N. 18 SENTENZA 12 - 21 gennaio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Rilevanza   della  questione  sollevata  -  Difetto  -  Eccezione  di
  inammissibilita'   basata  su  circostanze  di  fatto,  come  tali,
  valutabili soltanto dal giudice rimettente - Reiezione.

Contenzioso tributario - Giudizio innanzi alle Commissioni tributarie
  - Divieto di prova testimoniale - Prospettata lesione del principio
  di  eguaglianza, per irragionevole disparita' di trattamento tra le
  parti, e anche tra sistemi processuali diversi, nonche' del diritto
  di   difesa   -   Specificita'   del   processo  tributario  -  Non
  irragionevole   scelta   e  discrezionalita'  del  legislatore  con
  riguardo  all'ammissibilita'  dei  singoli  mezzi  di  prova  - Non
  fondatezza della questione.
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, commi 1 e 4.
- Costituzione, artt. 3 e 24.

Contenzioso tributario - Giudizio innanzi alle Commissioni tributarie
  -  Divieto  di  prova  testimoniale  -  Prospettata  violazione del
  principio  di  capacita' contributiva - Riferibilita' del principio
  non alla disciplina processuale, ma alla disciplina sostanziale dei
  tributi - Non fondatezza della questione.
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, commi 1 e 4.
- Costituzione, art. 53.

Contenzioso tributario - Giudizio innanzi alle Commissioni tributarie
  -  Divieto  di  prova  testimoniale  -  Ritenuta  impossibilita' di
  utilizzare  in  sede processuale le dichiarazioni di terzi raccolte
  dall'amministrazione  nella fase procedimentale - Assunto contrasto
  con  il  principio  di  eguaglianza  e con il diritto di difesa del
  contribuente - Non fondatezza della questione.
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, commi 1 e 4.
- Costituzione, art. 24.

Contenzioso  tributario  -  Concordato  di  massa  (accertamento  con
  adesione   del   contribuente)  -  Causa  ostativa  costituita  dal
  procedimento  penale a carico del contribuente - Mancata esclusione
  in  caso  di successiva archiviazione o definizione con sentenza di
  proscioglimento o di assoluzione - Prospettata lesione dei principî
  di  eguaglianza  e  di  presunzione  di  non colpevolezza sino alla
  condanna  definitiva  dell'imputato  - Difetto di motivazione sulla
  rilevanza della questione - Inammissibilita'.
- D.L.  30  settembre  1994,  n.  564 (convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 novembre 1994, n. 656), artt. 2-bis, comma 2, e 3.
(GU n.4 del 26-1-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI, dott.
Franco BILE;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 1 e 4,
del  decreto  legislativo  31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo  tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30   della   legge   30 dicembre  1991,  n. 413),  e  degli
artt. 2-bis  comma  2,  e  3  del  d.-l.  30 settembre  1994,  n. 564
(Disposizioni   urgenti   in   materia   fiscale),   convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  30 novembre  1994, n. 656, promossi con
ordinanze  emesse  il  17 aprile  1998  dalla  Commissione tributaria
provinciale  di Chieti, il 4 maggio 1998 dalla Commissione tributaria
provinciale   di  Torino  e  il  22 gennaio  1999  dalla  Commissione
tributaria  provinciale di Chieti, rispettivamente iscritte ai numeri
826  e  850  del  registro  ordinanze  1998 ed al n. 223 del registro
ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45 e 47, prima serie speciale, dell'anno 1998 e n. 16, prima serie
speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  costituzione  della  Emme Emme di De Francesco
Maria  & C. s.n.c., nonche' gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 23 novembre 1999 e nella camera
di  consiglio  del  24 novembre  1999  il  giudice  relatore Annibale
Marini;
    Uditi  l'avvocato  Lucio  V.  Moscarini  per  la  Emme Emme di De
Francesco  Maria  &  C.  s.n.c.  e  l'Avvocato  Sergio Laporta per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.


                          Ritenuto in fatto


    1.  -  La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Chieti,  con
ordinanza emessa il 17 aprile 1998, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  24  e  53  della  Costituzione,  questione  di legittimita'
costituzionale   dell'art. 7,   comma   4,  del  decreto  legislativo
31 dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre  1991,  n. 413) e, in riferimento agli artt. 3 e 27 della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
artt. 2-bis,  comma  2,  e  3  del  d.-l.  30 settembre  1994, n. 564
(Disposizioni   urgenti   in   materia   fiscale),   convertito,  con
modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656.
    1.1.  -  Affermata pregiudizialmente la giurisdizione del giudice
tributario   nella   controversia   de   qua   -  avente  ad  oggetto
l'impugnativa  proposta  da  un contribuente avverso il provvedimento
con  il  quale  l'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto
aveva  annullato  una propria precedente proposta di accertamento con
adesione  per  l'anno  d'imposta  1991  e  tutti  gli  atti  a questa
conseguenti  -  la  Commissione  rimettente  deduce,  in  ordine alla
rilevanza  della  prima  questione,  che  ai  fini della decisione e'
necessario  accertare  in  fatto  se,  alla  data  di perfezionamento
dell'accertamento  con  adesione,  l'ufficio  fosse  o  meno  gia'  a
conoscenza di quei fatti penalmente rilevanti - costituenti, ai sensi
degli  artt. 2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564,
cause  ostative dell'accertamento con adesione per gli anni pregressi
(c.d.  concordato  di  massa)  -  in considerazione dei quali risulta
adottato  il  provvedimento  di annullamento dell'accertamento stesso
impugnato  dal  contribuente.  La  prova  testimoniale  si renderebbe
indispensabile  in quanto, pur essendovi prova documentale della data
di  ricezione  della  nota  da  cui  emergerebbe la notizia di reato,
sull'amministrazione  finanziaria  graverebbe  l'onere  di dimostrare
altresi'  la  data  in  cui  la nota stessa sarebbe stata esaminata e
valutata nella sua rilevanza penale da un proprio funzionario.
    L'ammissione  di  tale  mezzo  istruttorio  e'  peraltro preclusa
dall'art. 7,  comma  4,  del  decreto  legislativo  31 dicembre 1992,
n. 546,   che  espressamente  esclude  l'ammissibilita'  della  prova
testimoniale nel processo tributario.
    Della  legittimita'  costituzionale  di detta norma il rimettente
dubita,  in  riferimento,  in  primo  luogo, ai parametri di cui agli
artt. 3  e  24  della  Costituzione. Il divieto di prova testimoniale
determinerebbe   infatti,  nel  giudizio  a  quo  una  ingiustificata
disparita' di trattamento tra le parti, "essendo inibito all'intimato
di  addurre  l'unico  mezzo istruttorio con cui provare la suindicata
circostanza",   e   comprometterebbe  quindi  il  diritto  di  difesa
dell'amministrazione    finanziaria,    "per    essere    la   stessa
impossibilitata  a  dimostrare  la  causa  ostativa del concordato di
massa".
    Sotto  un  diverso e consequenziale profilo risulterebbe altresi'
violato  il principio della capacita' contributiva di cui all'art. 53
Cost.,  in quanto dalla suddetta inibizione istruttoria discenderebbe
l'inevitabile   soccombenza   dell'amministrazione,  con  conseguente
diminuzione del gettito tributario.
    1.2. - Gli artt. 2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre 1994,
n. 564,  sarebbero  invece  in  contrasto  con gli artt. 3 e 27 della
Costituzione  nella  parte  in  cui  non  prevedono  "che le cause di
inammissibilita' del concordato di massa ivi contemplate vengano meno
quando  il  procedimento penale a carico del contribuente interessato
(per  i  reati  di cui agli artt. da 1 a 4 del d.l. 429/1982 conv. in
legge  n.  516/1982)  -  gia'  pendente ovvero promosso a seguito (a)
della  denunzia  di  cui al primo periodo del comma 2 cit. oppure (b)
della presentazione del rapporto da parte della Guardia di Finanza di
cui  al  secondo  periodo,  prima  proposizione, della norma stessa -
venga  archiviato oppure si definisca con sentenza di proscioglimento
o di assoluzione".
    Rileva  a tale riguardo la Commissione rimettente che il soggetto
sottoposto a procedimento penale, in veste di indagato o di imputato,
gode, ex art. 27, secondo comma, della Costituzione della presunzione
di  innocenza  "sino alla condanna definitiva" e che pertanto la mera
assunzione  della  suddetta qualita' di indagato o imputato "non puo'
definitivamente precludergli la fruizione della definizione agevolata
del  rapporto d'imposta prevista dalla suindicata normativa fiscale",
qualora ad essa non consegua una sentenza irrevocabile di condanna.
    Ne  discenderebbe, diversamente, una ingiustificata disparita' di
trattamento   tra   i   contribuenti   ingiustamente  assoggettati  a
procedimento  penale  e successivamente assolti ed i contribuenti non
sottoposti affatto a procedimento penale.

    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri  per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per  la declaratoria di inammissibilita' o comunque di non fondatezza
delle questioni.
    2.1.   -   Circa  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 7,  comma  4,  del  decreto  legislativo  31 dicembre 1992,
n. 546, la parte pubblica ne eccepisce preliminarmente l'irrilevanza,
in  quanto  nel  giudizio  a  quo  non  vi  sarebbe stata una rituale
richiesta  di prova testimoniale, ex art. 244 del codice di procedura
civile,  ma  la mera sollecitazione all'"audizione" di persona edotta
dei fatti da dimostrare.
    La  questione stessa, ad avviso dell'Avvocatura, sarebbe comunque
infondata  nel merito, in riferimento a tutti i parametri evocati. La
norma  denunciata,  infatti,  non  contrasterebbe con il principio di
eguaglianza,  non  alterando la "parita' delle armi" tra le parti del
processo; non sarebbe lesiva del diritto di difesa, poiche' - secondo
l'insegnamento della stessa Corte - "il solo fatto dell'esclusione di
un  mezzo di prova come quello della testimonianza non costituisce di
per  se'  violazione  del  diritto di difesa"; non potrebbe ritenersi
infine in contrasto con il principio della capacita' contributiva, di
cui  all'art. 53  Cost.,  riguardando  tale  principio  la disciplina
sostanziale del sistema tributario e non la disciplina del processo.
    2.2.  -  Anche  la questione di legittimita' costituzionale degli
artt. 2-bis,  comma  2,  e  3  del  d.-l.  30 settembre 1994, n. 564,
sarebbe - ad avviso dell'Avvocatura - priva di rilevanza nel giudizio
a  quo,  non  essendovi traccia di una archiviazione del procedimento
penale  o di una sua definizione con sentenza di proscioglimento o di
assoluzione.
    La  questione  stessa sarebbe, comunque, infondata nel merito, in
relazione   ad   entrambi   i  parametri  evocati.  Rileva,  infatti,
l'Avvocatura   che   la   presunzione  di  non  colpevolezza  di  cui
all'art. 27   della   Costituzione   "e'   ordinata   a   subordinare
l'attuazione  della  pretesa  punitiva  statuale alla pronuncia della
condanna  definitiva: ed in questo senso attiene allo svolgimento del
processo  ed  agli effetti della sentenza penale", cosicche' non puo'
assumere alcun rilievo in riferimento ad una disciplina che preveda -
a  tutt'altri fini - le condizioni per l'ammissione ad un determinato
regime di favore, accordato in deroga alla disciplina ordinaria.
    Eventuali  disparita' di trattamento conseguenti "alla maggiore o
minore  ponderatezza  di  valutazioni  degli  organi  inquirenti" non
potrebbero  d'altro  canto  in  alcun  caso  ascriversi  a  vizio  di
legittimita' della norma, in relazione all'art. 3 Cost.

    3.  -  Si  e' costituita in giudizio la Emme Emme di De Francesco
Maria & C. s.n.c., ricorrente nel giudizio a quo, concludendo, in via
principale,  per  la  declaratoria di inammissibilita' di entrambe le
questioni;  in  via  subordinata,  per  il rigetto della questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 7,  comma  4,  del  decreto
legislativo   31 dicembre   1992,   n. 546,  e  l'accoglimento  della
questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 2-bis, comma 2,
e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564.
    3.1.  -  Secondo  la  parte  privata,  entrambe le questioni sono
irrilevanti nel giudizio a quo: la prima, in quanto gia' risulterebbe
dagli  atti  che,  alla  data  di  perfezionamento del concordato con
adesione,  l'ufficio  non  era  a  conoscenza  di  alcun  elemento di
rilevanza  penale  e  dunque  non  vi  sarebbe  nessuna necessita' di
espletare  una prova testimoniale sul punto; la seconda, perche' - in
conseguenza  della suddetta circostanza - il ricorso da essa proposto
non potra' che essere accolto, restando percio' priva di rilievo ogni
ulteriore considerazione connessa all'esito del procedimento penale.
    3.2.  -  Nel  merito,  la  parte privata ritiene che l'esclusione
della  prova testimoniale nel processo tributario sia in linea con la
natura   del   processo  stesso,  in  quanto  processo  sul  rapporto
tributario, ed altresi' in armonia con i principi costituzionali.
    Poiche',  infatti,  "il rapporto tributario e' cristallizzato nel
provvedimento  conclusivo  del  procedimento  che  ha condotto a quel
determinato  accertamento", ne discenderebbe "che non possono trovare
ingresso  nel  processo  tributario fatti e circostanze che non siano
quelli gia' considerati nell'ambito del procedimento amministrativo e
che  siano  desumibili  dai  singoli atti amministrativi formativi di
quel  determinato  provvedimento impositivo". Il bisogno di acquisire
una  prova testimoniale a sostegno dell'atto di accertamento starebbe
d'altro  canto  ad  indicare,  di per se', che l'atto stesso e' stato
emesso  dall'amministrazione  in difetto di prova certa dei fatti sui
quali esso si fonda.
    3.3.  - La medesima parte privata ritiene invece, sia pure in via
subordinata,  che  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale degli
artt. 2-bis,  comma  2,  e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, sia
fondato,  per  le  considerazioni  tutte  esposte  nell'ordinanza  di
rimessione.

    4.  -  La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Torino,  con
ordinanza emessa il 4 maggio 1998, ha a sua volta sollevato questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 7,  comma  4, del decreto
legislativo  31 dicembre  1992, n. 546, in riferimento agli artt. 3 e
24 Cost.
    4.1.  -  La  Commissione  rimettente,  circa  la  rilevanza della
questione,  deduce  che  nel  giudizio  a  quo - avente ad oggetto il
ricorso proposto da un contribuente avverso un avviso di accertamento
emesso  dal  comune  di  Torino  per  imposta di pubblicita' relativa
all'anno 1995 - e' controversa esclusivamente la circostanza di fatto
rappresentata  dalla data di rimozione dell'insegna pubblicitaria cui
l'imposta si riferisce. Ai fini della decisione occorrerebbe pertanto
consentire,  cosi'  come richiesto dal ricorrente, prove testimoniali
sul  punto, che risultano tuttavia precluse dall'art. 7, comma 4, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
    Ritiene  al  riguardo  il  rimettente  che  il  divieto  di prova
testimoniale  nel  processo  tributario  risulti, nel caso di specie,
lesivo sia del principio di uguaglianza sia del diritto di difesa, in
quanto   l'attivita'  difensiva  del  contribuente  risulta  limitata
dall'impossibilita'  giuridica  di  apportare  elementi  probatori su
circostanze di fatto rilevanti ai fini del decidere.

    5. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per  la  declaratoria di manifesta infondatezza della questione sulla
scorta   di   considerazioni  analoghe  a  quelle  svolte  nell'altro
giudizio.

    6.  -  La Commissione tributaria provinciale di Chieti, con altra
ordinanza  emessa  il  22 gennaio  1999,  ha  sollevato  questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 7,  commi  1 e 4, del decreto
legislativo     31 dicembre    1992,    n. 546,    in    riferimento,
alternativamente,  agli artt. 24 e 53 Cost., ovvero agli artt. 3 e 24
Cost.
    6.1.  -  La  Commissione  rimettente  deduce  che,  nel  giudizio
pendente  dinanzi  ad  essa,  avente  ad  oggetto l'impugnativa di un
avviso di accertamento emesso dall'Ufficio distrettuale delle imposte
dirette   di   Chieti,   i   ricorrenti  contestano  la  legittimita'
dell'accertamento   stesso,   in   quanto  fondato  su  dichiarazioni
provenienti da soggetti estranei alla lite tributaria.
    Il  ricorso sarebbe - ad avviso della Commissione - meritevole di
accoglimento,  in  quanto  il  divieto  di prova testimoniale sancito
dall'art. 7,  comma  4,  del  decreto  legislativo  n. 546  del 1992,
dovrebbe   necessariamente  precludere  l'attribuzione  di  efficacia
probatoria a dichiarazioni comunque provenienti da terzi. Il medesimo
rimettente  rileva  tuttavia  che  la  norma  risulta  in tal modo in
contrasto  con  gli artt. 24 e 53 Cost., "in quanto l'Amministrazione
finanziaria,  istituzionalmente deputata a salvaguardare il principio
della  capacita'  contributiva e sulla quale grava l'onere probatorio
di  dimostrare i fatti costitutivi della pretesa tributaria, non puo'
avvalersi  delle  dichiarazioni  di terzi idonee a provare l'evasione
fiscale".
    Se  poi  si  volesse interpretare la norma stessa nel senso della
utilizzabilita'  in  giudizio  delle suddette dichiarazioni di terzi,
essa  contrasterebbe  allora con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto il
contribuente  non potrebbe, dal canto suo, addurre prova contraria "a
mezzo  di altre dichiarazioni scritte di soggetti estranei alla lite,
eventualmente  asseverate" e quando - come nella specie hanno fatto i
ricorrenti   -   producesse  in  giudizio  simili  dichiarazioni,  il
giudicante non potrebbe comunque tenerne alcun conto.

    7.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per  la declaratoria di infondatezza della questione sotto entrambi i
profili ed in relazione a tutti i parametri evocati.
    In  aggiunta  alle  considerazioni  gia'  svolte  negli  atti  di
intervento relativi agli altri due procedimenti, l'Avvocatura osserva
che  "le  dichiarazioni  raccolte  e  verbalizzate  nel  corso  della
indagine   tributaria  non  hanno  la  valenza  propria  della  prova
testimoniale, dovendo alle stesse riconoscersi piuttosto la rilevanza
e  l'efficacia di "informazioni" destinate a costituire dimostrazione
non  gia'  immediata  bensi',  ed  in  concorso  con altre risultanze
ispettive, indiretta e logica dei fatti fiscalmente notevoli, eppero'
da  apprezzarsi  - secondo le regole proprie della prova presuntiva -
con prudente discernimento del giudice".


                       Considerato in diritto


    1.  -  La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Chieti,  con
entrambe  le  ordinanze,  e  la Commissione tributaria provinciale di
Torino  sollevano  in  via esclusiva o concorrente - e sia pure sotto
profili   diversi  e  con  riferimento  a  parametri  non  del  tutto
coincidenti  -  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7,
comma   4,   del   decreto   legislativo   31 dicembre  1992,  n. 546
(Disposizioni  sul  processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
nella  parte in cui esclude l'ammissibilita' della prova testimoniale
nel processo tributario.
    In  ragione  della  parziale identita' dell'oggetto i tre giudizi
vanno dunque riuniti per essere decisi con unica sentenza.

    2. - La questione sollevata, in termini sostanzialmente analoghi,
dalla  Commissione  tributaria provinciale di Chieti, con l'ordinanza
del  17 aprile  1998,  e  dalla Commissione tributaria provinciale di
Torino  fa  riferimento  ai  parametri di cui agli artt. 3 e 24 della
Costituzione.  Ad  avviso dei rimettenti, infatti, l'esclusione della
prova  testimoniale nel processo tributario determinerebbe la lesione
del principio di eguaglianza, e la conseguente violazione del diritto
di  difesa, in danno di quella tra le parti del processo che si venga
a  trovare nella necessita' di avvalersi della prova testimoniale per
dimostrare   un   fatto   rilevante  ai  fini  della  decisione,  non
suscettibile di essere diversamente provato.
    La  Commissione  tributaria  di  Chieti,  con  l'ordinanza di cui
sopra,  evoca  altresi'  il  parametro  di  cui all'art. 53 Cost., in
quanto   l'impossibilita'   per   l'amministrazione   finanziaria  di
avvalersi  anche  della  prova  testimoniale nel processo tributario,
impedendo od ostacolando la prova delle pretese dell'Amministrazione,
comporterebbe  al  tempo  stesso una riduzione del gettito fiscale ed
una lesione del principio di capacita' contributiva.
    La  medesima  Commissione tributaria, con la successiva ordinanza
del  22 gennaio  1999, ha inoltre sollevato questione di legittimita'
costituzionale  dei  commi  1  e  4  del  citato  art. 7  del decreto
legislativo  n. 546  del 1992, con riferimento ancora ai parametri di
cui  agli  artt. 24  e  53  della  Costituzione  ma  sotto un profilo
diverso.  Assume  infatti  la  Commissione  rimettente  che  la norma
denunciata,  escludendo l'ammissibilita' della prova testimoniale nel
processo tributario, precluderebbe di conseguenza l'utilizzazione nel
processo  stesso  - pena la violazione del principio di eguaglianza e
del diritto di difesa del contribuente - delle dichiarazioni di terzi
raccolte dalla amministrazione finanziaria nella fase procedimentale,
cosi'  violando  ancora  una  volta il diritto di difesa della stessa
amministrazione  nonche', per i riflessi sostanziali, il principio di
capacita' contributiva.

    3.  -  Con riferimento alla questione sollevata dalla Commissione
tributaria  provinciale  di Chieti con l'ordinanza del 17 aprile 1998
vanno  preliminarmente  esaminate  le  eccezioni  di inammissibilita'
avanzate dall'Avvocatura generale dello Stato e dalla parte privata.
    L'Avvocatura  dello  Stato  deduce  il difetto di rilevanza della
questione  in  quanto,  nel  giudizio a quo, non vi sarebbe stata una
rituale  richiesta  di prova testimoniale, ma una mera sollecitazione
all'"audizione", da parte della Commissione, di persona informata dei
fatti.  La  parte  privata,  dal  canto  suo,  assume  che  la  prova
testimoniale  in  questione sarebbe comunque inammissibile, essendovi
gia' in atti prova documentale della non veridicita' del fatto che si
vorrebbe dimostrare.
    Entrambe   le   eccezioni   vanno  disattese  essendo  basate  su
circostanze  di  fatto - e precisamente sulla mancanza di una rituale
richiesta  di  prova  testimoniale  e  sulla  sufficienza della prova
documentale  in  atti  -  delle quali l'accertamento e la valutazione
spettano  al giudice rimettente (ex plurimis, sentenze n. 28 del 1996
e n. 268 del 1994).

    4. - Nel merito, le questioni non sono fondate.
    In  riferimento al parametro di cui all'art. 3 della Costituzione
va  anzitutto  escluso  che il divieto di prova testimomiale, essendo
formulato  in  termini  generali  ed astratti, possa collidere con il
principio   di   "parita'   delle  armi"  che,  secondo  la  costante
giurisprudenza  di  questa  Corte, rappresenta l'espressione in campo
processuale  del  principio di eguaglianza evocato dal rimettente (ex
multis, sentenza n. 253 del 1994).
    L'affermazione  della incostituzionalita' del divieto della prova
testimoniale  risulta  peraltro  infondata  anche  sotto  il  diverso
profilo  della  comparazione con altri sistemi processuali evocato in
base   alla   considerazione   che,   mentre  in  altri  procedimenti
giurisdizionali  (civile, penale) la parte puo' normalmente ricorrere
a  prove  testimoniali,  il divieto assoluto della prova testimoniale
sarebbe  lesivo del principio di eguaglianza e del generale canone di
ragionevolezza   non   essendo  in  alcun  modo  giustificabile  tale
previsione normativa a seconda del tipo di contenzioso instaurato.
    In  contrario,  e'  possibile osservare che, come ricordato dalla
stessa   Commissione   tributaria   provinciale   di   Torino,  nella
giurisprudenza  di  questa  Corte  gia'  si  rinviene  l'affermazione
secondo la quale "non esiste affatto un principio (costituzionalmente
rilevante)  di  necessaria  uniformita'  di  regole processuali tra i
diversi tipi di processo". Rilevandosi conseguentemente che i diversi
ordinamenti processuali ben possono differenziarsi "sulla base di una
scelta   razionale   del   legislatore,   derivante   dal   tipo   di
configurazione del processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in
giudizio  (...), anche in relazione all'epoca della disciplina e alle
tradizioni  storiche di ciascun procedimento ..." (sentenza n. 82 del
1996).
    Ed  e'  proprio  muovendo  da  tale premessa che il divieto della
prova  testimoniale  trova,  nella  specie, una sua non irragionevole
giustificazione da un lato nella "spiccata specificita'" del processo
tributario rispetto a quello civile ed amministrativo, "correlata sia
alla configurazione dell'organo decidente sia al rapporto sostanziale
oggetto  del  giudizio"  (sentenza  n. 53 del 1998), dall'altro nella
circostanza,  pur  essa  sottolineata  dalla giurisprudenza di questa
Corte  e dalla dottrina, che il processo tributario e' ancora, specie
sul  piano  istruttorio,  in  massima  parte  scritto  e  documentale
(sentenza n. 141 del 1998).
    Sotto  un  diverso  e concorrente aspetto, la stessa natura della
pretesa  fatta  valere dall'amministrazione finanziaria attraverso un
procedimento  di  accertamento  dell'obbligo  del contribuente mal si
concilia con la prova testimoniale. Considerazione questa che, mentre
vale  a  spiegare  come, prima dell'introduzione del divieto di prova
testimoniale,  l'utilizzo  di  tale  mezzo  di  prova  sia stato, nel
processo  tributario,  del  tutto  marginale,  costituisce  ulteriore
conferma   della   non  irragionevolezza  della  scelta  operata  dal
legislatore con l'introduzione del divieto.
    Sicche',    e    conclusivamente   sul   punto,   va   dichiarata
l'infondatezza   della   censura   di  violazione  dell'art. 3  della
Costituzione sotto entrambi i profili evocati.
    Del pari insussistente e' la asserita violazione del parametro di
cui   all'art. 24   della   Costituzione.  Questa  Corte  ha  infatti
ripetutamente affermato che l'esclusione della prova testimoniale nel
processo  tributario  non  costituisce,  di  per  se', violazione del
diritto di difesa, potendo quest'ultimo, ai fini della formazione del
convincimento   del   giudice,   essere   diversamente  regolato  dal
legislatore,  nella sua discrezionalita', in funzione delle peculiari
caratteristiche  dei  singoli procedimenti (sentenza n. 128 del 1972;
ordinanze n. 6 del 1991, n. 76 del 1989 e n. 506 del 1987).
    Ne'  le  ordinanze  di  rimessione  prospettano,  in relazione al
suddetto  parametro,  argomenti  che  possano indurre a modificare il
citato  indirizzo,  limitandosi  le  stesse  a motivare la denunciata
incostituzionalita'  del divieto di prova testimoniale attraverso una
asserita  impossibilita' della parte di fornire aliunde, nel giudizio
in corso, la prova di una specifica circostanza di fatto.
    Impossibilita'  che,  quand'anche  esistente, non potrebbe di per
se'  ascriversi  a  vizio di legittimita' costituzionale della norma,
essendo  conseguenza  necessitata  della  scelta,  come  si  e' detto
discrezionale,  del  legislatore  riguardo  all'ammissibilita'  ed ai
limiti  dei  singoli  mezzi di prova. Scelta del resto presente anche
nel  processo  civile, in relazione a determinati fatti o rapporti la
cui  prova  puo'  essere fornita solamente per iscritto (si vedano ad
esempio,  ex  multis,  gli  artt. 1659,  1846,  1888, 1919 del codice
civile).
    Deve, infine, escludersi la lesione nella specie del principio di
capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione (evocato
dalla sola Commissione tributaria provinciale di Chieti), riguardando
esso,  come  costantemente  affermato  da questa Corte, la disciplina
sostanziale  dei  tributi  e non la disciplina del processo (sentenza
n. 120  del  1992, ordinanze n. 114 del 1999, n. 322 del 1992, n. 108
del 1990).

    5.  -  La  limitazione probatoria stabilita dall'art. 7, comma 4,
del  decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, non comporta poi -
diversamente  da  quanto  la  Commissione  tributaria  provinciale di
Chieti  mostra  di  ritenere  nell'ordinanza  del  22 gennaio  1999 -
l'inutilizzabilita',  in  sede  processuale,  delle  dichiarazioni di
terzi   eventualmente   raccolte   dall'amministrazione   nella  fase
procedimentale.
    Va  infatti  considerato  che le dichiarazioni di cui si tratta -
rese  al  di fuori e prima del processo - sono essenzialmente diverse
dalla prova testimoniale, che e' necessariamente orale e di solito ad
iniziativa  di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli,
comporta  il  giuramento  dei  testi  e riveste, conseguentemente, un
particolare  valore  probatorio. La norma denunciata non puo' percio'
essere  interpretata  nel senso di ricomprendere nella sua previsione
anche l'inammissibilita' di tali dichiarazioni.
    La  possibilita'  che  le dichiarazioni rese da terzi agli organi
dell'amministrazione  finanziaria  trovino  ingresso,  a  carico  del
contribuente,   in  un  processo  nel  quale  quest'ultimo  non  puo'
avvalersi,   per  contestarne  l'efficacia  probatoria,  della  prova
testimoniale,  non e' d'altro canto in contrasto ne' con il principio
di  eguaglianza  ne'  con  il  diritto  di  difesa  del  contribuente
medesimo.
    Il     valore    probatorio    delle    dichiarazioni    raccolte
dall'amministrazione  finanziaria  nella  fase  dell'accertamento e',
infatti,  solamente quello proprio degli elementi indiziari, i quali,
mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non
sono  idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione. Si
tratta,  dunque,  di  un'efficacia  ben  diversa  da  quella che deve
riconoscersi alla prova testimoniale e tale rilievo e' sufficiente ad
escludere  che l'ammissione di un mezzo di prova (le dichiarazioni di
terzi)  e  l'esclusione  dell'altro  (la  prova  testimoniale)  possa
comportare la violazione del principio di "parita' delle armi".
    Cio'  non  vuol  dire,  peraltro,  che il contribuente non possa,
nell'esercizio   del   proprio   diritto  di  difesa,  contestare  la
veridicita'     delle     dichiarazioni     di     terzi     raccolte
dall'amministrazione   nella   fase  procedimentale.  Allorche'  cio'
avvenga,  il  giudice tributario - ove non ritenga che l'accertamento
sia   adeguatamente  sorretto  da  altri  mezzi  di  prova,  anche  a
prescindere dunque dalle dichiarazioni di terzi - potra' e dovra' far
uso  degli  ampi  poteri  inquisitori  riconosciutigli  dal  comma  1
dell'art. 7  del  decreto  legislativo n. 546 del 1992, rinnovando e,
eventualmente,  integrando - secondo le indicazioni delle parti e con
garanzia   di   imparzialita'   -   l'attivita'   istruttoria  svolta
dall'ufficio.  E  non  e'  dubbio  che,  in presenza di una specifica
richiesta  di  parte,  le  ragioni  del  mancato  esercizio  di  tale
potere-dovere  restino soggette al generale sindacato di congruita' e
sufficienza     della    motivazione    proprio    delle    decisioni
giurisdizionali.

    6.   -   La   questione   di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 2-bis,  comma  2,  e  3  del  d.-l.  30 settembre  1994, n. 564
(Disposizioni   urgenti   in   materia   fiscale),   convertito   con
modificazioni  nella  legge 30 novembre 1994, n. 656, sollevata dalla
Commissione  tributaria  provinciale  di  Chieti  in riferimento agli
artt. 3 e 27 della Costituzione, e' invece inammissibile.
    La  Commissione  rimettente  dubita  infatti  della  legittimita'
costituzionale  della  norma  nella  parte  in cui non prevede che la
causa ostativa del concordato di massa, rappresentata dalla rilevanza
penale,   relativa   a   determinati   reati,   della   condotta  del
contribuente,  venga  meno  in  caso  di successiva archiviazione del
procedimento  penale  ovvero di definizione dello stesso con sentenza
di proscioglimento o di assoluzione. Nell'ordinanza, tuttavia, non vi
e'  alcuna motivazione sulla rilevanza della questione nel giudizio a
quo  ed  anzi  dalla  comparsa di costituzione della parte privata e'
agevole  desumerne  la  sicura irrilevanza attuale, essendo ancora in
corso   il   procedimento  penale  a  suo  tempo  promosso  a  carico
dell'amministratore della societa'.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi:
        a)   dichiara  inammissibile  la  questione  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre
1994,  n. 564  (Disposizioni urgenti in materia fiscale), convertito,
con  modificazioni,  nella legge 30 novembre 1994, n. 656, sollevata,
in   riferimento   agli   artt. 3  e  27  della  Costituzione,  dalla
Commissione  tributaria  provinciale  di  Chieti  con  l'ordinanza in
epigrafe;
        b)   dichiara   non  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 7,  commi  1  e  4, del decreto legislativo
31 dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre 1991, n. 413), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24
e  53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di
Chieti  e  dalla  Commissione tributaria provinciale di Torino con le
ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2000.
                       Il Presidente: Vassalli
                        Il redattore: Marini
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 gennaio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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