N. 142 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 2000
Ordinanza emessa il 7 febbraio 2000 dal tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di Nunziata Elia ed altri Processo penale - Dibattimento - Esame di imputati di reato connesso - Esercizio, da parte di questi, della facolta' di non rispondere - Utilizzabilita' delle dichiarazioni rese, prima del dibattimento, a carico di coimputati, subordinata all'accordo delle parti - Mancanza di detto accordo - Applicabilita', a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 361/1998, dell'art. 500, commi 2-bis e 4 cod. proc. pen. - Contrasto con i principi relativi al giusto processo, e, in particolare, con quello della formazione della prova in contraddittorio, introdotti dalla legge costituzionale n. 2/1992. Processo penale - Principi relativi al giusto processo, introdotti nell'art. 111 Cost. dall'art. 1 legge costituzionale n. 2/1999 - Applicabilita' ai soli procedimenti penali in corso nei quali non sia stato dichiarato aperto il dibattimento - Disparita' di trattamento di situazioni identiche in relazione ad elemento casuale ed aleatorio quale l'apertura del dibattimento - Assenza di requisiti di necessita' ed urgenza a fondamento dei decreti-legge - Non consentita fissazione con decreto-legge di limiti temporali all'applicazione di principi costituzionali - Mancata adozione della procedura di revisione costituzionale. Processo penale - Principi relativi al giusto processo di cui alla legge costituzionale n. 2/1999 - Esclusione della prova della colpevolezza dell'imputato esclusivamente sulla base di dichiarazioni rese da persona per libera scelta sottrattasi volontariamente all'esame dell'imputato e del suo difensore - Applicabilita' ai soli procedimenti nei quali sia stato dichiarato aperto il dibattimento alla data di entrata in vigore della legge costituzionale n. 2/1999 - Contrasto con il principio della formazione della prova in contraddittorio. - Cod. proc. pen. 1988, art. 513, comma 2; d.-l. 7 gennaio 2000, n. 2, art. 1, punto 1 e 2. - Costituzione, art. 111, terzo e quarto comma; legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, art. 2.(GU n.16 del 12-4-2000 )
LA CORTE D'ASSISE Nel procedimento penale n. 15/1997 a carico di: Nunziata Elia, nato a Pizzola di Nola il 15 novembre 1959; Malinconico Sergio, nato a Roccarainola il 31 ottobre 1964; Prisco Francesco Salvatore, nato a Casamarciano il 4 maggio 1965 ha pronunciato la seguente ordinanza: F a t t o Nella tarda serata del 21 ottobre 1991 l'autoarticolato Fiat-Iveco, tg. CO932031, fu rinvenuto in agro d'Acerra, parzialmente fuori della sede stradale, con a bordo il corpo senza vita dell'autista, Daniele Lamperti. L'autopsia accerto' che due proiettili d'arma da fuoco a carica unica avevano attinto la vittima a che uno di essi, perforando il polmone sinistro e lacerando l'arco aortico, n'aveva cagionato la morte. Il veicolo trasportava quattrocento sacchi di nocciole sgusciate, del valore di lire sessantasette milioni, diretti ad un'industria dolciaria svizzera. Gli inquirenti ipotizzarono che si trattasse d'omicidio commesso nel corso di un tentativo di rapina e, pertanto, indirizzarono le indagini verso persone sospettate di esser dedite a rapine di camion trasportanti nocciole sgusciate, fra cui in particolare tali Clemente Vinciguerra Lucio Addeo, Elia Nunziata, Sergio Malinconico e Salvatore Prisco. Nel corso delle indagini preliminari Vinciguerra, imputato in procedimento connesso per delitti di rapina, formulo' dichiarazioni accusatorie nei confronti di Nunziata, suo coimputato. Addeo, imputato quale mandante di concorso nei delitti in esame e successivamente prosciolto nell'udienza preliminare, accuso' Nunziata, Malinconico e Prisco di essere gli autori della tentata rapina e dell'omicidio: cio' egli aveva appreso dallo stesso Nunziata, il quale gli aveva manifestato l'intenzione di addossare la responsabilita' dei delitti a Malinconico, a Prisco e a tale Nicola Napolitano, defunto cognato di Malinconico. Nunziata, protestandosi estraneo ai fatti accuso' Malinconico, Prisco e Napolitano, dichiarando di aver appreso i fatti dai primi due. Con decreto del 17 gennaio 1995, il g.u.p. presso il tribunale di Nola dispose il rinvio a giudizio di Nunziata, Malinconico e Prisco per rispondere, in concorso tra loro e con un mandante non identificato, di tentata rapina aggravata, omicidio aggravato, detenzione a porto illegali di pistola. Nel corso del dibattimento di primo grado, celebrato avanti alla terza sezione della Corte d'assise di Napoli, Lucio Addeo, citato per essere esaminato ai sensi dell'art. 210 del cod. proc. pen., si avvalse della facolta' di non rispondere; furono, pertanto, acquisiti al fascicolo per il dibattimento, ex art. 513 cod. proc. pen., i verbali degli interrogatori da lui in precedenza resi al p.m. ed al g.i.p. Anche l'imputato Elia Nunziata si avvalse, in sede d'esame, della facolta' di non rispondere; furono, quindi, acquisiti i verbali degli interrogatori da lui resi al p.m. ed al g.i.p., nonche' il verbale del confronto svoltosi, avanti al p.m., fra lui ed Addeo. Con sentenza emessa il 14 novembre 1996, la Corte d'assise dichiaro' i tre imputati colpevoli dei reati loro ascritti e li condanno' all'ergastolo con isolamento diurno per mesi cinque, oltre alle pene accessorie, alle spese processuali ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. L'affermazione di responsabilita' di ciascuno degli imputati si fondava, come si legge nella motivazione della sentenza, su "accuse provenienti da due fonti: il Vinciguerra e l'Addeo accusano Nunziata; gli stessi Addeo e Nunziata accusano il Prisco ed il Malinconico". La pluralita' delle fonti accusatorie consentiva, mediante il reciproco riscontro, la formazione di una prova sufficiente ai sensi dell'art. 192, terzo e quarto comma, del codice di procedura penale. Tutti gli imputati proponevano appello, deducendo una serie di motivi, fra i quali l'asserita mancanza di prove idonee a fondare l'affermazione di responsabilita'. La prima udienza del processo d'appello si celebrava davanti a questa Corte all'udienza del 2 febbraio 2000. Dopo la relazione, il Procuratore generale chiedeva la rinnovazione del dibattimento, allo scopo di procedere a nuovo esame del coimputato prosciolto Lucio Addeo e dell'imputato Elia Nunziata. I difensori degli imputati si opponevano, sollevando questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513 codice procedura penale e dall'art. 1.1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, per violazione degli artt. 3, 77 e 138 della Costituzione. La Corte riteneva la questione sollevata manifestamente infondata in relazione all'art. 6.3 legge 7 agosto 1997 n. 267, da applicarsi aI momento, ed irrilevante, allo stato, per le altre norme impugnate. Disponeva, pertanto, la rinnovazione del dibattimento ed il nuovo esame di Addeo e Nunziata. L'imputato Elia Nunziata, presente in aula, invitato a sottoporsi ad esame, dichiarava di volersi avvalere della facolta' di non rispondere. Il Procuratore generale chiedeva, allora, di poter procedere alla contestazione, a norma degli artt. 500.2-bis e 4, delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, concernenti la responsabilita' dei coimputati. I difensori di tutti gli imputati si opponevano, reiterando la gia' proposta questione di legittimita' costituzionale. Essi specificavano che le norme impugnate erano le seguenti: 1) Art. 1.1 del d.-l. 7 gennaio 2000 n. 2, per violazione degli artt. 77, secondo comma, 138, primo comma, e 3, primo comma della Costituzione italiana; 2) Art. 1.3 della legge 7 agosto 1997, n. 267, per violazione dell'art. 111, quarto comma precedente il primo comma dello stesso, della Costituzione italiana, come introdotto dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; 3) Art. 1.5 della legge 7 agosto 1997, n. 267, per violazione del medesimo comma dell'art. 111 Costituzione italiana. La Corte aggiornava da discussione della questione all'udienza odierna, assegnando un termine alle parti per depositare memorie illustrative. In data 3 febbraio 2000 i difensori dell'imputato Nunziata depositavano memoria in cancelleria. D i r i t t o I giudici di primo grado, a seguito del rifiuto dell'imputato Elia Nunziata di sottoporsi ad esame, nel corso del giudizio di primo grado, acquisirono al fascicolo del dibattimento le dichiarazioni da lui rese al pubblico ministero ed al g.i.p. nel corso delle indagini preliminari. Essi valutarono, poi, tali dichiarazioni per affermare la colpevolezza, oltre che di Nunziata, dei coimputati Malinconico e Prisco. Tale modus procedendi era pienamente conforme alla normativa vigente all'epoca della sentenza appellata. L'art. 513 del codice di procedura penale, nella versione risultante dall'applicazione delle sentenze 254/1992 e 60/1995 della Corte costituzionale, consentiva, infatti, l'acquisizione agli atti del fascicolo di ufficio di quelle dichiarazioni e la loro utilizzazione ai fini del decidere. Quella normativa fu poi profondamente modificata con l'entrata in vigore della legge 7 agosto 1997 n. 267 e con la successiva sentenza n. 361 della Corte costituzionale, emessa in data 26 ottobre-2 novembre 1998. La legge 267 previde, infatti, che le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari non potevano, se il dichiarante non avesse reso l'esame dibattimentale perche' assente o contumace o perche' avesse rifiutato di sottoporsi all'esame, essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso. Essa introdusse norme transitorie per consentire alle parti interessate di ottenere una nuova citazione del dichiarante. La predetta normativa transitoria, tuttora valida, e' stata applicata da questa Corte nel caso di specie. La sentenza 361, dichiarando l'illegittimita' costituzionale degli artt. 210 e 513, comma secondo cod. proc. pen., integro' la disciplina dell'utilizzabilita' delle dichiarazioni rese, prima del dibattimento, da un coimputato a carico di altri: essa stabili', infatti, che, in mancanza dell'accordo delle parti, era possibile applicare l'art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale. La richiesta del procuratore generale di contestare a Nunziata le dichiarazioni da lui rese, a carico dei coimputati, nel corso delle indagini preliminari, si basa appunto su tale norma, tuttora vigente. La possibilita' di utilizzare dichiarazioni rese da un imputato, che si sia avvalso della facolta' di non rispondere, nei confronti di un coimputato e senza il consenso di costui, e' presupposto e funzione delle contestazioni richieste dal pubblico ministero ed autorizzate dall'art. 513.2, come integrato dalla sentenza 361. Tale possibilita' e' esclusa dal quarto comma dell'art. 111 della Costituzione Italiana, cosi' come modificato dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2: "La colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore". La norma costituzionale sopravvenuta non ha pero' l'efficacia di abrogare automaticamente le norme ordinarie con essa in contrasto, che, al contrario, vanno sottoposte al controllo di legittimita' della Corte costituzionale con le procedure previste dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87. Inoltre il d.-l. 7 gennaio 2000 n. 2 ha stabilito, all'art. 1.1, che "Fino alla data dell'entrata in vigore della legge che ne disciplina l'attuazione nel processo penale, i principi introdotti nell'art. 111 della Costituzione dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 si applicano ai procedimenti penali in corso alla data dell'entrata in vigore della legge costituzionale nei quali non sia stato dichiarato aperto il dibattimento". Si ricava, a contrario, da tale norma, che i predetti principi costituzionali non si applicano ai procedimenti, come quello che n'occupa, nei quali il dibattimento e' stato dichiarato aperto in epoca precedente. A conferma di cio', la prima parte dell'art. 1.2 del predetto decreto legge stabilisce che "Nei procedimenti penali nei quali sia stato dichiarato aperto il dibattimento alla data di entrata in vigore della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, la colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata esclusivamente sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore". La ripetizione del testo costituzionale, con l'aggiunta dell'avverbio esclusivamente, equivale a negare l'applicabilita' dei nuovi principi, riconoscendo il valore di semiplena probatio previgente alla nuova formulazione della carta costituzionale: cio', ovviamente, consentirebbe di acquisire le dichiarazioni di Nunziata attraverso il meccanismo delle contestazioni. Di qui la rilevanza della questione di costituzionalita' anche di tale norma, che questa Corte deve rilevare d'ufficio: se, infatti, le dichiarazioni accusatorie potessero fondare, anche se non esclusivamente, una dichiarazione di colpevolezza, la loro acquisizione mediante il meccanismo delle contestazioni sarebbe possibile ed utile. Questa Corte, per consentire le contestazioni richieste dal Procuratore generale, dovrebbe quindi applicare le norme dell'art. 513.2 del codice di procedura penale e dell'art. 1 d.-l. n. 2/2000. Cio' rende evidente la rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai difensori, giacche' e' impossibile procedere oltre nella trattazione del procedimento senza far luogo all'applicazione delle norme di cui si deduce l'illegittimita' costituzionale. Occorre, a questo punto, verificare la sussistenza dell'ulteriore requisito previsto dall'art. 23 legge 87/1953, la non manifesta infondatezza delle questioni. La questione di costituzionalita' dell'art. 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000 n. 2 e' stata proposta sotto un quadruplice profilo: i difensori hanno dedotto, innanzi tutto, la violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione che limita l'esercizio, da parte del Governo, del potere straordinario di decretazione, a casi straordinari di necessita' e d'urgenza; essi hanno eccepito, in secondo luogo, la violazione dell'art. 138, primo comma della Costituzione, che riserva al Parlamento, con particolare procedura, l'approvazione di leggi costituzionali; il terzo profilo di incostituzionalita' consisterebbe nella violazione dell'art. 111, quarto comma, il quale, nella nuova formulazione, cosi' recita: "Il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore"; la norma violerebbe, infine, il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sancito dall'art. 3 della Costituzione. La questione, a parere di questa Corte, non e' manifestamente infondata. L'art. 138 della Costituzione stabilisce che non solo le leggi di revisione costituzionale, ma anche tutte le altre leggi costituzionali debbono essere adottate con la particolare procedura prevista dalla stessa norma: e', pertanto, vietato adottare leggi costituzionali tanto con la procedura parlamentare ordinaria prevista dall'art. 72, quanto con la procedura d'urgenza prevista dal secondo comma dell'art. 77, che con assoluta evidenza conferisce all'esecutivo il potere di legiferare, in casi straordinari di necessita' ed urgenza, in materie sottoposte a leggi ordinarie. Non si puo', quindi, con legge ordinaria, e tanto meno con decreto legge, fissare limitazioni all'applicazione di principi costituzionali: cio', infatti, equivarrebbe a stabilire in positivo che taluni diritti costituzionali appartengono soltanto ad alcuni soggetti e non ad altri. Una simile statuizione e' concepibile soltanto nell'ambito di una legge costituzionale, anch'essa peraltro soggetta al limite della salvaguardia di altri principi costituzionali di rango superiore, quale potrebbe essere quello dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Il problema si sposta, allora, sulla verifica prioritaria se la legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 contenga, sia pure nella forma della delega al legislatore ordinario, una possibilita' di discriminazione fra due categorie di soggetti: quelli cui i nuovi principi costituzionali vanno applicati e quelli che, viceversa, non ne debbono beneficiare. Potrebbe, infatti, opinarsi che questa sia la funzione della norma transitoria dell'art. 2 legge costituzionale 2/99, per cui "la legge regola l'applicazione dei principi contenuti nella presente legge costituzionale ai procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore". Una siffatta opinione contrasterebbe pero' chiaramente con la lettera della norma, che espressamente stabilisce "l'applicazione dei principi... ai processi penali in corso", rinviando alla legge ordinaria soltanto il regolamento delle relative modalita'. Una norma ordinaria che, come fa il decreto legge in esame, stabilisce la disapplicazione di quei principi, incorre addirittura in un ulteriore profilo di incostituzionalita', consistente nella violazione del menzionato art. 2. La norma costituzionale transitoria ha, probabilmente, la funzione di limitare l'applicazione dei nuovi principi ai processi in corso alla data di entrata in vigore della legge, escludendone quelli a tale data gia' definiti. Essa ha, indubbiamente, l'ulteriore funzione di sancire la validita' delle norme ordinarie applicative, siano esse gia' esistenti, come i commi 2, 3 e 4 dell'art. 6 legge 267/1997, siano esse introdotte con nuovi provvedimenti del legislatore ordinario. Non ha e non potrebbe avere la portata di consentire al legislatore ordinario norme che privino i cittadini della tutela loro accordata dai principi costituzionali. Se dovesse averla, cio' che non e' dato desumere dal dato letterale, sarebbe a sua volta illegittima in relazione all'art. 3 della Costituzione. Il contrasto del decreto con tale norma e' abbastanza evidente, stante l'assoluta arbitrarieta' ed irragionevolezza della discriminazione fra quegli imputati nel cui processo il dibattimento sia stato dichiarato aperto e quelli, piu' fortunati, nei cui confronti quella formalita', legata a circostanze casuali ed aleatorie, non sia stata ancora compiuta. In verita' l'unica discriminazione razionale fra procedimenti sarebbe costituita dall'avere o meno l'accusatore gia' dichiarato di volersi avvalere della facolta' di non rispondere. Questo limite temporale non puo' pero' essere riferito alla fruizione del diritto costituzionale ad esaminare l'accusatore, che, come si e' detto, deve necessariamente valere per tutti i processi pendenti. Esso distingue, invece, le situazioni che non necessitano di alcuna norma applicativa da quelle che richiedono l'intervento del legislatore ordinario. Il contenuto del decreto, d'altra parte, non consente d'identificare alcuna ragione di necessita' o d'urgenza. L'opportunita' d'evitare la proposizione di questioni di legittimita' costituzionale, che e' stata invocata da alcuni, avrebbe, semmai, legittimato l'abrogazione o la modificazione di norme, come quella dell'art. 513.2, che contrastano con l'attuale formulazione dell'art. 111 della Costituzione. Resta da esaminare, a questo punto, la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513.2, in relazione al ripetuto art. 111 della Costituzione. Non appare necessario dilungarsi eccessivamente sul punto, dopo tutto quanto e' stato sin qui detto. Il meccanismo delle contestazioni, introdotto con la sentenza 361/1998 della Corte costituzionale, tende a consentire l'acquisizione al fascicolo del dibattimento e la conseguente valutazione di dichiarazioni rese da persone che si sono sottratte all'interrogatorio da parte dell'imputato e del suo difensore. Esso viola, quindi, la norma costituzionale per cui "il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova". Le dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini preliminari da chi si e' avvalso della facolta' di non rispondere acquisterebbero, con quel meccanismo, il valore di prova. Quella prova, pero', si sarebbe formata fuori del contraddittorio. La norma impugnata viola, poi, il principio costituzionale che assicura all'imputato "la facolta', davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico". L'esercizio del diritto di non rispondere impedisce, infatti, l'esercizio della facolta' di controesaminare: ne' la ratio di quella facolta' e' in alcun modo soddisfatta dalla possibilita' di rivolgere contestazioni, destinate a rimanere senza risposta, giacche' resterebbe in ogni caso frustrata la possibilita' di dimostrare, attraverso contraddizioni e circostanze nuove che dal controesame avrebbero potuto emergere, la falsita' o l'inattendibilita' delle accuse. Si consideri, ad esempio, l'ipotesi, abbastanza frequente, di un accusatore che al pubblico ministero non abbia specificato in qual modo ed in qual tempo abbia appreso i fatti riferiti. Una tale specificazione, ottenibile solo mediante l'esame dibattimentale, potrebbe consentire alla difesa di provare l'impossibilita' dell'asserita conoscenza dell'accusatore. La norma impugnata viola espressamente, infine; il principio costituzionale per cui "La colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore". L'utilizzo di un meccanismo di acquisizione probatoria e' evidentemente illegittimo quando l'accusatore, avvalendosi della facolta' di non rispondere, si sottrae al controesame; le sue dichiarazioni non sono idonee a provare la colpevolezza dell'imputato e, quindi, non possono entrare surrettiziamente a far parte di una prova alla quale debbono restare estranee. Anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513.2 cod. proc. pen. non e', quindi, manifestamente infondata.
P. Q. M. Letto ed applicato l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondate le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: 1) art. 513.2 del codice di procedura penale, cosi' come integrato dalla sentenza n. 361/1998 della Corte costituzionale, per violazione del terzo e quarto comma dell'art. 111 della Costituzione, cosi' come introdotti dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; 2) art. 1.1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, per violazione degli artt. 3, primo comma, 77 e 138, primo comma della Costituzione, nonche' dell'art. 111, terzo e quarto comma, della Costituzione e dell'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; 3) art. 1.2 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, per violazione dell'art. 111, quarto comma, della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Napoli, addi' 7 febbraio 2000. Il Presidente: Lignola 00C0276