N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 dicembre 1998
Ordinanza emessa il 1o dicembre 1998 (recte 9 dicembre 1999) dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di De Lorenzo Francesco ed altri Processo penale - Udienza preliminare - Collegio per i reati ministeriali - Incompatibilita' ad emettere il decreto che dispone il giudizio - Mancata previsione - Lesione dei principi di eguaglianza, di presunzione di non colpevolezza e del giusto processo. - Legge 5 giugno 1989, n. 219. - Costituzione, artt. 3, 27, secondo comma e 111; legge 16 gennaio 1989, n. 1, art. 9.(GU n.11 del 8-3-2000 )
IL TRIBUNALE Visti gli atti del procedimento a carico di Francesco De Lorenzo, nato a Napoli il 5 giugno 1938, ed altri imputati del reato di cui agli artt. 81, cpv., 110, 319 e 321, c.p., commesso in Roma il 16 luglio 1991; Rilevato che lo stesso e' stato rinviato a giudizio dal collegio per i procedimenti relativi ai reati previsti dall'art. 96 della Costituzione con decreto del 24 luglio 1998 e che, per impedimenti dell'imputato e/o del difensore, la costituzione effettiva di tutte le parti ha avuto luogo solo all'udienza del 9 dicembre 1999; Rilevato che in tale udienza il difensore del De Lorenzo ha eccepito, in via principale, la nullita' del decreto che dispone il giudizio in quanto emesso da organo che ha svolto funzioni di p.m. e, quindi, incompatibile con quello di giudice dell'udienza preliminare e, in subordine, l'incostituzionalita' della legge 5 giugno 1989, n. 219, nella parte in cui non prevede espressamente l'incompatibilita' del collegio a svolgere funzioni di giudice dell'udienza preliminare; Osserva in diritto Ad avviso di questo collegio la consequenzialita' delle eccezioni proposte dalla difesa deve essere modificata nel senso che, in primo luogo, deve essere accertata la costituzionalita' della legge n. 219 del 1989 e solo se essa e' in contrasto con la Costituzione e con la legge costituzionale n. 1 del 1989 puo' essere rilevata l'incompatibilita' tra le due funzioni, di p.m. e di giudice dell'udienza preliminare, ritenute proprie del collegio previsto dalla legge costituzionale del 1989. Tale accertamento e' essenziale per il proseguimento del giudizio in quanto, se viene dichiarata l'incostituzionalita' della legge n. 219 del 1989, il giudizio in corso deve redigere nuovamente alla fase dell'udienza preliminare con tutte le conseguenze del caso. Questo collegio ritiene non manifestamente infondata l'eccezione d'incostituzionalita' della legge n. 219 del 1989 in quanto in contrasto sia con i principi costituzionali di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.) sia con quelli del c.d. giusto processo (art. 111 Cost.). E' noto che la legge costituzionale n. 1 del 1989 fu promulgata per venire incontro alle giuste richieste della societa' italiana allo scopo di eliminare quella che da prerogativa di salvaguardia delle funzioni parlamentari era divenuta un vero e proprio privilegio dei parlamentari per autoescludersi da qualsiasi forma di giudizio, anche per reati contravvenzionali. Il legislatore costituzionale, probabilmente per la lunga procedura di approvazione di una legge costituzionale, non tenne conto della prossima entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale per cui si limito', in sostanza, a ripristinare l'istituto della sezione istruttoria sia pure sotto altro nome e con diversa designazione dei suoi componenti. Come e' noto, quell'organo giurisdizionale era previsto dal codice ora abrogato ed aveva, originariamente, sia una funzione istruttoria vera e propria, a seguito di rimessione degli atti da parte del procuratore generale presso la Corte di appello, sia una funzione di giudice di appello. Nella prima vesta aveva tutti i poteri del giudice istruttore per cui poteva svolgere indagini, emettere provvedimenti cautelari e prosciogliere o rinviare a giudizio. Questa funzione, pero', a seguito della dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 234, comma 2, del codice di procedura abrogato che ebbe luogo con sentenza del 22 giugno 1963, n. 110, esercito' solo ed esclusivamente funzioni di giudice di appello. La legge costituzionale stabili' una rigida esclusione del p.m. dalle indagini preliminari nei confronti dei ministri imputati di reati (art. 6, comma 2: "omessa ogni indagine") tanto e' vero che se questo organo prevede e richiede ulteriori indagini il collegio valuta la richiesta e decide in merito. Sempre la legge costituzionale prevede che a seguito della concessione dell'autorizzazione dell'Assemblea parlamentare competente gli atti vanno rimessi al collegio "perche' continui il procedimento secondo le norme vigenti" (art. 9, ultimo comma, legge cit.). E' ovvio che fino all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale tale normativa non faceva sorgere alcun problema di competenza o di incompatibilita' in quanto il giudice istruttore, che aveva le stesse funzioni del collegio di cui all'art. 7 della legge n. 1 del 1989, svolgeva le indagini, motu proprio o richieste del p.m., emetteva provvedimenti cautelari e alla fine emanava o sentenza di proscioglimento od ordinanza di rinvio a giudizio. Con l'entrata in vigore del nuovo codice questo sistema deve ritenersi sovvertito con l'abrogazione della figura del giudice istruttore e, a maggior ragione, dalle numerose sentenze della Corte costituzionale che, in applicazione del principio del c.d. giusto processo, ha emesso una serie di sentenze a tutela dell'imputato prevedendo l'esclusione (rectius: l'incompatibilita') del giudice tutte le volte che condizionamenti od apparenti condizionamenti derivanti da precedenti valutazioni cui il giudice sia stato chiamato nell'ambito del medesimo procedimento possano pregiudicare o far apparire pregiudicata l'attivita' di giudizio (cfr. Corte cost. sentenza n. 131 del 1996). Non vi e' dubbio che il collegio per i reati ministeriali, come viene definito nel gergo forense, ha funzioni inquisitorie, sia pure svolte con la garanzia del giudice, ["... il collegio procede alle indagini di cui al comma 1 con poteri che spettano al pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari." (art. 1, comma 2, legge n. 219 del 1989)] e puo' emettere provvedimenti coercitivi. Entrambe queste attivita' sono in palese contrasto con la funzione di giudice dell'udienza preliminare per una serie di motivi. L'emissione di provvedimenti coercitivi non ricorre nel caso in esame ma e' indubbio che, alla luce della sentenza n. 155 del 1996 della Corte, il collegio per i reati ministeriali che abbia emesso una misura cautelare non possa decidere su una richiesta di applicazione della pena o con il rito del giudizio abbreviato. La funzione del giudice delle indagini preliminari prevista dal codice vigente, poi, non contempla lo svolgimento delle indagini preliminari che sono devolute, per legge, al p.m. ma solo un controllo giurisdizionale di alcune attivita' del p.m. Ora, se nel detto collegio confluiscono l'attivita' inquisitoria delle indagini e quella giurisdizionale dell'esame di tale attivita' al fine di decidere il rinvio a giudizio tutto questo e' in palese contrasto sia con il dettato costituzionale sia con tutte le sentenze emesse dalla Corte sul presupposto che ogni incompatibilita' endoprocessuale e' la preesistenza di valutazioni che cadano sulla medesima res judicanda (v. sentenze nn. 131 del 1996, 455 del 1994, 439 del 1993, 186 e 124 del 1992) sia con il codice di procedura penale oggi in vigore. Questa applicazione della legge costituzionale non deriva, come e' ovvio, dalla norma stessa ma dall'emanazione della legge n. 219 del 1989 e dalla interpretazione di detta legge da parte della Corte di cassazione. In effetti la legge costituzionale, come e' gia' rilevato prima, si limito' a disporre la continuazione del procedimento "secondo le norme vigenti" (e non secondo le norme oggi vigenti ossia allora in vigore) il che, da un lato, garantiva la prosecuzione del procedimento con l'applicazione del codice allora in vigore e, dall'altro, stabiliva che con l'entrata in vigore del nuovo codice o di qualsivoglia altra norma processuale futura doveva applicarsi, ovviamente, la nuova procedura. Il legislatore ordinario, invece, nel mentre ha disciplinato l'attivita' del collegio per i reati ministeriali, precisando le modalita' e gli atti che tale organo puo' compiere, nulla ha deciso in merito all'udienza preliminare limitandosi a ribadire che "Quando gli atti siano stati rimessi ai sensi del comma 4 dell'art. 9 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, al collegio ivi indicato il procedimento continua secondo le norme ordinarie vigenti al momento della rimessione." (art. 3, comma 1, e il collegio, a sua volta, trasmette gli atti al procuratore della Repubblica. Sembrerebbe ovvio che, a questo punto, il procedimento continui con il rito ordinario ossia con la richiesta di rinvio a giudizio fatta al giudice dell'udienza preliminare secondo gli artt. 416 e sgt., c.c.p., non essendovi alcuna incompatibilita' ne' con la legge costituzionale del 1989 ne' con la legge n. 219 del 1989 ma, anzi, essendo espressamente previsto il ricorso al rito ordinario vigente da entrambe le norme. Sennonche' la Corte di cassazione, con giurisprudenza costante, ha ritenuto la competenza del collegio per i reati ministeriali a proseguire il procedimento, contro ogni logica costituzionale e processualistica e senza mai sollevare, dal 1991 in poi, problemi di costituzionalita' ritenendo, da un lato, a seguito del complessivo esame del quadro normativo delineato dalle legge costituzionale n. 1 del 1989 e ordinaria n. 219 del 1989, di dover escludere che detta funzione spetti al giudice dell'udienza preliminare anche in caso d'incompatibilita' potendosi far ricorso ai membri supplenti (cfr. Cass. sez. I, 26 settembre 1996, n. 4464, in Mass. dec. pen. 1996, m. 205.696) sia asserendo formalmente che il legislatore [non viene precisato quale] ha consapevolmente attribuito al tribunale per i reati ministeriali una natura ibrida assegnandogli compiti di indagini e di giudizio (cfr. Cass. sez. VI, 15 maggio 1997, n. 706, in Mass. dec. pen. 1997, m. 208.214). Ora, anche ammesso che vi fosse la consapevolezza del legislatore ordinario questo non esclude che la norma possa essere in contrasto con i principi costituzionali ora enunciati. Il tribunale non ignora che la Corte costituzionale ha ritenuto che l'udienza preliminare che si svolge nel processo penale ordinario abbia carattere esclusivamente processuale (cfr. le sentenze nn. 191 e 91 del 1998) per cui non formula giudizi di merito e che ha gia' esaminato la questione nel 1990 con la sentenza n. 265 ma ritiene di dover sottoporre nuovamente al giudizio della Corte la controversia alla luce di tutte le sentenze emesse di recente sull'incompatibilita' del giudice che ha, indubbiamente, modificato la precedente impostazione del problema. Quell'interpretazione, infatti, comporta oggi una serie di diminuzione di garanzie per gl'imputati, in violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto impedisce loro di esercitare il diritto di chiedere e di ottenere, in modo imparziale, l'applicazione della pena o il giudizio abbreviato, in caso di pluralita' di imputati, secondo le ultime decisioni della Corte costituzionale (nn. 371 e 155 del 1996), non potendosi far ricorso al collegio dei supplenti, in quanto tali e non organo collegiale alternativo, come per un tribunale diviso in sezione o una sezione divisa in uffici. E' opportuno e necessario, a questo punto, una nuova pronuncia della Corte per dirimere, una volta per tutte, la questione se la legge n. 219 del 1989 possa considerarsi costituzionalmente legittima, oggi, nella parte in cui non prevede che l'udienza preliminare sia di competenza del giudice ordinario ossia del giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale territorialmente competente favorendo, in tal modo, una ritenuta competenza del collegio per i reati ministeriali con la violazione dei principi costituzionalmente garantiti indicati nella premessa.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita', per violazione degli artt. 3, 27, secondo comma, e 111 della Costituzione e 9, legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, della legge 5 giugno 1989, n. 219, nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del collegio per i reati ministeriali ad emettere il decreto che dispone il giudizio; Dispone la sospensione del presente processo ed ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al p.m. e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 1o dicembre 1998. Il presidente, ed estensore: Cappiello 00C0199