N. 10 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 ottobre 1999

                                 N. 10
  Ordinanza emessa l'8 ottobre 1999 dal tribunale militare  di  Torino
 nel procedimento penale a carico di Torre Giulio
 Reati   militari   -  Reato  di  mancanza  alla  chiamata  -  Esonero
    dall'obbligo di leva per coloro gia' condannati  alla  pena  della
    reclusione  per  un periodo non inferiore alla durata del servizio
    militare  -  Mancata  previsione  -  Lamentata   possibilita'   di
    reiterazione   di  condanne  (c.d.    spirale  delle  condanne)  -
    Irragionevole disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto
    per il reato di  rifiuto  del  servizio  militare  per  motivi  di
    coscienza - Violazione dei diritti inviolabili dell'uomo - Lesione
    del  principio  della  finalita' rieducativa della pena.   Legge 8
    luglio 1998, n. 230, art. 14, comma  5,  in  relazione  al  codice
    penale militare di pace, art. 151.
  Costituzione, artt. 2, 3, 13 e 27.
(GU n.6 del 9-2-2000 )
                          IL TRIBUNALE MILITARE
   Nel   procedimento   penale   a  carico  di  Torre  Giulio,  meglio
 generalizzato in atti, imputato del reato di "mancanza alla  chiamata
 pluriaggravata",  in  pubblica  udienza  ha  pronunciato  la seguente
 ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale degli  artt.
 14,  comma  5,  legge  8 luglio 1998, n. 230 e 151 c.p.m.p. sollevata
 d'ufficio dal tribunale militare di Torino all'udienza dell'8 ottobre
 1999.
                             O s s e r v a
   Nel presente procedimento, con memoria allegata agli atti, il  p.m.
 ha  proposto  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
 comma 5, della legge 8 luglio 1998, n. 230 per violazione degli artt.
 3 e 27 Cost. nella parte in cui "nel caso  di  rifiuto  totale  della
 prestazione  del  servizio militare di leva commesso adducendo motivi
 diversi da quelli di cui all'art. 1 della stessa legge  ovvero  senza
 addurre   motivo   alcuno,  subordina  l'esclusione  dall'obbligo  di
 prestarlo all'espiazione della pena della reclusione per  un  periodo
 non  inferiore  alla  durata  del servizio militare di leva, anziche'
 alla  sola  sentenza  di  condanna  alla  reclusione  nella  medesima
 misura". La difesa non si e' opposta.
   Il  tribunale,  condividendo le argomentazioni del p.m., che ora si
 esporranno, ha pero' ampliato d'ufficio  sia  le  norme  soggette  al
 controllo  di costituzionalita', ricomprendendovi la correlazione con
 l'art. 151 c.p.m.p., sia i parametri costituzionali  di  riferimento,
 estendendoli anche agli artt. 2 e 13 Cost.
   Il  reato  militare  di  mancanza  alla  chiamata,  per cui oggi si
 procede, previsto dall'art. 151 c.p.m.p., si ha quando  il  militare,
 chiamato alle armi per adempiere il servizio di leva, non si presenta
 senza giusto motivo nei cinque giorni successivi a quello fissati.
   La  giurisprudenza  militare, avallata anche dalla Suprema Corte di
 cassazione, e' costante nel ritenere che tale reato sia permanente.
   Di conseguenza, la sentenza di condanna di primo  grado  interrompe
 la  permanenza e la mancata presentazione al reparto dopo la sentenza
 di condanna integra gli estremi di un nuovo reato di assenza, con  la
 conseguente  pronuncia  di  una  nuova  sentenza  di condanna (a solo
 titolo esemplificativo si citano Cass.  13  dicembre  1991  in  Rass.
 Giust.  Mil.  1992,  152; Cass. 13 novembre 1992, ivi 1993, 188; C.M.
 Appello Roma 10 febbraio 1993, ivi 1993, 37;  C.M.  Appello  Roma  17
 settembre  1993,  ivi  1993, 355; C.M. Appello Roma 15 marzo 1994 ivi
 1994, 46).
   Tale orientamento invero comporta la riproposizione di un  problema
 su  cui  piu'  volte  l'Alta  Corte,  negli  anni  passati,  ha avuto
 occasione di pronunciarsi, con riferimento, pero', all'art. 8,  legge
 n. 772/1972, e cioe' al c.d. fenomeno della "spirale delle condanne",
 a  causa  del  quale  un  soggetto  che,  irriducibilmente,  si fosse
 rifiutato  di  prestare  servizio  militare  poteva  subire   diverse
 condanne,  in  quanto  tale norma prevedeva solo per gli obiettori di
 coscienza la possibilita' di non prestare servizio militare a seguito
 dell'espiazione della pena.
   A seguito di  una  serie  di  sentenze  additive,  la  Corte  aveva
 modificato sia le pene edittali, prendendo come tertium comparationis
 proprio il reato di mancanza alla chiamata (Corte cost. n. 409/1989),
 sia la possibilita' di essere esonerato dal servizio militare qualora
 l'imputato  avesse  espiato  la pena irrogata per il reato di rifiuto
 del servizio militare.
   Cio' sia nel caso avesse addotto motivi di coscienza in un  momento
 successivo   all'assunzione   del   servizio  militare  (Corte  cost.
 467/1991), sia nella situazione in cui avesse addotto motivi  diversi
 da  quelli  di coscienza o non ne avesse addotto nessuno (Corte cost.
 343/1993 e Corte cost. 422/1993).
   Incidentalmente, proprio nella sentenza n. 343/1993, la Corte aveva
 affermato di non potere intervenire  in  quella  circostanza  per  il
 reato,  seppure affine, di mancanza alla chiamata in quanto "anche se
 l'ordinanza di rimessione  mira  a  colpire,  in  sostanza,  la  c.d.
 spirale  delle  condanne,  questo  intento  non  puo' legittimare una
 definizione  della  questione  tale  da   scardinare   il   carattere
 incidentale  del  giudizio  di  costituzionalita' e non puo', quindi,
 obliterare il principio che la rilevanza della questione va  valutata
 soltanto  rispetto  al  giudizio  a  quo. Quest'ultima regola porta a
 delimitare  l'oggetto  del  giudizio  in  esame  alla  richiesta   di
 estendere,  mediante  una  pronuncia additiva, la clausola di esonero
 dal servizio militare a coloro che incorsi nel reato di diserzione".
   Quindi,   la   Corte,   in   quella   sentenza   aveva   dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  8, terzo comma, legge n.
 772/1972 in connessione solo con l'art. 148 c.p.m.p. nella  parte  in
 cui  non prevedeva l'esonero dalla prestazione del servizio di leva a
 favore di chi, senza avere addotto motivo alcuno, avesse espiato  per
 quel comportamento la pena della reclusione in misura non inferiore a
 quella del servizio di leva.
   Oggi  il  quadro  di  riferimento  normativo e' mutato in quanto la
 legge n. 772/1972, e' stata sostituita dalla legge 8 luglio 1998,  n.
 230  la  quale, all'art. 14, quinto comma, prevede che "coloro che in
 tempo di pace, adducendo motivi diversi da quelli indicati  dall'art.
 1  o  senza addurre motivo alcuno, rifiutano totalmente, prima o dopo
 averlo assunto, prestazione  del  servizio  militare  di  leva,  sono
 esonerati  dall'obbligo  di  prestarlo  quando abbiano espiato per il
 suddetto  rifiuto  la  pena   della   reclusione   per   un   periodo
 complessivamente  non  inferiore alla durata del servizio militare di
 leva".
   Questa norma prevede dunque la possibilita' per il  solo  obiettore
 totale,  per  motivo  diversi  da  quelli  di coscienza, e non per il
 mancante alla  chiamata  la  possibilita'  di  essere  esonerati  dal
 servizio  militare  in  seguito alla espiazione di una pena di durata
 pari a quella attuale del servizio militare.
   Il mancante alla chiamata, invece, che scelga di  non  svolgere  in
 alcun  modo  il  servizio  militare,  rifiutandolo implicitamente, ma
 senza proferire una formale dichiarazione, viene ad essere soggetto a
 una serie indeterminata di condanne penali  fino  al  compimento  del
 quarantacinquesimo  anno  di  eta',  in  quanto l'art. 14 non prevede
 l'esonero dal  servizio  militare  in  seguito  alla  espiazione  del
 condanna subita per questo specifico reato.
   Il  tribunale  ritiene  che  la  mancata equiparazione del reato di
 mancanza alla chiamata rispetto al  reato  di  rifiuto  del  servizio
 militare  con  specifico  con  riferimento all'applicazione dell'art.
 14, comma 5, legge n. 230/1998 sia lesiva degli artt. 2, 3, 13  e  27
 Cost.
   Infatti, l'ipotesi di una indeterminata successione di condanne per
 una  condotta ontologicamente unitaria di astensione da ogni forma di
 prestazione del servizio militare appare, a parere di questo giudice,
 come del resto ha riconosciuto la  stessa  Corte  nella  sentenza  n.
 467/1991, "cosi' lunga e pesante da poterne distruggere la sua intima
 personalita' umana e la speranza di una vita normale".
   La  liberta'  morale  dell'individuo, che costituisce indubbiamente
 uno dei diritti inviolabili dell'uomo, sarebbe infatti  annullata  da
 uno  stillicidio  di  condanne,  nonche'  dall'obbligo  successivo di
 prestare comunque il servizio militare, che impedirebbe di  fatto  al
 soggetto interessato di esplicare la propria personalita' mediante il
 lavoro e le relazioni sociali.
   Il  soggetto  bene informato e previdente sarebbe indotto, a questo
 punto, ad affermare formalmente la volonta' di rifiutare  per  godere
 di  questo  effetto  di  esclusione  dalla  prestazione  del servizio
 militare.
   Sotto questo profilo i mancanti alla chiamata, con la nuova  legge,
 vengono  ad  essere  vittime  di una discriminazione inammissibile in
 base alla Costituzione. Infatti, con  l'innesco  della  c.d.  spirale
 delle  condanne,  subiscono una disciplina che appare fuoriuscire dai
 limiti della proporzione e della ragionevolezza. Infatti, il reato di
 rifiuto del servizio militare senza addurre alcun motivo  costituisce
 un   reato   a   forma  libera  che  puo'  consistere  tanto  in  una
 dichiarazione espressa, quanto in un comportamento omissivo, come  la
 mancata  risposta alla chiamata alle armi la quale, se prolungata nel
 corso di vari  anni,  puo'  benissimo  essere  considerata  come  una
 manifestazione  tacita  ma inequivoca della volonta' di non adempiere
 in alcun modo il servizio militare.
   In   questa  specifica  ipotesi,  pero',  viene  a  sussistere  una
 disparita' di trattamento irragionevole, ai sensi dell'art.  3  della
 Costituzione   tra   la   fattispecie   appena   ricordata  e  quella
 dell'obietore totale.
   Infatti, mentre  in  quest'ultimo  caso  coloro  che  rifiutano  il
 servizio  militare,  una  volta  espiata  la pena inflitta, fruiscono
 dell'esonero dalla prestazione del servizio militare di leva, a norma
 del citato art. 14, quinto comma, nell'altro caso chi si "rifiuta" di
 presentarsi al  reggimento  o  al  reparto  competente,  pur  essendo
 sottoposto  a  una  pena  edittale  identica  a  quella  prevista per
 l'ipotesi precedentemente considerata, e' tuttavia soggetto, a  causa
 della mancata previsione a suo favore della clausola di esonero, alla
 probabilita'  di  una  ininterrotta  catena  di  condanne destinata a
 prolungarsi sino al venire meno dell'obbligo di leva  per  limiti  di
 eta'.
   Accade  cosi'  che  l'ammissione  legislativa  di  una  clausola di
 esonero simile a quella stabilita  nel  quinto  comma  dell'art.  14,
 consente  di  rendere  concretamente  possibile la c.d. spirale delle
 condanne in danno dei mancanti alla chiamata oltre alla necessita' di
 adempiere, comunque, agli obblighi di leva.
   Tale effetto eventuale, come ha gia' affermato peraltro  la  stessa
 Corte costituzionale nella sentenza n. 163/1993, e' sindacabile sotto
 il  profilo  del  rispetto  del principio di uguaglianza in quanto la
 regola di proporzionalita' ad essa sottostante, deve essere  valutata
 "in  relazione  agli  effetti  pratici  prodotti  o  producibili  nei
 concreti rapporti della vita" (C. cost. n. 163/1993).
   Inoltre, la possibilita' reale  della  spirale  delle  condanne  in
 relazione  al  reato  di  mancanza  alla chiamata, viola, a parere di
 questo giudice,  lo  spirito  del  primo  comma  dell'art.  13  della
 Costituzione  che afferma in astratto l'inviolabilita' della liberta'
 personale.
   Tale  principio,  perche'  non  rimanga   una   mera   enunciazione
 programmatica,  deve  essere  interpretata  nel  senso  che tale bene
 giuridico possa essere limitato solo allorquando  vengono  lesi  beni
 giuridici costituzionali di valore analogo.
   L'incriminazione della mancata presentazione senza giusto motivo al
 reparto  prestabilito  puo' comportare un temporaneo sacrificio della
 liberta' personale ma non puo', tuttavia, estendere  tale  sacrificio
 sino al punto di sottoporre il reo, non solo "a una serie di condanne
 penali  cosi'  lunga  e  pesante da poterne distruggere la sua intima
 personalita' umana e la speranza di una vita  normale"  (Corte  cost.
 n.  467/1991 e n. 343/1993) ma anche alla susseguente prestazione del
 servizio militare.
   Sotto questo profilo si ritiene che la norma in oggetto  violi  non
 solo   l'art.   13   ma  anche  l'art.  27  Cost.,  in  quanto  viene
 concretamente vanificato il fine rieducativo della pena  prevista  al
 terzo comma.
   In realta' la Corte costituzionale ha gia' riconosciuto e affermato
 la  sussistenza  di  tutti  questi  principi  quando piu' volte si e'
 trovata a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 8,
 terzo comma, legge n. 772/1972, sollecitando piu' volte il Parlamento
 ad intervenire sull'intera disciplina  dei  reati  di  assenza  e  di
 rifiuto.
   Invocato  a  lungo,  il legislatore, nella redazione della legge n.
 230/1998, ha compiuto un intervento del tutto minimale, limitandosi a
 reiterare la materia come risultava dopo gli interventi della Corte e
 senza provvedere a quel coordinamento con  i  reati  di  assenza  che
 pareva a tutti necessario.
   Pertanto,  l'interprete non puo' autonomamente ritenere applicabile
 analogicamente la nuova normativa ai suddetti reati, ma deve chiedere
 un nuovo intervento della Alta Corte sulla materia.
   La questione e' rilevante per il caso concreto in quanto l'imputato
 e' gia' stato condannato per il medesimo reato alla pena di  un  anno
 di  reclusione militare dal T.M. Torino il 30 gennaio 1992. Pertanto,
 qualora la questione dovesse essere accolta dalla Corte, il tribunale
 potrebbe assolverlo per insussistenza del fatto contestato.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e ss., legge n. 87/1953;
   Ritenuta rilevante e non manifestamente  infondata  ai  fini  della
 decisione, d'ufficio;
   Solleva,   per   violazione  degli  artt.  2,  3,  13  e  27  della
 Costituzione, questione di legittimita'  costituzionale  degli  artt.
 14,  quinto  comma,  legge  8  luglio  1998,  n.  230 con riferimento
 all'art. 151 c.p.m.p., nella parte  in  cui  non  prevede  "l'esonero
 dalla  prestazione  del servizio di leva del militare gia' condannato
 alla pena della reclusione militare per un periodo non inferiore alla
 durata attuale del medesimo";
   Sospende il procedimento in corso fino alla decisione  della  Corte
 costituzionale sulla questione;
   Ordina   la   notifica  della  presente  ordinanza,  a  cura  della
 cancelleria, alle parti, al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
 la  comunicazione  della  stessa  ai  Presidenti delle due Camere del
 Parlamento;
   Deposito in 45 giorni.
     Torino, addi' 8 ottobre 1999.
                          Il presidente: Gili
                                         Il giudice estensore: Benigni
 00C0063