N. 3 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 gennaio 2000

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 14 gennaio 2000 (della Regione Veneto)
Acque  pubbliche  e  acquedotti  -  Norme di attuazione dello Statuto
speciale  per la regione Trentino-Alto Adige - Previsione secondo cui
il  piano  generale  per  l'utilizzazione  delle acque pubbliche vale
quale  piano  di bacino di rilievo nazionale - Denunciata sottrazione
alle  altre  regioni  (e,  in particolare, alla regione Veneto) delle
competenze  in  materia di demanio idrico e difesa del suolo (venendo
la  pianificazione  relativa  ad  alcuni bacini idrografici riservata
allo   Stato  d'intesa  con  la  Provincia  autonoma  interessata)  -
Denunciata   esorbitanza  della  disposizione  censurata  dall'ambito
proprio  delle  norme  di attuazione statutaria - Eccesso di delega -
Violazione  dell'autonomia  statutaria, legislativa ed amministrativa
delle  Regioni  -  Contraddittorieta' e illogicita' - Contrasto con i
principi comunitari in materia.
- D.lgs. 11 novembre 1999, n. 463, art. 2, comma 1, lettera d).
- Costituzione, artt. 3, 10, primo comma, 76, 115, 116, 117 e 123.
(GU n.12 del 15-3-2000 )
    Ricorso   della   regione   Veneto,  in  persona  del  Presidente
  pro-tempore   della   Giunta  regionale,  on. dr. Giancarlo  Galan,
  autorizzato  dalla  Giunta  regionale  del Veneto con deliberazione
  n. 4639  del  28  dicembre  1999  che  si  allega in copia (all. 1)
  rappresentata   e  difesa,  in  forza  di  mandato  rilasciato  dal
  vicepresidente  della Giunta regionale Bruno Canella in assenza del
  Presidente,  dagli  avv.ti  Alfredo  Bianchini  e  Luigi Manzi, con
  domicilio  eletto  presso  lo  studio  del  secondo  in  Roma,  via
  Confalonieri n. 5, come da mandato a margine;
    Contro  la  Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del
  suo  Presidente pro-tempore, nella sua sede in Roma, Palazzo Chigi,
  nonche'  contro  il  Ministero  dei lavori pubblici, in persona del
  Ministro pro-tempore nella sua sede in Roma, piazzale Porta Pia, 1,
  notiziandone   la  regione  Trentino-Alto  Adige,  in  persona  del
  presidente  pro-tempore  della  Giunta regionale, nella sua sede in
  Trento,  via  Gazzoletti,  2  e la provincia autonoma di Trento, in
  persona  del Presidente pro-tempore della Giunta provinciale, nella
  sua  sede  in  Trento,  via  Romagnoli,  9, per la dichiarazione di
  illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera d), del
  d.lgs  11  novembre 1999, n. 463 (recante norme di attuazione dello
  statuto  speciale  della  regione Trentino-Alto Adige in materia di
  demanio  idrico,  di  opere  idrauliche  e di concessioni di grandi
  derivazioni  a  scopo  idroelettrico, produzione e distribuzione di
  energia  elettrica)  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del
  10 dicembre 1999, serie generale.
    Il  d.P.R.  31  agosto  1972,  n. 670  ha  delegato il Governo ad
  emanare  uno  o  piu'  decreti  legislativi  per l'attuazione dello
  statuto  speciale  della regione Trentino-Alto Adige, approvato con
  legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5.
    Il  Governo  ha  cosi'  emanato  il  d.lgs dell'11 novembre 1999,
  n. 463,  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre
  1999.
    La  regione Veneto, deducendo l'illegittimita' costituzionale del
  predetto decreto, lo impugna per i seguenti
                          Motivi di diritto
    1. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione da parte dell'art
  2,  comma  1, lettera d) del decreto 11 novembre 1999, n. 463 e dei
  commi  conseguentemente  modificati dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo
  1974, n. 381: eccesso di delega.
    L'art. 2   del   d.lgs  in  esame  si  propone  la  modificazione
  dell'art. 5  del  d.P.R.  22  marzo  1974, n. 381, recante norme di
  attuazione  dello  statuto  speciale  per  la regione Trentino-Alto
  Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche.
    In  particolare,  al  comma  1,  lett.  d)  deIl'art. 2 del d.lgs
  impugnato si prevede che il comma 3 del modificando d.P.R. 381/1974
  sia   sostituito  nel  modo  che  segue:  "Il  piano  generale  per
  l'utilizzazione  delle  acque  pubbliche  previsto  dall'art. 4 del
  d.P.R.  31  agosto  1972,  n. 670,  vale  anche  per  il rispettivo
  territorio  quale piano di bacino di rilievo nazionale. Il Ministro
  dei  lavori  pubblici nella sua qualita' di presidente del comitato
  istituzionale   delle  relative  autorita'  di  bacino  di  rilievo
  nazionale  ed il presidente della provincia interessata assicurano,
  mediante  apposite  intese  il coordinamento e l'integrazione delle
  attivita'  di  pianificazione  nell'ambito  delle attribuzioni loro
  conferite  dal  presente  decreto  e  dalla  legge  18 maggio 1989,
  n. 183.
    Ai  fini  della definizione della predetta intesa il Ministro dei
  lavori  pubblici,  sentiti i comitati istituzionali delle autorita'
  di  bacino  di  rilievo  nazionale interessati, assicura attraverso
  opportuni  strumenti  di  raccordo,  la  compatibilizzazione  degli
  interessi  comuni  a  piu'  regioni  e  provincie  autonome  il cui
  territorio ricade in bacini idrografici di rilievo nazionale".
    L'equivalenza  pretesa dalla nuova previsione (piano generale per
  l'utilizzazione  delle acque pubbliche = piano di bacino di rilievo
  nazionale)  impone  una  rapida  analisi  dei due distinti istituti
  previsti dalla normativa fino ad ora vigente.
    Con  riferimento  al  "piano  di  bacino di rilievo nazionale", a
  norma  dell'art. 1,  comma  3,  della  citata  legge  183/1989 e in
  relazione  alle  finalita'  espressamente  delineate  al precedente
  comma  1  ("assicurare  la  difesa  del suolo, il risanamento delle
  acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi
  di  razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti
  ambientali  ad  essi  connessi"), viene definito bacino idrografico
  "il  territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi
  e  dei  ghiacciai,  defluendo  in  superificie, si raccolgono in un
  determinato  corso  d'acqua  direttamente  o  a mezzo di affluenti,
  nonche'  il  territorio  che  puo'  essere allagato dalle acque del
  medesimo  corso  d'acqua  ivi compresi i suoi rami terminali con le
  foci in mare ed il litorale marittimo prospiciente".
    Il  concetto di bacino idrografico come entita' fisico-ambientale
  unitaria, gia' deducibile agevolmente dalla precedente definizione,
  e'  dichiaratamente confermato all'art. 12, legge citata; in quella
  sede,  anzi, l'unitarieta' del bacino sintetizza una prospettiva di
  primaria importanza, rivelandosi addirittura il perno finalistico e
  funzionale   dell'intera   disciplina   di   settore:  "nei  bacini
  idrografici  di  rilievo  nazionale  e'  istituita  l'autorita'  di
  bacino,  che  opera  in  conformita' agli obbiettivi della presente
  legge considerando i bacini medesimi come ecosistemi unitari".
    Il    bacino    idrografico,   quindi,   rappresenta   un'entita'
  territoriale   che   costituisce  ambito  unitario  di  studio,  di
  programmazione  e  di  intervento e che prescinde completamente dai
  vigenti  confini  amministrativi regionali, provinciali o comunali.
  In  sostanza,  il  bacino  idrografico  e' considerato quale unita'
  fisica  inscindibile  nella  quale, con unitarieta' di visione e di
  criteri con concezioni tecniche uniformi, deve essere inquadrata la
  pianificazione e la programmazione degli interventi.
    Espressioni  coerenti  e conseguenti di quanto illustrato sono la
  conformazione e la composizione organica dell'autorita' di bacino -
  soggetto   dotato   di   personalita'   giuridica   pubblica  e  di
  organizzazione  propria,  al  quale  sono  attribuite  funzioni  di
  pianificazione   e   programmazione  in  forza  di  una  disciplina
  normativa nazionale omogenea (commi 2 e ss., stesso art. 12) - e lo
  strumento di pianificazione disciplinato dall'art. 17 legge citata,
  a  norma  del  quale  "il  piano  di  bacino  ha  valore  di  piano
  territoriale di settore ed e' lo strumento conoscitivo, normativo e
  tecnico-operativo  mediante il quale sono pianificate e programmate
  le  azioni  e  le  norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla
  difesa  e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione
  delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali
  del territorio interessato".
    Sotto  diverso  profilo,  del "piano generale per l'utilizzazione
  delle  acque pubbliche" - termine di pretesa "equivalenza" rispetto
  al "piano di bacino", a norma dell'art. 2, comma 1, lett. d) d.lgs.
  463/1999  - e' traccia nel citato art. 14, d.P.R. 670/1972, secondo
  il  cui  comma  3  "l'utilizzazione  delle acque pubbliche da parte
  dello   Stato  e  della  provincia,  nell'ambito  della  rispettiva
  competenza, ha luogo in base a un piano generale stabilito d'intesa
  tra  i  rappresentanti  dello  Stato e della provincia in seno a un
  apposito comitato".
    L'inconciliabilita'   dell'equivalenza   pretesa   dall'impugnato
  provvedimento   legislativo   fra   "piano  di  bacino  di  rilievo
  nazionale" ex legge 183/1989, e "piano generale per l'utilizzazione
  delle acque pubbliche" ex d.P.R. 670/1972 appare, tuttavia, gia' da
  una   prima   analisi   conducibile  sulla  gerarchia  delle  fonti
  interessate e sulla loro rispettiva efficacia funzionale.
    L'impugnato d.lgs. 463/1999 e' strumento attuativo di uno statuto
  speciale, lo Statuto del Trentino-Alto Adige.
    E'  noto  che  i  decreti  legislativi  attuativi  degli  statuti
  speciali  hanno lo scopo di consentire l'effettivo trasferimento di
  funzioni  dallo Stato alle Regioni e, in questo senso, essi possono
  integrare   le  norme  statutarie  (disponendo  secundum  legem  e,
  talvolta,  anche  praeter  legem) ma e' evidente che il loro ambito
  d'azione  e'  limitato  istituzionalmente  alla  sfera di efficacia
  statutaria;  il  che,  poi,  corrisponde  concretamente al generico
  asservimento  funzionale  della  norma  d'attuazione  rispetto alla
  fonte di riferimento.
    In   altre   parole,   "le  norme  di  attuazione  degli  statuti
  regionali...  possono avere un contenuto praeter legem nel senso di
  integrare  le  norme  statutarie,  col  limite della corrispondenza
  delle  norme  alle  finalita'  di  attuazione  dello  statuto,  nel
  contesto  dell'autonomia  regionale"  (Corte Cost., 18 luglio 1984,
  n. 212,  in  Giur. costit., 1984, I 1442; C. Conti, sez. contr., 15
  dicembre 1988, n. 2046, in Cons. Stato, 1989, II, 882).
    Il decreto legislativo attuativo di uno statuto speciale, quindi,
  mira   (e   puo'   mirare  solo)  al  soddisfacimento  di  esigenze
  amministrative   locali,   fra  cui  anche  una  (ri)organizzazione
  amministrativa,  purche' circoscritta (al piu') al territorio della
  regione:  in  subiecta  materia  poi,  va  precisato  che  il campo
  d'azione  della  norma attuativa e' ulteriormente circoscritto alla
  provincia,   che   e'  l'effettivo  destinatario  della  delega  di
  funzioni.
    In  questo  senso,  la  compatibilita'  con  il sistema normativo
  accennato  e'  ancora rinvenibile in relazione a un piano che abbia
  ad oggetto "l'utilizzazione delle acque pubbliche da parte... della
  provincia, nell'ambito della rispettiva competenza" (art. 14 d.P.R.
  670/1972  perche'  il  limen  di  efficacia  del  piano e' segnato,
  appunto, dalla competenza della provincia.
    Ma   andare  oltre  non  e'  possibile,  a  pena  di  distorsioni
  inammissibili e di gravi illegittimita' istituzionali.
    E'  quanto  illegittimamente  produrrebbe, appunto, la modificata
  disciplina  di settore, in forza del decreto legislativo impugnato,
  con la pretesa "equivalenza" di cui si e' detto: se lo strumento di
  pianificazione   provinciale   per   l'utilizzazione   delle  acque
  pubbliche  "valesse"  quale  piano  di  bacino,  cioe'  - in ultima
  analisi  - come "piano territoriale di settore... mediante il quale
  sono  pianificate  e programmate le azioni e le norme... sulla base
  delle   caratteristiche   fisiche   ed  ambientali  del  territorio
  interessato"  (art. 17,  legge  183/1989),  si  assisterebbe  nella
  materia de qua ad una forzatura inconciliabile con ripercussioni di
  carattere generale: l'illegittima quanto inconcepibile compressione
  del  territorio  interessato" - disciplinato, omogeneamente, da una
  normativa  di settore nazionale (legge 183/1989) e coincidente, nel
  caso  concreto,  con  alcuni  degli "ecosistemi unitari" di rilievo
  nazionale  ivi  previsti  -  nel  riduttivo  ambito del territorio"
  contemplato  da  una  norma  dello  statuto speciale di una Regione
  autonoma  (l'art. 14  d.P.R.  670/1972),  cioe'...  la  "provincia,
  nell'ambito della rispettiva competenza"!
    L'illegittimita'  del d.lgs. 463/1999 si manifesta cosi' in tutta
  la   sua  evidenza,  perche'  attribuendo  al  piano  generale  per
  l'utilizzazione  delle  acque  pubbliche di una provincia valore di
  piano  di  bacino di rilievo nazionale, eccede dai limiti di delega
  istituzionalmente  determinati,  e  introduce  disposizioni che non
  hanno  affatto  natura accessoria e funzionale con riferimento allo
  statuto  speciale di cui costituisce strumento attuativo, ma vere e
  proprie  prescrizioni  di carattere generale, operanti ben oltre il
  limite  istituzionale e funzionale della fonte di cui, soltanto, e'
  legittima attuazione.
    2.  -  Violazione  dei  principi generali concernenti l'autonomia
  statutaria,  legislativa  ed  amministrativa delle Regioni da parte
  dell'art. 2,  comma  1,  lettera  d)  del decreto 11 novembre 1999,
  n. 463  e  dei  commi  conseguentemente  modificati dell'art. 5 del
  d.P.R.  22  marzo  1974,  n. 381,  con particolare riferimento agli
  artt. 3, 115, 116, 117, 123 della Costituzione.
    L'impugnato d.lgs. 463/1999 si manifesta peraltro illegittimo per
  violazione  dell'art. 76 della Costituzione anche in relazione alla
  grave  lesione  dei  principi di autonomia statutaria nei confronti
  della Regione Veneto.
    A  norma  dell'art. 14,  legge  183/1989,  i  bacini  di  rilievo
  nazionale  interessanti  al contempo la Regione Veneto e la Regione
  Trentino-Alto  Adige  sono  il  bacino  del Brenta-Bacchiglione, il
  bacino dell'Adige e, almeno in parte, il bacino del Po.
    La  summenzionata  disciplina  di  conformazione  e  composizione
  organica  dell'autorita'  competente  per  ogni bacino idrografico,
  introdotta  dalla  stessa legge 183/1989, prevede la partecipazione
  istituzionale  di  funzionari designati, in numero complessivamente
  paritetico, dalle amministrazioni statali e da quelle regionali.
    Il  criterio  di composizione dell'autorita' di bacino, al di la'
  del  mero  dato  letterale,  deve  comunque  assicurare un concreto
  equilibrio   partecipativo   delle   diverse   amministrazioni.  Il
  riconoscimento  di  "un  criterio  di  composizione  non  meramente
  numerico  o  per  quote,  ma  dipendente  dalle  competenze e dagli
  interessi    incidenti    sull'area   considerata",   infatti,   e'
  l'impostazione  concettuale di fondo posta a fondamento anche della
  decisione  di  codesta ecc.ma Corte del 20-26 febbraio 1990, n. 85,
  ed   ivi  elevata  a  presupposto  necessario  per  argomentare  la
  preservata autonomia delle Regioni nella materia de qua.
    Orbene,    la    nuova   disciplina,   cosi'   come   contemplata
  dall'impugnato  d.lgs. n. 463/1999, scardina radicalmente l'assetto
  organico-funzionale    posto    imprescindibilmente    a   garanzia
  dell'autonomia  regionale  e  della paritaria partecipazione locale
  secondo i criteri appena ricordati.
    In  forza  delle  nuove  disposizioni e con riferimento ai bacini
  idrografici    sopra    individuati,   la   composizione   organica
  complessivamente    paritetica    e    la    conseguente   concreta
  rappresentativita'      delle      amministrazioni      interessate
  all'elaborazione e all'adozione dei piani di bacino scomparirebbero
  completamente.
    Ad  esse  subentrerebbero  "apposite intese" tra "il Ministro dei
  lavori  pubblici  nella  sua  qualita'  di  presidente del comitato
  istituzionale   delle  relative  autorita'  di  bacino  di  rilievo
  nazionale,  ed  il  presidente  della  provincia  interessata", che
  dovrebbero  assicurare  "il  coordinamento  e  l'integrazione delle
  attivita'  di  pianificazione  nell'ambito  delle attribuzioni loro
  conferite  dal  presente  decreto  e  dalla  legge  18 maggio 1989,
  n. 183".
    Gia'  il  testo  della  modificazione  legislativa  manifesta  il
  risultato  abnorme  che  deriverebbe  dall'applicazione della nuova
  disciplina, contraddittoria, illogica e gravemente contrastante con
  la ratio che anima la regolamentazione dell'intera materia.
    Secondo  la lettera della norma ora citata, i soggetti in capo ai
  quali  sono conferite le attribuzioni previste dal d.lgs. impugnato
  e  dalla  legge  183/1989  sono  -  ne' potrebbe essere altrimenti,
  secondo  il  senso  stesso  delle  parole  (le  "attribuzioni  loro
  conferite") - il Ministro dei lavori pubblici e il Presidente della
  provincia interessata.
    L'assurdita'   -   prima   ancora   dell'illegittimita'  -  della
  previsione,  di  cui si discute appare evidentissima. I soggetti da
  essa  individuati non corrispondono certo a quelli in capo ai quali
  dovrebbero essere effettivamente conferite le attribuzioni previste
  dalla  legge  183/1989:  i  Presidenti delle giunte regionali delle
  Regioni  interessate,  ivi  designati come componenti l'organo piu'
  autorevole  dell'autorita'  di  bacino,  il comitato istituzionale,
  sarebbero  ora  sostituiti sic et simpliciter dalla sola figura del
  Presidente  della  provincia  interessata  con  uno  stravolgimento
  radicale dell'intero sistema.
    Ben   piu'   riduttivamente   (e  illegittimamente),  i  Comitati
  Istituzionali  delle  autorita'  di  bacino  di  rilievo  nazionale
  interessati  sarebbero, in forza delle modificazioni introdotte dal
  d.lgs.  463/1999,  "sentiti"  per  assicurare "attraverso opportuni
  strumenti  di  raccordo,  la  compatibilizzazione  degli  interessi
  comuni  a piu' regioni e province autonome il cui territorio ricade
  in bacini idrografici di rilievo nazionale".
    Niente  di piu' vago, equivoco ed insufficiente; o meglio, niente
  di piu' dichiaratamente illegittimo!
    Nella  sostanza,  i pressoche' neutralizzati poteri pianificatori
  del  Comitato  Istituzionale  interessato  toglierebbero  qualsiasi
  motivo  di  esistere,  ad  esempio, alla stessa autorita' di bacino
  dell'Adige  come  soggetto giuridico autonomo, spossessato, come in
  realta'  questo  risulterebbe,  di  qualsiasi  potere  concreto  di
  elaborazione   e   di   adozione   dello  strumento  pianificatorio
  riconosciutogli:  il  piano di bacino. In questo senso, infatti, il
  piano  provinciale  di utilizzazione delle acque sostituirebbe ogni
  altro  strumento  di pianificazione e di programmazione inerente le
  risorse idriche e la difesa del suolo.
    Altrettanto  -  e'  inutile  dirlo  - varrebbe per l'autorita' di
  bacino del Brenta-Bacchiglione, e cosi via.
    A  conferma  di quanto illustrato valga l'analisi esegetica volta
  ad   evidenziare,   da   un   lato,  l'analogia  sostanziale  della
  disposizione  ora  esaminata,  introdotta a modificazione del terzo
  comma  dell'art. 5,  d.P.R.  381/1974,  con la vigente disposizione
  dell'art. 14,  terzo  comma d.P.R. 670/1972 e viceversa, dall'altro
  lato,  la  sostanziale diversita' della disposizione introdotta dal
  d.lgs.   463/1999  a  modificazione  del  successivo  quarto  comma
  dell'art. 5 citato con la previgente disposizione ivi contenuta.
    L'identita'  di  tendenza  nell'esito  di ambedue le comparazioni
  conferma,  a  titolo esemplificativo, il radicale stravolgimento di
  un  sistema  normativo vigente fino ad oggi nella materia in esame,
  che  rispondeva  ad  una  ratio  di  paritetica  partecipazione fra
  amministrazioni  statali e locali, coerente e fortemente voluta dal
  legislatore,  finalizzata  ad  una forma di cooperazione fra Stato,
  regioni   e  province  (autonome)  che  garantisse  l'univocita'  e
  l'omogeneita'  della  pianificazione  delle complesse ed articolate
  discipline che concorrono a formare la difesa del suolo.
    Uno   stravolgimento  che  non  si  limita  a  ledere  gravemente
  l'equilibrio  partecipativo  dei soggetti interessati, ma giunge ad
  incidere profondamente nella stessa capacita' organizzativa interna
  di  alcuni di essi, in violazione dei primari principi di autonomia
  riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.
    Con   riferimento  alla  prima  analisi  esemplificativa,  si  e'
  illustrato  supra,  in  rapporto  all'introdotta  modificazione del
  terzo  comma  dell'art. 5.  d.P.R.  381/1974,  come la sostituzione
  dello   strumento   di   pianificazione   (piano   provinciale   di
  utilizzazione  delle  acque  pubbliche invece di piano di bacino di
  rilievo  nazionale)  implichi  di  fatto  un  mutamento altrettanto
  sostanziale nella composizione intersoggettiva dell'organo deputato
  all'attivita'  di  pianificazione  (Ministro  dei lavori pubblici -
  Presidente   della   provincia   autonoma   invece   del   comitato
  istituzionale interessato).
    Singolare,  pero',  e' che il nuovo organo, in realta', altro non
  sia  che  l'"apposito  comitato" in seno al quale "i rappresentanti
  dello  Stato  e  della  provincia" stabiliscono "d'intesa" il piano
  generale"  per  l'utilizzazione  delle  acque  pubbliche,  a  norma
  dell'art. 14, terzo comma d.P.R. 670/1972.
    Appare  cosi'  di  tutta  evidenza come il travasamento in blocco
  della  disciplina  di elaborazione del piano provinciale nell'alveo
  di  pertinenza del piano di bacino spodesti - clamorosamente quanto
  illegittimamente  - alcuni dei soggetti individuati dalla normativa
  di  settore  (le  Regioni)  dei poteri ivi riconosciuti loro per la
  pianificazione e la programmazione in materia.
    In altre parole, la pretesa equivalenza del piano provinciale per
  l'utilizzazione delle acque pubbliche con il piano di bacino non ha
  prodotto  altro  risultato  che  lo  spostamento di fatto, ad altro
  livello  ma  nella  stessa  direzione,  delle competenze soggettive
  riconosciute nella materia de qua Stato-Provincia autonoma al posto
  di Stato-Regione-Provincia autonoma.
    Con   riferimento   alla   seconda  analisi  esemplificativa,  va
  osservato    come    il   previgente   quarto   comma   dell'art. 5
  d.P.R. 381/1974  prevedesse che "in sede di aggiornamento dei piani
  e programmi provinciali per l'utilizzazione delle acque pubbliche e
  per  gli  interventi si tiene conto delle indicazioni contenute nel
  piano di bacino".
    In  base  alla  lettera  stessa del disposto non si puo' dubitare
  come,  prima dell'innovazione ex d.lgs. 463/1999, piano di bacino e
  piano  per  l'utilizzazione  delle acque pubbliche fossero istituti
  non  soltanto  ben  distinti,  ma anche legati reciprocamente da un
  rapporto  di gerarchia pianificatoria che vedeva il piano di bacino
  quale strumento sovraordinato al piano di utilizzazione delle acque
  pubbliche.
    Nulla di tutto questo e' piu' presente ormai nel testo modificato
  dal   decreto   legislativo   impugnato,   che   al   quarto  comma
  dell'articolo  in  esame  introduce  una disposizione di tutt'altra
  natura:  una disposizione di carattere finanziario e di sostanziale
  rinvio a fonti ulteriori.
    Ancora  una  volta  appare chiaramente come la sostituzione dello
  strumento  di  pianificazione  (piano  provinciale di utilizzazione
  delle  acque  pubbliche  invece  di  piano  di  bacino  di  rilievo
  nazionale)  con riferimento a determinate zone territoriali (bacini
  idrografici  rientranti  nella  competenza  anche  della  provincia
  autonoma    del    Trentino-Alto    Adige   interessata)   implichi
  inesorabilmente, l'allargamento dei limiti di competenza soggettiva
  connessi  al  nuovo  strumento di pianificazione (solo la provincia
  autonoma  interessata)  a  scapito,  evidentemente, dei soggetti in
  quest'ultimo  non  contemplati:  le  Regioni  e, in particolare, la
  Regione Veneto.
    Il   sistema   di   pianificazione   sostanzialmente  ridisegnato
  dall'intervento   dell'impugnato   d.lgs.  463/1999,  si  manifesta
  incongruo  e  gravemente  illegittimo  anche  con  riferimento alle
  ripercussioni  concrete  dell'azione  di  intervento  dei  soggetti
  interessati.
    Invero, nella effettiva gestione delle acque, la nuova disciplina
  non  presta  piu'  un'idonea  garanzia di tutela in relazione a due
  aspetti  fondamentali  in materia, l'aspetto quantitativo (sotto il
  profilo  del  mantenimento  del  deflusso  minimo  vitale nel corso
  d'acqua  e  della  sicurezza nei confronti dei fenomeni di piena) e
  l'aspetto  qualitativo  (sotto  il  profilo  della  garanzia  sulle
  condizioni qualitative del corso d'acqua). Viene cosi' impedita - e
  cio'  a  scapito,  in  particolare,  delle competenze della Regione
  Veneto - una seria ed efficace azione svolta nell'ambito del bacino
  idrografico unitariamente considerato.
    3. -   Violazione   dell'art. 10,  primo  comma  Cost.  da  parte
  dell'art.  2,  comma  1,  lettera  d) del decreto 11 novembre 1999,
  n. 463  e  dei  commi  conseguentemente  modificati dell'art. 5 del
  d.P.R.   22  marzo  1974,  n. 381  per  contrasto  con  i  principi
  comunitari.
    Il  d.lgs.  11  maggio  1999,  n. 152, recante disposizioni sulla
  tutela  delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva
  91/271/CEE     concernente     il     trattamento    delle    acque
  dall'inquinamento,  provocato  dai  nitrati  provenienti  da  fonti
  agricole,  definisce  il  piano  dl  tutela delle acque come "piano
  stralcio"  di  settore  del piano di bacino, ai sensi dell'art. 17,
  legge 183/1989.
    A  tal  riguardo, esso stabilisce altresi' che il piano di tutela
  delle acque preveda, tra l'altro, le misure di tutela qualitative e
  quantitative  integrate  e  coordinate  per  bacino idrografico, le
  priorita'  e  i  tempi  degli  interventi  nonche'  il programma di
  verifica dell'efficacia degli interventi.
    A  norma  del d.lgs. 152/1999 e in relazione a questi obbiettivi,
  le  autorita'  di  bacino definiscono gli obbiettivi e le priorita'
  degli interventi su scala di bacino.
    Anche  in  questo  caso  e' evidente l'illegittimita' del decreto
  legislativo impugnato che, sostanzialmente sostituendo con il piano
  provinciale  di  utilizzazione  delle  acque  il  piano  di bacino,
  impedisce  a  quest'ultimo di garantire l'elaborazione e l'adozione
  di  una  corretta  ed  effettiva pianificazione, in base ai criteri
  illustrati   e   secondo   impostazioni   e   concezioni   unitarie
  riconducibili    all'intero    ambito   territoriale   del   bacino
  idrografico.
                              P. Q. M.
    Chiede  che  il d.lgs. 11 novembre 1999, n. 463 (recante norme di
  attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige
  in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concesssioni
  di   grandi   derivazioni   a  scopo  idroelettrico,  produzione  e
  distribuzione  di  energia  elettrica)  pubblicato  nella  Gazzetta
  Ufficiale  n. 289  del  10  dicembre  1999,  serie  Generale  venga
  dichiarato  illegittimo  e  conseguentemente annullato nell'art. 2,
  comma  1,  lettera  d)  nei  limiti  di cui ai proposti motivi, per
  contrasto  con  gli  artt. 3,  10,  76,  115,116,  117  e 123 della
  Costituzione.
      Venezia-Roma, addi' 3 gennaio 2000.
              Avv. Alfredo Bianchini - avv. Luigi Manzi
00C0050