N. 180 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2000

Ordinanza  emessa  l'8  febbraio  2000  dal  tribunale  di  Terni nel
procedimento penale a carico di Alcini Pasquale ed altri
Processo  penale - Nullita', dichiarata dal giudice di appello, della
sentenza  emessa  dal giudice di primo grado con composizione mutata,
in  corso  di  dibattimento,  per sopravvenuta incompatibilita' di un
componente  -  Conseguente  regressione  processuale  e necessita' di
rinnovazione   di   tutti  gli  atti  processuali  al  momento  della
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  -  Proponibilita' del
conflitto da parte del giudice di primo grado - Esclusione secondo il
diritto vivente - Contrasto con il principio della ragionevole durata
del  "giusto  processo",  nonche' con il principio di non dispersione
degli  atti  processuali  legittimamente  compiuti,  affermato  dalla
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale (sent. n. 17/1994 e ord.
n. 99/1996)  - Incidenza sul principio di soggezione del giudice solo
alla legge.
- P.P.N., art. 28, comma 2.
- Costituzione, artt. 101 e 111.
(GU n.17 del 19-4-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento:  n. 81/1995,  R.G.  del  Tribunale  di  Terni;
  n. 178/1993 R.G.N.R.;
    Il Collegio, letti gli atti, sollecitato il contraddittorio delle
  parti sul punto;

                            O s s e r v a

    La  Corte  d'Appello  di  Perugia, con sentenza n. 47/1999 del 26
  gennaio  -31  marzo  1999, ha cosi' disposto: "visti gli artt. 605,
  604,  525,  secondo  comma, 178, primo comma lettera a], 179 e 511,
  c.p.p.,  dichiara  la  nullita'  della  sentenza  emessa in data 26
  febbraio 1997 del Tribunale di Terni", nei confronti degli imputati
  e  recante  il  n. 36/1997.  Con contestuale ordine di restituzione
  degli atti al primo giudice, "per quanto di sua competenza".
    Dunque, ai sensi del quarto comma dell'art. 604, c.p.p., e' stata
  rilevata   una  nullita'  assoluta  della  iniziale  sentenza,  con
  regressione  del  processo, di cui e' stato nuovamente investito il
  giudice di prima istanza.
    Tale  vizio  e'  stato  dichiarato  dal  giudice di secondo grado
  poiche'  il giudizio gravato era stato emesso da un Collegio mutato
  nel  corso  del  dibattimento  (udienza  del 20 settembre 1993), in
  ragione  della  sopravvenuta  incompatibilita' di un suo componente
  (Corte costituzionale n. 131 del 1996).
    Secondo  il  Collego  d'Appello,  nonostante  la  chiara  lettera
  dell'art. 1,   comma  secondo,  della  legge  n. 652  del  1996,  e
  l'indicata  conformita'  ad  esso  dell'ordinanza, del Tribunale di
  Terni,  dichiarativa  della  efficacia  probatoria  degli  atti  di
  istruzione  svolti  sino all'ingresso della diversa persona fisica,
  vi  sarebbe  stata violazione del principio di immutabilita' di cui
  all'art. 525, c.p.p.
    La  Corte  afferma che "tanto la richiamata normativa transitoria
  (decreto-legge  9  giugno 1996 n. 464; d-l- 23 ottobre 1996 n. 553,
  conv.  con  mod. nella legge 23 dicembre 1996 n. 652) quanto quella
  generale   non   possono  non  confrontarsi  con  il  principio  di
  immutabilita'  del giudice: ne' l'una ne l'altra possono "superare"
  la   necessita'  che  il  processo,  con  un  Collegio  in  diversa
  composizione,  riprenda  il  suo  iter  "ex novo" dal momento della
  dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento" (pagina n. 50 della
  sentenza).
    Tanto premesso questo Collegio considera quanto segue.
    La decisione della Corte d'Appello si pone in esplicito contrasto
  con  d.-l.  n. 464  del 6 settembre 1996, nonche' con la successiva
  legge  n. 652  del  23  dicembre  1996,  e, in tesi, con l'art. 42,
  c.p.p.
    Inoltre  la  suddetta  decisione,  nel momento in cui sostiene la
  necessita' che tutte le prove siano nuovamente espletate ed i testi
  riesaminati  (pagina  47,  rigo  19),  disattende  anche l'immutato
  orientamento  della  Corte  costituzionale di non dispersione degli
  atti  legittimamente  compiuti;  quindi,  ritenere  tutti  gli atti
  sempre e comunque inutilizzabili, come sostanzialmente sarebbero se
  per  rinnovazione  e  riassunzione  si intendesse non anche la sola
  lettura  e/o  indicazione  (secondo quanto indicato invece da Corte
  costituzionale,  sentenza  n. 17  del  1994,  e ordinanza n. 99 del
  1996),  bensi'  l'integrale  ripetizione dell'istruzione, contrasta
  con  il  richiamato  principio  della  non  "dispersione degli atti
  legittimamente  compiuti". Orientamento ripreso dalla suprema Corte
  di    Cassazione    che   interpreta   l'applicabilita'   al   caso
  dell'art. 511,  secondo  comma,  c.p.p., nel senso che la lettura o
  indicazione  e'  sufficiente  quando  "l'esame  non  abbia luogo" e
  percio'  "non  si  compia o per volonta' delle parti, espressamente
  manifestata ovvero implicita nella mancata richiesta di riaudizione
  del   dichiarante,   o   per   sopravvenuta   impossibilita'  della
  riaudizione  (cosi'  Cass,  Sez.  Un.,  15 gennaio 1999, Iannasso e
  altri).
    Al   di   la'  delle  formalita'  di  apertura  del  dibattimento
  proseguito  in  rinnovazione  -  la  cui  omissione, ove esse siano
  ritenute  necessarie  anche  nell'ipotesi  di  astensione, non puo'
  determinare  la  nullita' prevista in relazione alla partecipazione
  del  giudicante  all'effettiva  istruzione  -, non e' revocabile in
  dubbio  che  la  Corte  d'Appello,  per  disattendere la "speciale"
  disciplina  di cui all'art. 1, comma 2o, del d.-l. n. 553 del 1996,
  convertito  nella legge n. 652 del 1996, cosi' definita, proprio al
  riguardo,  dalle  menzionate  Sezioni Unite (al 7o cpv. della parte
  motiva), avrebbe dovuto sollevare eccezione di incostituzionalita',
  e  non  annullare  la  sentenza  resa  in applicazione delle regole
  processuali vigenti al momento del dibattimento.
    Il  rinnovo  del dibattimento da parte del tribunale e' pertanto,
  senza alcun dubbio, attivita' che risulta imposta contro la legge e
  che dilaterebbe in modo irragionevole i tempi processuali.
    Il  diritto vivente formatosi sul codice del 1988 (cfr., a titolo
  puramente   esemplificativo,  Cass.,  sez.  1,  15  novembre  1996,
  Stratico'),  afferma, in riferimento all'art. 28, comma 2o, c.p.p.,
  che il conflitto sollevato in tale fattispecie dal giudice di primo
  grado,   di   fronte   alla   suprema   Corte   di  cassazione,  e'
  improponibile, essenzialmente argomentando dal fatto che si sarebbe
  formato   un  giudicato  interno  per  omessa  impugnazione,  della
  decisione di seconde cure. Non vi e', quindi, spazio interpretativo
  diverso per ritenere sussistente, da parte di questo Tribunale, una
  delle ipotesi di casi analoghi ai conflitti di competenza.
    Tale normativa cosi' come risultante dalla costante lettura della
  Corte  di  cassazione,  a  parere  del  Tribunale,  e'  sospetta di
  incostituzionalita'  per  violazione  degli  artt. 101 e 111, della
  Costituzione.
    Infatti  i  giudici  sono  soggetti soltanto alla legge, e se non
  fosse  ammissibile  il  dedotto conflitto anomalo di competenza, la
  Corte  d'Appello  diventerebbe organo sovraordinato non funzionale,
  qual e' per legge, ma gerarchico.
      Non pare, del resto, che possa configurarsi il giudicato quando
  vi  e'  ancora una possibilita', non esclusa dall'ordinamento (come
  lo  e'  nel  differente  caso  del giudizio di rinvio dalla Suprema
  Corte di Cassazione: cfr., Corte costituzionale, n. 50 del 2 aprile
  1970),  di  provocare la verifica da parte dell'unico organo a cio'
  deputato,  la Cassazione ex art. 32 c.p.p., in camera di consiglio,
  con procedimento veloce, senza formalita'.
    Ma    tali   considerazioni,   gia'   svolte,   come   noto,   da
  autorevolissime voci della dottrina nonche' dallo stesso giudice di
  legittimita'  nel  vigore  del codice di rito penale del 1930, art.
  51,  comma  2 (cfr., Cass., 25 giugno 1959, Tizzano; Cass. 23 marzo
  1979,  in  Cass. Penale 1980, 793; Cass. 10 giugno 1977, in Cassaz.
  Penale   1978,   730),   diventano  qui  decisive  nella  ulteriore
  prospettiva dell'art. 11, Cost., come modificato dalla legge del 23
  novembre  1999,  n. 2,  che in particolare al comma 2o, stabilisce:
  "Ogni  processo  si  svolge  nel  contraddittorio  tra le parti, in
  condizioni  di  parita',  davanti  a giudice terzo e imparziale. La
  legge ne assicura la ragionevole durata".
    La   nuova   formulazione   del   secondo   comma   del  precetto
  costituzionale   e'  immediatamente  applicabile  al  giudizio  qui
  pendente  poiche' la riserva costituzionale di cui all'art. 2 della
  legge introduttiva riguarda, con evidenza, i principi di cui al 3o,
  4o  e  5o  comma,  relativi solamente al "processo penale", e non i
  generalissimi  principi,  afferenti ad ogni settore processuale, di
  cui  ai  commi  precedenti,  in  cui viene codificato, per la prima
  volta, quello della ragionevole durata.
    Tale  ratio  e'  confermata  dal  decreto  legge attuativo, del 5
  gennaio 2000, che nel differenziare i procedimenti con dibattimento
  non  ancora  (mai)  aperto  dagli  altri,  stabilisce,  al 2o comma
  dell'art.  1, una peculiare applicazione della norma costituzionale
  che  fa esplicito riferimento agli ultimi tre commi del citato art.
  111.  In  linea  con  la  ratio costituzionale di "evitare ricadute
  negative"  della  modifica,  come  chiarisce  anche la Relazione al
  disegno di legge per la conversione del medesimo decreto (pag. 1).
    Si osserva, dunque, che la regressione procedimentale e' istituto
  sicuramente  eccezionale  poiche' allunga i tempi dei processi, con
  un   aggravio  non  trascurabile  quando,  in  specie,  essi  siano
  connotati   da  particolare  vastita'  dell'oggetto,  numero  degli
  imputati,   complessita'  delle  fattispecie  e  connessione  delle
  imputazioni.
    L'ammissibilita'  del  conflitto  con  la celere procedura di cui
  all'art. 28  e  32,  c.p.p.,  consentirebbe,  invece, di evitare un
  prolungamento del processo, potenzialmente non solo non determinato
  dalla  finalita' di garantire il contraddittorio e la parita' delle
  parti  o  l'accertamento  della  verita'  storica, ma, in tesi, non
  determinato da alcuna ragione giuridica, anzi palesemente contro la
  lettera e la ratio della legge.
    Consentendo  l'immediata  e  definitiva verifica della ritualita'
  del  processo presupposto, ossia della sussistenza della necessita'
  o  no,  che  esso ricominci ex novo, il conflitto sarebbe strumento
  per  un  risparmio  di  tempi ed energie processuali altrimenti, si
  ripete,   ingiustamente   dispersi,   evitando   una   duplicazione
  illegittima,  e  dunque  irragionevole,  delle  sue  fasi (peraltro
  reiterabile).
    E'  per  questi motivi che il Collegio ritiene non manifestamente
  infondata,   oltre   che   rilevante,   la   dedotta  questione  di
  costituzionalita'   dell'art. 28   comma  2,  c.p.p,  in  relazione
  all'art. 604  c.p.p.,  per  violazione  degli  art. 101  e 11 della
  Costituzione;
                              P. Q. M.
    Dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata la dedotta
  questione  di  costituzionalita' dell'art. 28, comma 2o, c.p.p., in
  relazione agli artt. 101 e 111 della Costituzione;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dichiara sospeso il procedimento;
    Ordina  la  notificazione  della presente ordinanza aI Presidente
  del  Consiglio  dei Ministri e la comunicazione ai presidenti delle
  due Camere del Parlamento della Repubblica;
    Manda alla Cancelleria per gli adempimenti.
        Terni, addi' 8 febbraio 2000.
                        Il Presidente: Socci
I giudici: Fornaci - Porreca
00C0328