N. 66 ORDINANZA 21 febbraio - 2 marzo 2000

Ordinanza 21 febbraio-2 marzo 2000
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Giustizia amministrativa - TAR in sede di giurisdizione esclusiva sul
pubblico  impiego  -  Azione  generale  di arricchimento proposta nei
confronti  della  pubblica amministrazione - Asserita difficolta' dei
ricorrenti    di    dimostrare    l'arricchimento    della   pubblica
amministrazione  -  Possibilita'  per  il  giudice di valutare in via
equitativa le somme dovute ai ricorrenti per le effettive prestazioni
svolte  - Mancata previsione nel giudizio amministrativo sul pubblico
impiego - Denunciato contrasto con il principio di eguaglianza con il
diritto  alla  giusta  retribuzione  nonche'  con  il principio della
tutela dei diritti e degli interessi legittimi - Assenza nel giudizio
a  quo  di  domanda  fondata  sull'arricchimento  senza  causa  delle
pubbliche  amministrazioni  convenute  - Conseguente inapplicabilita'
della norma denunciata - Manifesta inammissibilita' della questione.
- Cod. proc. civ., art. 432.
- Costituzione, artt. 3, 36 e 113
(GU n.11 del 8-3-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Francesco GUIZZI;
  Giudici:  prof.  Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero  Alberto  CAPOTOSTI, prof.
Annibale MARINI, dott. Franco BILE;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 432 del codice
di  procedura  civile promossi dal Tribunale amministrativo regionale
della Puglia, sezione di Lecce, con sei ordinanze emesse il 13 maggio
(5  ordinanze)  e  il  27 maggio 1998, iscritte ai nn. 502, 503, 504,
505,  506  e  760  del  registro  ordinanze  1998  e pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  nn. 28  e  42,  prima  serie
speciale, dell'anno 1998.
    Visti gli atti di costituzione di Giuliano Giovanni ed altri e di
Minonne  Salvatore, nonche' gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  febbraio  2000  il giudice
relatore Franco Bile;
    Uditi l'avv. Gabriella Spata per Giuliano Giovanni ed altri e per
Minonne  Salvatore  e  l'Avvocato  dello Stato Giuseppe Fiengo per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.

                          Ritenuto in fatto

    Ritenuto  che il Tribunale amministrativo regionale della Puglia,
sezione  di  Lecce,  adito  in  sede  di  giurisdizione esclusiva sul
pubblico   impiego,   ha  proposto  con  le  sei  ordinanze  indicate
l'identica  questione  di legittimita' costituzionale, per violazione
degli  artt. 3,  36 e 113 della Costituzione, dell'art. 432 codice di
procedura  civile  (secondo  cui  -  nel rito del lavoro - quando sia
certo  il  diritto, ma non sia possibile determinare la somma dovuta,
il  giudice  ordinario  la  liquida  con  valutazione equitativa) nel
presupposto   della   inapplicabilita'   dello   stesso  al  processo
amministrativo;
        che  dall'esposizione  in  fatto delle ordinanze n. 502, 503,
504  e  505  si  ricava che Italo Vincenzo Fusaro', Michele Olivieri,
Annunziata  Saracino  e Giovanni Giuliano - premesso di aver ricevuto
dal  comune  di  Avetrana  successivi  incarichi a tempo determinato,
formalmente  qualificati  come contratti di prestazione d'opera, e di
avere   invece   prestato   attivita'   lavorativa   subordinata  con
inserimento   nell'apparato   organizzatorio   dell'ente   -  avevano
diffidato  il  comune  a  riconoscere  l'instaurazione di altrettanti
rapporti  di  pubblico  impiego  e  successivamente  avevano proposto
ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, chiedendo
l'annullamento    del    silenzio-rifiuto,   nonche'   l'accertamento
dell'avvenuta  instaurazione  di rapporti di pubblico impiego a tempo
indeterminato,  con  tutte  le  conseguenze  sul  piano  giuridico ed
economico;
        che  l'ordinanza n. 506/1998, avente identica motivazione, e'
stata  pronunziata dal medesimo Tribunale amministrativo nel giudizio
successivamente promosso in via congiunta dai suddetti ricorrenti per
impugnare   la  delibera  con  la  quale  il  comune  aveva  risposto
negativamente ai loro atti di diffida;
        che  con  l'ordinanza n. 760/1998 il Tribunale amministrativo
ha prospettato la stessa questione di legittimita' costituzionale nel
giudizio  promosso  da  Salvatore  Minonne  contro l'U.S.L. LE/12, in
relazione  ad  una  prestazione  di  servizio,  svolta in base ad una
convenzione,    per    l'accertamento   in   via   principale   della
illegittimita'  del  silenzio-rifiuto  formatosi sull'istanza-diffida
(con  cui  il Minonne aveva rivendicato la natura di pubblico impiego
del  rapporto) e per l'accertamento della costituzione di un rapporto
di  impiego a tempo indeterminato, nonche' in via gradata del diritto
a  percepire  le  differenze  tra  le  retribuzioni  erogate e quelle
spettanti in relazione alla quantita' e qualita' del lavoro svolto;
        che  tutte  le  ordinanze  sopra  indicate  osservano  che le
convenzioni   stipulate   dalle   amministrazioni   pubbliche  con  i
ricorrenti,  nelle  quali  si  parlava di prestazioni d'opera, devono
ritenersi  simulate  in quanto i ricorrenti hanno svolto mansioni del
tutto  diverse,  le  quali  presentano  gli  indici  rivelatori della
subordinazione;
        che,  peraltro,  secondo  il  giudice  a  quo  le  domande di
riconoscimento  dell'esistenza  di  rapporti  di pubblico impiego non
possono  essere  accolte,  in  quanto  tali rapporti sarebbero nulli,
perche' instaurati senza concorso;
        che  ai  fini della decisione sulla domanda di rivendicazione
della  differenza fra il dovuto in forza dei contratti di prestazione
d'opera  e  quanto  i ricorrenti dei suddetti giudizi avrebbero avuto
diritto   di  percepire  in  forza  dei  rapporti  di  impiego  nulli
dissimulati,  non sarebbe applicabile l'art. 2126, comma primo codice
civile,   in   quanto  difetterebbe  il  presupposto  necessario  per
l'applicazione  di  tale  norma,  cioe'  la  previsione  nella pianta
organica   dell'ente   dell'esistenza   (e  quindi  della  vacanza  e
disponibilita') di un posto corrispondente alle attivita' prestate da
ciascuno dei ricorrenti;
        che  il  giudice  a quo, una volta assunta l'inapplicabilita'
dell'art. 2126,  primo  comma  codice  civile, esamina le pretese dei
ricorrenti  alla  stregua  dell'art. 2041  codice  civile,  ritenendo
sussistente sul punto la propria giurisdizione esclusiva;
        che,   secondo   il  giudice  a  quo  l'onere  di  dimostrare
l'arricchimento   della   pubblica   amministrazione  graverebbe  sui
lavoratori  ricorrenti,  che si verrebbero a trovare in una posizione
di difficolta' probatoria;
        che  la difficolta' di adempiere all'onere probatorio sarebbe
superabile ove il giudice amministrativo potesse applicare l'art. 432
codice  di  procedura  civile  e  quindi,  si  potesse far luogo alla
liquidazione  in  via equitativa delle somme dovute ai ricorrenti per
le effettive prestazioni svolte;
        che,  tuttavia, l'applicazione al giudizio amministrativo sul
pubblico  impiego  di  questa  norma,  essendo  essa inerente al rito
speciale  del  lavoro,  non sarebbe prevista e tale omessa previsione
apparirebbe   in   contrasto   con   gli  artt. 3,  36  e  113  della
Costituzione;
        che  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri ha sostenuto
l'inammissibilita' della questione di costituzionalita' o comunque la
sua infondatezza nel merito;
        che  i  ricorrenti  costituiti  hanno  sostenuto  tra l'altro
l'infondatezza  della  questione per essere l'art. 2126 codice civile
applicabile anche nel caso di inesistenza di vacanza o disponibilita'
di posti in pianta organica;

    Considerato  che  nelle  ordinanze  di  rimessione  -  mentre  si
riferisce  che i ricorrenti hanno chiesto l'accertamento del rapporto
di  pubblico  impiego e la condanna dell'amministrazione convenuta al
pagamento  delle  conseguenti  differenze  retributive, quantomeno ai
sensi dell'art. 2126 codice civile - non si enuncia, invece, che essi
abbiano   formulato,  in  via  subordinata,  alcuna  domanda  fondata
sull'arricchimento   senza   causa  delle  pubbliche  amministrazioni
convenute, ex art. 2041 codice civile;
        che   le   ordinanze   non   contengono  alcuna  enunciazione
dell'esistenza di una situazione che, in relazione alla causa petendi
ed   al  petitum  dei  ricorsi,  sia  stata  ritenuta  dal  tribunale
amministrativo   regionale   rimettente   idonea  a  giustificare  la
qualificazione delle domande in base all'art. 2041 codice civile;
        che,   pertanto,   (come   gia'  questa  Corte  ha  affermato
nell'ordinanza   n. 252   del   10  giugno  1994)  si  deve  reputare
manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza la questione di
legittimita'  costituzionale  di  una  norma che il giudice a quo non
deve  applicare,  perche'  concerne  una  domanda che dal testo della
stesse ordinanze di rimessione non risulta proposta, essendo indubbio
che  anche il processo amministrativo e' caratterizzato dal principio
della domanda.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti  i  giudizi,  dichiara  manifestamente  inammissibile  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 432 cod. proc.
civ.,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 3,  36  e  113  della
Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo regionale della Puglia,
sezione di Lecce, con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2000.
                        Il Presidente: Guizzi
                         Il redattore: Bile
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 2 marzo 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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