N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 gennaio 2000
Ordinanza emessa il 21 gennaio 2000 dal tribunale di Verona, sez. distaccata di Soave nel procedimento penale a carico di Campestrin Renza Processo penale - Incompatibilita' del giudice - Giudice che abbia rigettato, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, istanza di applicazione della pena - Prevista incompatibilita' a partecipare al giudizio - Irragionevole parita' di trattamento di situazioni non omogenee - Lesione del principio del giudice naturale precostituito per legge - Violazione del principio di buona amministrazione. - Cod. proc. pen., art. 34, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 25 e 97.(GU n.18 del 26-4-2000 )
IL TRIBUNALE Ha reso la seguente ordinanza; Prima del compimento delle formalita' di apertura del dibattimento, l'imputata, a mezzo difensore munito di procura speciale, ha formulato richiesta di applicazione della pena in relazione al reato di cui all'art. 638 c.p., relativo all'uccisione del cane di proprieta' di Castagna Germana e, stando a quanto asserito nell'atto di costituzione di p.c., del di lei convivente Ruffo Angelo, concordando col p.m. la pena di lire 100.000 di multa. Le pp.cc. hanno presentato nota spese e conclusioni; la p.c. Castagna Germana ha chiesto rigettarsi l'istanza di "patteggiamento", ritenendo l'assoluta incongruenza della pena in relazione alla concreta gravita' del fatto. La difesa ha eccepito il difetto di legittimazione sostanziale del Ruffo, in quanto proprietario del cane risulterebbe, dalla querela, solo la Castagna. Osserva il tribunale che, in primis, la p.c. e' legittimata a interloquire sulla accoglibilita' dell'istanza di applicazione di pena, atteso che dalla definizione del processo ex art. 444 c.p.p. discende per lei la conseguenza negativa di non poter far valere la propria pretesa risarcitoria davanti al giudice penale. Osserva inoltre che, anche in esito alle innovazioni introdotte dalla legge n. 473/1993, deve ritenersi che le norme che sanzionino le offese all'integrita' degli animali - e quindi anche l'art. 638 c.p. - abbiano a proprio oggetto giuridico non il solo bene patrimoniale, ma anche quello ben piu' rilevante costituito dalla normale pietas per gli esseri animati: e, nel caso particolare degli animali di affezione, anche il rapporto, di tipo parafamigliare, che viene a costituirsi tra animale di compagnia e chi con lo stesso viva abitualmente; sotto tale profilo, pertanto, deve ritenersi comunque legittima la costituzione di parte civile del Ruffo che, in quanto convivente della Castagna, con la stessa condivideva l'abituale rapporto affettivo con l'animale poi ucciso. Ritiene quindi il tribunale che, stando a quanto risultante allo stato degli atti, e rilevato che il cane delle pp.cc. appare essere stato bestia mite e di carattere generalmente affettuoso, si appalesi come evento grave ed odioso la sua uccisione a fucilate, sicche' la mera pena della multa - idonea rispetto ad ipotesi di mero maltrattamento o "deterioramento", ma non nel caso di uccisione di un animale di affezione inoffensivo e mite - integri sanzione manifestamente incongrua. Va quindi rilevato che al rigetto della presente istanza consegue, ai termini dell'art. 34, comma 2 cpv. c.p.p., come risultante in esito alle pronunzie della Corte costituzionale che hanno dichiarato la parziale illegittimita' di detta norma, l'incompatibilita' del giudice - che ha rigettato per motivi non formali l'istanza di applicazione di pena - a giudicare nel merito dell'imputazione contestata, con conseguente obbligo di astensione dalle funzioni di giudice del dibattimento in relazione al procedimento in oggetto, ai sensi dell'art. 36, lett. g) c.p.p. Va tuttavia rilevato come con la recente ordinanza n. 232 del 7-11 giugno 1999, la stessa Corte costituzionale, nel rigettare questione di incostituzionalita' dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' ad emettere sentenza del giudice che abbia rigettato, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, istanza di oblazione, ha richiamato propria piu' recente giurisprudenza, secondo la quale l'imparzialita' del giudice non puo' ritenersi intaccata da una valutazione, anche di merito, compiuta all'interno della medesima fase del procedimento, "intesa quale ordinata sequenza di atti, ciascuno dei quali legittima, prepara e condiziona quello successivo" al fine di evitare una "assurda frammentazione del procedimento mediante l'attribuzione di ciascun segmento di esso ad un giudice diverso", come gia' osservato con la ordinanza n. 24 del 1996 e con la sentenza n. 448 del 1995; e va rilevato altresi' che con la predetta ordinanza n. 232 del 1999 la Corte costituzionale ha espressamente affermato, nella sua veste di giudice delle leggi, "che la giurisprudenza di questa Corte, nell'affermare il principio generale che l'imparzialita' del giudice non e' pregiudicata da una valutazione, anche di merito, compiuta nella medesima fase del procedimento, consente di ritenere superate le conclusioni cui e' pervenuta questa Corte nella sentenza n. 186 del 1992, che aveva ravvisato un'ipotesi di incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che, prima dell'apertura del dibattimento, avesse respinto la richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti. Tali statuizioni sono state ulteriormente ribadite con la ordinanza n. 443/1999, con la quale la Corte ha espressamente affermato che la incompatibilita' conseguente al compimento di atti tipici della fase unitaria di cui il giudice e' investito "finirebbe con l'attribuire alle parti la potesta' di determinare l'incompatibilita' nel corso di un giudizio del quale il giudice e' gia' investito, sicche' lo stesso giudice verrebbe spogliato di tale giudizio in ragione del compimento di un atto processuale cui e' tenuto a seguito dell'istanza di una parte; esito questo non solo irragionevole, ma in contrasto col principio del giudice naturale precostituito per legge dal quale l'imputato verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto". Sicche', premesso che e' da ritenersi che le sentenze interpretative di accoglimento, emesse dalla Corte costituzionale, creino - col loro effetto parzialmente abrogativo della precedente - una nuova norma, suscettibile come ogni altra di censure di costituzionalita', e ritenuto pertanto che l'art. 34 cpp, nella formulazione conseguente alla sentenza n. 186/1992 della Corte costituzionale, appaia affetta, alla stregua delle medesime motivazioni addotte dalla stessa Corte con la predetta ordinanza n. 232/1999, ribadite con la ordinanza n. 443/1999, da manifesti vizi di incostituzionalita', per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto realizza una irragionevole disparita' di trattamento tra situazioni del tutto analoghe (come, appunto, quella del giudice che abbia rigettato istanza di oblazione speciale e quella del giudice che abbia rigettato istanza di applicazione di pena, in entrambi i casi in forza di valutazioni implicanti un apprezzamento del fatto ascritto all'imputato), e contemporaneamente assoggetta irragionevolmente alla medesima disciplina situazioni non comparabili processualmente (prevedendo l'incompatibilita' al giudizio sia del giudice che abbia legittimamente espresso valutazioni di merito nell'ambito della medesima fase processuale, sia del giudice che le abbia espresse nell'ambito di fase processuale diversa); il tutto in violazione dei principi di buona amministrazione, per detta via realizzandosi "un'assurda frammentazione del procedimento"; ed in violazione altresi' del principio del giudice naturale precostituito per legge, consentendosi alle parti, mediante studiata proposizione di istanze ex art. 444 c.p.p inaccoglibili, di "sbarazzarsi" del loro giudice naturale, costringendolo all'astensione. Sicche', ritenuta la rilevanza della questione, dovendo altrimenti, in applicazione dell'art. 34 c.p.p. nella formulazione vigente, questo giudice astenersi, ed osservato che le riforme apportate dal d.lgs. n. 51/1998 alla disciplina delle incompatibilita' non appaiono mutare il quadro normativo di riferimento rispetto alle valutazioni qui espresse e gia' operate dalla stessa Corte costituzionale;
P. Q. M. Rigetta l'opposizione alla costituzione di parte civile di Ruffo Angelo; Rigetta l'istanza di applicazione pena formulata dalle parti; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2 c.p.p., per contrasto con gli articoli 3, 25 e 97 Costituzione, nella parte in cui prevede l'incompatibilita' al giudizio del giudice che abbia rigettato, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, istanza di applicazione pena avanzata dalle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p.; Dispone trasmettersi copia degli atti e della presente ordinanza alla Corte costituzionale, e sospende il giudizio in attesa della decisione della stessa; Manda alla cancelleria per la notifica al Presidente del Consiglio e la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nonche' per la notifica all'imputata contumace; Letta in pubblica udienza alla presenza delle parti civili e del p.m. Soave, addi' 21 gennaio 2000. Il giudice: Sernia 00C0338