N. 46 SENTENZA 3 - 7 febbraio 2000

 Giudizio di ammissibilita' di richiesta di referendum abrogativo.
 Referendum   abrogativo  -  Lavoro  (rapporto  di)  -  Licenziamenti:
    Abolizione delle norme sulla reintegrazione del posto di lavoro  -
    Formulazione   univoca  e  chiara  del  quesito  che  investe  una
    disciplina unitaria - Carattere abrogativo  e  non  "manipolativo"
    del quesito - Non appartenenza delle norme oggetto della richiesta
    referendaria    alla    categoria   delle   norme   "a   contenuto
    costituzionalmente  vincolato"  -  Insussistenza  di  altre  cause
    ostative  - Ammissibilita' della richiesta referendaria.  Legge 20
    maggio 1970, n. 300, art. 18 (come modificato dall'art.   1  della
    legge 11 maggio 1990, n. 108).
  Costituzione, art. 75.

(GU n.7 del 11-2-2000 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv.  Massimo  VARI,  dott.  Riccardo  CHIEPPA,
 prof.   Gustavo   ZAGREBELSKY,   prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo
 MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.
 Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI, dott. Franco BILE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, primo comma,
 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1,  della  richiesta  di
 referendum  popolare per l'abrogazione della legge 20 maggio 1970, n.
 300, recante "Norme  sulla  tutela  della  liberta'  e  dignita'  dei
 lavoratori,  della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei
 luoghi  di  lavoro   e   norme   sul   collocamento"   e   successive
 modificazioni, limitatamente all'art. 18, come modificato dall'art. 1
 della  legge  11 maggio 1990, n. 108, giudizio iscritto al n. 128 del
 registro referendum.
   Vista l'ordinanza del 7-13 dicembre 1999  con  la  quale  l'Ufficio
 centrale   per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione  ha
 dichiarato conforme a legge la richiesta;
   Udito nella camera di consiglio del  13  gennaio  2000  il  giudice
 relatore Massimo Vari;
   Uditi  gli  avvocati  Edoardo  Ghera  e  Antonio  Vallebona  per  i
 presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De  Lucia;
 l'avvocato   Mario   Salerni   per  l'associazione  Progetto  Diritti
 o.n.l.u.s., per la Federazione delle Rappresentanze Sindacali di Base
 e per il Centro di ricerca ed elaborazione  per  la  democrazia;  gli
 avvocati  Piergiovanni Alleva e Vittorio Angiolini per la Federazione
 dei Verdi ed altri, per il Comitato  per  le  liberta'  e  i  diritti
 sociali e per il Partito della Rifondazione comunista.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -   Con ordinanza emessa il 7 dicembre 1999, l'Ufficio centrale
 per il referendum  costituito  presso  la  Corte  di  cassazione,  in
 applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha preso in esame la
 richiesta  di  referendum  per  sottoporre  a  votazione  popolare il
 seguente quesito:
     "Volete voi che sia abrogata la legge 20  maggio  1970,  n.  300,
 recante "Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori,
 della  liberta'  sindacale  e  dell'attivita' sindacale nei luoghi di
 lavoro  e  norme  sul  collocamento"  e   successive   modificazioni,
 limitatamente all'art. 18?".
   2.  -  Detto Ufficio, nel dichiarare che la richiesta di referendum
 di iniziativa popolare e' conforme alla legge (ai sensi dell'art.  32
 della menzionata legge n. 352 del 1970), ha  disposto  l'integrazione
 del  testo  del  quesito con il richiamo alle modificazioni apportate
 dall'art. 1 della legge 11  maggio  1990,  n.  108,  e  lo  ha  cosi'
 riformulato:
     "Volete  voi  che  sia  abrogata la legge 20 maggio 1970, n. 300,
 recante "Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori,
 della liberta' sindacale e dell'attivita'  sindacale  nei  luoghi  di
 lavoro   e   norme  sul  collocamento"  e  successive  modificazioni,
 limitatamente all'art. 18, come modificato dall'art. 1 della legge 11
 maggio 1990, n. 108?".
   Al  fine  di  identificare  l'oggetto  del  referendum,   l'Ufficio
 medesimo ha, inoltre, stabilito (in applicazione dell'art. 32, ultimo
 comma,  della  gia'  menzionata  legge  n.  352  del 1970, introdotto
 dall'art.  1 della legge 17 maggio 1995, n. 173) che la denominazione
 del referendum sia: "Licenziamenti:  Abrogazione  delle  norme  sulla
 reintegrazione del posto di lavoro".
   3.  -  Il  Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione della
 sopra menzionata ordinanza del 7 dicembre 1999, ha  fissato,  per  le
 conseguenti  deliberazioni,  l'adunanza in camera di consiglio per il
 13 gennaio 2000, disponendone  comunicazione  ai  presentatori  della
 richiesta  di referendum ed al Presidente del Consiglio dei Ministri,
 ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970,  n.
 352.
   4.  -  Nell'imminenza della camera di consiglio, Daniele Capezzone,
 Mariano Giustino e Michele De Lucia, presentatori della richiesta  di
 referendum  abrogativo  di  cui in epigrafe, hanno depositato, con il
 patrocinio degli avvocati Edoardo Ghera,  Sergio  Magrini  e  Antonio
 Vallebona,  una  memoria  con la quale chiedono che il referendum sia
 dichiarato ammissibile.
   5. - L'associazione Progetto  Diritti  o.n.l.u.s.,  la  Federazione
 delle  rappresentanze  sindacali  di  base  e il Centro di ricerca ed
 elaborazione per la democrazia hanno congiuntamente  depositato,  con
 il  patrocinio  dell'avvocato Mario Salerni, un "atto di intervento e
 memoria", al fine di sentire dichiarare inammissibile il quesito.
   6. - A loro volta, il Comitato per la liberta' e i diritti sociali,
 il Partito della Rifondazione comunista, nonche' la  Federazione  dei
 Verdi,  congiuntamente con l'Associazione nazionale per la sinistra e
 con "Alfiero Grandi, nella sua qualita' di  responsabile  del  lavoro
 dei  D.S.  -  Democratici  di  Sinistra",  hanno  depositato,  con il
 patrocinio  degli  avvocati  Piergiovanni  Alleva,   Amos   Andreoni,
 Vittorio  Angiolini  e  Pier  Luigi  Panici,  tre  distinti  "atti di
 intervento, memoria e contributo", nei quali vengono svolte identiche
 considerazioni al fine di sentire dichiarare inammissibile il quesito
 referendario.
   7.  - Nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, l'avv. Antonio
 Vallebona, per i presentatori, ha eccepito  preliminarmente  che  gli
 altri  soggetti  che  hanno  depositato  memorie non hanno in realta'
 titolo  per  partecipare  al   presente   giudizio.   Tesi,   questa,
 contrastata dall'avvocato Vittorio Angiolini.
   Nel  merito,  l'avvocato  Vallebona,  insieme  all'avvocato Edoardo
 Ghera, ha illustrato le argomentazioni a sostegno dell'ammissibilita'
 del referendum prospettate nella memoria.
   Essendosi   la   Corte   riservata   di   decidere   in    sentenza
 sull'ammissibilita'  delle  memorie  e  dell'audizione  dei  soggetti
 diversi dai presentatori, e' stato, altresi', sentito per il Comitato
 per la liberta' e i diritti sociali, il  Partito  della  Rifondazione
 comunista,  la Federazione dei Verdi, l'Associazione nazionale per la
 sinistra e "Alfiero Grandi nella sua  qualita'  di  responsabile  del
 lavoro  dei  D.S. - Democratici di sinistra", l'avvocato Piergiovanni
 Alleva,  il  quale  ha  illustrato  le  gia'   dedotte   ragioni   di
 inammissibilita' della richiesta referendaria.  A tali argomentazioni
 si e' associato l'avvocato Mario Salerni, per l'associazione Progetto
 Diritti  o.n.l.u.s., la Federazione delle rappresentanze sindacali di
 base, il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia.
                         Considerato in diritto
   1. -  Va preliminarmente dichiarata, per le ragioni  esposte  nella
 sentenza  n.  31  del 2000, la ricevibilita' delle memorie depositate
 dai soggetti diversi dai presentatori della richiesta di  referendum,
 con la conseguente illustrazione orale.
   2.   -   La   richiesta   di   referendum   abrogativo,  sulla  cui
 ammissibilita' la Corte e' chiamata a pronunziarsi, investe l'art. 18
 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta'
 e dignita' dei lavoratori, della liberta'  sindacale  nei  luoghi  di
 lavoro  e  norme  sul collocamento), nel testo vigente, quale risulta
 dalle modifiche di cui all'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n.  108
 (Disciplina dei licenziamenti individuali).
   La  disposizione  oggetto  del quesito prevede la c.d. tutela reale
 contro  il  licenziamento,  tutela  il  cui  tratto  fondamentale  e'
 rappresentato dal potere del giudice, nei casi di recesso inefficace,
 nullo  ovvero  ingiustificato,  di  ordinare  al  datore di lavoro di
 reintegrare il dipendente nel posto di lavoro  e  di  corrispondergli
 una  indennita'  dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva
 reintegrazione.
   3.  -  E'  opportuno   rammentare,   brevemente,   in   prospettiva
 diacronica,  come  l'originaria  normativa del codice civile del 1942
 contemplasse la piena liberta' di recesso (c.d. recesso ad nutum) del
 datore di lavoro nel rapporto a tempo indeterminato,  con  il  limite
 dell'obbligo   di   preavviso,   ovvero   della   corresponsione   di
 un'indennita'  sostitutiva  (art.  2118  cod.  civ.);  obbligo   che,
 peraltro,  veniva meno in presenza di una giusta causa di risoluzione
 del rapporto lavorativo, tale da  non  consentirne  la  prosecuzione,
 anche provvisoria (art. 2119 cod. civ.).
   Detta disciplina sopravvisse, nella sua generale portata, sino alla
 legge  15  luglio 1966, n. 604, con la quale fu introdotto il diverso
 principio di necessaria giustificazione del licenziamento  (art.  1),
 richiedendosi  a  tal fine che l'atto di recesso del datore di lavoro
 fosse, comunque, sorretto da una "giusta causa" (art. 2119 cod. civ.)
 ovvero  da  un  "giustificato  motivo" (art. 3 della legge n. 604 del
 1966), alla cui insussistenza conseguiva l'obbligo  del  medesimo  di
 riassumere   il  dipendente  o,  alternativamente,  di  versagli  una
 indennita' risarcitoria, secondo quanto stabilito dall'art.  8  della
 stessa legge n. 604. A tale regime, detto di tutela obbligatoria, dal
 quale  erano esclusi, in linea generale (e salvo ulteriori specifiche
 esclusioni), i datori di lavoro che occupassero sino a 35  dipendenti
 (art. 11), ha fatto poi seguito la legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d.
 statuto  dei  lavoratori),  che,  con l'art. 18, ha introdotto, per i
 casi di accertata inefficacia, nullita' o mancanza di giustificazione
 del licenziamento, il regime  di  c.d.  tutela  reale  del  posto  di
 lavoro,  sia  pure  limitandone  l'applicazione (art. 35 della stessa
 legge  n.    300)  alle  imprese,  industriali  e  commerciali,   che
 occupassero  piu' di 15 dipendenti nell'ambito dell'unita' produttiva
 ovvero nell'ambito dello stesso comune, nonche' alle imprese agricole
 che occupassero, in analoghe situazioni, piu'  di  5  dipendenti.  La
 stessa  norma ha, inoltre, previsto (dal quarto al settimo comma) una
 speciale procedura atta a garantire, nello stesso ambito di  materia,
 la  sollecita  risoluzione delle controversie nelle quali e' parte il
 lavoratore sindacalista.
   La c.d. tutela  reale,  nei  termini  in  cui  risulta  attualmente
 disciplinata dopo l'intervento in materia della legge 11 maggio 1990,
 n.  108 (art.   1), comporta, oltre all'obbligo di reintegrazione del
 lavoratore nel posto di lavoro, quello del risarcimento del danno dal
 medesimo subito,  in  ragione  di  una  indennita'  commisurata  alla
 retribuzione  globale  di fatto dal giorno del licenziamento a quello
 di effettiva reintegrazione (e  in  ogni  caso,  non  inferiore  a  5
 mensilita'  della  retribuzione globale di fatto), cui si aggiunge il
 versamento, per lo stesso periodo,  dei  contributi  assistenziali  e
 previdenziali.    Spetta,  inoltre,  al  lavoratore  la  facolta'  di
 richiedere, in luogo della reintegrazione nel  posto  di  lavoro,  il
 pagamento  di  una  indennita' sostitutiva pari a 15 mensilita' della
 retribuzione globale di fatto.
   Dai sopra menzionati interventi normativi e' derivato un quadro  di
 disciplina  che,  secondo le indicazioni della medesima legge n.  108
 del 1990, comporta:
     un'area di applicazione dell'art. 18 della legge n. 300 del  1970
 che   riguarda   tutti  i  datori  di  lavoro,  imprenditori  o  non,
 nell'ambito dei  previsti  limiti  dimensionali,  ma  con  estensione
 dell'area  stessa  all'ulteriore  ipotesi  di  datori  di  lavoro che
 occupino piu' di 60 dipendenti (art. 1);
     un'area di applicazione della legge n. 604 del  1966,  estesa  ai
 datori  di  lavoro, imprenditori non agricoli e non imprenditori, che
 occupino sino a 15 dipendenti (sino  a  5  dipendenti  nei  confronti
 degli   imprenditori   agricoli),  ovvero  che  occupino  sino  a  60
 dipendenti qualora non sia applicabile l'art. 18 della legge  n.  300
 del 1970, come modificato dalla stessa legge n. 108 del 1990 (art. 2,
 comma 1);
     l'applicazione  della  tutela  reale,  ex  art.  18,  nel caso di
 licenziamento discriminatorio, quale che sia il numero dei dipendenti
 occupati, con estensione di siffatta tutela anche ai dirigenti  (art.
 3);
     la  restrizione  (art.  4),  ferma  restando  la tutela di cui al
 precedente art.  3  nell'ipotesi  di  licenziamento  discriminatorio,
 dell'area  di  libera  recedibilita'  a  talune circoscritte ipotesi,
 specificamente individuate ovvero chiaramente desumibili  in  via  di
 interpretazione:      lavoro  domestico  (legge  n.  339  del  1958);
 lavoratori ultrasessantenni in possesso dei  requisiti  pensionistici
 (salvo   che   abbiano   optato  per  la  prosecuzione  del  rapporto
 lavorativo); dirigenti (eccezione ricavabile dal fatto che l'art.  10
 della legge n. 604 del 1966 non e' stato oggetto di modifica);
     l'esclusione  (art.  4), infine, della tutela reale nei confronti
 delle c.d. "organizzazioni di tendenza" che non abbiano fini di lucro
 (le quali, secondo la consolidata giurisprudenza,  sono  soggette  al
 regime di tutela obbligatoria).
   Per una piu' esauriente illustrazione delle disposizioni vigenti in
 materia,  non  va ignorata, infine, la legge 9 febbraio 1999, n.  30,
 recante  "Ratifica  ed  esecuzione  della  Carta   sociale   europea,
 riveduta,  con  annesso,  fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996". Detta
 Carta, entrata in vigore il 1 settembre 1999,  contiene  disposizioni
 volte a circondare di specifiche garanzie la posizione dei prestatori
 di  lavoro  contro  i licenziamenti, prevedendo, in particolare (art.
 24), l'impegno delle parti contraenti a riconoscere  il  diritto  dei
 lavoratori a non essere licenziati senza un valido motivo; il diritto
 dei   lavoratori  licenziati  senza  valido  motivo  "ad  un  congruo
 indennizzo o altra adeguata riparazione"; il diritto  dei  lavoratori
 stessi a ricorrere davanti ad un organo imparziale.
   3.   -   Tanto   premesso   sulla  normativa  vigente  in  tema  di
 licenziamenti individuali, la Corte rileva  che  il  quesito  risulta
 formulato  in  modo  univoco  e  chiaro,  investendo  una  disciplina
 unitaria, contenuta in un solo articolo di legge, in  riferimento  ad
 un  tipo specifico di tutela avverso il licenziamento individuale. Il
 tutto in vista di effetti meramente abrogativi e non manipolativi.
   4.  -  Non  ricorre,  inoltre,  alcuna   delle   ipotesi   ostative
 espressamente    elencate   all'art.   75,   secondo   comma,   della
 Costituzione.
   5. - La richiesta non trova ostacolo nemmeno nei  limiti  impliciti
 al  referendum  che  la giurisprudenza di questa Corte ha individuato
 nella  inammissibilita'  di  quesiti  che  investono  leggi  c.d.  "a
 contenuto   costituzionalmente   vincolato",  in  quanto  vertono  su
 disposizioni la cui abrogazione si traduce in una lesione di principi
 costituzionali.    Ipotesi,  questa,  nella  quale  la   Corte,   con
 successive  puntualizzazioni,  e' venuta ad annoverare anche le leggi
 ordinarie la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di  ogni
 tutela per situazioni che tale tutela esigono secondo Costituzione.
   Sotto  questo  profilo, va osservato che la disposizione oggetto di
 quesito  e'  indubbiamente  manifestazione  di   quell'indirizzo   di
 progressiva  garanzia  del diritto al lavoro previsto dagli artt. 4 e
 35 della   Costituzione, che ha portato,  nel  tempo,  ad  introdurre
 temperamenti  al  potere  di  recesso  del  datore di lavoro, secondo
 garanzie affidate alla discrezionalita'  del  legislatore,  non  solo
 quanto  alla  scelta  dei  tempi,  ma  anche  dei  modi  d'attuazione
 (sentenze n. 194 del 1970, n. 129 del 1976 e n. 189 del 1980).
   In  riferimento a tale discrezionalita', e' da escludere, tuttavia,
 che la disposizione che si intende sottoporre  a  consultazione,  per
 quanto  espressiva  di  esigenze ricollegabili ai menzionati principi
 costituzionali, concreti l'unico possibile  paradigma  attuativo  dei
 principi medesimi.
   Pertanto,  l'eventuale  abrogazione della c.d. tutela reale avrebbe
 il solo effetto di espungere uno dei modi per realizzare la  garanzia
 del  diritto  al lavoro, che risulta ricondotta, nelle discipline che
 attualmente  vigono  sia  per  la  tutela  reale   che   per   quella
 obbligatoria,  al  criterio di fondo della necessaria giustificazione
 del licenziamento.  Ne', una volta rimosso l'art. 18 della  legge  n.
 300  del  1970, verrebbe meno ogni tutela in materia di licenziamenti
 illegittimi,    in    quanto    resterebbe,    comunque,     operante
 nell'ordinamento, anche alla luce dei principi desumibili dalla Carta
 sociale  europea,  ratificata  e  resa esecutiva con legge 9 febbraio
 1999, n. 30, la tutela obbligatoria prevista dalla  legge  15  luglio
 1966,  n. 604, come modificata dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, la
 cui tendenziale generalita' deve essere qui sottolineata.
   6. - Non costituisce, d'altro canto, ostacolo  alla  chiarezza  del
 quesito  l'esistenza di altre disposizioni, non investite dal quesito
 stesso, quali gli artt. 5, comma 3, e 17 della legge 23 luglio  1991,
 n.  223,  nonche' l'art. 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, che in
 materia, rispettivamente, di procedure di mobilita' dei lavoratori  e
 di   licenziamento   discriminatorio,   rinviano,  sotto  il  profilo
 sanzionatorio, alla disciplina vigente dell'art. 18  della  legge  n.
 300 del 1970.
   Va  da  se',  infatti,  che, per tali disposizioni, si produrranno,
 eventualmente, i normali effetti caducatori o di adattamento, la  cui
 individuazione esula dai compiti di questa Corte.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  ammissibile  la  richiesta  di referendum popolare, cosi'
 come integrata a seguito dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per  il
 referendum  del  7-13 dicembre 1999, per l'abrogazione della legge 20
 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla  tutela  della  liberta'  e
 dignita'  dei  lavoratori,  della liberta' sindacale e dell'attivita'
 sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" e successive
 modificazioni, limitatamente all'art. 18, come  modificato  dall'art.
 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108; richiesta dichiarata legittima,
 con  la  suddetta  ordinanza, dall'Ufficio centrale per il referendum
 costituito presso la Corte di cassazione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000.
                        Il Presidente: Vassalli
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 7 febbraio 2000.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 00C0140