N. 11 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 novembre 1999
N. 11 Ordinanza emessa il 23 novembre 1999 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di Acciarino Alessandro Ordinamento giudiziario militare - Giurisdizione penale militare in tempo di pace - Attribuzione ai tribunali militari - Illegittimita' della istituzione di una magistratura militare separata da quella ordinaria - Carenza di garanzie di indipendenza (stante la dipendenza anche disciplinare dal Ministro della difesa e l'inesistenza di controlli sull'attivita' e sull'attribuzione di competenze da parte del Consiglio della magistratura militare) - Contrasto con gli intenti del Costituente - Lesione del principio di indipendenza dei giudici. Legge 30 dicembre 1988, n. 561, art. 1; r.d. 19 ottobre 1925, n. 2316, art. 7, secondo comma; legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2. Costituzione, artt. 101, secondo comma, 103, terzo comma, 104, primo comma, 107 e 108, secondo comma.(GU n.6 del 9-2-2000 )
IL TRIBUNALE MILITARE Nel procedimento penale a carico di Acciarino Alessandro nato a Napoli il 15 marzo 1978, residente a Massa di Somma (Napoli), via Veseri n. 4, soldato presso 1 Rgt art. da mont. in Fossano (Cuneo), imputato del reato di diserzione (art. 148, comma 2, c.p.m.p.); Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 30 dicembre 1988 n. 561 (Istituzione del Consiglio della magistratura militare) e dell'art. 7, secondo comma, del r.d. 19 ottobre 1923 n. 2316, dell'art. 2, legge 7 maggio 1981 n. 180 (Modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace) in relazione agli artt. 103, terzo comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, 107 e 108, secondo comma, della Costituzione; O s s e r v a In data 9 novembre 1999 il pubblico ministero esercitava l'azione penale nei confronti dell'imputato in rubrica per il delitto di diserzione impropria contestatogli e chiedeva emettersi da parte questo giudice decreto penale di condanna alla multa di L. 4.500.000, rateizzata in 10 rate mensili da L. 450.000. Questo giudice all'atto di decidere in merito alla richiesta dubita pero' della propria legittimazione giurisdizionale cioe', della propria potesta' di decidere con provvedimento di esercizio di giurisdizione. E, cio' perche', dall'esame delle norme costituzionali sopra citate, in particolare dagli artt. 103, terzo comma e 108, secondo comma, si evincerebbe la propria attuale illegittima costituzione ed, anche, la carenza di adeguate garanzie in ordine all'esercizio della potesta' giurisdizionale; stante la attuale vigenza delle norme ordinarie impugnate che prevedono sia un magistrato militare (e non ordinario) a prestare servizio presso gli organi della giustizia militare perdipiu', sottoposto al possibile esercizio dell'azione disciplinare da parte del Ministro della difesa (esecutivo su cui si esercita esclusivamente la giurisdizione). In modo tale da trovarsi in difetto di reale indipendenza che se e' vero che "nella materia in esame e' forma mentale, costume, coscienza di una entita' professionale, non e' men vero che, in mancanza di adeguate, sostanziali garanzie, esse, come e' stato rilevato, degrada a velleitaria aspirazione" (ved. sentenza Corte costituzionale n. 266 dell'8 marzo 1988). Le norme impugnate prevedono infatti, che sia il Consiglio della magistratura militare ad avere le stesse attribuzioni previste per il Consiglio superiore della magistratura, fra cui quelle in tema di assunzioni, assegnazione di sedi e di funzioni, trasferimenti, promozioni e su ogni altro provvedimento di Stato riguardante i magistrati militari. Ed, e' altresi' prevista una dipendenza per l'organizzazione degli affari giudiziari dal Ministero della difesa anziche', da quello di grazia e giustizia. E, per quello che piu' conta, e' previsto che sia il Ministro della difesa, e non quello di grazia e giustizia. ad esercitare l'azione disciplinare. L'art. 1 della legge n. 561/1988 (Istituzione del Consiglio della magistratura militare) ai commi 3 e 7 prevede: "Il Consiglio ha, per i magistrati militari, le stesse attribuzioni previste per il Consiglio superiore della magistratura, ivi comprese quelle concernenti i procedimenti disciplinari, sostituiti al Ministro di grazia e giustizia e al procuratore generale presso la Corte di cassazione, rispettivamente, il Ministro della difesa ed il procuratore generale militare presso la Corte di cassazione ... L'azione disciplinare nei confronti dei giudici militari e' esercitata dal Ministro della difesa o dal procuratore generale militare presso la Corte di cassazione ...". Il d.P.R. 24 marzo 1989 n. 158 disciplina poi, specificatamente, in sede di attuazione della legge di cui sopra, le attribuzioni e funzioni del Consiglio della magistratura militare. L'art. 7, secondo comma, del r.d. 19 ottobre 1923, n. 2316 (decreto legislativo emanato a seguito della delega contenuta nella legge 3 dicembre 1922 n. 1601), ancora vigente (come del resto la normativa circa il reclutamento dei magistrati militari), dispone: "Il personale della giustizia militare e' costituito di magistrati e di cancellieri. Esso dipende dal Ministro della difesa". E questo giudice e' stato per l'appunto nominato quale g.i.p., e assegnato di sede a Torino con decreto del Ministro della difesa previa delibera del Consiglio della magistratura militare. La propria costituzione e la ritenuta legittimita' di esercizio giurisdizionale e', pertanto, derivata dalla applicazione delle norme impugnate. La norma di cui all'art. 2 della legge n. 180/1981 prevede poi che i tribunali militari siano composti da magistrati militari. Detto cio', con riferimento al primo dei parametri costituzionali invocati e, cioe', alla norma di cui all'art. 103, ultimo comma della Costituzione che prevede che "I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita della legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate"; La posposizione logica della regolamentazione per il tempo di pace, che avrebbe dovuto precedere quella prevista per il tempo di guerra, e' dovuta senz'altro al fatto che nel progetto originario di Costituzione approvato dalla cd. Commissione dei 75 presieduta dal Sen. Ruini il sesto comma dell'art. 95 disponeva "I tribunali militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra" mentre, la VII disposizione transitoria del progetto di Costituzione affermava che "Entro cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Tale termine e' ridotto a tre anni per i tribunali militari. Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente Costituzione si provvede con legge alla soppressione del tribunale supremo militare e alla devoluzione della sua competenza alla Cassazione". Quindi, nel progetto originario di Costituzione i tribunali militari in tempo di pace erano stati aboliti ed erano previsti solo per il tempo di guerra. In assemblea costituente poi, la struttura della Carta fondamentale non fu rivista e l'emendamento all'art. 95 dell'originario progetto che porto' alla attuale formulazione dell'art. 103, ultimo comma della Costituzione non implica, e non puo' implicare, che con l'introduzione della eccezionalissima (cosi' la Consulta) giurisdizione dei tribunali militari, in tempo di pace, si sia anche mantenuta la struttura della magistratura militare. Dai lavori preparatori della Costituente si evince solo la volonta' univoca di limitare (chiarificatore e' l'avverbio "soltanto") al massimo la giurisdizione penale militare, sia soggettivamente (i militari in servizio attivo), sia oggettivamente (i reati militari formalisticamente intesi); nessuna volonta' e' rinvenibile in merito al mantenimento di una magistratura militare separata da quella ordinaria. L'impianto della Costituzione era completo per quanto concerne le magistrature: erano previste la magistratura ordinaria e quelle speciali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. L'emendamento aveva solo lo scopo di consentire la sopravvivenza, in tempo di pace, dei tribunali militari soltanto per i reati militari commessi dagli appartenenti alle forze armate e, non poteva voler dire, per la natura stessa di un emendamento, revisione dell'impianto della magistratura ordinaria prevista nel progetto di Costituzione e introduzione di un magistratura militare dipendente sia per i giudicanti, sia per i requirenti dal Ministro della difesa e dal Procuratore generale militare presso il tribunale supremo militare. Il Costituente mai ha inteso che i tribunali militari, giudici eccezionali, andassero ad essere formati da magistrati togati militari anziche' ordinari. Vi e' stato insomma con l'emendamento in questione solo una previsione di giurisdizione speciale (assai limitata) e non di magistratura. Ne' si puo' sostenere che il processo di smilitarizzazione della magistratura militare e l'equiparazione alla magistratura ordinaria, di cui alla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario militare di pace (legge n. 180/1981), possa permettere l'esistenza di una magistratura abolita dal Costituente. Se l'introduzione di una equiparazione per status dei magistrati militari agli ordinari (art. 1 predetta legge) fosse avvenuta con una legge di rango costituzionale, solo allora sarebbe stato ammissibile l'introduzione nel nostro ordinamento di una magistratura abolita nella Carta fondamentale. Nulla vuol dire che sia sopravvissuta fino ad oggi poiche', anche per abolire il tribunale supremo militare, che era previsto tassativamente nella VI disposizione transitoria fosse riordinato perentoriamente entro un anno in relazione all'art. 111 della Costituzione, ci sono voluti 33 anni. Il legislatore ordinario si e' sempre disinteressato a questo settore di giurisdizione speciale e solo con la legge n. 180/1981 ha fatto denotare un primo tentativo graduale di adeguamento della giustizia militare al dettato costituzionale. Fermandosi pero' su questo argomento e, riconoscendo parita' di status giuridico fra magistrati militari e ordinari. E lasciando irrisolti altri problemi quali quello sopra denunciato e la dipendenza disciplinare dei magistrati militari dal Ministro della difesa cioe', dal Ministro responsabile del dicastero su cui esclusivamente si esercita la giurisdizione, cosi' permettendo, cosa che avviene, la insorgenza di conflittualita' che non troverebbero ragione d'essere se fosse stata posta una dipendenza organizzativa (per gli affari giudiziari) e disciplinare dal Ministro di grazia e giustizia, che solo puo' conoscere le esigenze degli uffici giudiziari, anche i militari, e solo puo', tramite le proprie articolazioni, conoscere e valutare la giurisdizione nel suo stesso esercizio. Non deve percio', meravigliare che quanto sopra esposto e denunciato sia posto oggi a distanza di 50 anni dall'entrata in vigore della Carta costituzionale. Devesi altresi', dire che solo l'intervento, anche additivo, o interpretativo, della Corte costituzionale, ha permesso in questi ultimi dieci anni, nella latitanza del legislatore, l'adeguamento del codice penale militare di pace al codice di procedura penale entrato in vigore il 24 ottobre 1989. Non e' una novita' poi, che piu' volte la Consulta abbia invitato il Parlamento a riformare la legislazione penale militare asserendo, fra l'altro, che la riforma dei codici militari in conformita' ai principi della Costituzione e' un impegno che troppo tempo ormai grava insoddisfatto sugli organi legislativi. In sintesi, si ritiene che nella Carta costituzionale non vi sia alcun elemento per ritenere radicato il convincimento che i tribunali militari debbano essere composti da magistrati militari, anziche' ordinari. L'attuale e vigente legislazione che si impugna appare violare anche le norme costituzionali di cui agli artt. 101, secondo comma, 104, primo comma e 107. La norma di cui all'art. 7, secondo comma del r.d. 9 ottobre 1923 n. 2316 e' quantomeno esemplificativa: "Il personale della giustizia militare e' costituito di magistrati e di cancellieri. Esso dipende dal Ministero della difesa". La dipendenza, anche disciplinare, dal Ministro della difesa e' evincibile anche dall'art. 1 della legge n. 561/1988. Tutto cio' non puo' che comportare una reale caduta di indipendenza e un'elisione delle garanzie, anche normative, che dovrebbero tutelarla ai fini dell'imparziale esercizio della speciale giurisdizione. Non e' piu' tollerabile che a distanza di 50 anni dalla Carta costituzionale venga ancora permesso al Ministro responsabile del Dicastero su cui esclusivamente si esercita la giurisdizione, e privo anche dalle articolazioni necessarie per conoscere negli esatti contenuti le effettive modalita' di esercizio della stessa, possa esercitare l'azione disciplinare sui magistrati militari, azione che giurisprudenza fra l'altro ha definito come esemplificazione di alta discrezionalita' nemmeno da motivare. Cio' permette ancora, parafrasando un concetto rinvenibile nella sentenza della Corte costituzionale n. 266 del 1988, una dipendenza (almeno in ordine ai provvedimenti stessi) della magistratura militare dall'esecutivo. Ma la dipendenza dall'esecutivo dei magistrati militari e' rinvenibile anche in situazioni anche all'apparenza minimali che, pero', nuocciono quanto meno all'immagine di indipendenza ed imparzialita' di cui deve godere una magistratura, soggetta soltanto alla legge e autonoma ed indipendente da ogni altro potere. Infatti stante il r.d.l. 28 novembre 1935 n. 2397 i magistrati militari rivestono i gradi militari corrispondenti a quelli delle forze armate su cui esclusivamente esercitano la giurisdizione. Non e' raro che magistrati militari si qualifichino con relativo grado anche per beneficiare dei servizi erogati dagli enti extrabilancio del Ministero della difesa. L'attuale inquadramento dei magistrati militari fra il "personale civile della difesa" (non esiste presso il Dicastero in questione una articolazione relativa alla magistratura militare e/o alla giustizia militare) porta alla conseguenza dell'inesistenza di un qualsiasi controllo sull'attivita' e sull'attribuzione di competenze da parte del Consiglio della magistratura militare ed anche all'incredibile lesione di fondamentali principi costituzionali laddove per es. i provvedimenti di nomina e assegnazione di sedi e funzioni vengono richiesti al Ministro della difesa anziche', a quello di grazia e giustizia come discenderebbe dall'equiparazione dei magistrati militari ai magistrati ordinari (art. 1, cpv legge 7 maggio 1981 n. 180). Il legislatore ordinario poi, non puo' derogare alla normativa che attribuisce al Consiglio superiore della magistratura le garanzie circa l'assegnazione, la norma e l'inamovibilita' dei magistrati (ved. art. 107 Cost.). Sembrerebbe illegittima costituzionalmente la norma di cui all'art. 1 della legge n. 561/1988 allorche' il legislatore ordinario, come gia' detto, ha equiparato i magistrati militari a quelli ordinari stabilendo: "Lo stato giuridico, le garanzie di indipendenza e l'avanzamento dei magistrati militari sono regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari, in quanto applicabili, ferme le equiparazioni di cui al comma precedente". Effettuata questa equiparazione il legislatore ordinario non puo' avere scelta sul piano costituzionale laddove la garanzia di indipendenza dei magistrati ordinari e' disciplinata dalla Costituzione. Non e' data possibilita' a deroghe. Un analogo problema non sorge per i magistrati dei tribunali amministrativi regionali, della Corte dei conti e del Consiglio di Stato che, non essendo equiparati ai magistrati ordinari, anzi avendo una disciplina legislativa che sancisce e sottolinea la diversita' dai magistrati ordinari, possono essere garantiti nella loro indipendenza dall'art. 108, secondo comma della Costituzione. Detta disposizione, avendo il legislatore ordinario scelto di equiparare i magistrati militari agli ordinari per quanto concerne lo stato giuridico, le garanzie di indipendenza e l'avanzamento non puo piu' riferirisi anche ai magistrati militari. La stessa Corte costituzionale con la sentenza gia' richiamata n. 266 del 1988 sembra alludere cio' fra le righe quando asserisce: "ne' e' dato qui esaminare questioni, peraltro non sollevate, relative all'eventuale devoluzione delle materie di cui al comma 1, art. 15 della legge in discussione al Consiglio superiore della magistratura". Si ritiene che nel 1988 fosse gia' un passo traumatico per le Istituzioni militari la introduzione di un organo di autogoverno della magistratura militare; ecco perche' all'epoca era impensabile la soluzione piu' drastica, ma piu' razionale, che la Consulta sembrava volere timidamente sollevare d'ufficio. Qualora le questioni di costituzionalita' sopra evidenziate non fossero ritenute fondate emergerebbe, si ritiene, rilevante e non manifestamente infondata una censura delle norme impugnate rispetto all'art. 108, secondo comma della Costituzione. E' ovvio che tutte le considerazioni gia' esposte sotto gli altri profili di costituzionalita' dovrebbero richiamarsi dato che normativamente risulta che il legislatore ordinario ha introdotto un sistema di provvedimenti inerenti lo status dei magistrati militari, compresi quelli disciplinari, facenti capo all'Esecutivo, cioe' al Ministro della difesa, responsabile del Dicastero oggetto degli accertamenti penali. Trattasi di situazioni che elidono le garanzie di indipendenza dei magistrati militari poiche', aldila' di ogni considerazione della loro valenza nel foro interno del giudicante, quali "garanzie valgono a prevenire attacchi all'autonomia ed indipendenza dell'esercizio delle funzioni giudiziarie e comunque, non sono condizionate, nella loro attuazione, alla concreta esistenza di specifiche aggressioni alle predette autonomia e indipendenza" (ved. Corte costituzionale n. 266/1988).
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n 87; Ritenute le questioni esaminate rilevanti e non manifestamente infondate; Solleva per violazione degli artt. 103, terzo comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, 107, 108, secondo comma della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 della legge 30 dicembre 1988 n. 561, 7, secondo comma del r.d. 19 ottobre 1923 n. 2316, e art. 2, legge 7 maggio 1981 n. 180; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il processo fino all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e, comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Torino, il 23 novembre 1999. Il giudice per le indagini preliminari: Roberti 00C0064