N. 157 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 novembre 1999

Tribunale  amministrativo  regionale  della Sicilia, sez. staccata di
Catania  sul  ricorso  proposto  da  Aprile  Silvana contro comune di
Catania ed altra
Giustizia amministrativa - Controversie relative a rapporto di lavoro
contrattualizzato  o  privatizzato alle dipendenze di amministrazioni
pubbliche  -  Riserva al giudice amministrativo delle controversie in
materia  di  procedure  concorsuali per l'assegnazione dei dipendenti
delle   pubbliche   amministrazioni   -   Mancata   previsione  della
devoluzione   al   giudice   ordinario   di   qualsiasi  controversia
riguardante  il  rapporto  di lavoro contrattualizzato o privatizzato
alle   dipendenze  di  amministrazioni  pubbliche,  ivi  comprese  le
procedure  concorsuali  per  l'assegnazione  ed  in  cui  comunque la
valutazione  di  un  atto  sia  connesso con questioni concernenti il
rapporto   di   lavoro   presso  le  pubbliche  amministrazioni,  con
attribuzione al giudice ordinario di un generale potere di cognizione
piena e di annullamento degli atti presupposti illegittimi, ancorche'
di organizzazione e non di gestione - Irrazionalita' della disciplina
impugnata  per  la  connessione  in  subiecta  materia  tra questioni
attribuite   alla   cognizione  del  giudice  ordinario  e  questioni
riservate  al  giudice amministrativo, con conseguente necessita' por
il  dipendente  di adire entrambi i giudici e rischio di contrasto di
giudicati - Incidenza sul principio della tutela giurisdizionale.
- D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.16 del 12-4-2000 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 4306/1999,
  proposto  da Aprile Silvana, rappresentata e difesa dall'avv. Santo
  Li  Volsi  ed  elettivamente  domiciliata  presso  lo  studio dello
  stesso, in Catania, corso Italia n. 141;
    Contro comune di Catania, in persona del suo sindaco pro-tempore,
  rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Felice  Saitta dell'Avvocatura
  comunale  di  Catania, presso i cui uffici, in piazza G. Verga n. 7
  e'  elettivamente  domiciliato;  e nei confronti di Cerami Dantina,
  rappresentata e difesa dall'avv. Giampiero de Luca ed elettivamente
  domiciliata  presso  lo  studio  dello  stesso,  in Catania, piazza
  Trento n. 2;
    Per  l'annullamento  della  deliberazione  n. 1088  adottata il 9
  luglio  1999,  non  comunicata, con la quale l'interessata e' stata
  esclusa  dal concorso pubblico per titoli per la copertura di dieci
  posti  del  profilo  professionale "Capo gruppo coordinatore centro
  sociale  -  ottava qualifica funzionale - funzionario" per mancanza
  dell'iscrizione all'albo professionale;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Constatata   la  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
  intimata;
    Visti gli atti tutti del giudizio;
    Designato  relatore,  alla  camera  di  consiglio del 30 novembre
  1999, il primo referendario dott.ssa Concetta Anastasi;
    Uditi l'avv. Santo Li Volsi per la ricorrente, e l'avv. Giampiero
  De Luca per la controinteressata;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  atto  notificato  in  data  18  ottobre  1999, la ricorrente
  chiedeva  l'annullamento  -  previa  sospensione  -  dell'impugnato
  provvedimento  dispositivo,  fra  l'altro, della sua esclusione dal
  pubblico  concorso  per  titoli  per la copertura di n. 10 posti di
  "Capo   gruppo  coordinatore  centro  sociale  -  ottava  qualifica
  funzionale   -   funzionario",   bandito   dal  comune  di  Catania
  inizialmente   con   atto  pubblicato  il  25  agosto  1990  e  poi
  modificato,   a   seguito  di  riapertura  dei  termini,  ai  sensi
  dell'art. 19  della  legge  regionale  n. 25/1993,  con atto del 28
  ottobre  1995,  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale della Regione
  siciliana n. 43 - Serie concorsi - del 28 ottobre 1995.
    La  ricorrente  esponeva  di  aver presentato propria domanda, in
  quanto  dipendente  di  ruolo  dell'amministrazione comunale avente
  diritto  alla  speciale "riserva" prevista per il personale interno
  con  qualifica immediatamente inferiore, avvalendosi dei termini di
  riapertura,  ma ne veniva esclusa con deliberazione di G.M. n. 1088
  del  9  luglio  1999,  per  carenza  del  requisito dell'iscrizione
  all'albo professionale degli assistenti sociali.
    Avverso  la  suddetta  esclusione,  la  ricorrente  insorgeva con
  l'odierno   gravame,   fondato  sull'unico  articolato  profilo  di
  censura, con cui deduceva violazione e disapplicazione del bando di
  concorso   nonche'   eccesso   di  potere  sotto  i  profili  della
  contraddittorieta', dell'illogicita' e della discriminazione.
    Secondo  la  tesi  di  parte ricorrente, in sostanza, il bando di
  concorso  prevederebbe,  per  l'ammissione, requisiti diversi per i
  candidati  interni, richiedendo soltanto per i candidati esterni il
  possesso  del  requisito  dell'iscrizione all'albo degli assistenti
  sociali.
    Concludeva per l'accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.
    Con  memoria  depositata  in data 27 novembre 1999, si costituiva
  l'intimata    amministrazione   contestando   specificatamente   le
  argomentazioni  svolte ex adverso e concludeva per la relezione del
  gravame,  con  ogni conseguenziale statuizione anche in ordine alle
  spese.
    Con memoria depositata in data 30 novembre 1999, si costituiva la
  controinteressata  Cerami, candidata esterna al predetto concorso e
  gia'     assunta    dall'intimata    amministrazione,    svolgendo,
  preliminarmente le seguenti eccezioni:
        1) inammissibilita'    del    ricorso    per    difetto   del
  contraddittorio   poiche'  essa  deducente  non  sarebbe  effettiva
  controinteressata,  non  rientrando  nella  categoria del personale
  interno avente diritto alla riserva;
        2) inammissibilita'  del  ricorso  per  difetto di interesse,
  poiche'  la  ricorrente  non  avrebbe dimostrato la sussistenza del
  proprio  interesse  ad  agire  mediante  la  cosiddetta  "prova  di
  resistenza",  secondo  cui,  in  mancanza della esclusione, ella si
  sarebbe potuta classificare in posizione utile ai fini della nomina
  (o  tra gli idonei, qualora la graduatoria fosse utilizzabile anche
  per un numero di posti ulteriori);
        3) inammissibilita'  del  ricorso per omessa impugnazione del
  bando.
    Nel  merito,  deduceva  l'infondatezza del ricorso, assumendo, in
  sintesi,  che  il  requisito dell'iscrizione all'albo professionale
  dovesse  esere  richiesto  dal  bando  con  riferimento  a  tutti i
  candidati, sia interni che esterni.
    Concludeva  per la reiezione del ricorso, con ogni conseguenziale
  statuizione anche in ordine alle spese.
    Alla camera di consiglio del 30 novembre 1999, il ricorso passava
  in  decisione  interinale,  fino  all'esito definitivo del presente
  giudizio.

                            D i r i t t o

    1. - Va  rigettata  l'eccezione  svolta dalla controineressata di
  difetto  del  contraddittorio,  per  omessa notifica del ricorso al
  controinteressato effettivo.
    La  lex  specialis  del  concorso  -  quale risulta sia dal bando
  originario  del  concorso  del  25  agosto 1990 che a seguito della
  modifica  introdotta  con il successivo bando del 28 ottobre 1995 -
  contiene  la  seguente  clausola:  "La  graduatoria del concorso e'
  unica.  Il  personale  interno,  esauriti  i  posti riservati, puo'
  ricoprire  i  posti  eventualmente  non  ricoperti dagli esterni. I
  posti  riservati  al personale interno, ove non siano integralmente
  coperti, vengono conferiti agli esterni, analogamente, la quota non
  utilizzata  per  la  mobilita'  esterna  andra'  ad incrementare la
  percentuale di posti riservata al personale interno".
    Percio',  secondo lex specialis del bando, viene posto ab origine
  il principio della "unicita' della graduatoria", con la conseguente
  refluenza   di   ogni  vicenda  individuale  (rinunce,  esclusioni,
  modifica  di  punteggi,  ecc.)  su tutti i concorrenti collocati in
  posizione   utile,  a  prescindere  dalla  loro  appartenenza  alla
  categoria di interni od esterni.
    Da  cio' deriva che, con riferimento al presente ricorso, volto a
  censurare   l'intepretazione   data   dall'amministrazione  ad  una
  clausola   generale   del   bando  inerente  un  requisito  per  la
  partecipazione,  tutti i concorrenti vanno qualificati alla stregua
  di   "litisconsorti   necessari"   in   base   al  principio  della
  inscindibilita' dell'atto, di cui meglio si dira' appresso.
    Del resto, gia' giurisprudenza meno recente (ex multis: C.G.A. 24
  maggio  1989,  n. 210  e  26 febbraio 1987, n. 58) ha avuto modo di
  precisare  che  il  concorrente  non riservatario risultato idoneo,
  ancorche'  non nominato, e' controinteressato nel giudizio proposto
  da altro concorrente che lo segue in graduatoria, assumendo di aver
  titolo  alla  nomina  in  quanto  riservatario, perche', in caso di
  accoglimento   del   ricorso,   il   candidato   non  riservatario,
  retrocedendo   necessariamente   di   un   posto,   vedrebbe   lesa
  l'aspettativa  alla  nomina  -  di  cui e' pur sempre titolare - in
  esito ad un eventuale "scorrimento della graduatoria".
    Nella  specie,  percio',  la  ricorrente,  che  ha  notificato il
  ricorso  ad  una  sola  candidata della graduatoria - ancorche' non
  "riservista" - risulta aver correttamente assolto all'onere sancito
  dall'art. 21, primo comma della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, per
  cui,  il  principio  del  litisconsorzio  necessario  potra' essere
  adempiuto   in   corso   di  giudizio,  a  seguito  dell'ordine  di
  integrazione del contraddittorio, da disporsi a cura del giudice.
    Pertanto, l'eccezione non merita adesione.
    2. - Va  altresi'  rigettata  la  seconda  eccezione,  con cui la
  controinteressata  deduce  il difetto di interesse della ricorrente
  ex  art.  100  c.p.c. a coltivare l'odierno ricorso, per carenza di
  "prova  della  resistenza", per non aver dimostrato che, in assenza
  dell'esclusione,  ella  si  sarebbe classificata in posizione utile
  alla nomina.
    Nel  processo  amministrativo, il criterio inerente la cosiddetta
  "prova  di  resistenza",  prevede che debba essere ritenuto escluso
  l'interesse   a   far   valere  un  motivo  di  ricorso,  allorche'
  l'accoglimento  del  motivo  stesso  non potrebbe comportare alcuna
  incidenza   nel   contenuto   del   provvedimento  finale,  con  la
  conseguenza  che  alla parte ricorrente non potrebbe derivare alcun
  vanaggio sostanziale.
    In  genere,  il  suddetto criterio della "prova della resistenza"
  viene  applicato nel senso di ammettere l'interesse ad impugnare un
  provvedimento  asseritamente  lesivo degli interessi del ricorrente
  (ovvero  l'interesse  a proporre singole censure d'illegittimita'),
  salvo  che  risulti,  con  certezza, che il ricorrente non potrebbe
  ricevere  utilita'  dall'annullamento  (o  dall'accoglimento di una
  data censura).
    Invero,  tale  criterio  della "prova di resistenza" trova il suo
  luogo  indispensabile di applicazione nelle controversie in materia
  elettorale,    nell    quali   il   giudice   ritiene   irrilevante
  l'attribuzione  ad  una  lista,  piuttosto  che  ad un'altra, di un
  limitato   numero   di  voti,  qualora  dalla  suddetta  "prova  di
  resistenza"  emerga  la non rilevanza dell'attribuzione dei voti in
  contestazione  ai fini dell'eliminazione dello scarto esistente tra
  le liste in competizione.
    Nelle   fattispecie   concorsuali,   invece,   la   regola  viene
  normalmente  applicata  ipotizzando  l'assegnazione  del  punteggio
  massimo a colui che impugna e minimo al controinteressato.
    E'   stato  affermato,  con  riferimento  alle  impugnazioni  dei
  risultati  di  un  concorso,  che la suddetta "prova di resistenza"
  esclude  che  una  censura  possa  essere  presa  in considerazione
  qualora  risulti  in  modo  inconfutabile  che,  anche  in  caso di
  accoglimento,  il ricorrente non riuscirebbe a sopravanzare nessuno
  dei concorrenti dichiarati vincitori (cfr. Tribunale amministrativo
  regionale  Bari  26  maggio 1987, n. 375 e Tribunale amministrativo
  regionale Lazio, II Sez., 8 marzo 1988, n. 391).
    Nel  caso  di specie, pero', non sussiste alcun elemento certo ed
  oggettivo,  tale  da  poter consentire l'esclusione di un qualunque
  vantaggio,  in  capo  alla  parte ricorrente, da un eventuale esito
  positivo del presente giudizio.
    Al  contrario,  osserva  il  collegio  che,  nel  caso di specie,
  l'eccezione   risulta   formulata  assumendo  come  dato  certo  ed
  inconfutabile  un risultato che invece, potrebbe scaturire soltanto
  in conseguenza di un eventuale esito negativo del presente giudizio
  (attribuendo    cioe',   ad   una   semplice   spes   juris   della
  controinteressata, il rilievo di un elemento certo ed acclarato).
    Ed  infatti,  la  tesi  della  parte  controinteressata  e' stata
  condotta  dando  per scontato un esito negativo della lite, e dando
  per  presupposto  il  criterio secondo cui chi potrebbe avere torto
  nel  merito (anticipando, oltretutto, una valutazione che spetta al
  giudice  in  sede  di  decisione  della  controversia)  non sarebbe
  legittimato a proporre azione giurisdizionale.
    L'eccezione  va,  quindi,  disattesa poiche', se portata alle sue
  coerenti conseguenze, potrebbe determinare il paradossale risultato
  della  inammissibilita' dell'impugnativa di qualunque provvedimento
  di esclusione ad un concorso.
    3. - E'    altresi'    infondata    l'eccezione    con   cui   la
  controinteressata  deduce l'inammissibilita' del ricorso per omessa
  impugnativa  del  bando  di  concorso, dal momento che le deduzioni
  svolte  dalla  ricorrente sono volte a censurare la violazione e la
  disapplicazione  del  bando  di  concorso,  ed introducono un thema
  decidendum,  il  quale postula l'interpretazione delle clausole del
  bando,  da  farsi  a  cura  del  giudice,  con  la  decisione della
  controversia.
    Pertanto, anche questa eccezione si appalesa infondata.
    4.1. -   Tuttavia  i  collegio  ritiene  di non poter trattare il
  merito della domanda cautelare proposta, a causa dei gravi dubbi di
  legittimita' costituzionale scaturenti dalla normativa da applicare
  ai  fini  della deliberazione in ordine alla sussistenza o meno dei
  profili di giurisdizione.
    Nel  nuovo  sistema  di  riparto  della giurisdizione fra giudice
  amministrativo  e  giudice  ordinario,  delineato  dall'art. 68 del
  d.lgs.  3  febbraio  1993, n. 29, nel testo sostituito dall'art. 29
  del  d.lgs.  31 marzo 1998, n. 80, si stabilisce che "sono devolute
  al  giudice  ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le
  controversie  relative  ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle
  pubbliche  amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, ad eccezione
  di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse
  le  controversie  concernenti  l'assunzione  al lavoro... ancorche'
  vengano  in  questione  atti amministrativi presupposti ..." (comma
  1),   mentre   restano  devolute  alla  giurisdizione  del  giudice
  amministrativo  le controversie in materia di procedure concorsuali
  per  l'assunzione  dei  dipendenti delle pubbliche amministrazioni,
  nonche'   in  sede  di  giurisdizione  esclusiva,  le  controversie
  relative  ai rapporti di lavoro di cui all'art. 2, commi 4 e 5, ivi
  comprese  quelle  attinenti ai diritti patrimoniali connessi (comma
  4).
    Appare   evidente,   percio',  che,  ai  sensi  del  primo  comma
  dell'art. 68,  sono attribuite alla giurisdizione dell'A.G.O. tutte
  le  controversie  inerenti  ogni fase del rapporto di lavoro, dalla
  sua   instaurazione   fino  alla  estinzione  (compresa  ogni  fase
  intermedia,  relativa  ad  ogni  eventuale vicenda modificativa), a
  partire dalla cosiddetta "assunzione al lavoro", per cui, a seguito
  della cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego - attuata con
  l'art.   2,  comma  2,  d.lgs.  n. 29/1993,  nel  testo  sostituito
  dall'art. 2.1. del d.lgs. n. 546/1993 e, da ultimo, dall'art. 2 del
  d.lgs.  n. 80/1998  -  quelli  che  prima venivano qualificati come
  provvedimenti  amministrativi  di  "nomina"  risultano essere stati
  trasformati  ope  legis  (e  fatte salve le note eccezioni) in atti
  aventi   natura   privatistica,   secondo   lo   schema   negoziale
  proposta-accettazione   (cfr.  Tribunale  amministrativo  regionale
  Sicilia - Catania, Sez. III 7 giugno 1997, n. 1288, punto 1.b della
  motivazione; Corte cost. 16 ottobre 1997, n. 309, punto 2.2.4 della
  motivazione,  e  tribunale  La  Spezia  - Sez. Lavoro, ordinanza 26
  aprile   1999),   ferma   restando   la   qualificazione  di  "atti
  amministrativi"  soltanto  per  gli  atti  disciplinanti  le  linee
  fondamentali  dell'organizzazione degli uffici, per gli atti aventi
  funzioni  di  indirizzo  politico-amministrativo (art. 3 del d.lgs.
  n. 29/1993, nel testo sostituito dall'art. 3 del d.lgs. n. 80/1998)
  e per gli atti relativi ai procedimenti concorsuali (art. 68, comma
  4).
    4.2. - Nel caso di specie, la ricorrente agisce nelle qualita' di
  candidata  al concorso, in virtu' della speciale "riserva" prevista
  per  il  personale  interno  del  comune  di  Catania,  sicche'  la
  fattispecie   de  qua  -  assumendo  il  rilievo  di  una  "vicenda
  modificativa"   del   rapporto   di   lavoro   in   atto,  e,  piu'
  specificatamente, di una procedura finalizzata alla progressione in
  carriera  della  stessa  -  non  dovrebbe  essere sussumibile nella
  disciplina  prevista  dall'art. 68,  comma 4, che fa riferimento al
  concetto  di  "procedure  concorsuali  per l'assunzione" (come gia'
  precisato   da   questa   Sezione,   con   le  ordinanze  cautelari
  n. 1235/1999 e n. 1751/1999 nonche' con sentenza n. 2104/1999).
    Invece,  con  riferimento  a  tutti gli altri concorrenti esterni
  all'amministrazione,  cui  dovrebbe  essere  altresi' notificato il
  presente   ricorso,   stante   la   "unicita'"   della  graduatoria
  contemplata  dalla lex specialis del bando, troverebbe applicazione
  proprio  il  comma  4  dell'art. 68 precitato, a mente del quale la
  cognitio  causae  risulta  devoluta  alla  giurisdizione  di questo
  giudice.
    Ne',  nella  specie,  puo'  trovare  applicazione una valutazione
  distinta   dei   due   aspetti,   mediante   una  cognizione  della
  controversia  separata,  fondata sulla distinzione fra "concorrenti
  interni"  e  "concorrenti  esterni", a cio' ostandovi la piu' volte
  menzionata "unicita'" della graduatoria, prevista espressamente del
  bando, che postula una "inscindibilita'" della controversia nonche'
  un contraddittorio da estendersi nei confronti di tutti i candidati
  inclusi in graduatoria.
    Il  bando,  in  questione,  infatti,  rientra nella categoria dei
  cosiddetti  "atti  inscindibili",  i  quali  si  riferiscono ad una
  pluralita'  di  soggetti e non consentono alcuna distinzione fra le
  singole  posizioni  (casi  tipici  di  atti  inscindibili sono, per
  quanto  concerne  la procedura concorsuale, quegli atti unitari che
  si riferiscono a tutti i partecipanti, quali ad esempio il bando di
  concorso, la composizione della commissione esaminatrice, i criteri
  di massima).
    Dalla  inscindibilita'  di  un  atto  deriva  come corollario che
  l'annullamento  dell'atto  ritenuto  viziato  e la sua rinnovazione
  vanno  ad  incidere  sulla  posizione  degli altri compartecipi del
  medesimo  rapporto,  che - proprio per la sua inscindibilita' - non
  puo'  venir  meno  con effetti limitati solo ad alcuni dei soggetti
  cui  si  riferisce,  per  cui  l'annullamento dell'atto unitario ed
  inscindibile travolge necessariamente anche le posizioni dei terzi,
  ancorche' rimasti estranei al giudizio originario.
    L'elemento unificante delle singole posizioni degli aspiranti e',
  infatti,  costituito  dalla  valutazione in base a criteri omogenei
  (espressi  nel bando o nella successiva predisposizione dei criteri
  di  massima  delle  valutazioni) delle diverse posizioni soggettive
  dei partecipanti alla procedura, successivamente sintetizzate nella
  graduatoria  che  cristallizza  il valore comparativo, in relazione
  agli standard prefissati.
    Riportando  la  questione  sul  terreno della teoria generale del
  "giudicato   amministrativo"  (al  fine  di  lumeggiare  meglio  la
  questione), appare evidente come la "graduatoria unica" non sia per
  nulla  suscettibile  di  scissione  in  autonome  parti costitutive
  (sono,  infatti,  ben  note  le incertezze e le difficolta' proprie
  della  teoria  degli  effetti  del  giudicato  amministrativo  e il
  discrimine  tra  "atto collettivo" e "atto plurimo", soprattutto se
  si tiene altresi' conto del criterio concorrente e correttivo della
  cosiddetta "finalita' dell'atto".
    Nel   caso  di  specie,  l'atto  impugnato  va  qualificato  come
  "inscindibile"    sia   per   il   suo   contenuto   (che   investe
  inseparabilmente  una  collettivita'  di  interessati)  che  per la
  stessa  finalita'  di  procedere ad una valutazione delle posizioni
  soggettive  dei  diversi  candidati  in  base  a criteri omogenei e
  l'efficacia  del  giudicato  amministrativo che si verra' a formare
  sulla  decisione dell'odierna controversia investira', in un modo o
  nell'altro, tutti i soggetti inclusi in graduatoria.
    Conseguentemente,  la  devoluzione  di  segmenti  della  medesima
  controversia  ad autorita' giudiziarie diverse potrebbe determinare
  ipotesi  di  contrasto  di  giudicati,  in  relazioni  alle diverse
  impugnative giurisdizionali proposte dai vari soggetti interessati.
    La  costante  giurisprudenza  (ex  multis: Cons. Stato, Sez. V 20
  novembre  1989, n. 748, Tribunale amministrativo regionale Campania
  Napoli  -  Sez.  4,  14  marzo  1990,  n. 83)  ha  evidenziato  che
  l'annullamento  degli  atti indivisibili, che hanno per loro natura
  un contenuto unitario ed iscindibile ha effetto, oltre che ex tunc,
  anche erga omnes, non potendosi ammettere che l'atto annullato, ove
  sia  non  frazionabile,  debba essere ritenuto inesistente soltanto
  per  i  ricorrenti,  rimanendo  valido, invece, per tutti gli altri
  soggetti.
    4.3. - L'assetto  innovativo  del  riparto  di  giurisdizione  in
  materia, attuato con la normativa di cui al d.lgs. n. 29/1993, come
  modificato  dal  d.lgs. n. 80/1998, non autorizza la configurazione
  di   una   vis   actractiva,   nella   sfera   della  giurisdizione
  amministrativa,    delle    controversie    aventi    ad   oggetto,
  contestualmente,  procedure  concorsuali  riservate  -  e, percio',
  qualificabili  come  "vicende modificative" del rapporto di impiego
  con  la  p.a.  -  di competenza dell'A.G.O. e procedure concorsuali
  finalizzate alla "assunzione" di competenza dell'A.G.A.
    Infatti,  nella  materia  de  qua, non esistono esplicate deroghe
  legislative  e,  inoltre,  a differenza che per la "competenza" che
  puo'  essere  modificata  per  ragioni  di  connessioni (artt. 31 e
  segg.,  e  40,  c.p.c.),  nel  nostro ordinamento vige il principio
  generale  della  "inderogabilita'",  per  ragioni di "connessione",
  delle  rispettive giurisdizioni del giudice ordinario e del giudice
  amministrativo,  non  sussistendo  alcuna disciplina ne' generale e
  ne'  particolare  sul  punto  (cfr.  fra le altre Cass. Sez. Un. 1o
  marzo 1989, n. 1108).
    Ed   invero,   l'art.  37  c.p.c.  prevede  che  "il  difetto  di
  giurisdizione  del  giudice  ordinario nei confronti della pubblica
  amministrazione   o   dei   giudici  speciali  e'  rilevato,  anche
  d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo".
    In  sostanza,  ritiene il collegio che le difficolta' e discrasie
  poste  dal  nuovo  assetto  di  riparto di giurisdizione - inteso a
  separare  nettamente la materia che attiene alla costituzione, allo
  svolgimento  ed  alla  estinzione  del  rapporto  di  lavoro, dalla
  materia afferente esclusivamente ai pubblici concorsi di assunzione
  al  lavoro - non possono essere superate dal giudice amministrativo
  riconducendo  la  controversia  di cui all'oggetto nell'alveo della
  residua  giurisdizione  amministrativa,  in  materia  di  procedure
  concorsuali.
    5.1. - Questa sezione, con ordinanza 24 novembre 1999, n. 467, ha
  sollevato  d'ufficio  la questione di incostituzionalita' dell'art.
  68  d.lgs.  n. 29/1993  successive modificazioni, per contrasto con
  gli  artt.  3 e 24 Cost., nella parte in cui non devolve al giudice
  ordinario  la  giurisdizione  in  ogni  controversia riguardante il
  rapporto   di   lavoro   "contrattualizzato"   alle  dipendenze  di
  amministrazioni  pubbliche,  ivi  comprese  quelle  concernenti  le
  procedure  concorsuali  per l'assunzione (comma 4 del predetto art.
  68),  ed  in cui, comunque, la valutazione della legittimita' di un
  atto  sia  connessa con questioni concernenti il rapporto di lavoro
  presso   le   pubbliche  amministrazioni,  attribuendo  al  giudice
  ordinario  un generale potere di cognizione piena e di annullamento
  degli    atti    presupposti   illegittimi,   ancorche'   atti   di
  organizzazione e non di gestione.
    La  sezione,  infatti,  con  la predetta ordinanza, ha espresso i
  propri dubbi in ordine alla legittimita' costituzionale delle norme
  suddette in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione "sotto
  il  profilo  della  ingiustificata  ed irragionevole disparita' che
  viene   a   determinarsi   fra  dipendenti  privati,  che,  per  le
  controversie  aventi  ad oggetto qualsivoglia segmento del rapporto
  di  lavoro  devono  rivolgersi  ad un solo giudice, e dipendenti di
  amministrazioni    pubbliche,    che,    a   seguito   della   c.d.
  "contrattualizzazione  ,  possono essere costretti a sottoporre una
  medesima  vicenda  al  vaglio  di  entrambi  i giudici, poiche' con
  riguardo all'impugnativa di un'unica deliberazione - taluni aspetti
  rientrano nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario, ed
  altri  in  quella  del giudice amministrativo, in assenza di alcuna
  previsione  legislativa volta a regolamentare i rapporti fra le due
  giurisdizioni  e  ad  evitare  la  possibilita'  del  contrasto  di
  giudicati".
    L'art.  68/1  d.lgs.  n. 29/1993,  come  modificato  dall'art. 29
  d.lgs.  n. 80/1998,  devolve  al  giudice ordinario, in funzione di
  giudice  del  lavoro, tutte le controversie relative al rapporto di
  lavoro   dei  pubblici  dipendenti,  "... incluse  le  controversie
  concernenti   l'assunzione  al  lavoro  e  le  indennita'  di  fine
  rapporto,  comunque  denominate e corrisposte, ancorche' vengano in
  questione  atti  amministrativi  presupposti",  precisando che, ove
  tali  ultimi  atti  "siano  rilevanti  ai  fini della decisione, il
  giudice   amministrativo  li  disapplica,  se  illegittimi"  e  che
  "l'impugnazione   davanti   al   giudice  amministrativo  dell'atto
  amministrativo   rilevante  nella  controversia  non  e'  causa  di
  sospensione del processo", mentre, come gia' precisato, la medesima
  disposizione  legislativa  attribuisce al giudice amministrativo la
  giurisdizione    sulle   controversie   relative   alle   procedure
  concorsuali per l'assunzione al lavoro (comma 4).
    Ma  -  poiche'  le controversie in materia di "nomina" sono state
  attribuite  alla  giurisdizione  del  giudice ordinario (che potra'
  disapplicare  eventuali  atti  autoritativi  presupposti,  ai sensi
  dell'art.  68/1  d.lgs.  n. 29/1993,  e successive modificazione ed
  integrazioni) e quelle inerenti il momento anteriore, relativo alle
  varie fasi della procedura concorsuale (es.: impugnative di clusole
  del  bando,  dei  criteri generali applicati, ecc. non strettamente
  collegate  con  le  problematiche  connesse  alla  "assunzione"  al
  lavoro)  sono  rimaste comprese nella sfera della giurisdizione del
  giudice  amministrativo - il dipendente di una p.a. viene costretto
  ad  adire  entrambi  gli ordini giurisdizionali, con aggravio della
  possibilita'  di  ottenere  la  tutela processuale delle situazioni
  giuridiche che lo riguardano.
    5.2. - Con riferimento alla impugnativa della graduatoria de qua,
  la  coerente  applicazione della normativa in materia di riparto di
  giurisdizione  imporebbe  al giudice amministrativo l'emanazione di
  una pronuncia che sia:
        1) in  parte  declinatoria  della  propria giurisdizione, con
  riferimento alla domanda prospettata dalla parte ricorrente nonche'
  con  riferimento al controinteressato "riservatario" (litisconsorte
  necessario),  rispetto  ai  quali  la partecipazione alla procedura
  concorsuale  de  qua, assume il rilievo di una vicenda modificativa
  del  rapporto di lavoro in atto con il comune di Catania e, quindi,
  appare  sussumibile  nell'ipotesi  normativamente  contemplata  dal
  comma 1 dell'art. 68;
        2) in  parte  attributiva  della  propria  giurisdizione, con
  riferimento  all'attuale  controinteressata costituita nonche' agli
  altri  concorrenti  esterni  litisconsorti  necessari, ai sensi del
  comma 4 dell'art. 68;
        3) in  parte  declinatoria  della giurisdizione nei confronti
  della stessa controinteressata Cerami Santina nonche' nei confronti
  di  tutti  quei  partecipanti "esterni" al concorso, che potrebbero
  introdurre  una  questione  inerente  un  contratto  individuale di
  lavoro  gia' stipulato (nomina), ad avviso del collegio sussumibile
  nell'ipotesi contemplata dal comma 1 dell'art. 68.
    Tale  ultima soluzione deriva, infatti, dalla circostanza secondo
  cui  la  "nomina"  rientra  nel concetto di "assunzione al lavoro",
  contemplato  nel  comma  1 dell'art. 68 d.lgs. n. 29/1993 novellato
  dal  d.lgs.  n. 80/1998,  e  non  nell'ambito della categoria delle
  "procedure concorsuali per l'assunzione" di cui al successivo comma
  4, poiche' quest'ultima soluzione potrebbe comportare una eventuale
  vanificazone  del  significato  precettivo dell'esplicito combinato
  disposto  dei  ripetuti comma 1 e 4 dell'art. 68 in questione, che,
  invece,  esprimono  la chiara volonta' del legislaore di attribuire
  la  cognizione  di  tutte  le  controversie relative al rapporto di
  lavoro  con  le  p.a.  (ivi  comprese quelle concernenti la fase di
  costituzione  in  concreto  dello  stesso  rapporto  con i soggetti
  precedentemente  selezionati), al giudice ordinario, in funzione di
  giudice del lavoro, lasciando immutata la giurisdizione generale di
  legittimita'   del   giudice  amministrativo  soltanto  per  quanto
  concerne  le  controversie  relative  alle  procedure  concorsuali,
  prodromiche   e   finalizzate   alle   assunzioni   (id  est:  alla
  costituzione  in  concreto, col dipendente individuato in base alle
  predette procedure concorsuali del rapporto di lavoro).
    Invero,  il  collegio  non  ignora  il  diverso  orientamento del
  pretore  di  Catania,  in  funzione di giudice del lavoro, che, con
  l'ordinanza   29  gennaio  1999,  n. 1401,  ha  ritenuto  di  dover
  qualificare  alla  stregua di controversie concernenti l'assunzione
  (come  tali  ricomprese  nella  giurisdizione dell'A.G.O.) soltanto
  quelle  relative  alla  fase  di  costituzione  del rapporto, nelle
  quali,  comunque,  non  venga in contestazione lo svolgimento della
  procedura  concorsuale  (ad  esempio  quelle relative al periodo di
  prova),  ritenendo  devolute  al  giudice  amministrativo  soltanto
  quelle  controversie  nelle  quali  non  viene  in contestazione lo
  svolgimento della procedura concorsuale.
    Osserva, pero', il collegio che la suddetta chiave interpretativa
  non appare sufficentemente suffragata dai riferimenti testuali - in
  coerente  applicazione  dei principi ermeneutici di cui all'art. 12
  delle preleggi - che emergono dall'inciso "controversie concernenti
  l'assunzione  al  lavoro ...  ancorche'  vengano  in questione atti
  amministrativi presupposti" (comma 1 del ripetuto art. 68).
    Ed invero, nel caso in cui il legislatore avesse voluto mantenere
  ferma  la giurisdizione del giudice amministrativo (e quindi la sua
  potestas  decidendi)  anche  per  le  controversie  concernenti  le
  predette  assunzioni  al  lavoro,  avrebbe espressamente ricompreso
  tali  controversie  nell'ambito  di quelle concernenti le procedure
  concorsuali (che, invece, rimangono attribuite in via residuale, ex
  art. 68, comma 4, alla cognizione del giudice amministrativo) e non
  le   avrebbe   espressamente   devolute   alla   nuova   cognizione
  dell'A.G.O., come invece ha statuito col precedente comma 1.
    Giova,   infatti,   ricordare   che  il  provvedimento  finale  o
  conclusivo    del    procedimento    concorsuale    e'   costituito
  dall'approvazione   della   graduatoria   definitiva,  e  non  gia'
  dall'atto   di  nomina  o,  comunque,  dall'atto  costitutivo  (ora
  "contratto  individuale")  del  rapporto di impiego con i vincitori
  del   concorso,   mentre,   il   procedimento   concorsuale  ed  il
  provvedimento   di  approvazione  della  graduatoria,  costituenti,
  rispettivamente,  il  procedimento presupposto e l'atto supposto di
  carattere   generale,   vanno   considerati   come  atti  meramente
  prodromici dei successivi presupponenti ed individuali, con i quali
  viene concretamente costituito od instaurato il rapporto di impiego
  con  la  p.a.  (cfr.: ex plurimis Cass. Civ. S.U. 12 febbraio 1985,
  n. 1169.  C.G.A.  29  dicembre 1989, n. 483; Cons. Stato, Sez. V 15
  ottobre  1992, n. 1022; Tribunale amministrativo regionale Sicilia,
  Catania,  11  ottobre  1982,  n. 796;  Corte  conti, Sez. Contr. 23
  maggio 1996, n. 78).
    6.1. - Risulta,   quindi,  evidente  come  il  complesso  sistema
  normativo   si   ponga   in   violazione   sia   del  principio  di
  ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  sia del principio di eguaglianza
  (medesimo  art.  3),  laddove  non consente che il dipendente della
  p.a.,  a  differenza di quello privato - che deve adire soltanto il
  giudice  ordinario per ottenere la tutela delle medesime situazioni
  giuridiche  -  deve  adire  sia  il  giudice  amministrativo che il
  giudice   ordinario,   in   relazione   ad   alcune   tipologie  di
  controversie,  dovendo  cosi'  subire  sia gli effetti di possibili
  contrasti  di giudicati, con sostanziale violazione anche dell'art.
  24 Cost., sia un conseguente aggravio dell'esperimento dei mezzi di
  tutela giurisdizionale.
    Appare,  percio',  evidente che la risoluzione della questione di
  costituzionalita'   della   normativa   da   applicare,   si   pone
  assolutamente    ed    incontrovertibilmente    quale    necessaria
  pregiudiziale  per  la  definizione della controversia portata alla
  cognizione  del  collegio,  ai  sensi  dell'art.  23/2  della legge
  n. 87/1953,  poiche'  soltanto  la  declaratoria  di illegittimita'
  costituzionale   delle  disposizioni  di  legge  denunciate  potra'
  consentire al collegio di spogliarsi in toto del presente giudizio,
  senza  procedere  a quella frammentazione della controversia stessa
  suscettible   sia  di  determinare  la  possibilita'  di  giudicati
  contrastanti,  sia  di  costringere le parti ricorrenti ad esperire
  diversi  mezzi di tutela, in violazione dei principi costituzionali
  di  cui  agli artt. 3 e 24 Cost.), ai fini della valutazione di non
  manifesta infondatezza della questione sollevata.
    Ed invero, risulta di palmare evidenza, alla luce delle superiori
  considerazioni,   che,  per  ottenere  una  tutela  giurisdizionale
  completa,  la  parte  ricorrene  sarebbe  costretta ad adire sia il
  giudice  ordinario  che il giudice amminisrativo e, che la medesima
  graduatoria  dovrebbe  essere  impugnata  sia  davanti  al  giudice
  ordinario   (per  candidati  riservisti)  sia  davanti  al  giudice
  amministrativo (per i candidati esterni).
    6.2. - Sotto  altro  profilo, non appare ne' ragionevole ne' equo
  che  il  dipendente  di  una  p.a.  non  possa  trovare nel giudice
  ordinario  l'unico  giudice del rapporto ormai contrattualizzato, e
  che - in ragione delle peculiarita' delle fattispecie nonche' della
  commissione  di profili pubblicistici e privatistici, organizzativi
  e  di  gestione  -  debbano  duplicarsi  ed intrecciarsi i mezzi di
  tutela,  con  la  altresi'  grave  ed  inevitabile  conseguenza  di
  eventuali  contrasti  di  giudicati,  atti,  infine a rendere molto
  complesso  e  talora  anche  fonte di ulteriore contenzioso la fase
  finale relativa alla stessa esecuzione dei giudicati, cioe' la fase
  inerente  la  effettiva  satisfattivita'  degli interessi azionati,
  mediante l'attribuzione del "bene della vita" domandato.
    E'  tutto  cio'  si  pone in netto contrasto con gli obiettivi di
  celerita'  ed  economicita' dei procedimenti giurisdizionali che il
  legislatore con la riforma de qua ha inteso perseguire, nonche' con
  lo    stesso    principio   della   "effettivita'"   della   tutela
  giurisdizionale.
    6.3. - Come   gia'   evidenziato  nella  precitata  ordinanza  di
  rimessione  in  Corte  costituzionale  di  questa  sezione  del  24
  novembre   1999,   n. 467,  la  disciplina  che  ha  introdotto  la
  contrattualizzazione e' gia' stata, sotto altri profili, sospettata
  di   incostituzionalita'   per   contrasto   con  l'art.  97  della
  Costituzione  dall'Adunanza  Generale  del  Consiglio di Stato, nel
  parere   reso   in   data   31  agosto  1992,  n. 146  e  la  Corte
  costituzionale  -  pur  avendo escluso, con le decisioni n. 313 del
  18-25  luglio  1996,  e  n. 309 del 16 ottobre 1997, la sussistenza
  della  prospettata  questione  di legittimita' costituzionale della
  disciplina  de  qua sotto i profili della violazione dell'art. 97 -
  ha  affermato  che  "L'organizzazione,  nel  suo nucleo essenziale,
  resta   necessariamente  affidata  alla  massima  sintesi  politica
  espressa   dalla   legge   nonche'   alla  potesta'  amministrativa
  nell'ambito  di  regole  che  la  stessa  pubblica  amministrazione
  previamente pone, mentre il rapporto di lavoro dei dipendenti viene
  attratto  dall'orbita  della  discplina  civilistica per tutti quei
  profili  che  non  sono connessi al momento esclusivamente pubblico
  dell'azione  amministrativa"  (Corte  cost. 16 ottobre 1997, n. 309
  punto 2.1.2.).
    Invero,  il sistema di riparto della giurisdizione avrebbe dovuto
  prevedere  dei  meccanismi processuali, idonei a disciplinare tutte
  le  ipotesi  inerenti  le  connessioni  e le sovrapposizioni fra le
  diverse    sfere   d'azione,   rispettivamente   pubblicistiche   e
  privatistiche,   in   cui   l'amministrazione   esplica  la  proria
  attivita',  poiche'  lo spostamento, operato dal d.lgs. n. 80/1998,
  circa  il confine della privatizzazione dalla gestione dei rapporti
  di lavoro ad una parte dell'attivita' organizzativa, non riducibile
  alla   prima,  non  puo'  non  refluire  anche  sul  riparto  della
  giurisdizione.
    6.4. - Ad avviso del collegio, non sussiste negli artt. 103 e 113
  della  Costituzione  alcun  limite  costituzionale  implicito  alla
  possibilita'  di  concepire una giurisdizione esclusiva del giudice
  ordinario,  ma,  anzi, l'ultimo comma dell'art. 113 Cost., il quale
  prevede  che  "la  legge  determina  quali  organi di giurisdizione
  possono  annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi
  e  con  gli  effetti  previsti  dalla  legge  stessa"  consente  al
  legislatore  ordinario  di stabilire nuove ipotesi di giurisdizione
  del  giudice  ordinario  non  limitate  in ragione della situazione
  tutelata  e  con  cognizione  piena  - e non soltanto incidentale e
  tendente    alla   mera   disapplicazione   -   dei   provvedimenti
  amministrativi.
    Non   va,  infatti,  sottaciuto  che  il  legislatore  ha  talora
  attribuito  al  giudice  ordinario,  in  alcune  materie, poteri di
  annullamento,  come  ad esempio, con gli artt. 22 e ss. della legge
  n. 681/1989,  in  tema  di  annullamento  di ordinanza-ingiunzione,
  dispositive di sanzioni amministrative.
    Conclusivamente, il collegio ritiene di dover altresi' richiamare
  alcune  osservazioni  - contenute nella nota sentenza della sezioni
  unite  della  Corte  di  cassazione  n. 500  del 26 marzo-22 luglio
  1999),  in  tema  di  risarcibilita' degli interessi legittimi - le
  quali, con riferimento ai criteri di riparto della giurisdizione di
  cui  alla  disciplina  introdotta dal d.lgs. n. 80/1998, dopo avere
  ricordato  il  contenuto degli artt. 29, 33 e 34 di detto decreto -
  evidenziano  che  "risulta in tal modo compiuta dal legislatore una
  decisa  scelta  nel  senso del superamento del tradizionale sistema
  del  riparto  della  giurisdizione  in  riferimento  alla dicotomia
  diritto soggettivo - interesse legittimo, a favore della previsione
  di  un  riparto  affidato  al  criterio della materia" e, pertanto,
  rilevano   la   necessita'   della   "concentrazione  della  tutela
  potenzialmente   esaustiva   per   la  situazione  soggettiva  lesa
  dall'esercizio   illegittimo   della   funzione  pubblica",  e,  in
  particolare,  alla "grave limitazione che, per l'effettivita' della
  tutela  giurisdizionale,  costituisce  il "successivo ricorso a due
  giudici diversi".
    In conclusione, poiche' le dedotte questioni di costituzionalita'
  appaiono   rilevanti   per   la   decisione   del  ricorso,  e  non
  manifestamente   infondate,   si  rende  necessario  sospendere  il
  presente giudizio in attesa che la Corte costituzionale si pronunci
  sulla   eccezione   di  incostituzionalita'  dell'art.  68  d.lgs.,
  n. 29/1993 e successive modificazioni, per contraso con gli artt. 3
  e  24  Cost.,  nella  parte  in  cui - al di fuori delle ipotesi di
  giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per il personale
  non  contrattualizzato  o  privatizzato  (seconda parte del comma 4
  dell'art.  68)  - non devolve al giudice ordinario la giurisdizione
  in  ogni  controversia  riguardante  il  rapporto  di  lavoro  alle
  dipendenze   di  amministrazioni  pubbliche,  ivi  comprese  quelle
  concernenti  le procedure concorsuali per l'assunzione (comma 4 del
  predetto  art.  68),  ed  in  cui,  comunque,  la valutazione della
  legittimita'  di  un atto sia connessa con questioni concernenti il
  rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, attribuendo
  al  giudice  ordinario  un generale potere di cognizione piena e di
  annullamento  degli  atti  presupposti  illegittimi che incidano la
  sfera  giuridica  del  dipendente,  ancorche'  si tratti di atti di
  organizzazione  e  non soltanto di gestione, si' da non costringere
  il   dipendente   a   duplici   impugnative,   dinanzi  al  giudice
  amministrativo  e  dinanzi  al  giudice  ordinario, con l'ulteriore
  conseguenza della possibilita' di contrasto di giudicati.
                              P. Q. M.
    Solleva  d'ufficio,  ritenendola  rilevante  e non manifestamente
  infondata,  la questione di incostituzionalita' dell'art. 68 d.lgs.
  n. 29/1993  e successive modificazioni, per contrasto con gli artt.
  3  e  24 Cost., nella parte in cui non devolve al giudice ordinario
  la  giurisdizione  in  ogni controversia riguardante il rapporto di
  lavoro   contrattualizzato   o   privatizzato  alle  dipendenze  di
  amministrazioni  pubbliche,  ivi  comprese  quelle  concernenti  le
  procedure  concorsuali  per l'assunzione (comma 4 del predetto art.
  68),  ed  in  cui  comunque la valutazione della legittimita' di un
  atto  sia  connessa con questioni concernenti il rapporto di lavoro
  presso   le   pubbliche  amministrazioni,  attribuendo  al  giudice
  ordinario  un generale potere di cognizione piena e di annullamento
  degli    atti    presupposti   illegittimi,   ancorche'   atti   di
  organizzazione e non di gestione;
    Sospende il giudizio;
    Dispone   la   immediata   trasmssione   degli  atti  alla  Corte
  costituzionale;
    La    presente    ordinanza    sara'    eseguita   dall'autorita'
  amministrativa; essa viene depositata in segreteria che provvedera'
  a  notificarne  copia alle parti ed al Presidente del Consiglio dei
  Ministri; nonche' ai Presidenti delle due camere del Parlamento.
        Catania, addi' 30 novembre 1999.
                      Il presidente: Campanella
                       L'estensore: Anastasi
00C0298