N. 26 SENTENZA 20 gennaio - 4 febbraio 2000

 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Infortuni  sul lavoro e malattie professionali - Infortuni sul lavoro
    in agricoltura - Lavoratori autonomi -  Diritto  all'assicurazione
    obbligatoria  -  Requisito  della  esclusivita'  o,  almeno, della
    prevalenza del lavoro agricolo, in sostituzione del criterio della
    abitualita' nel lavoro  (anteriormente  prescritto)  -  Denunciata
    intrinseca   irrazionalita'   della   norma,  con  violazione  del
    principio di eguaglianza, sia rispetto ai  lavoratori  subordinati
    sia  tra  lavoratori  autonomi - Non irragionevole esercizio della
    discrezionalita'  legislativa  nel  porre   limiti   alla   tutela
    antinfortunistica  -  Non  fondatezza  della  questione.   D.L. 22
    maggio 1993, n. 155 (convertito, con modificazioni, nella legge 19
    luglio 1993, n. 243), art. 14, lettera b); legge 9  gennaio  1963,
    n. 9, art. 3, primo comma.
     Costituzione, art. 3.
 Infortuni  sul lavoro e malattie professionali - Infortuni sul lavoro
    in  agricoltura  -  Diritto   all'assicurazione   obbligatoria   -
    Esclusione  dei  lavoratori che siano comunque impegnati in lavori
    agricoli, sia come lavoratori autonomi sia  come  braccianti,  per
    piu' di 104 giornate lavorative complessive nell'anno - Denunciata
    disparita'  di  trattamento  -  Non  irragionevole esercizio della
    discrezionalita' legislativa -  Non  fondatezza  della  questione.
    D.L.  22 maggio 1993, n. 155 (convertito, con modificazioni, nella
    legge 19 luglio 1993, n.  243),  art.  14,  lettera  b);  legge  9
    gennaio 1963, n. 9, art. 3, primo comma.
  Costituzione, art. 3.

(GU n.6 del 9-2-2000 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof. Gustavo ZAGREBELSKY,   prof. Valerio ONIDA,
 prof.   Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI, dott.
 Franco BILE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 14, lettera  b),
 del  decreto-legge  22  maggio  1993,  n.  155 (Misure urgenti per la
 finanza pubblica), convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  19
 luglio 1993, n. 243 e dell'art. 3, primo comma, della legge 9 gennaio
 1963,   n.  9  (Elevazione  dei  trattamenti  minimi  di  pensione  e
 riordinamento delle norme in materia di  previdenza  dei  coltivatori
 diretti e dei coloni e mezzadri), promossi con ordinanze emesse il 31
 marzo 1998 dal pretore di Trento nel procedimento civile vertente tra
 Zeni  Mario e l'INAIL, iscritta al n. 490 del registro ordinanze 1998
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  28,  prima
 serie speciale, dell'anno 1998, e il 15 ottobre 1998 dal tribunale di
 Lecce  nel  procedimento  civile  vertente tra l'INAIL e Giuri Rocco,
 iscritta al n. 888 del registro ordinanze  1998  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  51, prima serie speciale,
 dell'anno 1998;
   Visti gli atti di  costituzione  dell'INAIL  nonche'  gli  atti  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  novembre  1999  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
   Uditi l'avvocato Saverio Muccio  per  l'INAIL  e  l'avvocato  dello
 Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso della controversia in materia previdenziale promossa
 da   Zeni   Mario   nei   confronti   dell'Istituto   nazionale   per
 l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro il pretore di  Trento
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
 all'art.    3  Cost.,  dell'art  14, lettera b), del decreto-legge 22
 maggio 1993,  n.  155  (Misure  urgenti  per  la  finanza  pubblica),
 convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 243.
   Premette  in punto di fatto il giudice a quo che lo Zeni, essendosi
 procurato una ferita ad una mano nelle operazioni di  rinnovo  di  un
 frutteto  dell'azienda agricola di famiglia, ha convenuto in giudizio
 l'INAIL onde ottenere le relative prestazioni; l'ente  previdenziale,
 tuttavia,  pur avendo accertato la sussistenza di una riduzione della
 capacita' lavorativa di entita' superiore al  minimo  indennizzabile,
 ha  respinto  in  via  amministrativa  la  domanda, sostenendo che il
 ricorrente non rientra nella tutela assicurativa di cui al d.P.R. del
 30 giugno 1965, n. 1124.
   Ad avviso del rimettente nessun dubbio sussiste sul requisito della
 rilevanza, poiche' la  domanda  avanzata  giudizialmente  dallo  Zeni
 dovrebbe  essere  respinta  in  base alle risultanze di fatto ed alla
 norma  impugnata.  Prima  dell'entrata  in  vigore  di  quest'ultima,
 infatti,   i   lavoratori   autonomi   in   agricoltura   rientravano
 nell'assicurazione in oggetto, ai sensi dell'art. 205, lettera b) del
 citato d.P.R., a condizione che prestassero  il  proprio  lavoro  con
 carattere   di   abitualita',   non  richiedendosi  la  prevalenza  o
 l'esclusivita'   di   detto    lavoro    agricolo.    Il    requisito
 dell'abitualita',  secondo  la  pacifica interpretazione datane dalla
 giurisprudenza, andava valutato in rapporto alle esigenze  dei  fondi
 cui  si dedicava il lavoratore. Sulla base della norma oggi in esame,
 invece, a decorrere dal 1  giugno  1993,  i  lavoratori  autonomi  in
 agricoltura aventi diritto all'assicurazione contro gli infortuni sul
 lavoro debbono essere individuati secondo i criteri di cui alla legge
 26  ottobre  1957,  n. 1047, ossia con le medesime regole vigenti per
 l'assicurazione obbligatoria contro l'invalidita' e la vecchiaia.   E
 poiche'  quest'ultima  legge  viene integrata dagli artt. 2 e 3 della
 legge 9 gennaio 1963, n. 9, ne consegue che attualmente il lavoratore
 autonomo in agricoltura e' tutelato contro gli infortuni sul lavoro a
 condizione che si dedichi  a  tale  attivita'  non  piu'  in  maniera
 abituale,   bensi'  in  maniera  esclusiva  o  prevalente.  Il  novum
 costituito dalla norma impugnata, dunque, sta nell'aver ristretto  il
 novero   dei   lavoratori   agricoli   aventi   diritto  alla  tutela
 assicurativa.
   Per cio' che concerne la non manifesta infondatezza, il pretore  di
 Trento osserva che e' incongruo ed irrazionale escludere dalla tutela
 contro  gli  infortuni  sul  lavoro  i lavoratori agricoli che non si
 dedicano in modo esclusivo o prevalente a tale attivita', perche'  vi
 sono fondi che richiedono una dedizione esclusiva, mentre in altri il
 lavoro  non  puo'  protrarsi  piu'  di  un  certo  numero di giornate
 all'anno; ne consegue  che  il  parametro  dell'abitualita',  cui  il
 sistema  si  conformava  fino  all'entrata  in  vigore della norma in
 questione, appare  molto  piu'  consono  alla  particolare  struttura
 dell'attivita' agricola svolta da lavoratori autonomi.
   La   norma   da   scrutinare,   invece,  finisce  con  l'ostacolare
 irrazionalmente sia il lavoro part-time reso  sempre  piu'  frequente
 dalla  crescente  meccanizzazione  in  agricoltura,  sia  l'attivita'
 svolta nelle zone svantaggiate, dove  la  scarsa  redditivita'  della
 terra  costringe  i  lavoratori  agricoli  a  procurarsi un'ulteriore
 attivita',   perdendo   con   cio'   il   diritto   alla   protezione
 antinfortunistica.  E  d'altronde  il  rimettente  rileva  che  anche
 l'esistenza di un secondo lavoro non  puo'  giustificare  l'eccessivo
 rigore   della  norma  impugnata,  perche'  l'infortunio  si  risolve
 comunque in una  maggiore  difficolta'  di  svolgimento  anche  della
 diversa  occupazione,  per  cui  non  viene meno la lamentata lesione
 dell'art. 3 della Costituzione.
   2.  -  Si  e'  costituito  in  giudizio  l'INAIL,  chiedendo che la
 questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
   Osserva l'ente previdenziale che  la  norma  posta  in  dubbio  dal
 pretore  di Trento risponde ad un razionale obiettivo di unificazione
 di ogni forma di assicurazione obbligatoria dei lavoratori  agricoli,
 adeguando  i requisiti di ammissione alla tutela contro gli infortuni
 sul lavoro a quelli  previsti  per  il  regime  assicurativo  gestito
 dall'INPS. Tale coordinamento, frutto di una scelta discrezionale del
 legislatore  certamente  in  armonia  con  i principi costituzionali,
 risponde poi  ad  una  finalita'  di  ordine  economico,  poiche'  la
 gestione  INAIL  relativa ai lavoratori agricoli presenta un bilancio
 fortemente passivo. Ne consegue che l'esistenza di alcune  differenze
 di  fatto  non  puo'  comunque  fondare  un  dubbio  di  legittimita'
 costituzionale.
   3. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata  inammissibile  o,
 comunque, infondata.
   La  difesa  erariale  rileva  che  la  proposta questione, la quale
 riecheggia quella gia' decisa dalla Corte con la sentenza n. 179  del
 1996,  pone  un  dubbio  in  termini  di razionalita' della normativa
 impugnata. Tale dubbio, pero', non ha ragion d'essere perche'  in  un
 regime  di automatismo delle prestazioni, come quello vigente, spetta
 alla scelta discrezionale del  legislatore  individuare  i  requisiti
 minimi  degli  aventi  diritto all'assicurazione contro gli infortuni
 sul lavoro; ne' il giudice a quo d'altra parte, individua un  tertium
 comparationis limitandosi alla mera censura della norma in oggetto.
   4.  -  Nell'ambito di altra controversia di carattere previdenziale
 il  tribunale  di  Lecce  ha  sollevato  questione  di   legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento all'art. 3 della Costituzione, della
 stessa norma impugnata dal pretore di Trento  e  dell'art.  3,  primo
 comma,  della  legge 9 gennaio 1963, n. 9 (Elevazione dei trattamenti
 minimi  di  pensione  e  riordinamento  delle  norme  in  materia  di
 previdenza  dei  coltivatori  diretti e dei coloni e mezzadri), nella
 parte in cui dette norme escludono  dall'assicurazione  i  lavoratori
 agricoli  che  sono  comunque impegnati nell'attivita' di lavorazione
 dei fondi per meno di 104 giornate all'anno.
   Precisa il giudice a quo che nel caso sottoposto al suo giudizio il
 lavoratore agricolo ha coltivato un fondo di sua  proprieta'  per  il
 quale  e'  previsto  un  impegno lavorativo di 69 giornate annue, nel
 contempo maturando altre 51 giornate come bracciante  agricolo.    Il
 tribunale,  pertanto,  lamenta  l'irrazionalita'  delle  norme citate
 nella parte in cui non consentono il cumulo tra i due tipi di lavoro,
 con cio' privando della copertura assicurativa quei  lavoratori  che,
 pur  lavorando  in  fondi  diversi, sono stati comunque impegnati per
 piu' di 104 giornate all'anno.
   5. - In tale giudizio si e' costituito  l'INAIL,  con  una  memoria
 identica  a  quella  presentata  nell'altro,  rassegnando le medesime
 conclusioni.
   E' intervenuto anche il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con una
 memoria di contenuto pressoche' identico a quella redatta per l'altro
 giudizio, chiedendo che la questione venga  dichiarata  inammissibile
 o, comunque, infondata. Osserva la difesa erariale che dall'ordinanza
 di  rimessione  non  risultano  motivati  in maniera sufficientemente
 chiara  i  termini della controversia concreta; il che imporrebbe una
 pronuncia di inammissibilita'.
                        Considerato in diritto
   1. - Il pretore di Trento dubita che  l'art  14,  lettera  b),  del
 decreto-legge  22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni,
 nella legge 19 luglio 1993, n. 243, sia in  contrasto  con  l'art.  3
 della  Costituzione  la' dove stabilisce che i lavoratori agricoli di
 cui all'art. 205, lettera b) del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 hanno
 diritto  all'assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni  sul
 lavoro,  a  decorrere  dal  1  giugno  1993,  "secondo i criteri e le
 modalita' previste dalla legge 26 ottobre 1957, n. 1047 e  successive
 modificazioni  ed  integrazioni", ossia a condizione che si dedichino
 al lavoro agricolo "in modo esclusivo o almeno  prevalente"  (secondo
 quanto disposto dagli artt. 2 e 3 della legge 9 gennaio 1963, n.  9).
   Ad avviso del rimettente sarebbe incongruo ed irrazionale escludere
 dalla  tutela  contro  gli infortuni i lavoratori agricoli che non si
 dedicano in modo esclusivo o prevalente a tale attivita', dal momento
 che vi sono terreni che richiedono un  siffatto  impegno,  mentre  in
 altri  il  lavoro non puo' durare piu' di un certo numero di giornate
 all'anno; inoltre  la  norma  ostacolerebbe  irrazionalmente  sia  il
 lavoro   part-time   reso  sempre  piu'  necessario  dalla  crescente
 meccanizzazione in agricoltura, sia  l'attivita'  svolta  nelle  zone
 svantaggiate,  dove  la  scarsa  redditivita' della terra costringe i
 lavoratori agricoli a procurarsi un'ulteriore attivita'.
   Il tribunale di Lecce deduce che la  medesima  norma  e  l'art.  3,
 primo  comma,  della  legge 9 gennaio 1963, n. 9 - nella parte in cui
 non riconoscono il diritto alle  prestazioni  per  gli  infortuni  ai
 lavoratori agricoli autonomi che, pur coltivando un loro fondo per il
 quale  occorrono  meno di 104 giornate lavorative annue, superino poi
 la soglia legale svolgendo altrove anche  l'attivita'  di  bracciante
 agricolo  -  siano  in  contrasto  con  l'art.  3 della Costituzione,
 perche' escludono dalle prestazioni rese dall'INAIL i lavoratori che,
 cumulando le proprie giornate  lavorative  in  fondi  diversi,  hanno
 integrato la predetta condizione.
   2.  -  Le due questioni, riguardando in buona parte le stesse norme
 ed essendo comunque animate da una ratio unitaria,  vanno  riunite  e
 decise con la medesima pronuncia.
   3.   -   Oggetto   di   entrambi   gli  incidenti  di  legittimita'
 costituzionale e' un particolare  aspetto  della  previdenza  agraria
 relativo  ad  alcuni  limiti  soggettivi  e  oggettivi  di estensione
 dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni  e  le  malattie
 professionali per i lavoratori agricoli autonomi. Giova premettere al
 riguardo   che   l'art.   205  del  d.P.R.  n.  1124  del  1965,  pur
 ricomprendendo in detta assicurazione sia  i  lavoratori  subordinati
 che  quelli  autonomi,  mantiene  una evidente distinzione tra le due
 categorie, tanto da menzionarle separatamente nelle lettere a)  e  b)
 del  testo.  Inoltre  la  prima delle due norme oggi impugnate, ossia
 l'art 14, lettera b), del  decreto-legge  22  maggio  1993,  n.  155,
 concerne  soltanto  i  lavoratori  agricoli  autonomi,  categoria che
 comprende proprietari, mezzadri, coltivatori diretti, coloni  e  loro
 familiari.  Per  questo  gruppo  di  lavoratori, tutti caratterizzati
 dalla sostanziale assenza di un vincolo di subordinazione, tale norma
 prevede il diritto a fruire delle prestazioni assicurative in  parola
 non  piu'  in base al requisito della abitualita' nel lavoro agricolo
 (come  avveniva  in  precedenza),  ma  in  base  al  requisito  della
 esclusivita'  o  della  prevalenza,  con  conseguente   significativa
 restrizione   dell'ambito  soggettivo  della  protezione  contro  gli
 infortuni.
   4. - La prima ordinanza da esaminare, del  pretore  di  Trento,  e'
 diretta  a  censurare  siffatta  restrizione  sotto  due profili, con
 riferimento all'art. 3 della Costituzione:  quello  di  un'intrinseca
 irrazionalita'   e   quello   di  una  violazione  del  principio  di
 eguaglianza, per il diverso  e  deteriore  trattamento  che  viene  a
 realizzarsi  in danno dei lavoratori agricoli autonomi che si trovino
 nelle situazioni negative in precedenza indicate.
   La questione non e' fondata.
   Secondo quanto gia' chiarito dalla giurisprudenza di questa  Corte,
 l'assicurazione  contro  gli  infortuni  sul  lavoro, pur finalizzata
 all'obiettivo della pronta liberazione del lavoratore dal bisogno, e'
 ispirata "piuttosto ad una logica di tipo assicurativo che non ad una
 di tipo pienamente solidaristico" (v., piu' di recente,  le  sentenze
 n.  405  e  n.  297  del 1999, nonche' la n. 350 del 1997). Non c'e',
 dunque, una completa socializzazione del rischio, sicche' spetta alla
 discrezionale scelta del legislatore,  sindacabile  da  questa  Corte
 soltanto  in  caso  di patente irrazionalita', l'individuazione delle
 categorie di lavoratori alle quali va estesa la  tutela  assicurativa
 in  parola  e  la  precisazione  dei  limiti  di operativita' di tale
 tutela; limitazioni ancor piu' comprensibili  in  materia  di  lavoro
 autonomo  (v. sentenza n. 158 del 1987), poiche' la protezione contro
 gli infortuni e' sorta avendo come naturali destinatari i  lavoratori
 subordinati.
   Nella  questione  sollevata  dal  pretore di Trento il fulcro della
 censura risiede nell'avere la legge sostituito,  con  effetto  dal  1
 giugno  1993,  il  criterio  dell'esclusivita'  o  della prevalenza a
 quello dell'abitualita' per la copertura dei lavoratori autonomi  dal
 rischio  infortunistico. Tale scelta del legislatore, gia' scrutinata
 solo  sotto  il  profilo  della  carenza  di  normativa   transitoria
 (sentenza  n.  179 del 1996), oltre ad essere ragionevole in rapporto
 alla  peculiarita'  del  lavoro  agricolo  autonomo   ed   in   vista
 dell'armonizzazione  tra il sistema assicurativo gestito dall'INAIL e
 quello  gestito  dall'INPS,  costituisce  legittimo  esercizio  della
 menzionata  discrezionalita',  traducendosi appunto nell'introduzione
 di   uno   dei   possibili   limiti   all'obbligatorieta'   di   tale
 assicurazione.  In  altri  termini  e'  la stessa natura del rapporto
 previdenziale con  l'INAIL  a  rendere  plausibile  che  la  garanzia
 assicurativa  operi  soltanto  in  presenza  di  una soglia minima di
 prestazioni lavorative, cui si accompagna il correlativo  obbligo  di
 versamento  dei  contributi. D'altra parte, per i soggetti estranei a
 qualsiasi vincolo di subordinazione la durata dell'attivita' agricola
 oltre un determinato numero di giornate costituisce sicuro indice  di
 distinzione  rispetto  ad  un  impegno  meramente  occasionale, molto
 limitato nel tempo o svolto per i piu' vari scopi, e quindi  e'  tale
 da  giustificare  l'obbligatorieta'  di questa assicurazione intesa a
 tutelare in materia infortunistica i lavoratori professionali.    Ne'
 va  trascurato  il  rilievo che anche per fruire di altri trattamenti
 previdenziali (come quello previsto dall'art. 25 della legge 8 agosto
 1972, n. 457) il legislatore richiede una soglia minima di durata del
 lavoro agricolo.
   5.  -  Sono  prive di fondamento anche le censure di violazione del
 principio di eguaglianza sollevate dallo stesso pretore di Trento.
   Ed infatti, sia che la disparita' di trattamento venga  individuata
 nel  confronto  tra  lavoratori  agricoli  subordinati  e  lavoratori
 agricoli autonomi, sia ch'essa si identifichi, con maggiore  aderenza
 al  contenuto  dell'ordinanza  di rimessione, nella presunta indebita
 situazione di vantaggio di  certi  lavoratori  autonomi  rispetto  ad
 altri  della  stessa  categoria,  il rilievo non puo' comunque essere
 accolto.
   Sotto il primo profilo, la gia' accennata intrinseca diversita' tra
 lavoratori subordinati ed  autonomi  non  consente  di  istituire  un
 raffronto tra le due categorie.
   Quanto  alla  situazione  di sfavore nella quale vengono a trovarsi
 coloro i quali,  per  ragioni  oggettive,  non  possono,  come  altri
 lavoratori  agricoli  autonomi, dedicarsi alla coltivazione del fondo
 in maniera esclusiva o prevalente, la Corte osserva che  la  mancanza
 per  costoro  della  copertura  assicurativa  costituisce,  secondo i
 precedenti    rilievi,    non    irragionevole    esercizio     della
 discrezionalita'  di  cui  il  legislatore  gode  circa  i  limiti di
 obbligatorieta' di detta assicurazione, e non viola  l'art.  3  della
 Costituzione nemmeno sotto il profilo della ingiustificata disparita'
 di trattamento.
   6.  - La questione sollevata dal tribunale di Lecce, riguardante un
 altro aspetto della questione, e' parimenti infondata.
   L'ordinanza in esame, impugnando  anche  l'art.  3  della  legge  9
 gennaio  1963, n. 9, sottopone allo scrutinio della Corte l'ulteriore
 profilo della irrilevanza  del  cumulo,  a  fini  previdenziali,  del
 lavoro  prestato  come  bracciante  con quello svolto come lavoratore
 autonomo; nel giudizio a quo il ricorrente ha dedotto  di  avere,  in
 realta',  lavorato  per  un certo numero di giornate come bracciante,
 sicche', sommando queste  ultime  a  quelle  svolte  come  lavoratore
 autonomo,  egli  verrebbe  a  superare  il  numero  di  104  giornate
 richiesto dalla norma in  questione  come  soglia  minima  per  poter
 fruire dell'assicurazione INAIL.
   Occorre  rilevare  in proposito che l'interpretazione del tribunale
 di Lecce, nonostante l'eccezione di inammissibilita' sollevata  dalla
 difesa  erariale  e  la diversa lettura della norma data dalla stessa
 avvocatura in sede di discussione, appare motivata in modo conciso ma
 sufficiente, e, come tale, la questione  dev'essere  esaminata  dalla
 Corte.  Essa  non  puo' tuttavia essere accolta poiche' il divieto di
 cumulo, lungi dall'essere causa di violazione dei principi  dell'art.
 3 della  Costituzione, costituisce ragionevole e coerente conseguenza
 dello specifico sistema normativo.
   Il lavoratore agricolo che esercita sia attivita' di bracciante che
 attivita'   autonoma   e'   protetto  dall'assicurazione  contro  gli
 infortuni nel tempo di  svolgimento  della  prima  attivita',  mentre
 rimane  privo  di  copertura  soltanto nel periodo della seconda, ove
 esso sia di breve durata. Una simile diversita', tuttavia,  non  puo'
 essere  eliminata  da  questa  Corte,  non  tanto  per  il rischio di
 ulteriori   sperequazioni   consequenziali,   quanto   essenzialmente
 perche',   come   si   e'   detto,  cio'  rientra  nei  limiti  della
 discrezionalita' legislativa, e perche' eterogenee sono le situazioni
 che si vorrebbero cumulare.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondate  le  questioni  di
 legittimita'   costituzionale   dell'art   14,   lettera   b),    del
 decreto-legge  22  maggio 1993, n. 155 (Misure urgenti per la finanza
 pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993,
 n. 243, e dell'art.  3, primo comma, della legge 9 gennaio 1963, n. 9
 (Elevazione dei trattamenti minimi di pensione e riordinamento  delle
 norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni e
 mezzadri),  sollevate,  in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
 dal pretore di Trento e dal tribunale di Lecce con  le  ordinanze  di
 cui in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2000.
                        Il Presidente: Vassalli
                          Il relatore: Chieppa
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 febbraio 2000.
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
 00C0120