N. 50 SENTENZA 3 - 7 febbraio 2000

 Giudizio di ammissibilita' di richiesta di referendum abrogativo.
 Referendum  abrogativo  -  Processo  penale  - Disciplina dei termini
    della custodia  cautelare  -  Richiesta  referendaria  volta  alla
    radicale  e  complessiva  sostituzione  della  disciplina  vigente
    attraverso la c.d. tecnica del ritaglio - Quesito privo di  natura
    abrogativa,  espressivo  di  potesta'  legislativa  in  positivo -
    Difetto del carattere  di  omogeneita'  -  Inammissibilita'  della
    richiesta  referendaria.   D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, artt.
    303, commi 1, 2, 3 e 4, e 304, comma 6.
  Costituzione, art. 75.

(GU n.7 del 11-2-2000 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici: prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,  dott. Riccardo CHIEPPA,
 prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio   ONIDA,   prof.   Carlo
 MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI MODONA, prof.
 Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI, dott. Franco BILE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di  ammissibilita',  ai  sensi  dell'articolo  2,  primo
 comma,  della  legge  costituzionale  11  marzo 1953, numero 1, della
 richiesta di referendum popolare per l'abrogazione  del  decreto  del
 Presidente  della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, "Approvazione
 del  codice  di  procedura  penale",  e   successive   modificazioni,
 limitatamente a:
     Articolo  303,  comma  1,  lettera a), limitatamente alle parole:
 "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il  giudizio
 ovvero  senza  che  sia stata pronunciata una delle sentenze previste
 dagli articoli 442, 448, comma 1, 561 e 563" e  alle  parole:  "o  la
 pena  della  reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero
 per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2,  lettera  a)
 sempre  che  per  lo stesso la legge preveda la pena della reclusione
 superiore nel massimo a sei anni", lettera  b):  "dall'emissione  del
 provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione
 della  custodia  sono  decorsi i seguenti termini senza che sia stata
 pronunciata sentenza di condanna di primo grado: 1) sei mesi,  quando
 si  procede  per  un delitto per il quale la legge stabilisce la pena
 della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;  2)  un  anno,
 quando  si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la
 pena  della  reclusione  non superiore nel massimo a vent'anni, salvo
 quanto previsto al numero 1); 3)  un  anno  e  sei  mesi,  quando  si
 procede  per  un  delitto  per  il  quale la legge stabilisce la pena
 dell'ergastolo o la pena della reclusione  superiore  nel  massimo  a
 venti  anni;" lettera c): "dalla pronuncia della sentenza di condanna
 di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione  della  custodia  sono
 decorsi  i  seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza
 di condanna in grado di  appello:  1)  nove  mesi,  se  vi  e'  stata
 condanna  alla  pena della reclusione non superiore a tre anni; 2) un
 anno, se  vi  e'  stata  condanna  alla  pena  della  reclusione  non
 superiore  a  dieci  anni;  3)  un  anno  e  sei mesi, se vi e' stata
 condanna alla pena dell'ergastolo  o  della  reclusione  superiore  a
 dieci anni;", lettera d): "dalla pronuncia della sentenza di condanna
 in  grado  di  appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia
 sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c)  senza  che
 sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia, se
 vi  e'  stata  condanna  in primo grado, ovvero se la impugnazione e'
 stata proposta esclusivamente  dal  pubblico  ministero,  si  applica
 soltanto   la  disposizione  del  comma  4.",  comma  2  e  comma  3,
 limitatamente alle parole: "relativamente a ciascuno  stato  e  grado
 del  procedimento",  comma  4:  "La durata complessiva della custodia
 cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo  305,
 non  puo' superare i seguenti termini: a) due anni, quando si procede
 per un delitto per  il  quale  la  legge  stabilisce  la  pena  della
 reclusione  non  superiore  nel  massimo a sei anni; b) quattro anni,
 quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce  la
 pena  della  reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo
 quanto previsto dalla lettera a); c) sei anni, quando si procede  per
 un  delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o
 della reclusione superiore nel massimo a venti anni.";
     Articolo 304, comma 6, limitatamente alle parole: "commi 1, 2,  e
 3 e i termini aumentati della meta' previsti dall'articolo 303, comma
 4,", giudizio iscritto al n. 132 del registro referendum.
   Vista  l'ordinanza  depositata  il  13  dicembre  1999 con la quale
 l'ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
 dichiarato legittima la richiesta;
   Udito nella camera di consiglio del  13  gennaio  2000  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
   Uditi  gli  avvocati  Federico  Sorrentino  e  Giuseppe Frigo per i
 presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele e
 per i promotori Cappato Marco e Della Vedova Benedetto.
                           Ritenuto in fatto
   1. - L'ufficio centrale per il  referendum,  costituito  presso  la
 Corte  di  cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
 352,  e  successive  modificazioni,  ha  esaminato  la  richiesta  di
 referendum  popolare  -  presentata  l'8  marzo  1999  da quattordici
 cittadini  italiani  e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica,  serie  generale,  n. 57 del 10 marzo 1999 - sul seguente
 quesito: "Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della
 Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, ''Approvazione  del  codice  di
 procedura penale'', e successive modificazioni, limitatamente a:
     Articolo  303,  comma  1,  lettera a), limitatamente alle parole:
 ''senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio
 ovvero senza che sia stata pronunciata una  delle  sentenze  previste
 dagli  articoli  442, 448, comma 1, 561 e 563'' e alle parole: ''o la
 pena  della  reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero
 per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera  a),
 sempre  che  per  lo stesso la legge preveda la pena della reclusione
 superiore nel massimo a sei anni'', lettera b): ''dall'emissione  del
 provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione
 della  custodia  sono  decorsi i seguenti termini senza che sia stata
 pronunciata sentenza di condanna di primo grado: 1) sei mesi,  quando
 si  procede  per  un delitto per il quale la legge stabilisce la pena
 della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;  2)  un  anno,
 quando  si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la
 pena della reclusione non superiore nel massimo  a  vent'anni,  salvo
 quanto  previsto  al  numero  1);  3)  un  anno e sei mesi, quando si
 procede per un delitto per il  quale  la  legge  stabilisce  la  pena
 dell'ergastolo  o  la  pena  della reclusione superiore nel massimo a
 venti anni;'',  lettera  c):  ''dalla  pronuncia  della  sentenza  di
 condanna  di  primo  grado  o  dalla  sopravvenuta  esecuzione  della
 custodia  sono  decorsi  i  seguenti  termini  senza  che  sia  stata
 pronunciata  sentenza  di condanna in grado di appello: 1) nove mesi,
 se vi e' stata condanna alla pena della reclusione  non  superiore  a
 tre  anni;  2)  un  anno,  se  vi  e'  stata condanna alla pena della
 reclusione non superiore a dieci anni; 3) un anno e sei mesi,  se  vi
 e'  stata  condanna  alla  pena  dell'ergastolo  o  della  reclusione
 superiore  a  dieci  anni'',  lettera  d):  ''dalla  pronuncia  della
 sentenza  di  condanna  in  grado  di  appello  o  dalla sopravvenuta
 esecuzione della custodia sono decorsi gli  stessi  termini  previsti
 dalla   lettera   c)   senza   che  sia  stata  pronunciata  sentenza
 irrevocabile di condanna. Tuttavia, se vi e' stata condanna in  primo
 grado, ovvero se la impugnazione e' stata proposta esclusivamente dal
 pubblico  ministero,  si  applica  soltanto la disposizione del comma
 4.'', comma 2 e comma 3, limitatamente alle parole: ''relativamente a
 ciascuno stato e grado  del  procedimento'',  comma  4:  ''La  durata
 complessiva  della  custodia cautelare, considerate anche le proroghe
 previste dall'articolo 305, non puo' superare i seguenti termini:  a)
 due anni, quando si procede per un delitto  per  il  quale  la  legge
 stabilisce  la  pena della reclusione non superiore nel massimo a sei
 anni; b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il  quale
 la  legge  stabilisce  la  pena  della  reclusione  non superiore nel
 massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c)  sei
 anni,  quando  si  procede  per  un  delitto  per  il  quale la legge
 stabilisce la pena dell'ergastolo o della  reclusione  superiore  nel
 massimo a venti anni.'';
     Articolo  304, comma 6, limitatamente alle parole: "commi 1, 2, e
 3 e i termini aumentati della meta' previsti dall'articolo 303, comma
 4,"?".
   2. - Con ordinanza depositata in data 13 dicembre  1999,  l'ufficio
 centrale  per  il  referendum  ha  dichiarato  la  legittimita' della
 richiesta, stabilendo come  denominazione  del  referendum:  "Termini
 massimi di custodia cautelare: contenimento".
   3.  -  Ricevuta  comunicazione dell'ordinanza dell'ufficio centrale
 per il referendum il Presidente ha convocato questa Corte  in  camera
 di  consiglio  per  il  13  gennaio  2000,  dandone  comunicazione ai
 presentatori  della  richiesta  referendaria  ed  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della
 legge n. 352 del 1970.
   4.  - I presentatori, avvalendosi della facolta' prevista dall'art.
 33, terzo comma, della legge n. 352 del  1970,  hanno  depositato  in
 data 7 gennaio 2000 una memoria, per sostenere l'ammissibilita' della
 richiesta.  Essi  hanno  precisato che il quesito referendario mira a
 rendere, attraverso una complessiva semplificazione della disciplina,
 la durata massima della custodia cautelare insensibile  alle  vicende
 del  processo  penale  e  a  produrre  un  rilevante abbassamento dei
 termini massimi di custodia cautelare.
   La difesa dei  promotori  osserva  che  la  attuale  previsione  di
 termini  di  custodia  corrispondenti  alle  varie  fasi del processo
 andrebbe a discapito non solo del principio della presunzione di  non
 colpevolezza  sino  alla  condanna  definitiva,  sancito dall'art. 27
 della Costituzione, ma  anche  dell'esigenza  di  certezza  circa  la
 durata  massima  della  custodia  cautelare,  espressa  dall'art. 13,
 ultimo comma, della Costituzione.
   Nella memoria  si  rileva  che  il  quesito  incide  principalmente
 sull'art.  303 del codice di procedura penale (parte della lettera a)
 del  comma  1;  lettere  b)  c) e d) del comma 1 per intero; l'ultimo
 inciso del comma 2; lo stesso inciso del comma 3; l'intero comma  4),
 mentre  in  relazione  all'art.  304  dello stesso codice il ritaglio
 proposto  svolgerebbe  una  mera  funzione  di  "cosmesi  normativa",
 diretta  ad  eliminare  il  riferimento  alle  disposizioni  alla cui
 abrogazione e' in via primaria finalizzata la proposta  referendaria,
 con  il  risultato  di  lasciare  una  disciplina autosufficiente del
 computo dei termini massimi di custodia cautelare.
   Il fine della proposta referendaria (e cioe' l'impermeabilita'  del
 sistema  di computo dei termini massimi della custodia cautelare alle
 vicende processuali e il sensibile contenimento degli stessi) sarebbe
 raggiunto attraverso la generalizzazione della regola  del  comma  1,
 lettera  a)  dell'art. 303, e attraverso la sua estensione - mediante
 l'abrogazione (oltre che delle espressioni che ne limitano la portata
 alla prima fase del giudizio) del comma 4, e delle lettere b), c),  e
 d) del comma 1 dello stesso art. 303 - a tutta la durata del processo
 penale.  Conseguentemente  sono  colpite dall'iniziativa referendaria
 parti del comma 2 e del comma 3 dell'art. 303, nonche'  del  comma  6
 dell'art. 304, strettamente collegate alle precedenti.
   Il  risultato  di  impedire  che  i termini ricomincino a decorrere
 nuovamente "all'inizio  di  ogni  stato  e  grado  del  procedimento"
 eviterebbe,  secondo  i  promotori, il prolungamento indefinito della
 custodia anche quando l'esigenza cautelare derivante dal pericolo  di
 inquinamento  delle  prove  non si giustifichi piu', dato il lasso di
 tempo  trascorso  dall'inizio  delle  indagini,  mentre  alle   altre
 esigenze  cautelari,  legate al pericolo di reiterazione del reato ed
 al pericolo di fuga, si potrebbe far fronte con altrettanta efficacia
 con misure meno afflittive.
   La memoria si conclude  sottolineando  che  il  quesito,  oltre  ad
 essere  rispettoso  dei limiti contenuti nell'art. 75, secondo comma,
 della
  Costituzione, avrebbe anche i necessari requisiti  di  chiarezza  ed
 intelligibilita',  ed  evidenziando  l'univocita' del fine perseguito
 dai  promotori  e   la   "matrice   razionalmente   unitaria"   delle
 disposizioni  di cui si chiede l'abrogazione, tale da non coartare la
 volonta' dell'elettore. Infine, i promotori rilevano che la normativa
 superstite risulterebbe pienamente autosufficiente e che l'inclusione
 nel  quesito  di  un  frammento normativo dell'art. 304, comma 6, del
 codice di procedura penale, che rinvia ai commi dell'art. 303 di  cui
 si  chiede  l'abrogazione,  sarebbe  volta  a  soddisfare esigenze di
 omogeneita' e completezza della proposta referendaria.
   Nell'illustrare la memoria nella camera di consiglio del 13 gennaio
 2000, i difensori dei promotori hanno ribadito le argomentazioni gia'
 svolte,  precisando  che  con  il  quesito  referendario  non  ci  si
 proporrebbe  di vanificare l'istituto della custodia cautelare quanto
 piuttosto di promuovere l'attuazione  del  principio  di  ragionevole
 durata  del processo, reso oggi cogente dal nuovo testo dell'articolo
 111 della Costituzione.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La   richiesta   di   referendum   abrogativo,   sulla   cui
 ammissibilita'  la  Corte  e'  chiamata  a  pronunciarsi,  investe la
 disciplina dei termini della custodia cautelare. Tale  disciplina  e'
 attualmente  articolata  in  relazione alle singole fasi e ai diversi
 gradi del procedimento  penale  (indagini  preliminari,  giudizio  di
 primo  grado,  giudizio di appello, restante corso del procedimento),
 che vengono assunti autonomamente l'uno dall'altro onde impedire  che
 il  termine  di custodia cautelare non utilizzato in una fase o in un
 grado precedente venga economizzato per essere utilizzato nelle  fasi
 o  nei  gradi  successivi. Per la fase delle indagini preliminari, ai
 fini della durata della custodia cautelare, si ha riguardo all'inizio
 della esecuzione della misura. Per le fasi che  seguono,  il  momento
 iniziale  e'  costituito rispettivamente dal rinvio a giudizio per il
 primo grado, dalla sentenza di primo grado per la  fase  d'appello  e
 dalla  sentenza  d'appello  per  la  restante parte del procedimento,
 ovvero,  in  tutti  i  casi,  dalla  sopravvenuta  esecuzione   della
 custodia.  La  perdita  di  efficacia  e'  a sua volta collegata alla
 mancata pronuncia del provvedimento conclusivo della fase o del grado
 (decreto che dispone il giudizio; sentenza non  definitiva;  sentenza
 irrevocabile) entro il termine rispettivamente stabilito.
   Quanto  all'entita'  dei  termini,  essa varia con le fasi e con la
 gravita' dei reati.  Per  la  fase  delle  indagini  preliminari,  il
 termine  massimo  di  custodia  e'  di tre mesi quando si procede per
 delitti puniti con la reclusione non  superiore  nel  massimo  a  sei
 anni, di sei mesi per i delitti puniti con pena superiore nel massimo
 a  sei  anni,  di  un  anno  se  la pena edittale e' l'ergastolo o la
 reclusione non inferiore nel  massimo  a  venti  anni  ovvero  se  si
 procede  per uno dei delitti indicati dall'art. 407, comma 2, lettera
 a), del codice di procedura penale, sempre che la pena  prevista  sia
 superiore  nel massimo a sei anni (articolo 303, comma 1, lettera a),
 cod. proc.  pen.).
   Per il giudizio di primo grado, il termine massimo di  custodia  e'
 di  sei mesi per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel
 massimo a sei anni, di un anno se la pena prevista non  e'  superiore
 nel  massimo  a  venti anni, salve le ipotesi ora menzionate, e di un
 anno e sei mesi se la pena prevista e' l'ergastolo  o  la  reclusione
 superiore  nel  massimo  a venti anni (articolo 303, comma 1, lettera
 b), cod. proc. pen.).
   Per il giudizio di appello, i termini massimi di custodia cautelare
 sono di nove mesi se vi e' stata condanna alla pena della  reclusione
 non  superiore  a tre anni, di un anno se la condanna alla pena della
 reclusione non e' stata superiore a dieci anni, di un anno e sei mesi
 se  vi  e' stata condanna all'ergastolo o alla reclusione superiore a
 dieci anni (articolo 303, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.).
   Per il restante corso del procedimento, i  termini  sono  uguali  a
 quelli  previsti  per  il giudizio di appello (articolo 303, comma 1,
 lettera d), cod. proc. pen.).
   Oltre ai termini stabiliti fase per fase, la durata della  custodia
 cautelare  incontra  limiti che investono globalmente l'intera durata
 del procedimento e che tengono in vario  modo  conto  degli  istituti
 della  proroga  (articolo 305 cod. proc. pen.), della sospensione dei
 termini  (articolo  304  cod.  proc.   pen.)   e   della   cosiddetta
 "neutralizzazione"  di  periodi processuali all'interno delle singole
 fasi (articolo 297, comma 4, cod. proc. pen.). L'articolo 303,  comma
 4,  cod.  proc.  pen.    stabilisce infatti che la durata complessiva
 della custodia cautelare,  considerate  anche  le  proroghe  previste
 dall'art.  305, non puo' superare i due anni quando si procede per un
 delitto punito con la reclusione non  superiore  nel  massimo  a  sei
 anni,  i  quattro anni quando si procede per un delitto punito con la
 reclusione non superiore nel massimo a venti  anni,  salva  l'ipotesi
 precedente,  e  i  sei  anni  quando si procede per un delitto per il
 quale e' previsto l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a
 venti anni. L'articolo 304, comma 6, cod. proc. pen., pur consentendo
 il  superamento  del  termine  complessivo   determinato   ai   sensi
 dell'articolo 303, comma 4, introduce un termine che viene denominato
 "massimo dei massimi", assolutamente invalicabile, stabilendo che "la
 durata  della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio
 dei termini previsti dall'articolo 303, commi 1, 2 e 3  e  i  termini
 aumentati  della  meta'  previsti  dall'art. 303, comma 4, ovvero, se
 piu' favorevole, i  due  terzi  del  massimo  della  pena  temporanea
 prevista per il reato contestato o ritenuto  in sentenza".
   Infine,  i  commi 2 e 3 dell'articolo 303 cod. proc. pen. prevedono
 il nuovo decorso dei termini stabiliti per ciascuna fase in  caso  di
 regresso  del  procedimento  o  di rinvio ad altro giudice ovvero nel
 caso di evasione dell'imputato sottoposto a custodia cautelare.
   2. - Il  quesito  referendario  si  propone  di  pervenire  ad  una
 disciplina dei termini di durata massima della custodia cautelare nel
 senso  che  questa  perda  efficacia  quando  dall'inizio  della  sua
 esecuzione siano decorsi i seguenti termini: 1) tre mesi  allorquando
 si  procede  per  un delitto per il quale la legge stabilisce la pena
 della reclusione non superiore a sei anni;  2)  sei  mesi  quando  si
 procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della
 reclusione  in misura superiore a sei anni, salvo quanto previsto dal
 successivo numero 3; 3) un anno quando si procede per un delitto  per
 il  quale  la  legge stabilisce la pena dell'ergastolo. Si perviene a
 questa  disciplina  di  risulta  attraverso  il   taglio   di   parti
 dell'originario testo (articolo 303: parte della lettera a) del comma
 1;  lettere  b), c), e d) del comma 1 per intero; l'ultimo inciso del
 comma 2; lo stesso inciso del comma 3; l'intero comma 4), cosi' che i
 termini  attualmente  previsti  per  la  sola  fase  delle   indagini
 preliminari  divengano  i  limiti  massimi  di custodia cautelare per
 tutta la durata del processo,  indipendentemente  dalle  fasi  e  dai
 gradi  in  cui  esso si articola. Il quesito incide anche sul comma 6
 dell'articolo 304, nel senso che  il  limite  finale  verrebbe  fatto
 consistere   esclusivamente  nel  doppio  dei  termini  previsti  dal
 riformulato  articolo  303  o,  se piu' favorevole, nei due terzi del
 massimo della pena prevista per il reato  contestato  o  ritenuto  in
 sentenza.
   Ne  risulterebbe  altresi',  rispetto  all'attuale  disciplina,  un
 diverso apprezzamento, in  riferimento  alla  durata  della  custodia
 cautelare,  dei  reati  per  i  quali  e'  stabilita  la  pena  della
 reclusione non inferiore  nel  massimo  a  venti  anni  e  di  quelli
 indicati  nell'articolo 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. per
 i quali sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a
 sei anni. In relazione a tali reati, che per la fase  delle  indagini
 preliminari  il  legislatore ha accomunato quanto a gravita', ai fini
 della determinazione dei termini di custodia cautelare, a quelli  per
 i  quali  e' prevista la pena dell'ergastolo, il quesito referendario
 propone, attraverso la tecnica del ritaglio, a questi  fini,  ma  per
 l'intero  procedimento, l'assimilazione a tutti gli altri delitti per
 i quali il massimo edittale e' superiore a sei anni.
   3. - Il quesito  trascende,  inammissibilmente,  i  limiti  segnati
 dall'articolo  75  della  Costituzione,  che  consente  il referendum
 abrogativo totale o parziale di una legge o di un atto avente  valore
 di  legge, e non il referendum introduttivo di discipline legislative
 completamente nuove.
   L'effetto innovativo sulla  disciplina  vigente,  connaturale  alla
 abrogazione,   non  conseguirebbe,  nella  specie,  alla  fisiologica
 espansione della sfera di operativita' di una  norma  gia'  presente,
 dotata,   in   ipotesi,   di  un  suo  ambito  di  applicazione  piu'
 circoscritto, riguardante i termini massimi della custodia  cautelare
 riferibili  direttamente  all'intero  procedimento  penale,  ma  alla
 posizione di un sistema di norme radicalmente nuovo  che  andrebbe  a
 sostituirsi  alle  norme  da  eliminare  grazie  ad una operazione di
 taglio di parole o di parti del testo e di ricucitura delle parole  o
 delle  parti  residue, con sostanziale stravolgimento della struttura
 delle originarie  disposizioni  e  del  loro  significato  normativo.
 Alcune  parole  impiegate  dal  legislatore  per  stabilire il limite
 massimo della custodia cautelare nell'ambito della  sola  fase  delle
 indagini  preliminari verrebbero tenute ferme ("la custodia cautelare
 perde  efficacia  quando  ..."),  estrapolandole  dal  contesto   che
 conferisce  ad  esse  significato;  altre parole prive di un autonomo
 significato ("senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone
 il  giudizio  ...")  e  intere  proposizioni  (parte  del  numero   3
 dell'articolo 303, comma 1, lettera a); le intere lettere b), c) e d)
 del  medesimo  comma)  verrebbero eliminate, cosi' che le parole e le
 proposizioni  residue  assumerebbero,   saldandosi   tra   loro,   un
 significato totalmente diverso.
   Si  e'  qui in presenza non gia' di un quesito meramente abrogativo
 ma di un quesito introduttivo, teso a porre,  per  via  referendaria,
 norme  che  attualmente  non esistono, in quanto in nessun caso nella
 disciplina vigente  i  termini  massimi  di  custodia  cautelare  che
 risulterebbero  dall'abrogazione  referendaria  sono individuati come
 tali dal legislatore per l'intero procedimento.
   Di fronte  a  un  quesito  siffatto,  questa  Corte  non  puo'  non
 sottolineare la differenza dall'ipotesi considerata nella sentenza n.
 13 del 1999, con la quale, nonostante la tecnica del ritaglio, non e'
 stato   negato   il   carattere   puramente  abrogativo  del  quesito
 referendario  in  quanto   ordinato   a   provocare,   mediante   una
 soppressione  di una parte piu' o meno estesa del testo, l'espansione
 di una disciplina gia' esistente, provvista di un suo proprio  ambito
 di applicazione, ancorche' originariamente residuale.
   Al  caso di specie si attagliano i rilievi gia' formulati da questa
 Corte con la sentenza n. 36 del 1997 nei confronti  dei  quesiti  non
 meramente  abrogativi,  ma  espressivi di una potesta' legislativa in
 positivo,  estranea  alla  configurazione  del  referendum   previsto
 dell'articolo  75  della  Costituzione.  E' agevole individuare nella
 struttura  del  quesito,  accanto  al  profilo  di  soppressione   di
 locuzioni  verbali  prive in se' di significato normativo, un profilo
 di sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa
 "non derivante direttamente dall'estensione di preesistenti  norme  o
 dal  ricorso  a  forme  autointegrative  ma  costruita  attraverso la
 saldatura di frammenti lessicali eterogenei". E come nel caso risolto
 con la sentenza n.   36 del 1997, cosi'  nel  caso  presente  non  si
 propone   tanto  al  corpo  elettorale  una  ablazione  di  contenuti
 normativi quanto una  nuova  norma  direttamente  costruita  con  una
 tecnica di tagli e cuciture, per di piu' necessariamente condizionata
 dal  limite  di non poter calibrare la volonta' innovativa attraverso
 l'uso di parole e termini diversi da quelli presenti nel testo.
   Si aggiunga che la nuova disciplina che con il quesito  si  intende
 porre  avrebbe  imponenti  effetti  di  sistema, tali da far si' che,
 quali che  siano  le  finalita'  che  possono  essere  legittimamente
 perseguite  dal  legislatore attraverso l'istituto della carcerazione
 preventiva   previsto   dall'articolo   13,   ultimo   comma,   della
 Costituzione,    esse,   nel   contesto   del   vigente   ordinamento
 processualpenale, non potrebbero in  alcun  modo  realizzarsi.  Basti
 considerare  che  nel  termine  di sei mesi, quando si procede per un
 delitto per il quale la legge stabilisce  la  pena  della  reclusione
 superiore  nel  massimo  a  sei  anni  (ipotesi questa che, a seguito
 dell'abrogazione referendaria, si riferirebbe anche  a  reati  per  i
 quali  e' stabilita la pena della reclusione fino a trenta anni, come
 ad esempio il sequestro di persona a scopo  di  estorsione  o  talune
 ipotesi  di  omicidio aggravato), o nel termine di un anno, quando si
 procede per un delitto per il  quale  la  legge  stabilisce  la  pena
 dell'ergastolo,  si  dovrebbero  svolgere il processo di primo grado,
 quello di appello e il giudizio di legittimita' affinche' la sentenza
 definitiva sia pronunciata nei confronti di un imputato in  stato  di
 custodia.  Senza dire che nei procedimenti a carico dei minorenni, ai
 sensi dell'articolo 23 del d.P.R. 22  settembre  1988,  n.  448,  gli
 anzidetti  termini  sono ridotti della meta' per i reati commessi dai
 minori degli anni diciotto e dei due terzi  per  quelli  commessi  da
 minori degli anni sedici.
   Ne'  la vanificazione delle finalita' della carcerazione preventiva
 risulterebbe meno evidente a causa della possibilita', che il quesito
 referendario fa salva, che il termine di  custodia  cautelare,  nelle
 ipotesi  di  sospensione  previste dall'articolo 304 cod. proc. pen.,
 possa  espandersi  sino  al  doppio,  termine  massimo  che  comunque
 potrebbe  essere  in larga parte consumato gia' prima dell'inizio del
 processo a causa delle proroghe concesse,  durante  le  indagini,  ai
 sensi  dell'articolo  305,  comma 2, cod. proc. pen., non toccato dal
 quesito referendario.
   A  una  diversa  valutazione circa l'ammissibilita' della richiesta
 non inducono le considerazioni svolte nella discussione dalla  difesa
 dei  promotori,  secondo  cui  l'intendimento  sotteso al quesito non
 sarebbe la vanificazione dell'istituto della custodia  cautelare,  ma
 la  promozione  del principio di ragionevole durata del processo.  Si
 tratta di un intendimento riformatore  che,  pur  rispondendo  a  una
 esigenza  generalmente  avvertita  ed  anzi oramai costituzionalmente
 imposta dal nuovo testo dell'articolo 111, richiederebbe una  riforma
 complessiva  del sistema della giustizia penale, non attuabile in via
 referendaria, tanto meno attraverso l'abrogazione manipolativa  della
 disciplina  dei termini della custodia cautelare, che da quel sistema
 non puo' restare avulsa.
   4. - Sotto un concorrente  profilo,  il  quesito  e'  inammissibile
 perche'   privo  del  carattere  di  omogeneita',  individuato  nella
 giurisprudenza costituzionale, a  tutela  della  liberta'  di  scelta
 dell'elettore,   quale   requisito   delle  richieste  di  referendum
 abrogativo. Non risponde ad alcuna necessita' logica o giuridica  che
 l'eventuale  propensione negli elettori a ridurre anche drasticamente
 i termini massimi di  custodia  cautelare  significhi  altresi',  per
 ciascuno  di  essi,  apprezzare  diversamente  la  gravita' di intere
 categorie di reati, come suppone il  quesito  referendario  la'  dove
 propone,  attraverso l'abrogazione manipolativa dell'inciso contenuto
 nell'articolo 303, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. ("o  la  pena
 della  reclusione  non  inferiore nel massimo a venti anni ovvero per
 uno dei delitti indicati nell'articolo  407,  comma  2,  lettera  a),
 sempre  che  per  lo stesso la legge preveda la pena della reclusione
 superiore  nel  massimo  a  sei  anni"),  l'assimilazione  di  queste
 ipotesi,  quanto  alla  durata  del  termine  massimo  della custodia
 cautelare, a quelle meno  gravemente  valutate  dal  legislatore  nel
 numero 2 del citato articolo 303, comma 1, lettera a).
   Le norme che stabiliscono i termini massimi di custodia cautelare e
 quelle  nelle  quali si esprime l'apprezzamento del legislatore circa
 la gravita' dei reati, sia pure al fine di calibrare la durata  della
 custodia stessa, corrispondono a scelte potenzialmente autonome sulle
 quali  gli  elettori devono essere lasciati liberi di compiere scelte
 distinte. Fa dunque difetto quella matrice razionalmente unitaria che
 sola puo' rendere ammissibile la proposta di un unico quesito.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la  richiesta  di  referendum  popolare  per
 l'abrogazione,  nelle parti indicate in epigrafe, dei commi 1, 2, 3 e
 4 dell'articolo 303 e del comma 6 dell'articolo 304 del  decreto  del
 Presidente  della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, "Approvazione
 del  codice  di  procedura  penale",  e   successive   modificazioni,
 richiesta  dichiarata  legittima, con ordinanza depositata in data 13
 dicembre 1999, dall'ufficio  centrale  per  il  referendum  costituto
 presso la Corte di cassazione.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000.
                        Il Presidente: Vassalli
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 7 febbraio 2000.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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