N. 82 SENTENZA 20 - 24 marzo 2000

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
Conflitto  tra poteri dello Stato - Ricorso del Tribunale di Roma nei
confronti  della  Camera  dei  deputati  -  Requisiti  soggettivi  ed
oggettivo - Sussistenza - Ammissibilita' del conflitto.
Conflitto  tra  poteri  dello  Stato - Proposizione con ordinanza del
Tribunale di Roma - Idoneita' alla valida instaurazione del giudizio.
- Legge  11  marzo  1953,  n.  87,  art.  37; norme integrative per i
  giudizi davanti alla Corte, art. 26.
Conflitto  tra poteri dello Stato - Ricorso proposto dal Tribunale di
  Roma - Motivazione - Sufficienza.
- Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte, art. 16.
Parlamento   -   Immunita'   parlamentari   -   Dichiarazioni  di  un
  parlamentare  rese  ad  organi di stampa e ad emittenti televisive,
  oggetto  di  giudizio  penale  -  Deliberazione di insindacabilita'
  della  Camera  di appartenenza - Insussistenza del nesso funzionale
  delle   dichiarazioni   espresse   dal   deputato  con  l'attivita'
  parlamentare  - Accoglimento del ricorso - Conseguente annullamento
  della deliberazione parlamentare di insindacabilita'.
- Deliberazione della Camera dei deputati 30 settembre 1998.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.14 del 29-3-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da signori:
&lega-fpPresidente: Francesco GUIZZI;
  Giudici:  Cesare  MIRABELLI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera dei deputati del 30
settembre 1998 relativa alla insindacabilita' delle opinioni espresse
dall'on. Vittorio  Sgarbi  nei  confronti  del  dott. Antonio Abrami,
promosso  con  ricorso  del Tribunale di Roma notificato il 26 luglio
1999, depositato in cancelleria il 2 agosto 1999 ed iscritto al n. 26
del registro conflitti 1999;
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22  febbraio  2000 il giudice
relatore Fernando Santosuosso;
    Udito l'avvocato Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -   Nel   corso   di   un   procedimento   penale  a  carico
dell'on. Vittorio  Sgarbi,  imputato del reato di diffamazione per le
dichiarazioni  rilasciate  nei  confronti  del  dott. Antonio Abrami,
pretore  di  Venezia,  il  Tribunale  di  Roma,  con ordinanza del 1o
dicembre  1998,  ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti
della  Camera  dei  deputati,  in  relazione  alla  delibera  del  30
settembre  1998  con  la  quale  quest'ultima  ha  dichiarato  che le
suddette  opinioni  sono  da  ritenersi espresse nell'esercizio delle
funzioni  di  parlamentare,  e  quindi coperte da insindacabilita' ai
sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Il  Tribunale  ricorrente  osserva  che  la  Camera, senza alcuna
motivazione,  ha  contraddetto il parere espresso dalla Giunta per le
autorizzazioni  a  procedere,  che aveva invece proposto di escludere
l'insindacabilita' in conseguenza del carattere prettamente personale
della polemica intercorsa tra l'on. Sgarbi ed il pretore Abrami.
    Nel  caso specifico, il deputato aveva usato espressioni ritenute
diffamatorie  nei  confronti di detto giudice a causa di una sentenza
penale di condanna da quest'ultimo emessa nei suoi confronti. Da cio'
consegue,  secondo  il  ricorrente,  che  tali  dichiarazioni (tra le
quali:  "Quel  pretore e' un ignorante, un provocatore, 186 pagine di
delirio  giuridico.  Abrami  dovrebbe tornare in terza elementare."),
profferite  in  ambito  estraneo  al  Parlamento,  debbono  ritenersi
null'altro   che   una  questione  personale,  alla  quale  non  puo'
ricollegarsi in alcun modo l'esercizio delle funzioni di deputato.
    Osserva    peraltro    il    Tribunale   che   la   delibera   di
insindacabilita',  benche'  illegittima,  conserva  comunque  la  sua
efficacia   e   preclude  al  giudice  di  merito  di  formulare  una
qualsivoglia  pronuncia  senza  aver  prima sollevato il conflitto di
attribuzione.  Pertanto,  il  Tribunale  di  Roma  ha  denunziato  lo
scorretto  uso  del potere della Camera nell'accertare la sussistenza
dei  presupposti  di  applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione nei confronti dell'on. Sgarbi.
    2.   -   Con  ordinanza  n. 363  del  22  luglio  1999  la  Corte
costituzionale  ha  dichiarato  ammissibile  il  conflitto in parola,
assegnando  al Tribunale di Roma il termine di sessanta giorni per la
notifica del provvedimento alla Camera dei deputati.
    Il ricorrente ha effettuato la notifica il 26 luglio ed ha quindi
depositato  il  ricorso notificato, presso la cancelleria della Corte
costituzionale, il 2 agosto 1999.
    3. - Costituendosi in giudizio, la Camera dei deputati ha chiesto
che  la  Corte  costituzionale  rigetti  il  ricorso per conflitto di
attribuzione  proposto  dal  Tribunale  di  Roma, annullando gli atti
compiuti   dall'autorita'  giudiziaria.  In  una  successiva  memoria
difensiva   depositata   nell'imminenza   dell'udienza   pubblica  di
discussione,  la  Camera  ha  concluso  per  l'inammissibilita' e, in
subordine,  per il rigetto del ricorso stesso. Essa sottolinea che la
deliberazione oggetto del conflitto non sarebbe immotivata, dovendosi
ricercare  le  ragioni  di essa nel dibattito che l'ha preceduta, dal
quale   emergerebbe   anche   il   nesso   delle   opinioni  espresse
dall'on. Sgarbi con le funzioni parlamentari.
    Secondo  la  difesa  della Camera, occorrerebbe prendere le mosse
dall'eccessiva  ampiezza  della  sentenza  emessa  dal dott. Abrami e
dall'estraneita'  del  suo  contenuto  rispetto  al fatto oggetto del
giudizio  penale, costituito da presunte assenze dall'ufficio e dalle
relative false certificazioni mediche. Tale abnorme dilatazione della
motivazione avrebbe investito l'intera esistenza dell'on. Sgarbi, con
indagini  sulla  sua  vita, sulle sue ricerche e sulla sua produzione
scientifica.  E  tutto cio' solo perche' si giudicava per il reato di
diffamazione un noto parlamentare, critico e studioso d'arte.
    Ci si troverebbe dunque, ad avviso della Camera, di fronte ad una
"motivazione  politica", che rappresenterebbe un'indebita fuoriuscita
dalle  attribuzioni  dell'autorita'  giurisdizionale:  al che avrebbe
legittimamente   reagito  l'on. Sgarbi,  denunciando,  attraverso  la
critica della motivazione e del suo estensore, una palese disfunzione
giudiziaria;  denuncia  che  rientrerebbe  nell'esercizio del mandato
politico   di   parlamentare,   con   la  conseguente  applicabilita'
dell'art. 68 della Costituzione.
    Su  tale  fondamentale  aspetto del conflitto di attribuzione non
avrebbe preso posizione il Tribunale di Roma, omettendo l'esame della
situazione  venutasi a creare con la sentenza del Pretore. Il ricorso
risulterebbe,  quindi,  inammissibile  per difetto di motivazione, ai
sensi dell'art. 16 delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
    4. - In ogni caso, il ricorso sarebbe infondato anche nel merito:
la  Camera  sostiene  che  verrebbe  qui in discussione "non solo una
disfunzione,  ma  un  eccesso  della funzione giudiziaria, che non si
vede  come  possa  sottrarsi  alla  valutazione  del  Parlamento, per
stabilire  se  e  come  sia  stata invasa l'area della personalita' e
della  liberta'  di  apprezzamento  che  la qualifica di parlamentare
comporta.   Cio'   specie  in  presenza  dell'eccesso  qualitativo  e
dimensionale  dell'accertamento  in cui la funzione giudiziaria si e'
espressa   in   concreto".   Ne'  l'invasione  della  sfera  e  della
personalita' del politico sarebbe dequalificata dalla forma dell'atto
giudiziario  in  cui  si  sarebbe  concretata, perche' la motivazione
della  sentenza  pretorile  non troverebbe "alcuna base nelle norme e
nei  fatti  che  avrebbero  dovuto  esserne  il  supporto,  eccedendo
manifestamente  i  limiti segnati dalla contestazione e dall'art. 424
c.p.p.".
    Si   conclude,   pertanto,   nel   senso   che   la  delibera  di
insindacabilita'  della  Camera  sostanzialmente  rivendicherebbe  al
parlamentare  "la  liberta',  propria di ogni soggetto di diritto, da
giudizi   che  non  rientrino  nel  valore  legalita'-giurisdizione",
menzionato e tutelato anche nella sentenza n. 11 del 2000 della Corte
costituzionale. Infatti, la motivazione della sentenza del pretore di
Venezia sarebbe "invasiva della personalita' del parlamentare e della
sua    reputazione",   intaccando   cosi'   anche   la   credibilita'
dell'esercizio  del  mandato  politico  e, con esso, dell'apporto del
singolo parlamentare alla funzione della Camera cui appartiene.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 1o dicembre 1998, ha
sollevato  conflitto  di attribuzione, per menomazione, nei confronti
della  Camera  dei  deputati,  in  relazione  alla  delibera  del  30
settembre  1998  con  la  quale  quest'ultima  ha  dichiarato  che le
opinioni  formulate dall'on. Vittorio Sgarbi nei riguardi del pretore
di   Venezia,  dott.  Antonio  Abrami,  sono  da  ritenersi  espresse
nell'esercizio delle funzioni di parlamentare, ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione.
    2.  - Deve essere innanzitutto confermata l'ammissibilita', sotto
i profili sia soggettivo che oggettivo, del conflitto di attribuzione
in  esame,  gia'  dichiarata  da  questa  Corte,  in sede di sommaria
delibazione, con l'ordinanza n. 363 del 1999.
    La  forma  dell'ordinanza,  utilizzata  per  la  proposizione del
conflitto,  non comporta l'irricevibilita', in quanto l'atto possiede
tutti i requisiti stabiliti dagli artt. 37 della legge n. 87 del 1953
e  26  delle  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti alla Corte
costituzionale  ed  e'  quindi  idoneo  a  conseguire lo scopo cui e'
preordinato,  consentendo la valida instaurazione del contraddittorio
(cfr. le sentenze n. 10, 11, 56 e 58 del 2000).
    Il  ricorso  risulta, inoltre, sufficientemente motivato ai sensi
dell'art. 16   delle   predette   norme   integrative,   non  essendo
necessario,  nell'ambito  del  presente conflitto, che esso valuti le
caratteristiche  della  sentenza  emessa  dal  giudice Abrami, per le
ragioni che si esporranno.
    3. - Nel merito il ricorso e' fondato.
    Il  conflitto  di  attribuzione  in  esame trae origine da alcune
dichiarazioni,  asseritamente  diffamatorie, rese dal deputato Sgarbi
ad  organi di stampa e ad emittenti televisive nei riguardi del dott.
Abrami,  dichiarazioni che formano oggetto di giudizio penale davanti
al Tribunale di Roma.
    La giurisprudenza costituzionale ha precisato che questa Corte ha
il  compito  di  verificare,  in un conflitto per menomazione, se dal
potere  esercitato  dalla Camera di appartenenza in base all'art. 68,
primo  comma,  della  Costituzione  sia derivata o meno la lamentata,
illegittima  interferenza  nella sfera di attribuzione dell'autorita'
giudiziaria ricorrente.
    In  particolare - trattandosi, nella specie, di opinioni espresse
al  di  fuori  del  Parlamento  -  deve accertarsi se esista il nesso
funzionale  con  le  attivita'  parlamentari. Tale nesso consiste non
gia'  in  una  semplice  forma  di  collegamento  - di argomento o di
contesto  -  fra  attivita'  parlamentare  e  dichiarazioni,  ma piu'
precisamente  nella  "identificabilita'  della  dichiarazione  stessa
quale  espressione di attivita' parlamentare" (sentenze n. 10 e n. 58
del 2000): occorre, quindi, che nell'opinione manifestata all'esterno
"sia  riscontrabile  una  corrispondenza sostanziale di contenuti con
l'atto  parlamentare,  non  essendo sufficiente a questo riguardo una
mera comunanza di tematiche" (sentenza n. 11 del 2000).
    Non  e'  percio'  coperta da insindacabilita' quella opinione che
non   sia   collegata   da   nesso  con  l'esercizio  delle  funzioni
parlamentari,  ancorche'  riguardi  temi  al  centro  di un dibattito
politico e parlamentare (sentenza n. 56 del 2000).
    4.  - In questo senso, nella vicenda in esame, si era pronunciata
la  Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere  della  Camera  dei
deputati,  la  quale  aveva proposto di dichiarare che le opinioni in
questione  non  erano  state  espresse  nell'esercizio delle funzioni
parlamentari, poiche' "la polemica iniziata dal deputato Sgarbi aveva
un  carattere  prettamente  privato e personale". Ma tale proposta e'
stata  respinta  dall'Assemblea,  nella seduta del 30 settembre 1998,
dopo  un  dibattito  in  cui  sono state, peraltro, esplicitate dagli
intervenienti   le   argomentazioni   contrarie,  riconducibili  alla
convinzione  che la pur vivace reazione dell'on. Sgarbi alla sentenza
di  condanna  emessa  dal  giudice Abrami derivasse non tanto dal suo
coinvolgimento   personale,  quanto  dall'esercizio  del  diritto  di
critica del modo di svolgimento della funzione giudiziaria.
    Su tale aspetto insiste anche la difesa della Camera, secondo cui
l'on. Sgarbi avrebbe legittimamente reagito ad una palese ed indebita
fuoriuscita   del   pretore   dalle   sue  attribuzioni  denunciando,
attraverso  la  critica  della motivazione e del suo estensore, detta
esorbitanza  dalle  funzioni  giudiziarie,  invasiva della liberta' e
personalita'   del   deputato.  Tale  denuncia,  secondo  la  difesa,
rientrerebbe  nei  diritti  del  parlamentare  nell'esercizio del suo
mandato  politico,  con la copertura della insindacabilita' garantita
dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    In   proposito   deve,  anzitutto,  precisarsi  che  il  presente
conflitto non si incentra sulla giustificatezza o meno della reazione
del  parlamentare  ad  una  asserita  invasione  della  sua  liberta'
attraverso   l'eccedenza   del   comportamento   del   pretore  dalle
attribuzioni  giurisdizionali  (cio' che forma o puo' formare oggetto
di  altri  giudizi).  Il  conflitto,  invece,  e'  sorto  e si svolge
unicamente  tra  il  Tribunale di Roma, che intende esercitare le sue
funzioni nel giudicare sull'imputazione di diffamazione, e la Camera,
che  oppone  alla  prosecuzione  di  tale giudizio l'insindacabilita'
delle   opinioni   espresse   dal  parlamentare  in  quanto  connesse
all'esercizio del suo mandato.
    Con  stretto  riguardo,  allora,  alla verifica dell'esistenza di
questo  nesso  funzionale  -  a  prescindere  dalla valutazione se le
predette  dichiarazioni  del  deputato,  anche  per il linguaggio non
consentito  nemmeno  in  Parlamento,  consistano  unicamente  in mere
offese  personali - e' sufficiente e decisivo rilevare che le stesse,
rese  fuori  delle Camere, non riproducono ne' divulgano il contenuto
di  alcuno  specifico atto di natura parlamentare, cosicche' non sono
identificabili  come  espressione  dell'attivita'  del  deputato,  ma
semmai  di  critica politica. Delle ragioni che possano eventualmente
giustificare  quelle dichiarazioni potra' e dovra', dunque, conoscere
l'autorita'  giudiziaria,  con  le cui attribuzioni ha interferito la
Camera  dei  deputati ravvisando inesattamente il nesso funzionale di
quelle opinioni con l'attivita' parlamentare.
    La  deliberazione  di  insindacabilita'  adottata da quest'ultima
deve, quindi, essere annullata.
                          Per questi motivi
LA  CORTE  COSTITUZIONALE     Dichiara che non spetta alla Camera dei
deputati  dichiarare l'insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo
comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni  espresse  dal deputato
Vittorio Sgarbi, in ordine alle quali e' pendente avanti il Tribunale
di  Roma  il  giudizio  penale  indicato  in epigrafe; di conseguenza
annulla  la  deliberazione  adottata  dalla Camera dei deputati nella
seduta del 30 settembre 1998.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2000.
                        Il Presidente: Guizzi
                      Il redattore: Santosuosso
                      Il cancelliere: Di Paola
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