N. 588 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 2007

Ordinanza  emessa  il  21  febbraio 2007 dal tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di Saki Kamal

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato,  in  violazione  dell'ordine di allontanamento impartito dal
  questore  -  Reclusione  da  uno  a  quattro  anni - Violazione del
  principio di proporzionalita' e di ragionevolezza della pena, anche
  con  riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per analoghe
  fattispecie  -  Lesione  del  principio della finalita' rieducativa
  della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, del decreto legge 14 settembre
  2004,   n. 241,   convertito,   con   modificazioni,   nella  legge
  12 novembre 2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, comma terzo.
(GU n.35 del 12-9-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Ritenuto  che  deve  essere  sollevata,  per  i motivi di seguito
esposti,  questione  di legittimita' costituzionale dell'articolo 14,
comma  5-ter,  prima  parte  del  d.lgs.  n. 286/1998 come sostituito
dall'articolo 1, comma 5-bis della legge 271/2004, di conversione con
modificazioni  del  d.l.  n. 241/2004,  nella parte in cui prevede la
pena  della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,   questione   rilevante  e  non  manifestamente  infondata  in
riferimento  agli  artt. 3,  primo  comma  e  27,  terzo  comma della
Costituzione,

                               Rileva

    Saki  Kamal,  cittadino  marocchino sedicente, e' stato arrestato
nella  flagranza  del  reato di cui all'articolo 14, comma 5-ter, del
d.lgs.  n. 286/1998. Il decreto di espulsione del Prefetto e l'ordine
del  Questore  di  Caltanissetta  emessi  in  data 28 ottobre 2005 ex
artt. 13  e  14,  comma  5-bis,  tradotti  in lingua araba, risultano
essere stati notificati in pari data.
    Il prevenuto, sentito ai sensi dell'art. 558, terzo comma c.p.p.,
ha  negato  l'addebito  sostenendo  di  non  essere la stessa persona
destinataria  dei  suddetti  provvedimenti  e  di essere immigrato in
Italia,  arrivando  via mare a Lampedusa dal Marocco, nell'agosto del
2006.
    All'esito  della  convalida  e rigettata la richiesta del p.m. di
applicazione  della  misura  prevista  dall'art. 282  c.p.p.,  si  e'
proceduto  al  giudizio  all'udienza del 13 gennaio 2007, conclusa la
quale   sono   state   acquisite   agli  atti,  ai  fini  dell'esatta
identificazione    dell'imputato   e   della   verifica   delle   sue
dichiarazioni,   le   informative   in  data  13  febbraio  2007  del
Commissariato  della P.d.S. di Gela e dell'Ufficio immigrazione della
Questura di Firenze.
    All'odierna  udienza  fissata  in  prosecuzione,  dato atto delle
richiamate  informative  e assunta la testimonianza dell'agente della
P.d.S.  Francesca  Coppola  in  ordine  alle  modalita' e circostanze
dell'accertamento  del  reato contestato, previa indicazione ai sensi
dell'art. 511,  quinto  comma c.p.p., le parti hanno concluso come da
verbale.
    La  sanzione da comminare in ipotesi di affermazione della penale
responsabilita'  di  Sakj  dovrebbe essere determinata con riguardo a
quella   prevista   dalla   disposizione   della   cui   legittimita'
costituzionale si dubita.
A) L' evoluzione normativa.
    Il    testo   originario   dell'articolo   14   non   comprendeva
l'incriminazione   dello   straniero   che   non  avesse  ottemperato
all'ordine   emesso   dal  questore  in  esecuzione  del  decreto  di
espulsione del prefetto.
    La  fattispecie  di  reato  in discorso e' stata introdotta dalla
legge n. 189/2002, come contravvenzione punibile con l'arresto da sei
mesi a un anno e ad arresto obbligatorio.
    La  Corte costituzionale, con la sentenza 223/2004, ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo 14, comma 5-quinquies
per contrasto con gli artt. 3 e 13 della Costituzione «nella parte in
cui  stabilisce  che  per  il  reato  previsto  dal  comma 5-ter, del
medesimo  articolo  14  e'  obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del
fatto»,  rilevando  la  manifesta  irragionevolezza  di provvedimento
provvisorio  in  materia  di liberta' personale in difetto, atteso il
titolo  di  reato,  della  condizione  di  applicabilita' ex art. 280
c.p.p. anche in riferimento all'art. 391, quinto comma c.p.p.
    Il  d.l.  n. 241/2004, non modificando la pena suddetta, limitava
l'arresto  obbligatorio  all'ipotesi,  ex art. 14, comma 5-quater, di
delitto  punibile con la reclusione da uno a quattro anni (reingresso
nel territorio dello Stato dello straniero espulso).
    In   sede  di  conversione  del  d.l.  citato  il  reato  di  cui
all'articolo 14, comma 5-ter, e' stato previsto come delitto punibile
con  la  reclusione  da  uno  a  quattro  anni e nuovamente stabilito
l'arresto  obbligatorio,  ad  eccezione  dell'ipotesi  di  espulsione
motivata  dall'essere  scaduto il permesso di soggiorno, per la quale
non si e' modificata la pena dell'arresto da sei mesi a un anno.
    Dunque,  e'  intervenuto un notevole inasprimento della pena, per
questa  parte  la  norma attualmente in vigore apparendo in contrasto
con gli artt. 3, primo comma e 27, terzo comma della Costituzione.
B)  La  non  manifesta  infondatezza  per violazione delle richiamate
disposizioni costituzionali.
    La Corte costituzionale pur riservando alla «discrezionalita' del
legislatore  stabilire  quali  comportamenti  debbano  essere puniti,
determinare  quali  debbano essere la qualita' e la misura della pena
ed   apprezzare   parita'  e  disparita'  di  situazioni»,  ha  pero'
costantemente   ribadito   il  principio  che  «l'esercizio  di  tale
discrezionalita'  puo'  essere  censurato quando esso non rispetti il
limite  della  ragionevolezza e dia quindi luogo ad una disparita' di
trattamento  palese e ingiustificata» (sentenza 25/1994; il principio
e' richiamato anche nella sentenza 333/1992, nell'ordinanza 220/1996,
nella sentenza 84/1997).
    E  la  sentenza  409/1989  individua i contenuti e la portata dei
requisiti  di  proporzionalita'  e  ragionevolezza:  «il principio di
uguaglianza,  di  cui all'articolo 3, primo comma, Costituzione esige
che  la  pena  sia  proporzionata  al  disvalore  del  fatto illecito
commesso,  in  modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo
alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni
individuali», disconoscendo la legittimita' di quelle «incriminazioni
che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali
di  prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo
(ai  suoi  diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela dei beni e dei valori offesi dalle predette incriminazioni».
    Il  principio  e'  ora  recepito anche dalla Costituzione europea
(«le  pene  inflitte  non  devono  essere  sproporzionate rispetto al
reato», articolo 2 - 109).
    Inoltre,  si  e'  ripetutamente  affermato  (sentenze  313/1995 e
343/1993)  che  la manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai
fatti   reato   non   corrisponde  all'esigenza  della  finalita'  di
rieducazione posta dall'articolo 27, terzo comma.
    Ora, nella stessa relazione all'emendamento del d.l. n. 241/2004,
l'introduzione  di  una  sanzione cosi' elevata viene giustificata in
riferimento  soltanto  alla  asserita  necessita'  di  adeguarsi alla
sentenza  223/2004  della Corte costituzionale, ma cio' nel senso non
condivisibile   di  inasprire  la  pena  unicamente  in  funzione  di
consentire    l'arresto   obbligatorio   e   l'eventuale   successiva
applicazione  di  misure  coercitive  personali  per  coloro  che non
ottemperino    all'ordine   del   questore.   L'intenzione   traspare
dall'essere  la  stessa pena prevista per il fatto di chi rientra nel
territorio   nazionale   dopo  un'espulsione  disposta  dal  giudice,
condotta  di  assai  piu'  rilevante gravita' in quanto presuppone la
commissione  di  un reato o quantomeno la pendenza di un procedimento
penale.
    Dunque  si deve concludere che si e' operata una trasposizione di
un'esigenza  processuale  nel  diritto  penale  sostanziale in palese
contrasto  con  i  criteri  che devono informare la determinazione in
astratto delle sanzioni penali.
    Ne'  il prospettato dubbio di costituzionalita' e' risolto ove si
consideri il trattamento sanzionatorio conseguente alla violazione di
precetti   di  norme  incriminatrici  che,  delineando  comportamenti
antigiuridici   assimilabili,   sono  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi,  l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica, protetti dalla
disposizione in esame.
    L'art. 650  c.p.  punisce  con l'arresto fino a tre mesi o con la
sola  ammenda  l'inottemperanza  ad  un provvedimento legalmente dato
dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico
(oltre che di giustizia e igiene).
    L'art. 2  della  legge  n. 1423/1956  presuppone  un ordine della
pubblica  autorita'  concernente  persone ritenute «pericolose per la
sicurezza  pubblica»  - una pericolosita' accertata in concreto e non
«potenziale»,   come   nel  caso  dello  straniero  clandestino  -  e
l'inottemperanza   configura   una   contravvenzione  sanzionata  con
l'arresto da uno a sei mesi.
    Per   l'appunto,   in  applicazione  degli  stessi  parametri  di
normazione, il legislatore del 2002 aveva coerentemente previsto come
contravvenzione  l'ipotesi  di cui all'articolo 14, comma 5-ter, e la
pena  da  sei mesi a un anno di arresto, stabilita in misura maggiore
per  lo straniero, trovava ragionevole giustificazione nell'esigenza,
fatta  propria quale insindacabile scelta politica, di contrastare in
modo specifico il fenomeno dell'immigrazione clandestina, inesistente
all'epoca   della   redazione   del   codice  penale  e  della  legge
n. 1423/1956.
    Al  contrario,  e'  di  immediata evidenza la sproporzione tra la
pena  per  il delitto di cui all'art. 14, comma 5-ter, attualmente in
vigore,  e  le  sanzioni per le contravvenzioni di cui agli artt. 650
c.p. e 2, legge n. 1423/1956.
    L'irragionevolezza   si  apprezza,  pertanto,  sotto  un  duplice
profilo,  sia con riguardo alla pena che il legislatore solo due anni
prima aveva ritenuto congrua, sia con riguardo alle pene previste per
analoghe fattispecie.
    L'art. 3,  primo comma, della Costituzione impone, invece, che il
bilanciamento  tra gli interessi da tutelare e il bene della liberta'
personale  tenga  conto  delle  sanzioni  previste  per  le  analoghe
condotte di pregiudizio degli stessi interessi, derivandone l'effetto
che,   solo   quando   la   pena  sia  stabilita  con  la  necessaria
proporzionalita',  essa  risponde  alla  funzione  rieducativa di cui
all'articolo 27, terzo comma della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  14,  comma  5-ter, prima
parte,  d.lgs.  n. 286/1998  come  sostituito  dall'articolo 1, comma
5-bis legge n. 271/2004 (che ha convertito in legge con modificazioni
il  d.l.  n. 241/2004)  nella  parte  in  cui  prevede  la pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  che  senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,   in   riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma  della
Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale, sospendendo il giudizio in corso;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere.
        Firenze, addi' 21 febbraio 2007
                        Il giudice: Gratteri
07C1076