N. 791 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 giugno 1997
N. 791 Ordinanza emessa l'11 giugno 1997 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale militare di Cagliari nel procedimento penale a carico a carico di Pes Elvi' Reati militari - Reato permanente (nella specie: diserzione) - Trattamento sanzionatorio - Possibilita' che il militare, gia' condannato a pena di durata pari al servizio ancora da svolgere, sia assoggettato a ulteriori condanne, fino al raggiungimento del quarantacinquesimo anno di eta' - Lesione del principio di eguaglianza in relazione al trattamento sanzionatorio previsto per chi rifiuti il servizio militare - Violazione del principio di legalita' della pena - Incidenza sul principo della umanita' e della finalita' rieducativa delle pene - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 343/1993, 467/1991, 469/1990, 43/1997, 409/1989, 503/1989, 163/1993. (C.P.M.P., art. 148, in relazione alla legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 8, commi secondo e terzo). (Cost., artt. 3, 25 e 27, comma terzo).(GU n.47 del 19-11-1997 )
IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 252/1996 a carico di Pes Elvi'n, nato il 7 ottobre 1964 ad Augsburg (D), imputato del reato di cui agli artt. 148 n. 2 e 154 n. 1 c.p.m.p. perche', il 14 luglio 1992, condannato dal t.m. di Cagliari per un precedente reato di assenza, non si presentava, senza giusto motivo, al proprio reparto o ad altra autorita' militare, rimanendo assente per oltre sei mesi consecutivi e sino a tutt'oggi. Fatto e diritto Al termine delle indagini preliminari il p.m. chiedeva il rinvio a giudizio di Pes Elvi' per il reato di cui in rubrica. All'odierna udienza preliminare il p.m. chiede che sia sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 148 c.p.m.p., in relazione all'art. 8, commi terzo e quarto, legge 15 dicembre 1972, n. 772, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non esclude la possibilita' di piu' di una condanna per il militare che sia stato gia' condannato a pena di durata uguale al servizio ancora da svolgere. Analoga eccezione viene presentata dalla difesa dell'imputato con riferimento alla violazione degli artt. 3, 21, 25 e 27 della Costituzione. Va osservato, innanzitutto, che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale costituente diritto vivente i reati di assenza dal servizio, quale quello di diserzione, sono reati permanenti per i quali una volta intervenuta la condanna, viene in rilievo una nuova contestazione relativa al reato commesso con la successiva ed autonoma condotta. L'imputato dovrebbe allora essere sottoposto a successive e sempre piu' rigorose condanne fino al momento del congedo assoluto, cioe' fino al raggiungimento da parte dell'imputato del quarantacinquesimo anno di eta'. Si verrebbe, cosi, a realizzare il fenomeno della cd. "spirale delle condanne" per un unico fatto criminoso. Tuttavia, sul punto, la Corte costituzionale, pronunciandosi in riferimento al reato di rifiuto del servizio militare previsto dall'art. 8 legge n. 772/1972, ha proprio inteso evitare l'effetto "perverso" del susseguirsi delle condanne penali in quanto in contrasto con i valori ed i fini espressi dal combinato disposto degli artt. 3 e 27, comma terzo, della Costituzione (v. sentenza Corte costituzionale n. 343/1993), osservando che "l'incriminazione del rifiuto totale di adempiere l'obbligo di leva, se deve condurre ad un sacrificio della liberta' personale, non puo' tuttavia estendere questo sacrificio al punto da sottoporre colui che abbia commesso i relativi reati a una serie di condanne penali cosi' lunga e pesante da poterne distruggere la sua intima personalita' umana e la speranza di una vita normale" (v. anche sentenza Corte costituzionale n. 467/1991). Deve osservarsi che l'attuale situazione normativa si e' determinata a seguito di successive modifiche del sistema regolante i reati di assenza. In primis, vi era la norma dell'art. 377 c.p.m.p. (caducata a seguito dell'intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 469 del 22 ottobre 1990), che vietava il giudizio in contumacia per i reati di diserzione e di mancanza alla chiamata, salvo che ne fosse cessata la permanenza, cosicche' veniva impedita concretamente l'ipotesi di "spirale delle condanne". Tuttavia, i militari piu' ostinati che omettevano di rientrare al reparto o di ripresentarsi alle armi, autoesentandosi di fatto dal servizio, acquisivano un ingiustificabile privilegio rispetto a coloro che si rendevano nuovamente disponibili a riprendere il servizio. Caduta anche la norma dell'art. 308 c.p.m.p. che consentiva l'arresto in flagranza per tutti i reati militari (v. sentenza Corte costituzionale 15 novembre 1989, n. 503) ed in mancanza di una razionalizzazione del sistema si e' creata la situazione attuale che provoca il perpetuarsi di condanne per fatti di assenza ontologicamente unitari, tanto che la giurisprudenza, riconoscendone il collegamento, li unifica con il vincolo della continuazione. In tale contesto e' intervenuta la sentenza n. 43/1997 della Corte medesima che, esaminando l'art. 8 legge n. 772/1972 nella parte in cui consente la ripetuta sottoponibilita' a procedimento penale del medesimo soggetto gia' condannato per i fatti ivi previsti, ne ha affermato l'illegittimita' costituzionale proprio laddove non e' esclusa la possibilita' di piu' di una condanna per il reato di chi rifiuta il servizio militare di leva, in tempo di pace, prima di assumerlo, adducendo i motivi di cui all'art. 1 legge citata. Vi e' ulteriormente da aggiungere che con altre pronunce, la n. 409/1989, e la n. 343/1993, la Corte costituzionale ha affermato l'identita' dell'interesse leso nelle due distinte ipotesi di reato, quella prevista dalla normativa sull'obiezione di coscienza e quella relativa ai reati di assenza dal servizio. Cio' ha determinato che la condanna alla pena della reclusione in misura complessivamente non inferiore al servizio di leva, nel caso di diserzione, comporti necessariamente l'esonero dal servizio militare, al pari di quanto e' previsto per colui che rifiuta il servizio militare di leva per i motivi di cui all'art. l legge n. 772/1972. A riguardo la Corte costituzionale ha sostenuto che non puo' essere percepita alcuna differenza tra colui che rifiuta il servizio di leva adducendo, magari in modo pretestuoso, i motivi di cui all'art. 8, primo comma, legge n. 772/1972 e colui il quale rifiuta il servizio militare di leva, senza addurre motivo alcuno o adducendone di diversi, (come avviene nel caso del reato di cui all'art. 148 c.p.m.p.). Questo giudice reputa fondato il dubbio di costituzionalita' sollevato dalle parti in riferimento all'art. 148 c.p.m.p., in relazione all'art. 8, commi secondo e terzo legge n. 772/1972, nella parte in cui non esclude la possibilita' di piu' di una condanna, una volta che il militare sia gia' stato condannato a pena pari al servizio ancora da svolgere. Appare, infatti, leso il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, poiche' al militare condannato per il reato di cui all'art. 148 c.p.m.p. viene riservato un trattamento ben deteriore rispetto a chi rifiuta il servizio militare, punito ai sensi dell'art. 8 legge n. 772/1972. Nella prima ipotesi, il militare potra' essere punito per un numero indefinito di volte ed anche l'eventuale riconoscimento del vincolo della continuazione tra le condotte successivamente sottoposte a processo puo' solo attenuare ma non annullare le conseguenze del meccanismo delle condanne a catena. Mentre nel secondo caso, l'obbiettore di coscienza viene punito con un unica condanna. La notevole diversita' di trattamento penale tra le due ipotesi in considerazione rileva sotto il profilo della proporzionalita', insita nel principio di eguaglianza (v. sentenza Corte cost. n. 163/1993), quale regola implicita che deve essere valutata "in relazione agli effetti pratici prodotti o producibili nei concreti rapporti della vita". Anche l'art. 27, comma terzo, della Costituzione appare vulnerato dal sistema normativo attuale, poiche' una serie indeterminata di condanne per un fatto sostanzialmente unico viene a ledere il senso di umanita' delle pene, tendendo, invece, alla coartazione morale della persona. Inoltre, non e' ravvisabile alcuna finalita' rieducativa nella "prova di forza" creatasi tra la volonta' dello Stato e quella dell'individuo, le cui azioni finirebbero con l'essere giudicate solo dal timore di riportare una molteplicita' di condanne a proprio carico.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953; dichiara non manifestamente infondata e rilevante nel presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 148 c.p.m.p. in riferimento all'art. 8, commi secondo e terzo, legge n. 772/1972 nella parte e nei termini precisati in motivazione; Sospende il giudizio in corso ed ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che copia della presente ordinanza, a cura della Cancelleria, sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cagliari, addi' 11 giugno 1997 Il giudice dell'udienza preliminare: Simonelli 97C1258