N. 239 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 2019
Ordinanza del 13 novembre 2019 della Corte di cassazione sul reclamo proposto da V.G. . Ordinamento penitenziario - Permessi premio - Reclamo avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza - Termine di ventiquattro ore dalla comunicazione. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 30-bis, comma terzo, in relazione all'art. 30-ter, comma 7, della medesima legge.(GU n.2 del 8-1-2020 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Prima Sezione Penale Composta da: Mariastefania Di Tomassi, Presidente; Rosa Anna Saraceno; Filippo Casa; Antonio Minchella; Giuseppe Santalucia, relatore. Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: V. G. nato a ... il ..., detenuto. Avverso l'ordinanza del 7 marzo 2019 del Tribunale di sorveglianza di Bologna. Udita la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe Santalucia; Lette/sentite le conclusioni del PG dott.ssa A. Picardi, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio. Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha dichiarato l'inammissibilita' del reclamo di G. V. avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza ha rigettato la sua richiesta di permesso premio di un giorno, finalizzata a poter trascorrere qualche ora insieme ai suoi familiari a ... . Ha infatti rilevato la tardivita' del reclamo, in quanto proposto oltre le ventiquattro ore, termine stabilito dall'art. 30, comma 3, ordinanza penale: il provvedimento di rigetto, infatti, gli e' stato comunicato il 13 novembre 2018 alle ore 8,16 e il reclamo e' stato depositato il giorno successivo alle ore 8,44. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di G. V. che ha articolato piu' motivi. 2.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di' legge. E' irragionevole, oltre che lesivo dei diritti di difesa, il computo del termine di minuti. Esso contrasta con la disciplina processuale in materia, e specificamente con quanto disposto dall'art. 172 codice penale, secondo cui il termine ad ore inizia a decorrere dall'ora successiva a quella in cui ne e' iniziata la decorrenza e non vanno computate le frazioni di ora. Peraltro, il termine di impugnazione deve tener conto dell'orario di apertura dell'ufficio presso il quale l'atto deve essere presentato, nel caso di' specie l'Ufficio matricola del carcere in cui i detenuti non possono accedere autonomamente, occorrendo a tal fine una domanda e l'autorizzazione all'uscita dalla cella detentiva. Si e' allora prospettata questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 111 cost., dell'art. 30-bis, comma terzo, ordinanza penale, nella parte in cui individua quale termine per la presentazione del reclamo avverso i provvedimenti in materia di permessi quello di ventiquattro ore, termine eccessivamente breve per predisporre la propria difesa. 2.2. Con il secondo motivo ha dedotto difetto di motivazione, dal momento che il Tribunale di sorveglianza non ha svolto alcun accertamento in ordine alla possibilita' del reclamante di presentare il reclamo in orario antecedente a quello delle ore 8,44 del giorno successivo a quello di notifica. Nell'istituto penitenziario ove G. V. e' ristretto, il regolamento interno prevede che le celle siano chiuse fino alle ore 9,00 del mattino, orario dal quale iniziano le varie attivita' socio-ricreative, rieducative e lavorative. Prima di quell'orario e' impossibile uscire dalla cella e accedere a qualsivoglia altro locale dell'istituto senza apposita autorizzazione. 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Col primo motivo il ricorrente denuncia l'illegittimita' costituzionale della norma che assegna un termine particolarmente breve, di ventiquattro ore, per la proposizione del reclamo contro i provvedimenti emessi in materia di permessi premio di cui all'art. 30-ter ord. pen. Viene in gioco la disposizione di cui all'art. 30-ter, comma 7, ord. pen., secondo cui «il provvedimento relativo ai permessi premio e' soggetto al reclamo al Tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all'art. 30-bis», ove si prevede appunto, in riferimento diretto ai cd. permessi di necessita', che il provvedimento e' comunicato senza formalita' al pubblico ministero e all'interessato, «i quali, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, possono proporre reclamo...». In tal modo il ricorrente indica un vizio di violazione di legge del provvedimento impugnato che, facendo applicazione della norma della cui costituzionalita' dubita, ha conculcato i suoi diritti di intervento difensivo. 2. La questione, oltre che, come si dira' in seguito, non manifestamente infondata, e' rilevante perche', ove la norma fosse dichiarata incostituzionale, si determinerebbe una situazione di indubbio vantaggio per il ricorrente, il cui reclamo dovrebbe essere esaminato nel merito invece che essere dichiarato, come e' stato, inammissibile -v., in tal senso, Sez. 1, n. 409 del 10 dicembre 2008, dep. 2009, Sardelli, Rv. 242456, secondo cui «il ricorso per cassazione puo' avere ad oggetto anche soltanto l'eccezione d'illegittimita' costituzionale della disposizione applicata dal giudice di merito, in quanto comporta comunque una censura di violazione di legge riferita al provvedimento impugnato, sempre che sussista la rilevanza della questione, nel senso che dall'invocata dichiarazione d'illegittimita' possa conseguire una pronuncia favorevole in termini di annullamento, totale o parziale, del provvedimento» - nella stessa direzione Sez. 1, n. 45511 dell'11 novembre 2009, Papandrea, Rv. 245509 e, in precedenza, Sez. 6, n. 6121 del 16 marzo 2000, pubblico ministero e Santinello ed altro, Rv. 220524. 3. Ancora in riferimento al profilo di rilevanza della questione si osserva che, in applicazione della norma della cui costituzionalita' si dubita, il reclamo e' stato correttamente dichiarato inammissibile. 3.1. Il ricorrente ebbe comunicazione del provvedimento di diniego del permesso premio alle ore 8,16 del 13 novembre 2018 e presento' reclamo il giorno successivo, alle ore 8,44, pertanto oltre il termine di scadenza. Secondo quanto stabilito dall'art. 172 codice di procedura penale, che esclude dal computo l'ora - nel caso di specie le ore 8,16 - in cui ha avuto inizio la decorrenza, il termine e' andato a scadere alle ore 8,16 del giorno successivo. Il computo ad ore, si' come regolato dalla disposizione appena richiamata, non impone di considerare soltanto l'ora piena e di trascurare le sue frazioni, come invece sembra sostenere il ricorrente. Se la comunicazione del provvedimento e' stata fatta alle ore 8,16, il computo del termine di ventiquattro ore non puo' ignorare la frazione aggiuntiva rispetto alle ore 8,00 e deve pertanto commisurare le ore successive, al fine di calcolare il decorso del termine di reclamo, muovendo da quel termine iniziale nella sua compiuta specificazione, sia dell'ora che dell'aggiuntiva frazione, ma senza tener conto, come gia' ricordato, dell'ora in cui ha avuto inizio la decorrenza. E' quindi corretta l'affermazione contenuta nella requisitoria del Procuratore generale che, nel caso in esame, occorre effettuare il computo dalle ore 9,16 del 13 novembre 2018; ma e' proprio in tal modo che si apprezza che il termine di ventiquattro ore ando' a scadere alle ore 8,16 del giorno successivo, contrariamente a quanto invece sostenuto nella menzionata requisitoria, ove invece si legge che, se l'ora di decorrenza e' fissata alle ore 9,16 del 13 dicembre, allora il reclamo e' da ritenersi tempestivo. Per questa ragione non e' errata la decisione impugnata, che ha decretato l'inammissibilita' del reclamo per tardiva proposizione. 3.2. il ricorrente, in particolare con il secondo motivo, ha lamentato che il Tribunale, ai fini del corretto computo del termine, avrebbe dovuto in concreto verificare se sarebbe stato possibile, in ragione dell'assetto organizzativo dell'Istituto di restrizione, presentarsi presso l'Ufficio matricola entro le ore 8,16 per la presentazione del reclamo. Ha poi dedotto che, nell'Istituto ove e' detenuto, le celle, per regolamento interno, vengono aperte non prima delle ore 9,00, in tal modo attestando che non avrebbe potuto in ogni caso essere tempestivo nella proposizione del reclamo. Si' osserva a tal proposito che, a parte l'incongruita' dell'ultimo rilievo a fronte del dato che il reclamo venne effettivamente proposto alle ore 8,44 e quindi prima dell'orario di apertura delle celle - e che dunque sembra smentire l'assunto di ricorso circa l'impossibilita' di uscire dalle celle prima delle ore 9,00, l'accertamento di cui si lamenta la mancanza non avrebbe potuto sortire un utile effetto. Il termine di ventiquattro ore, infatti, seppur computato al netto dei possibili tempi morti conseguenti alla organizzazione interna dell'Istituto di detenzione, appare in ogni caso del tutto inadeguato a consentire un pieno ed efficace esercizio del diritto al reclamo. 3.3. Per la stessa ragione la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale non viene meno sulla base della considerazione che il ricorrente avrebbe potuto richiedere, e cio' non ha fatto, la restituzione nel termine, adducendo proprio l'impossibilita' di rispettare il ristretto termine di proposizione del reclamo in conseguenza di fatti e circostanze a lui non imputabili. La concessione di un nuovo termine, di pari durata e quindi spiccatamente breve, non avrebbe potuto comunque assicurare un pieno esercizio del diritto al reclamo perche' l'eccessiva ristrettezza del tempo dato per il reclamo non viene meno neanche provando idealmente a sommare il termine in cui si potrebbe essere restituiti a quello iniziale. Emerge anzi, interrogandosi sui concreti effetti che la richiesta di restituzione nel termine avrebbe potuto avere nella vicenda in esame, un profilo ulteriore di irragionevolezza della disciplina. Per la proposizione della richiesta di' restituzione e' infatti dato un termine di dieci giorni a decorrere dalla cessazione del fatto costituente forza maggiore (o caso fortuito), di gran lunga piu' ampio di quello per il quale la richiesta, nella vicenda ora in esame, avrebbe potuto essere avanzata. 4. La questione, come accennato, non e' manifestamente infondata. 5. La Corte costituzionale, gia' con la sentenza n. 235 del 1996, osservo' che la previsione di un identico, e particolarmente breve, termine di reclamo in tema di permessi di necessita' e di permessi premio non e' ragionevole. Se, per un verso, i brevissimi termini di impugnazione possono essere giustificati in relazione ai permessi di necessita', per «i rigorosi presupposti cui la ... norma subordina la concessione» degli stessi, non altrettanto puo' dirsi, secondo l'impostazione data dalla Corte costituzionale, per i permessi premio che sono, a differenza dei primi, «parte integrante del trattamento e da cui possono discendere conseguenze dirette anche al fine dell'applicazione delle misure alternative alla detenzione». Nella giurisprudenza costituzionale, come e' noto, si e' piu' volte affermato che il permesso premio ha «natura di misura premiale di incentivo alla collaborazione del detenuto con l'istituzione carceraria, e di strumento esso stesso di rieducazione, in quanto consente un iniziale inserimento del condannato nella societa'» (sentenze n. 188 del 1990, n. 227 e n. 504 del 1995, n. 235 del 1996, n. 296 del 1997, n. 450 del 1998). Altre sono, invece, la natura e la funzione del permesso di necessita', misura eccezionale che risponde esclusivamente a finalita' di umanizzazione della pena, consentendo al detenuto di stare vicino ai congiunti e di adoperarsi per loro in occasione di particolare avverse vicende della vita familiare - Sez. 1, n. 15953 del 27 novembre 2015, dep. 2016, Vitale, Rv. 267210-11. L'identita' del termine per la proposizione del reclamo avverso provvedimenti che attengono all'una e all'altra tipologia di permessi esalta esclusivamente un dato di natura meramente nominalistica, posto che il Legislatore menziona entrambe le misure come permessi, che pero' restano segnati da una strutturale eterogeneita' - Corte costituzionale, n. 235 del 1996. L'irragionevolezza della previsione si risolve pertanto in una violazione dell'art. 3 Cost., perche' la norma equipara, quanto al termine concesso per il reclamo, situazioni profondamente diverse. 5.1. Essa, peraltro, si pone in violazione dell'art. 27 Cost., specificamente del principio rieducativo della pena, perche' ostacola un effettivo e serio controllo sul provvedimento adottato dal Magistrato di sorveglianza relativo ad «uno strumento cruciale ai fini del trattamento», momento iniziale della progressivita' premiale in esplicazione di una importante funzione «pedagogico-propulsiva» che da' modo di saggiare, quale primo esperimento, «la risocializzazione in ambito extramurario ...» - Corte costituzionale, n. 188 del 1990 e Corte costituzionale, n. 227 del 1995. 6. Altri sono ancora i parametri di costituzionalita' rilevanti. 6.1. E' orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimita' che il reclamo avverso i provvedimenti in materia di permessi premio costituisca un mezzo di impugnazione e quindi debba essere corredato, pena l'inammissibilita', da specifici motivi - v., in tal senso, tra le altre, Sez. 1, n. 2593 del 30 marzo 1999, Arrigo, Rv. 213488; Sez. 1, n. 648 del 28 gennaio 2000 Sasso, Rv. 215388; Sez. 1, n. 16254 del 23 marzo 2006, Costantino, Rv. 234299; Sez. 1, n. 37332 del 26 settembre 2007, Esposito, Rv. 237505; Sez. 1, n. 15982 del 17 settembre 2013, dep. 2014, Greco, Rv. 261989;). Si e' a tal proposito affermato che, compiuta la piena giurisdizionalizzazione dell'istituto - a seguito della pronuncia n. 53 del 1993 con cui la Corte costituzionale dichiaro' l'illegittimita' delle norme che non consentivano l'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 666 e 678 codice di procedura penale al procedimento di reclamo avverso il decreto di esclusione dal computo della detenzione del periodo trascorso in permesso premio -, l'obbligo di presentazione di motivi contestualmente al reclamo discende inevitabilmente dal carattere giurisdizionale, e non amministrativo, del procedimento in cui esso si innesta e delle decisioni che sono assunte in materia. Si e' pure chiarito come non possa affermarsi l'esclusione dell'obbligo di presentazione dei motivi facendo leva sull'osservazione che il procedimento e' modellato su quello relativo alle questioni di esecuzione, per la ragione che, mentre la domanda con cui si prospettano questioni relative all'esecuzione non ha natura di impugnazione, lo stesso non puo' essere detto per il reclamo avverso il provvedimento in materia di permesso premio, che all'evidenza ha natura di impugnazione, dando luogo ad un giudizio di controllo che non puo' che svolgersi sulla base di doglianze e censure specificamente prospettate. 6.2. E' appena ora il caso di evidenziare che, sotto la vigenza del precedente codice di rito, la disposizione su un termine cosi' breve per la proposizione del reclamo aveva, in ragione di quel sistema di impugnazioni, una incidenza negativa meno rilevante sulla posizione del soggetto che intendeva dolersi del provvedimento. In quel sistema, come e' noto, l'impugnazione si proponeva con dichiarazione, nella quale si dovevano indicare soltanto il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che Io aveva emesso e il procedimento al quale si riferiva - art. 197; i termini di impugnazione, posti a pena di decadenza, erano calibrati sulla dichiarazione di impugnazione - art. 199, mentre i motivi di impugnazione, pur potendo essere enunciati nello stesso atto della dichiarazione, dovevano essere presentati per iscritto, a pena di' decadenza, in un termine diverso e ampio di giorni venti a far data dalla comunicazione o notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento - art. 201. E' agevole rilevare che la previsione del termine di ventiquattro ore per la proposizione del reclamo consentiva, in misura maggiore rispetto all'attuale, un utile esercizio del diritto al reclamo, coordinandosi con un modello di impugnazione incentrato sulla diversificazione, anche e soprattutto d'ordine temporale, tra dichiarazione e motivi di impugnazione. 6.3. Il vigente codice di rito, non soltanto ha eliminato la distinzione tra dichiarazione e motivi, imponendo, a pena di inammissibilita', che entro l'unico termine di impugnazione siano proposti entrambi, ma da ultimo, in forza ella recente novella di cui alla legge n. 103 del 2017, ha aggravato gli oneri di specificita', che ora attengono oltre che all'articolazione dei motivi, alle richieste, anche istruttorie, alle indicazione delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione, all'indicazione dei capi o punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione - art. 581. 6.4. Non puo' dunque essere condivisa la posizione reiteratamente espressa nella giurisprudenza di legittimita' circa la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale che ora si prospetta, in forza dell'assunto che il «Tribunale adito deve comunque decidere, atteso il carattere giurisdizionale della procedura, nelle forme dell'udienza camerale nel cui ambito nulla impedisce il dispiegarsi di una difesa personale ovvero affidata ad un difensore di fiducia» - Sez. 1, n. 13395 del 19 febbraio 2013, Zanda, Rv. 255645; e che, siccome il procedimento «e' regolato, per la particolarita' della materia stessa, in modo da assicurare la massima speditezza con comunicazioni senza formalita' e cadenze temporali ristrette», allora un termine di reclamo cosi' ristretto e' giustificabile, anche alla luce della considerazione che «il carattere giurisdizionale della procedura non impone di per se' la pienezza del contraddittorio, conoscendo il sistema provvedimenti giurisdizionali emessi de plano» - Sez. 1, n. 244 del 13 gennaio 2000, Forcieri, Rv. 215202. Queste precedenti posizioni hanno trascurato dati di importanza centrale, e cioe' che la semplificazione delle forme, per esigenze di speditezza, non puo' in ogni caso andare a detrimento del diritto delle parti di rappresentare compiutamente le proprie ragioni al giudice del controllo e che la possibilita' di esplicarle nella fase del contraddittorio camerale e' subordinata alla preliminare verifica di ammissibilita' del reclamo. Se questo viene infatti dichiarato inammissibile per una affrettata articolazione dei motivi, le possibilita' di recupero nel contraddittorio camerale restano del tutto vanificate: 6.5. Occorre poi considerare lo squilibrio che si realizza tra le opportunita' di' impugnazione riservate alla parte pubblica e al detenuto, rispetto al quale un termine di reclamo cosi' ristretto comprime in misura irragionevolmente maggiore il diritto di difesa. Questi, per evitare il rischio di una pronuncia di inammissibilita', necessita dell'assistenza di un difensore, pur non imposta per legge, e pero' l'effettivita' dell'assistenza e' fortemente compromessa dalla spiccata brevita' del termine concesso per il reclamo. Da un lato il sistema consente all'interessato di richiedere l'intervento e l'assistenza della difesa tecnica, e dall'altro non pone le condizioni affinche' questa facolta' possa pienamente esplicarsi. Per quanto sino ad ora argomentato il termine di ventiquattro ore per la proposizione del reclamo si rivela incapace di assicurare alla parte, che intenda dolersi della decisione, di un tempo utile per articolare i rilievi critici da sottoporre al Tribunale di sorveglianza. La norma non si sottrae cosi' ad un fondato dubbio di incostituzionalita' per violazione degli articoli 24, compromettendo le concrete ed effettive possibilita' di difesa, e 111 Cost., per eccentricita' rispetto al modello di giusto processo costituzionale, che impone tra l'altro condizioni di parita' tra le parti di fronte al giudice. 7. Con la sentenza n. 235 del 1996 la Corte costituzionale dichiaro' inammissibile la questione - che ora si ripropone - soprattutto perche' rilevo' l'impossibilita' di «rintracciare nell'ordinamento una conclusione costituzionalmente obbligata», tale da consentire alla stessa Corte di porre rimedio alla brevita' del termine «rideterminandolo essa stessa»; e per tale ragione auspico un rapido intervento legislativo per la fissazione di un nuovo termine capace di contemperare «la tutela del diritto di difesa con le ragioni di speditezza della procedura». Il monito della Corte costituzionale non ha avuto effetto e nel frattempo, pero', il sistema di tutela si e' evoluto con la piena giurisdizionalizzazione del reclamo avverso gli atti dell'Amministrazione penitenziaria asseritamente lesivi di diritti - art. 35-bis ordinanza pen. introdotto dal decreto-legge n. 146 del 2013, conv., con modif., in legge n. 10 del 2014 - e specificamente con la previsione di un termine di quindici giorni per la proposizione del reclamo contro la decisione del Magistrato di sorveglianza. La disposizione da ultimo citata puo' ora costituire un ben preciso punto di riferimento idoneo, nella prospettiva di una pronuncia additiva, ad evitare un vuoto di previsione colmabile soltanto attraverso un esercizio della discrezionalita' legislativa - v., da ultimo, Corte cast. n. 222 del 2018, secondo cui non e' necessario «che esista, nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata», potendo bastare che il sistema offra «precisi punti di riferimento e soluzioni gia' esistenti» per consentire alla Corte costituzionale di porre rimedio al deficit di tutela. 8. Le considerazioni esposte impongono di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3, 24, 27, 1, 111 della Costituzione, la questione di' legittimita' costituzionale dell'art. 30-bis, comma terzo, in relazione all'art. 30-ter, comma 7, legge del 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario), nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza in tema di permesso premio e' pari a 24 ore. A norma dall'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere dichiarata la sospensione del presente procedimento, con l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria, infine, provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
P.Q.M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 30-bis, comma terzo, in relazione all'art. 30-ter, comma 7, legge del 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario), nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza in tema di permesso premio e' pari a ventiquattro ore. Sospende il presente procedimento. Manda alla cancelleria per gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Cosi' deciso in Roma, il 30 ottobre 2019 Il Presidente: Di Tomassi Il consigliere estensore: Santalucia