dei requisiti morali di cui all'art. 120, comma 1 C.d.S.». 2. La norma censurata di incostituzionalita' e le posizioni delle parti. L'art. 120, 1° comma C.d.S., nel testo risultante dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, dispone: «Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all'art. 2, e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonche' i soggetti destinatari dei divieti di cui agli articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera f), del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per tutta la durata dei predetti divieti. Non possono di nuovo conseguire la patente di guida le persone a cui sia applicata per la seconda volta, con sentenza di condanna per il reato di cui al terzo periodo del comma 2 dell'art. 222, la revoca della patente ai sensi del quarto periodo del medesimo comma». Questa norma non era ancora in vigore al momento in cui sono stati commessi i reati (novembre 1991) ne' al momento in cui e' stata pronunciata la sentenza di condanna (maggio 1993). La questione di cui si discute in questo giudizio e' dunque se sia legittima l'applicazione di questa «misura» (divieto di conseguire la patente) a soggetti condannati per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 prima dell'entrata in vigore dell'art. 120 C.d.S. (nel testo di cui alla legge n. 94/2009). La tesi negativa, sostenuta dal ricorrente, si fonda sull'assunto secondo cui l'art. 120 C.d.S. prevede una vera e propria sanzione accessoria di natura penale, come tale inapplicabile ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, in forza del principio di irretroattivita' delle leggi penali previsto dall'art. 25, 2° comma Cost., e comunque secondo l'accezione di «pena» fatta propria dall'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, recepito nel nostro ordinamento ai sensi dell'art. 11 Cost. La contraria tesi propugnata dalle amministrazioni convenute nega natura di' sanzione, tanto piu' penale, alla revoca e al divieto di rilascio, che costituirebbero, invece, misure amministrative che non concorrono a definire il trattamento sanzionatorio del reo secondo un'ottica afflittiva. 3. Sulla non manifesta infondatezza della questione. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120 C.d.S. e' stata gia' sollevata dal Tribunale di Genova con ordinanza n. 210 del 16 giugno 2016, in una fattispecie del tutto analoga alla presente e in relazione ai medesimi profili qui dedotti dal ricorrente. Questo Tribunale condivide la valutazione di non manifesta infondatezza della questione gia' espressa dal Tribunale di Genova, fondata, in estrema sintesi, sulla ritenuta natura di sanzione penale del provvedimento amministrativo di «revoca» o «diniego al rilascio» della patente di guida. Di seguito si espongono le argomentazioni a supporto della ritenuta non manifesta infondatezza. 3.1 Primo profilo di sospetta incostituzionalita': con riferimento agli articoli 11 Cost. e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. a) Nell'ordinamento italiano, il carattere penale di una sanzione consegue al tipo di qualificazione giuridica ad essa collegata. La natura penale della sanzione dipende dunque dal fatto ch'essa sia espressamente indicata come tale; e che sia, di conseguenza, irrogata dall'Autorita' giudiziaria. In quest'ottica - che e' stata recepita da questo stesso Tribunale nell'ordinanza 28 ottobre 2016 richiamata dai convenuti - il diniego di rilascio della patente non potrebbe essere qualificato come sanzione penale, trattandosi di un requisito (c.d. «morale») che sottende una valutazione di non affidabilita' delle persone che non lo posseggono: la presunzione che questi soggetti potrebbero utilizzare l'auto (e quindi la patente) per agevolare o commettere reati dello stesso tipo di quelli per cui sono stati condannati. In questa prospettiva, il diniego al rilascio o la revoca sono misure che operano su un piano amministrativo, adottate dall'autorita' amministrativa e che non concorrono a definire la sanzione penale in senso formale a cui fa riferimento l'art. 25 Cost. La questione di legittimita' costituzionale non potrebbe dunque porsi con riferimento a questa norma. b) A diverse conclusioni deve tuttavia giungersi se la natura penale della sanzione viene verificata sulla base del principio di cui all'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (Nulla poena sine lege). Se infatti il tenore testuale dell'art. 7, comma 1° («Nessuno puo' essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui e' stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui il reato e' stato commesso.») e' del tutto simile a quello dell'art. 25, comma 2° Cost.; tuttavia l'interpretazione di questa norma va condotta nell'ottica imposta all'Italia dalla ratifica della Convenzione e, pertanto, tenendo conto dell'interpretazione che di questa norma offre la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Occorre allora considerare - secondo l'interpretazione «sostanzialistica» recepita dalla Corte - se la natura penale di una sanzione possa affermarsi sulla base di uno o piu' dei seguenti tre criteri: 1. la qualificazione data alla sanzione dall'ordinamento giuridico interno; si tratta di un criterio «formale», che tuttavia non esclude la possibilita' di «ri-qualificare» una sanzione come penale alla luce dei criteri che seguono («Per rendere efficace la tutela offerta dall'art. 7, la Corte deve essere libera di andare oltre le apparenze e valutare essa stessa se una determinata misura costituisca una "pena" a' sensi della predetta disposizione»: Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali sentenza 9 febbraio 1995, n. 307 caso Welch c. Regno Unito); 2. la natura sostanziale dell'illecito a fronte del quale e' irrogata la sanzione di cui si tratta, cioe' «i procedimenti connessi alla sua adozione ed esecuzione» (idem); in questa prospettiva rileva la correlazione della «misura» con il reato; questa correlazione - osserva sempre la Corte - non e' affatto esclusa dalle finalita' (anche) special preventive della misura di cui si tratta; infatti - sempre secondo la Corte, nella medesima sentenza - «gli scopi di prevenzione e riparazione si conciliano con quello repressivo e possono essere considerati elementi costitutivi della stessa nozione di pena»; 3. il grado di severita' della pena, tenendo conto della sua natura, durata o modalita' di esecuzione. c) Sulla base di questi criteri si ritiene che la revoca e il diniego di rilascio della patente di guida rientrino nella nozione di pena dell'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, infatti: a. queste misure sono applicate in collegamento con la semplice commissione (accertata con sentenza di condanna) dei reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico stupefacenti; b. la loro applicazione e' del tutto «automatica», nel senso che e' svincolata da ogni valutazione sulla concreta possibilita' che, attraverso l'uso di veicoli, sia agevolata la commissione di reati dello stesso tipo; c. sono comminate alle persone condannate per i reati in questione, «fatti salvi gli effetti dei provvedimenti riabilitativi», cioe' di quei provvedimenti che estinguono «le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna» (art. 178 c.p.); in altri termini, al pari delle pene accessorie, anche questi provvedimenti non possono essere comminati a chi abbia ottenuto sentenza di riabilitazione; d. l'afflittivita' del diniego di rilascio della patente e della sua revoca non possono essere messe seriamente in discussione, ove si consideri l'incidenza di queste misure su alcune liberta' e diritti fondamentali della persona: dalla liberta' di movimento, al diritto di relazionarsi, alla capacita' lavorativa, all'adempimento di alcuni doveri sociali e familiari; e. la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 281/2013, con cui ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 120 C.d.S. (nel testo sostituito dalla legge n. 94/2009), nella parte in cui si applica anche con riferimento a sentenze pronunziate, ai sensi dell'art. 444 codice di procedura penale, in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, sembra aver riconosciuto il carattere afflittivo delle misure di cui si discute; e' ben vero che la Corte, in questa sentenza, non si riferisce a queste misure come «sanzioni penali», ma come effetti negativi sopravvenuti della sentenza di patteggiamento, che l'imputato non aveva potuto ponderare al momento della scelta; tuttavia, se si considera che la sentenza ex art. 444 codice di procedura penale e' funzionale alla «applicazione della pena su richiesta», e' ragionevole parificare, quantomeno sotto il profilo della afflittivita', gli effetti di cui si discute a quelli di una sanzione penale; f. ulteriore profilo da cui desumere l'afflittivita' delle misure in questione e' che esse sono, nei contenuti e negli effetti, pressoche' identiche alla pena accessoria del ritiro della patente di guida, prevista dall'art. 85 testo unico n. 309/90, come conseguenza dei reati di cui agli articoli 73, 74, 79 e 82 del medesimo T.U. d) Se dunque il diniego di rilascio e la revoca della patente di guida costituiscono «pene» secondo il significato cui si riferisce l'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, la previsione della loro applicazione a chi sia stato condannato per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della norma che ha introdotto queste sanzioni appare in contrasto con gli articoli 11 e 117 Cost., secondo cui l'Italia consente alle limitazioni di sovranita' necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; e, anche in funzione di cio', esercita la potesta' legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. 3.2 Secondo profilo di sospetta incostituzionalita': con riferimento agli articoli 3, 16, 25 e 111 Cost. Come si e' gia' detto sopra, argomentando in punto «afflittivita'» delle misure del diniego e della revoca della patente, l'art. 85 testo unico n. 309/90 prevede che «Con la sentenza di condanna per uno dei fatti di cui agli articoli 73, 74, 79 e 82, il giudice puo' disporre il divieto di espatrio e il ritiro della patente di guida per un periodo non superiore a tre anni». Dunque il giudice penale, nel momento in cui irroga la condanna per uno dei reati previsti dagli articoli 73 e 74 e' chiamato a valutare (motivando sul punto) se applicare anche la sanzione accessoria del ritiro della patente per un periodo massimo di tre anni. Ora, non si comprendono la ragionevolezza della previsione dell'art. 120 C.d.S. qui in esame e il suo coordinamento con l'art. 85 testo unico n. 309/90. Non si comprende cioe' la ragione per cui il giudice penale sia chiamato - in base alla normativa speciale sugli stupefacenti e al momento della decisione su una specifica vicenda - a effettuare una valutazione di necessita' e di adeguatezza della pena accessoria della revoca della patente, quando la medesima misura interviene comunque, «automaticamente» e per il periodo massimo (3 anni) previsto dalla norma penale, in virtu' dell'art. 120 C.d.S. Pare sussistere, dunque, una sovrapposizione logica della norma amministrativa su quella penale. Sovrapposizione che e' tanto piu' grave in quanto la revoca adottata dal Prefetto (a differenza di quella comminata dal Giudice) prescinde da ogni valutazione sulla adeguatezza della sanzione rispetto al caso concreto, nelle sue dimensioni di esigenza special preventiva e afflittiva. 4. Sulla impossibilita' di adottare un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Il profilo di incostituzionalita' di cui al punto 3.1 censura l'art. 120 C.d.S. nella parte in cui ritiene applicabili le misure del diniego e della revoca della patente ai condannati per i reati di cui agli articoli 73 e 74 testo unico n. 309/90 commessi prima della sua entrata in vigore. Questo Tribunale non ritiene che sia possibile adottare un'interpretazione conforme alla Costituzione (e quindi all'art. 7 CEDU) della norma in esame, ritenendo ch'essa si applichi soltanto ai soggetti condannati per reati commessi dopo la sua entrata in vigore. Questa interpretazione - che il ricorrente invoca, chiedendo l'adozione in via cautelare di un provvedimento di «sospensione o disapplicazione» del provvedimento della Motorizzazione di Novara - non pare possibile alla luce delle considerazioni che seguono. a) La Corte costituzionale, con sentenza n. 285/1990, ha chiaramente affermato che «Non spetta allo Stato, e per esso alla Corte di cassazione, disapplicare le leggi regionali, neppure qualora appaiano in contrasto con la legislazione statale, dovendo l'a.g.o., qualora dubiti della legittimita' costituzionale di una legge, rimettere gli atti alla Corte costituzionale che e' il solo organo deputato a compiere tale verifica di costituzionalita'». Dunque l'interpretazione «costituzionalmente orientata» di una norma non puo' spingersi al segno di rendere questa norma concretamente priva di effetti (in tutto o in parte), producendosi, in caso contrario, una sua «disapplicazione di fatto» ad opera dell'autorita' giudiziaria. b) L'art. 120 C.d.S. e' formulato in termini chiaramente omnicomprensivi: «Non possono conseguire la patente di guida ... le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 ...»; e non pone alcuna distinzione fra i soggetti condannati prima o dopo la sua entrata in vigore. Cio' significa che, dal momento dell'entrata in vigore del «nuovo» art. 120, l'autorita' amministrativa, a fronte di ogni richiesta di rilascio patente, e' tenuta a verificare che non sussistano quegli «elementi ostativi», senza preoccuparsi del fatto che siano venuti a esistenza prima o dopo l'introduzione della previsione amministrativa. D'altra parte, una simile verifica doveva essere compiuta anche immediatamente dopo l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 120 (8 agosto 2009); e non poteva quindi che riferirsi a reati commessi prima della sua entrata in vigore. c) Nella gia' citata sentenza n. 281/2013, la Corte costituzionale ha implicitamente adottato un'interpretazione dell'art. 120 C.d.S. come norma riguardante anche le condanne «pregresse»; in caso contrario infatti - qualora cioe' la Corte avesse ritenuto la norma non applicabile alle condanne pronunciate prima dell'entrata in vigore della norma - sarebbe stata probabilmente diversa la pronuncia e la ratio decidendi: non vi sarebbe stato infatti motivo di affermare che l'imputato non aveva potuto valutare, prima dell'entrata in vigore della nuova norma, tutte le conseguenze della propria adesione al patteggiamento; sarebbe stato invece sufficiente, con una pronuncia «interpretativa di rigetto», affermare che la norma non si applicava alle sentenze ex art. 444 codice di procedura penale pronunciate prima dell'introduzione delle nuove «sanzioni». Per queste ragioni va sollevata la questione di legittimita' costituzionale, e non e' possibile interpretare la norma secondo un significato conforme ai principi sopra richiamati. 5. Sulla rilevanza della questione di' legittimita' costituzionale. Per quanto riguarda il fumus di fondatezza della pretesa cautelare, e' evidente che, se l'art. 120 C.d.S. fosse dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevede che le misure della revoca e del diniego di rilascio della patente si applichino anche per reati commessi prima della sua entrata in vigore, il provvedimento di diniego adottato nei confronti del D. G. sarebbe illegittimo; e sarebbe quindi fondata la domanda volta a ottenerne la sospensione o disapplicazione. Va sottolineato che il presente procedimento cautelare non puo' essere definito senza la pronuncia di costituzionalita'. Infatti non e' possibile che il giudice, in sede cautelare, valuti il fumus boni iuris senza tener conto della norma sospettata di incostituzionalita'; poiche' questa norma, fino all'eventuale pronuncia della Corte, fa parte a tutti gli effetti dell'ordinamento. La sua disapplicazione incorrerebbe quindi nel vizio gia' censurato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 285/90 richiamata al punto che precede. Il ricorrente chiede, per un verso, che il Tribunale sospenda o disapplichi, con ordinanza cautelare, il provvedimento della Motorizzazione di Novara; e, per altro verso, che il Tribunale rimetta il fascicolo alla Corte costituzionale sulle questioni sopra esposte. Tuttavia le due richieste sono in contraddizione fra loro perche', qualora il presente procedimento cautelare fosse definito attraverso l'ordinanza di sospensione, la rimessione alla Corte costituzionale sarebbe irrilevante, in quanto non funzionale a definire il giudizio in corso. Si ritiene poi concretamente sussistente anche il periculum in mora, considerati i gravi effetti pregiudizievoli che il diniego di rilascio della patente produce sulla vita e sulle relazioni del ricorrente. Il provvedimento amministrativo infatti incide sulla liberta' di movimento e quindi, indirettamente, sulla possibilita' di intrattenere relazioni sociali, familiari e lavorative. Per quanto riguarda queste ultime, il D. G. ha documentato di aver ricevuto una proposta di lavoro come autista di furgoni (doc. 6); impiego per il quale e' indispensabile il possesso della patente di guida (il cui conseguimento e' esplicitato nel contratto come condizione per l'assunzione). E' quindi evidente che il provvedimento impugnato e' suscettibile di produrre un pregiudizio grave nella sfera personale del ricorrente. In definitiva, qualora l'art. 120 C.d.S. fosse giudicato costituzionalmente illegittimo, nella parte ed entro i limiti sopra specificati, la domanda cautelare del D. G. dovrebbe trovare accoglimento.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 e ss. legge n. 87/1953, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120 decreto legislativo n. 285/1992 (Codice della strada), come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94; a) con riferimento agli articoli 11 e 117 Cost., in relazione all'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui prevede l'applicazione dei commi 1° e 2° a persone condannate per reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94; b) con riferimento agli articoli 3, 16, 25, 111 Cost., nella parte in cui prevede la revoca e il diniego della patente quale conseguenza automatica di una condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74 testo unico n. 309/1990, a prescindere da ogni valutazione sulla gravita' del reato e sulle pene in concreto comminate; dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; sospende il presente procedimento fino all'esito del giudizio incidentale di costituzionalita'; ordina la comunicazione del presente provvedimento ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; dispone la notificazione della presente ordinanza alle parti e alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Torino, 6 febbraio 2018 Il Giudice: Ciccarelli